ARCHIVIO DE SIMONE
Altre recensioni discografiche di
musica contemporanea, etnica, etc.
Per diversi anni ho pubblicato recensioni discografiche su riviste
specializzate a divulgazione nazionale. Esse hanno svolto una funzione di
critica militante, spesso ‘scomoda’, tuttavia hanno offerto un contributo al
radicale mutamento delle tradizionali categorie d’analisi, spesso poggiate su
insiemi gerarchici di ‘qualità’ tra generi e stili. Quello che segue è un
elenco di alcune di queste recensioni, ed i testi di quelle che ho potuto
recuperare (vi sono escluse quelle scritte per il quotidiano ‘il manifesto’,
che si possono leggere all’apposita voce dell’Archivio). Non è stato possibile
uniformare i testi delle recensioni, ordinarli, organizzarli, aggiornarli. Ciò
comporterebbe uno sforzo che va al di là delle possibilità individuali.
Pertanto esse vanno prese così come furono pubblicate. Consiglio pertanto di
avvalersi, una volta individuato nell’elenco qualcosa che possa interessare, di
utilizzare le funzioni di ricerca automatica disponibili in ogni software di
lettura.
Elenco articoli,
recensioni e rubriche di
pubblicati dalla
rivista “Cd classica”
N. 68, Febbraio 1994
"Barber", p. 54
"Bernstein / Hundley / Bowles / Gershwin / Etc." , p. 58
"Revueltas / Orbon / Ginastera", p. 107
"The American Vocalist", p. 117
"Yo-Yo Ma", p. 125
N. 69, Marzo 1994
"An American Christmas", p. 65
N. 70, Aprile 1994
"Griffes / Sessions / Ives", p. 75
"Ives / Barber", p. 78
"Lang", p. 79
"Lazarof / Starer",
p. 80
"Rands / Persichetti /
Martirano / Martino", p. 92
N. 71, Maggio 1994
"Glass su Sony", p.
61
"Cage", p. 80
"Cage / Harrison / Young / Partch", p. 80
"Hall Lewis", p. 94
"Kolb", p. 100
"Riegger", p 112
N. 72, Giugno 1994
"Babbitt", p. 46
"Cage / Carter / Babbitt / Schuller", p. 74
"Copland / Jenkins / Bernstein / Gershwin", p. 81
"Ibert", p. 92
"Ives", p. 93
"Roussakis", pp. 108-109
"Schuller", pp. 111-112
"Zorn/Coleman/Klucevsek/King/Vierk/Marclay/Childs/Groesbeck/
Kernis", pp. 117-118
"Zwilich / Cory;
Macbride", p. 118
N. 73, Luglio/Agosto 1994
"Autori contemporanei
sulla CRI", pp. 30-31
"Copland/Tailleferre/Honegger/Poulenc/Milhaud", p. 54
"Petterson" p. 92
N. 74, Settembre 1994
"Briars" p. 56
"Glass/Partch; Druckman/Babbitt/Gideon/Monod/Wright/Gerber;
Lewis", p. 68
"Hersch/Oldham/Deblasio/Gannon/Hampton", p. 77
"Jarrett", p. 78
"Nyman", pp. 87-88
"Terminal Velocity", p. 102
"Volans", pp. 104-105
"Zappa/Halle/Johnston/Strayhorn/Nurock/Yamada/Hendrix", p.105
N. 75, Ottobre 1994
"Peck/Sweelinck/Genzmer/Florio/Mozart/Francaix/Barroll", p. 96
"Rachmaninov/Brahms/Bach/Honegger/Berg", p. 100
N. 76, Novembre 1994
"Beaser", pp. 45-46
"The Hilliard Ensemble esegue Garbarek" p. 59
"Hindemith; Penderecki", pp. 83-84
"Stanford/Howells", pp. 110-111
"Tan Dun", p. 118
N. 77, Dicembre 1994 /
Gennaio 1995
"Copland", p. 58
"Harbison/Sessions", p. 80-81
"Louis Glass su Marco
Polo", p. 97
"Panufnik", pp.
100-101
"Paternoster", pp.
101-102
"Rota/Casella/Cortese/Pilati",
p. 105
"Takemitsu", p. 114
"Turnage", pp. 115-116
N. 78, Febbraio 1995
"Speciale World Music", pp. 32-38
"
"Baron; Pavone", p. 53
"Beatles", p. 54
"Busoni", p. 64
"Floyd", pp. 76-77
"
"Ligeti/Kurtag/Orban/Szervansky", p. 89
"Perosi", pp. 97-98
"Twining; Martland; MacMillan", p. 116
N. 79, Marzo 1995
"Husa", pp. 90-91
"Kogoj", p. 92
"Lambert", p. 92
"Revueltas; Moran", pp. 111-112
"Spirituals and traditional Gospel Music", p. 120
"Ghulam Mustafa Khan", p. 126 (rubrica world music)
"Kante' (Mamadou)", p. 126 (rubrica world music)
"Traditional" (1), p. 126 (rubrica world music)
"Traditional" (2), p. 126 (rubrica world music)
N. 80, Aprile 1995
"Cage", pp. 57-58
"Thomson/Hanson/Rorem/MacDowell/Schuman", pp. 108-109
"Traditional/Yanov-"Yanovsky/Alizadeh/Gubaidulina/Tahmizyan/Golijov/Kancheli",
p. 116
"Varese/Ives", p. 116
"
"Traditional" (1) p. 122 (rubrica world music)
"Traditional" (2), p. 122 (rubrica world music)
N. 81, Maggio 1995
"Cage", pp. 41-42
"Cage; Rautavaara",
p. 42
"Crumb", p. 46
"Gorecki; Reich", pp. 53-54
N. 82, Giugno 1995
"Adams/Glass/Reich/Heath", p. 48
"Bach (arr. Swingle Singers), pp. 52-53
"Clemencic", p. 73
"Lennon & McCartney", p. 87
"MacMillan/Bolcom/Copland/Schnittke/Dresher", p. 87
"Raiff/Vanden Bosch/Bedeur", p. 95
N. 84, Luglio/Agosto 1995
"Muller-Siemens",
p. 70
"Music and Memory", p. 70
"Orff-Keetman", pp. 70-71
"Peyretti", p. 72
"Schnittke;
Guibadulina", p. 78
"Talgorn", p. 81
"Von Bingen", p. 88
"Canti popolari
russi", p. 90 (rubrica world music)
"Canti rumeni", p.
90 (rubrica world music)
"Musica strumentale di
Java; Traditional", p. 92 (rubrica world music)
N. 86, Ottobre 1995
"Adams", p. 37
"Anderson", p. 37
"Barber/Copland", p. 40
"Gorecki", p. 75
"Suk", p. 112
"Weill/Hindemith/Toch", p. 120
"Zemlinsky", p. 120
N. 87, Novembre 1995
"Corigliano/Schwantner/Foss",
p. 46
"Koppel/Holmboe/Kulesha/Christiansen/Arnold", p. 61
"Maes", p. 62
"Il Giappone;
N. 88, Dicembre 1995/Gennaio 1996
"Barber/Butterworth/Horder/Ireland/Moeran/Orr/Berkeley", p. 32
"La Belle et la Bete
interpretato da The Philip Glass Ensemble", p. 45
"De Boeck; Lyatoshynsky; Victory", p. 46
"Petterson; Wetz", p. 80
"Schnittke", p. 87
"Spiritual", pp.
94-95
N. 89, Febbraio 1996
"Birtwistle", pp.
34-35
"Canat de Chizy", p. 39
"Krenek", p. 54
"Martinu/Nono/Schoenberg/Hartmann", p. 58
"Petterson", p. 68
N. 90, Marzo 1996
"Castelnuovo-Tedesco",
p. 42
"Danieli", p. 45
"Estrada; Harvey",
p. 50
"Schreker/Berg", p. 88
"Weir; Maxwell Davies", pp. 100-101
"Abjean", p. 102 (rubrica world music)
N. 91, Aprile 1996
"Hervig/Hibbard/Ziolek/Paredes/Eckert/La Barbara", p. 71
"Penderecki; Vasks/Balakauskas/Narbutaite", p. 81
"Schreker", p. 90
"Zimmermann; Tavener", pp. 101-102
N. 95, Settembre 1996
"Melodie ebraiche del
Novecento", p. 61
"Milhaud", p. 71
"Pettersson", p. 78
"Villa-Lobos", p. 94
LANG
"Are You experienced?", "Orpheus over and under",
"Spud", "Illumination Rounds"
Rozen, Lang, Le Nouvelle Ensemble Moderne, Vaillancourt; Niemann, Tilles;
Schulte, Oppens. CRI CD 625. 60'00". Note (Ingl.).
Distribuzione: ??????
Giudizio
tecnico:
OTTIMO:
DDD. Stereo. Salle Claude Champagne, University of Montreal, Agosto 1991.
Ciascuno strumento riceve un trattamento personalizzato ed accurato, dalla voce
dello stesso Lang all'uso del pianoforte, che non sfora mai nei ribattuti.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Questo
disco, interamente dedicato a David Lang, è assolutamente imperdibile, sia
perché raccoglie per la prima volta in
modo antologico le musiche del
provocatorio allievo di Hans Werner Henze, sia per l'oggettivo valore delle
interpretazioni. Il titolo del disco, innanzitutto, richiama il famoso brano ed
il relativo album di Jimi Hendrix: un
brano al centro del movimento di controcultura pop degli anni vicini al 1960.
Il richiamo segue parallelismi non equivoci tra il cantante-chitarrista
americano e David Lang, che titola allo stesso modo il suo primo cd. Sulla
copertina campeggia la foto di una patata corredata di un punto interrogativo.
Per farsi un'idea della stranezza quasi alla Satie nella scelta dei titoli, si
pensi ai seguenti, tradotti liberamente: "Mangiando scimmie vive" (e
il pensiero corre a Le Piege de
Medusa), "Ossa"; "Gli
extraterrestri mi rapirono, e rubarono il mio sangue"; e, dulcis in fundo, ecco anche un brano che spiega la foto di
copertina: "Patata". Ma al di là delle note di colore, sarà bene
precisare che la musica del compositore americano è serissima, originale, e
soprattutto consapevole della nuova necessità di comunicazione che ormai segna
l'universo della produzione contemporanea. Così, atmosfere delicatissime
vengono affidate al duo pianistico formato da Edmund Niemann e Nurit Tilles,
che per quasi venti minuti riescono a percorrere con ribattuti continui, ma
leggeri, la tastiera, quasi realizzando la più aurea utopia del pianoforte: un lungo canto ininterrotto,
capace di variazioni dinamiche, timbriche, coloristiche.
LAZAROF
Concerto per violoncello e
orchestra, No 1/ Cadence II/ Continuum/ Cadence V
Laurence Lesser,
Giudizio
Tecnico: BUONO. ADD. Luoghi e date di registrazione diverse per ciascun brano,
talora non indicate. Il riferimento
eterogeneo delle incisioni conferisce certa discontinuità del quadro sonoro
complessivo.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
STARER
"Ariel"
/ Concerto a tre / "Anna Margarita's Will"
Camerata Singers and Orchestra, Kaplan;
Bryn-Julson, Kraber, Kates, Ingraham, Sutherland. CRI
CD 612. 63'56". Note (Ingl.)
Distribuzione:
????????????
Giudizio
Tecnico: BUONO ADD. Anche nel presente disco, le diverse registrazioni offrono
un quadro sonoro eterogeneo, anche se non fastidioso.
Interpretazione:
OTTIMA
Lo
stile di Robert Starer, musicista di origini viennesi che il nazismo costrinse
ad emigrare prima a Gerusalemme e poi in America, è più descrittivo, ed alcuni
passi di Ariel, per soprano, baritono, coro e orchestra,
ricordano esplicitamente atmosfere debussiane. Il Concerto a Tre , per
clarinetto, tromba e trombone, è fortemente tematico, e richiama in modo
impressionante alcuni brani del compositore partenopeo Di Martino. Come si immagina, siamo ancora in
ambito tonale, ma le melodie sono belle e accattivanti. Più avanzato nella
ricerca l' Anna Margherita's Will, su
testi di Gail Godwin, che però pur nella sua raffinata atonalità ricorda troppi
brani analoghi scritti nel quarantennio nero della sperimentazione per poter
essere goduto appieno.
GRIFFES / SESSIONS / IVES
Sonata for Piano. Second
Sonata for Piano. Sonata No. 1 for Piano
Peter Lawson. Virgin Classics 077775931624. 72'16".
Note (Ingl. Ted.). Distribuzione: EMI Italiana.
Giudizio
tecnico:
OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio. London. Gennaio-Febbraio 1991. Ottimi volumi. Ricercatezza
del suono. Non vengono discriminati i particolari.
Interpretazione:
ECCEZIONALE / OTTIMA
Questo
secondo disco della Virgin dedicato al repertorio sonatistico americano include
le principali opere di Charles Tomlinson Griffes, Roger Sessions e Charles Ives. Dei tre, Griffes viene generalmente
considerato come uno degli impressionisti americani, anche se le sue sonorità
allucinatorie non sono lontane da certo Scrjabin, e le risorse pianistiche
impiegate, ad esempio nella Sonata , richiamano la brutalità russica di
Musorgskij. La molteplicità dei richiami
all'Europa è dovuta alla formazione musicale, avvenuta a Berlino dai diciannove
ai ventidue anni, e poi ad una sorta di isolamento culturale patito nei lunghi
anni trascorsi ad insegnare in una scuola di New York. Quando finalmente
raggiunse il successo fu colto da una
grave pleurite, e da un esaurimento nervoso che dovevano portarlo prima al letto
d'ospedale e poi alla morte, all'età di appena trentasei anni. Come si può immaginare, sia la tendenza alla
trasparenza onirica che la profonda sofferenza per la mancanza di prospettive
sono palesi soprattutto nella Sonata
, qui proposta da un ispirato e
convincente Peter Lawson. Scritta nel
RANDS
Le Tambourin, Canti
dell'Eclisse, Ceremonial
Muti, Schwarz, Paul.
Interpretazione:
BUONA
PERSICHETTI
Winter Cantata, Mass, Love.
Mendelssohn club of Philadelphia,
Brooks.
Interpretazione:
BUONA
MARTIRANO / MARTINO
Mass, Seven Pious Pieces.
The Ineluctable Modality,
Interpretazione:
OTTIMA
Il
cd dedicato a Persichetti contiene
Il
terzo cd in esame comprende la Messa di Salvatore Martirano, diretta da Edwin
London, ed i Seven Pious Pieces tratti da opere di Robert Herrick, e diretti da John
Oliver. La Messa , già su disco dal
BARBER
Complete
works for solo piano
Eric Parkin,
Chandos CHAN 9177. Durata....... Note (Ing. Ted. Fr.)
Distribuzione:
Carish, Milano
Giudizio
tecnico:
OTTIMO.
DDD. Stereo. Cambridge, 25-27 Ago 1992. Mike George, Ben Connellan.
Registrazione ben bilanciata, anche se leggermente ovattata.
Versioni
alternative:
-Horowitz
(Sonata). RCA GD 60377
-Van
Cliburn (Sonata). RCA GD 60415
-D.
A. Wehr (Sonata). Chandos, CHAN 8761
-A.
BROWRIDGE (Sonata, Escursioni, Notturno, Ballata). Hyperion 88016
Interpretazione:
BUONA
Se
è vero che la produzione di Samuel Barber è conosciuta in Italia soprattutto
per le oltre venti incisioni del celebre Adagio
for Strings, è pur vero che non
mancano anche riferimenti alla produzione per pianoforte, soprattutto per la
presenza della Sonata for Piano Op. 26, scritta nel 1949, di cui abbiamo le
versioni storiche di Horowitz e di Van Cliburn , quella
di Wehr D. Allen, che nell'89 la accoppiava a brani di Corigliano e
Copland come è ormai prassi per la
scuola americana, e soprattutto quella di Browridge , che già nell' '80
registrava insieme alla Sonata anche le quattro Excursions Op. 20 del 1944, il Nocturne Op. 33 del 1959 e
KOLB
Soundings,
Toccata, Appello, Looking for Claudio, Spring river flowers moon night.
Ensemble
intercontemporain, Tamayo, Kipnis, Gottlieb, Starobin, Gottlieb, Ivanoff,
Mason, Philips, Renzulli, Brooklyn College Percussion Ensemble, Kolb, CRI, CD
576. 69'25" Note (Ing.)
Distribuzione:
??????????
Giudizio
tecnico:
OTTIMO.
ADD. Stereo. Incisioni storiche con date e luoghi di registrazioni diverse per
ogni brano. Esse tuttavia appaiono ben bilanciate e senza salti d'atmosfera.
INTERPRETAZIONE:
BUONA
Figlia
d'arte, originaria del Connecticut, Barbara Kolb trasferì probabilmente
l'eclettismo di un papà musicista tuttofare in uno stile decisamente eclettico,
nel senso che i suoi ammiccamenti variano da brano a brano viaggiando per
iperboliche peregrinazioni stilistiche, dall'atonalismo al serialismo, dalla
musica tonale a quella elettronica. La
fattura di alcuni brani, riproposti dalla CRI in questo cd monografico, è
sicuramente eccellente, ed anche l'esecuzione è accurata, come ad esempio in
"Soundings", composto nel 1971 e revisionato nel '75, su commissione
dalla Fondazione Koussevitzky. Si basa sull'intuizione tecnica del ritorno in eco
di un un segnale sonoro, che conferisce
una dimensione di grande pastosità sonora complessiva. "Patterns"
cromatici si dissolvono nella tessitura del primo movimento, scomponendo un
ostinato altrimenti lineare. Nella seconda sezione, invece, la diluizione del
pattern avviene attraverso il dialogo delle sezioni solistiche. La terza è invece caratterizzata da un'ascesa verso
clusters accordali degli archi. Di un certo interesse anche "Looking for
Claudio", per chitarra solista e nastro preregistrato e l'esperimento di
implosione-esplosione di una Sonata di Domenico Scarlatti, riprodotta nel disco
assieme alle sue varianti. Meramente speculativo nel senso della più deteriore
tradizione sperimentalistica, invece, ci è parso "Appello" per pianoforte,
eseguito da Jau Gottlieb.
BABBITT
An Elizabethan sextette. Minute Waltz. Partitions. It takes twelve to
Tango. Playing for time. About time. Groupwise. Vision and Prayer.
The Group for
Contemporary Music. Feinberg, Beardslee, Sollberger.
CRI CD521. 65'19". Note (Ingl.).
Distribuzione:?????????
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD, AAD. Stereo.
Luoghi e date di registrazione diversi.
Le registrazioni in AAD
risultano un po' compresse. Ciò non nuoce all'amalgama complessivo.
Interpretazione:
OTTIMA
Allievo
di Roger Session, da lui segnalato ai corsi di perfezionamento della Princeton
University, e a sua volta caposcuola di intere generazioni di musicisti, Milton
Babbit è tra i grandi sacerdoti della musica seriale americana, depositario
della parte più radicale dell'oggettivismo del suo maestro. Più volte accusato
di progettare a tavolino la sua musica, e programmare l'entrata della più
piccola nota di ogni composizione, in realtà Babbitt non ha mai disconosciuto
la forte cerebralità della sua produzione, facendosi anzi un vanto della
componente razionale, e ascrivendola al ruolo ed alla funzione
dell'intellettuale. Anche questa convinzione, evidentemente mutuata dalla
prassi teorica dei francofortesi, naturali alleati della trinità viennese poi celebrata a Darmstadt, rende in parte già
noto sia il progetto estetico del compositore, sia buona parte dell'opera.
Babbitt è rimasto per anni a Princeton, ed è rimasto anche nella statuaria
convinzione che la musica seriale abbia bisogno di tempo per essere amata:
"chiunque possegga un buon udito può essere educato ad apprezzare la mia
musica. Quanto più si ascolta la musica seriale tanto più si è in grado di
comprendere la sua grammatica, le sue configurazioni, i suoi modi di
procedere". Non può sfuggire nemmeno al più asettico dei critici che un
simile approccio non prevede la futilità della fruizione di solo godimento, e
risulta quindi contraddittoria in partenza.
Il
disco presenta numerose opere scritte tra il 1957 ed il 1983, tutte
caratterizzate da un linguaggio molto omogeneo, seriale e strutturalista,
perché estende le acquisizioni schoenberghiane ad ogni parametro compositivo.
Il suo rigore, tuttavia, se ci si sottrae ad una visione soltanto storicistica,
è a tratti soffocante, e quindi necrotico. A questa considerazione fa eccezione
Vision and Prayer, dove la bella voce
di Bethany Beardslee riesce a proiettarci fuori dalle gabbie, su su verso la
poesia mistica di Dylan Thomas, il poeta che creava forme visive disponendo le
parole entro figure geometriche. Ma è strano che un compositore ispirato dalle
tesi di Adorno scelga poi un poeta che dichiarò: "bisogna prendere una
parola corrotta e prostituita, eliminare le rughe della sua dissipazione e
rimetterla sul mercato, fresca e vergine...".
Due
considerazioni finali meritano ancora di essere stese: la prima riguarda
l'ottima prestazione del "Group for contemporary music", formazione
importante per la divulgazione delle opere di compositori americani: la
sonorità dell'insieme è sempre omogenea, e scorre via come acqua di ruscello a
dispetto delle asperità seriali.
La
seconda è invece relativa al libretto, che riporta solo in inglese i versi di
Dylan Thomas: eventuali curiosi potranno leggerne una bellissima traduzione
curata da Roberto Mussapi e pubblicata da "marcos y marcos".
AN AMERICAN
CHRISTMAS
The
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Studio Campion Center, Weston, USA, 03/1993.
Eccessiva uniformità e chiarezza. Riverbero presente solo in alcuni brani.
Interpretazione:
MEDIOCRE
CHRISTMAS IN
EARLY
The
Giudizio
tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Old Catholic Church,
Interpretazione:
BUONA
Dopo
il compact dedicato agli spiritual ed ai canti religiosi dell'America del Nord,
la Camerata di Boston diretta da Joel Cohen prosegue nel tentativo di fornire
materiali utili a colmare il vuoto esistente nella conoscenza di quella
produzione americana a metà strada tra
colto e profano, tra stile antico e moderno. Certo è che molti di questi brani
non erano mai giunti all'onore di una incisione, e quindi conoscerli e proporli
è cosa senz'altro meritoria, anche per il fatto che si tratta di una produzione
difficilmente collocabile, da un lato
destinata a cantori amatoriali e non professionisti, con palesi
ammiccamenti al folklore inglese, dall'altro stilisticamente assai povera,
vicina alla polifonia medievale ed al canto Rinascimentale. L'operazione di
Joel Cohen sembra partire, quindi, da precise coordinate estetiche, peraltro
espresse chiaramente nelle note che
accompagnano il cd: questi canti non appartengono alla musica classica, e tuttavia hanno una loro dignità artistica,
perché nell' insieme rappresentano temi e sentimenti universali come nascita,
morte, fede e dubbio. Tuttavia, non ci pare che questa
considerazione debba poi per forza condurci a condividere il moto istintivo
espresso dalla frase: "Americani, risvegliamoci! Abbiamo una delle culture
musicali tra le più ricche, diverse e stimolanti di questo pianeta!". E l'
esclamazione non è dell'estensore di questa nota.
Dal
punto di vista vocale, l'osservazione resta identica a quella già mossa al cd precedente: ha una certa
coerenza filologica il fatto che brani scritti per amatori vengano eseguiti con
voci non impostate secondo la più rigida tradizione nostrana, ma
infastidisce percepire una componente
ibrida anche nella qualità timbrica degli insiemi.
Ancora
canti di Natale della giovane America, della Georgia, Pennsylvania e della
Carolina del Nord, nel cd proposto dal Columbus Consort. Differenti le
posizioni teoriche di base, visto che le ingenuità tecniche di scrittura
vengono fatte risalire ad una scelta cosciente dei compositori appena emigrati
dall'Inghilterra. La qualità vocale ci
sembra migliore perché più omogenea che nella Boston Camerata, e anche la parte strumentale non pare
semplicamente accessoria.
BERNSTEIN,
HUNDLEY, BOWLES, GERSHWIN...
American Song
Recital
Lauren Wagner
soprano, Fred Weldy piano. Channel Classics
CCS 5293. 48':00. Note (Ing.,
Fr., Ted.). Distribuzione: Harmony Music, Scandicci Firenze.
Giudizio
tecnico:
OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio.
Versioni
alternative:
Gershwin,
Secondo Preludio, Limelight DECCA 820
842-2
Interpretazione:
BUONA (L. Wagner); MEDIOCRE (F. Weldy).
Per
quanto riguarda i brani eseguiti da Fred
Weldy al solo piano, a parte i meno noti Anniversaires di Bernstein, il confronto con altre
grandi interpretazioni resta possibile per i Tre Preludi di Gershwin.
Almeno del secondo esiste una versione "autentica", con l'autore al
pianoforte: il confronto tra le velocità è schiacciante: due minuti contro i 3'38" di Weldy. Eppure,
Gershwin riesce a sincopare il tema ed a suggerire un sound nero
strepitoso. Ma questo è come la scoperta dell'acqua calda. Ciò che resta da
annotare è che in tutti i punti in cui ci si aspetterebbe nitore e velocità si
resta delusi, e che tocco e sfumature ci sembrano insufficienti o leziose.
CAGE / HARRISON /
YOUNG / PARTCH
Dream / In a
Landscape / Suite No. 2 / Six Sonatas / Sarabande / Two Studies /
John Schneider,
Amy Shulman, BRIDGE BCD 9041. 61'15".
Note (Ing. )
Distribuzione:
??????????
Giudizio
tecnico:
OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio, Los Angeles, Gen/Feb. 1993. J. Schneider (Prod.), S.
Barker (I. del s.). I suoni sono sempre ben controllati. Anche l'esuberanza dei
brani di Partch per voce e chitarra è trasmessa in modo ottimale. Le piccole
variazioni microtonali si percepiscono chiaramente.
Interpretazione:
OTTIMA
Di
grande pregio questo disco dedicato alla musica microtonale per arpa e
chitarra, grazie anche allo spessore eccezionale dei due interpreti, John
Schneider alle chitarre e Amy Shulman all'arpa celtica e da concerto. L'interpretazione, difatti, appare sempre
funzionale alla trasmissiome di un messaggio estetico, più che alla mera
riproduzione dei segni e dei segnali meramente speculativi e sperimentali. Del
resto la musica scelta si presta all'introspezione, o al viaggio fantasioso tra
culture anche lontanissime. Difatti, ciò accade specialmente con
CAGE
Quartets
I-VIII / Music for Seventeen
San
Francisco Contemporary Music Player, S.L. Mosko, J. La Barbara, Newport Classic
NPD 85547. 67'33". Note (Ing.)
Distribuzione:
?????
Giudizio
tecnico:
OTTIMO.
DDD. Stereo. Skywalker Sound, Marin County, CA, Data non indicata. R. Shumaker.
Registrazione a tratti ovattata.
Interpretazione:
BUONA
Un
periodo di febbrile attività precede la composizione del "Quartets
I-VIII", quello che inizia negli anni '70 e va fino alle commissioni per
il Bicentenario dell'Indipendenza Americana. Cage viene premiato per il
"Song Books" alle Giornate di Musica Contemporanea di Parigi; nel '71
compone i "Sixty Mesotics Re Merce Cunningham" per voce e microfono,
incisi da Demetrio Stratos, ed anche di recente riproposti su cd da Eberhard
Blum. Nel '73 è la volta di "M", e nel '77 "Empty Wards". Il "Quartets" è invece del 1976,
otto quadri eseguibili, come spesso accade in Cage, a scelta per piccoli
insiemi (24 oppure 41 elementi) o per grande orchestra (93 elementi), e che
tuttavia mantiene il nome di "quartetto" perché solo quattro
musicisti per volta suonano simultaneamente. Le diverse sezioni derivano da
composizioni di Andrew Law, Jacob French, e del conciatore di pelli, musicista
dilettante, William Billings. Gli otto inni sono: "Lift Up Your Heads"
(French), "The Lord Descended" , "Old North" (Billings),
"New York" (Law), "Heath", "Judea (Billings),
"Greenwich" (Law), "The Lord Is Ris'n" (Billings).
Cage
svolge un lavoro di assemblaggio, modificando le linee tematiche attraverso il
sistema delle permutazioni, perseguendo un'effetto di echeggiamento (Konsequenz, per dirla con Adorno), che
richiama tempi ed atmosfere lontani nel tempo, attraverso una lente deformante
ma attualizzante. I 24 esecutori della
"San Francisco Contemporary Music Players" riescono, dopo un avvio stentato, a
raggiungere un'atmosfera davvero 'cageana' nel bel mezzo del brano, quando
effettivamente i suoni sembrano procedere da soli, senza mano o intelligenza
che li guidi, e tuttavia seguendo un percorso che miracolosamente riesce ancora
a mantenere un senso (una direzione) grazie alla presenza di suoni che "ac-cadono".
Invece il gruppo delude in "Music for...", laddove i diciassette
strumentisti eseguono in modo troppo preciso, e starei per dire con eccesso di
volizione, per riuscire davvero a ricreare le sfumature impercettibili alluse
dal compositore.
CAGE/CARTER/BABBITT/SCHULLER
Atlas eclipticalis. Variations for Orchestra. Correspondences. Spectra.
Levine.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Chicago, orchestra Hall, 7/1990.
Buona prospettiva
stereofonica. Chiaro l'ingresso degli assolo, compatto l'insieme.
Interpretazione:
BUONA
Come
viene rilevato da David Hamilton nella concisa introduzione presente nel
libretto d'accompagnamento, non è facile trovare delle esecuzioni di grande
orchestre dei brani 'progressisti' scritti dai più fecondi e realmente
innovativi compositori americani del dopoguerra. La ragione di questo
accadimento potrebbe risiedere in una rinnovata propulsione del nuovo che
avanza, o nella sconfinata depressione montata dalla opprimente dichiarazione
di resa dell'arte e di morte della composizione. Un momento di grande fervore
di questo disco è così senz'altro rappresentato dalla presenza di Spectra, un lungo brano (20'22") di
Gunther Schuller, commissionato al newyorkese dalla New York Philharmonic
Orchestra grazie ai buoni auspici di Dimitri Mitropoulos. Il grande direttore
aveva già diretto
Le
lunghe Variazioni per orchestra di
Carter, commissionate dalla piccola orchestra di Louisville, sono
rappresentative dello stile poliritmico di Carter, e procedono per repentini
guizzi e contrasti di velocità e
atmosfere. Levine dà qui la misura dell' estremo virtuosismo esecutivo
raggiunto dalla Chicago Symphony, pronta a recepire e rendere con immediatezza
tutti i cambi tempo.
La
scrittura di Babbitt in Correspondences riproduce più o meno fedelmente i dettami
estetici e stilistici della scrittura seriale. Appartiene alla serie di brani
pensati (o aggiustati) per orchestra e sintetizzazioni, onde favorire una
determinazione massima di ciascun particolare ritmico e timbrico. Ma mentre la
storia delle sintetizzazioni ha fatto passi da gigante, il sintetizzatore RCA
utilizzato negli anni Settanta, e quindi
il nastro che implementa l'orchestra, è rimasto lo stesso: ciò conferisce un
che di datato a Correspondences, che
non pare oltretutto caratterizzato da uno stile particolarmente originale.
La
storia di Atlas eclipticalis è quella condivisa da molti lavori di Cage.
Già alla prima di Montreal del 1961 fioccarono incomprensione, critiche,
soprattutto da parte degli orchestrali. E' anche nota la posizione al riguardo
di Cage, tutta tesa nell'auspicio di una nuova generazione di musicisti più
disponibile ad una libertà "controllata", alla parziale nuova
creazione di ogni opera per ciascuna sua esecuzione. Anche qui
COPLAND/ JENKINS/ BERNSTEIN/GERSHWIN
Clarinet Concerto. Goodbye. Sonata for Clarinet. West Side-Variants.
Promenade. Bess, You is my Woman now. Short Story. Three Preludes.
Stoltzman, Tilson
Thomas, Stern,
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio, 11/92; 5/1993. Una certa morbidezza complessiva delle
sonorità discrimina di poco le due
sedute di registrazione: Copland e Jenkins sono resi con un suono più 'caldo' e
vicino.
Interpretazione:
OTTIMA-BUONA
Molto
godibile questo disco di Richard Stoltzman, sicuramente consigliabile anche a
quanti vogliano farsi un'idea della produzione americana, originale o
trascritta, per clarinetto. Alle suggestioni impressionistiche, ma anche
arcaiche a tratti, del Concerto di
Copland, commissionato all'autore da Benny Goodman nel 1947, e diretto con
ampiezza di respiro e ottima gestione del fraseggio da Michael Tilson Thomas,
segue la trascrizione di Goodbye di Gordon Jenkins, anch'essa pensata per
Goodman, che la eseguiva al termine dei suoi concerti radiofonici. Si tratta di
un brano famoso, fortemente legato all'imprimatur del grande clarinettista, ma
qui eseguito in una trascrizione che
rende benissimo la visceralità e
la dolcezza del jazz più melodico. Le sterzate improvvisative (quasi improvvisative) e le sospensioni
di Stoltzman vengono assecondate dolcemente da Tilson. Più presente ritmicamente
Eric Stern nellla virile Sonata per
clarinetto di Bernstein, orchestrata da Sid Ramin, e nelle varianti dalla
pluriomaggiata West Side Story, laddove
l'arrangiatore-reinventore Frank Bennett non manca di richiamare temi della Sonata.
Il disco è chiuso da una silloge felice di brani noti e meno noti di
Gershwin, tra cui una ulteriore trascrizione dei Tre Preludi. Su queste pagine se ne era già registrata una del
violoncellista Yo-Yo Ma, e quella sfavillante del New Art Ensemble.
COPLAND/ TAILLEFERRE
HONEGGER POULENC/MILHAUD
Sonata/ Arabesque. Sonata/
Sonatine/ Sonata/ Sonatine. Duo
Concertant.
Soames, Drake.
Classics CC0001. 68'09".
Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione:???
Giudizio tecnico:
MEDIOCRE. DDD. Stereo,
Studio, CBS No1, London 1989. Il suono del pianoforte non è sufficientemente
aperto. Non sembrano resi in modo ottimale i contrasti.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Si
è già recensita su queste pagine una vibrante esecuzione del Concerto per clarinetto di Coopland ad
opera di Richard Stoltzman con
La
qualità timbrica dell'insieme, infine: se tanti maestri hanno dedicato qualche
brano al duo clarinetto-pianoforte vorrà pur dire che c'è da ricercare
qualcosa, che so, un suono particolare, un effetto, un'atmosfera. Ma nulla di
tutto ciò si riesce a percepire, nonostante diversi ascolti. Né l'ironia
evidente di certe scritture, né lo sfavillio di altre, né la complessità
ritmica e dissonante delle rimanenti.
La
prima parte del compact riproduce la prima mondiale di una trascrizione
d'autore, ma la parte restante è
dedicata ai francesi. Ma dov'è la Francia, e un po' di quel sano spirito alla
Satie che spruzzato qui e lì su questi autori non avrebbe fatto che bene?
IVES/BARBER
String
Quartet no. 1/ Scherzo/ String Quartet no. 2/ String Quartet op. 11
Emerson String
Quartet, DG 435 864-2. 64'40". Note (Ing. Ted. Fr. It.). Distribuzione Polygram Italia, Milano.
Giudizio
Tecnico: OTTIMO. DDD. American Academy of Arts and Letters, New York. 11/1990,
6/1991. Registrazione ben regolata, con attenzione alla qualità timbrica di
ciascuno strumento.
Interpretazione:
BUONA
Quello
che più colpisce in questa ultima fatica dell'Emerson String Quartet è la
ricerca costante di un bel suono, senza sforature né forzature del discorso
musicale. Un modo di interpretare Barber ed Ives che li iscrive, a ragione o a
torto, nell'alveo della musica di repertorio. Così, sorge spontaneo il paragone
con le esecuzioni di altri due gruppi, il Kronos ed il Balanescu, che invece
riescono a farci sentire quanto ancora c'è di contemporaneo, e di vivente,
nella musica dei due americani. Sia di "Holding You Own" di Ives, che
del celebre "Molto Adagio" di Barber, il Kronos ha fornito
interpretazioni imprescindibili, dalle sonorità completamente diverse, forse
per la maggiore radicalità delle scelte estetiche. Nel primo brano, ad esempio,
il limite evidente nell'esecuzione dell'Emerson è nella impossibilità di
rendere evidente l'aggressività mantenendo
costante il bel suono. Né è sufficiente il tentativo di renderlo un po'
più aspro e stridulo, perché bisognerebbe pensare a vere e proprie manomissioni
tecniche, dal vivo con l'uso di microfoni e l'aiuto di un ingegnere del suono,
ed in studio accettando di alterare deliberatamente, magari con un pizzico di
elettricità in più, le tracce dei diversi legni. Anche nel "Molto
Adagio" la comparazione è a tutto svantaggio del quartetto Emerson: venti
secondi di durata in meno è un particolare decisamente trascurabile, se la
connotazione di senso, la tensione, fosse mantenuta adeguatamente. Dal canto
suo, se l'esecuzione del Kronos assomiglia, grazie all'uso di espedienti
tecnici, più ad una trascrizione della versione per orchestra che alla stesura originale, ciò è dovuto non
solo al suono pastoso e molto più 'sporco' che è stato deliberatamente scelto,
quanto al profondo significato emotivo, veramente di più largo respiro, che i
quattro conferiscono alla loro lettura. Certo è che l' esecuzione
integrale pone dei problemi di
continuità non risolvibili che attraverso la pulizia ed il nitore dell'
emissione. In conclusione, usando la metafora dello specchio, tra l'immagine ed il suo doppio non
discrimineremo né l'una né l'altra, conservando sia la freschezza delle
invenzioni di David Harrington che la serietà filologica di Eugene Drucker.
GLASS
The Essential P.
Glass: Lightning, Changing Opinion, Facades, A Gentelman's Honor, The kuru
field of justice, Protest, Evening Song, Hymn to the sun, Window of
Appearances, Bed, Dance, Metamorphosis Four, Closing.
Interpreti
vari, Sony SK 64133. 74'52". Senza
note.
Distribuzione:
Sony, Milano.
Giudizio
tecnico:
ECCEZIONALE.
DDD. Stereo. Date e luoghi non indicati. Pare ottima la qualità timbrica degli
strumenti elettronici, e curato il trattamento della voce.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Questo
suggestivo disco raccoglie, come già suggerisce il titolo, la produzione
"essenziale" di Glass, selezionando le composizioni presentate,
essenzialmente, da sei dischi precedenti, e precisamente, "The
Photographer", "Solo Piano", "Glassworks",
"Dancepieces", "Songs from Liquid Days", "Song From
The Trilogy". Si aggiunga che già
gli ultimi due selezionano lavori precedenti, e l'ultimo, specialmente,
focalizza l'attenzione su quella che il minimalista definisce la sua
"Trilogia" operistica, naturalmente intendendo per opera qualcosa di
completamente diverso dal dettato tradizionale.
Stranamente, le opere scelte dalla trilogia non sono elencate in modo
cronologico, e forse è un bene, data la suggestione che questa sequenza riesce
ad ottenere: c'è un estratto da "The kuru field of Justice",
"Protest" ed "Evening Song", tratte da
"Satyagraha", la lunga meditazione in sanscrito ispirata alla figura
di Gandhi e sollecitata da Hans de Roo, direttore della Netherlands Opera, che
provocatoriamente chiedeva a Glass, nel 1976: "Che ne diresti, Philip, di
scrivere ora una vera opera?". Seguono "Hymn to the sun" e
"Window of Appearances" tratte da "Akhnaten", e soltanto un
frammento di "Bed", precisamente una piccola sequenza dell'Aria.
L'originale è lungo circa 14 minuti, contro i 3'40" qui riportati, tuttavia molto più suggestivi,
vuoi per la qualità timbrica della voce impiegata, vuoi per l'arrangiamento a
tratti differente. Certo, la natura dell'operazione è sicuramente valida, anche
se una antologia veramente essenziale, a parer nostro, avrebbe dovuto
comprendere almeno qualcosa da "Koyaanisqatsi", la colonna sonora
dell'omonimo film di Godfrey Reggio, ed il bellissimo quartetto per fortuna
disponibile nell'esecuzione del benemerito Kronos. Va spesa ancora una parola
sugli esecutori: a parte il "Philip Glass Ensemble", costruito ad
immagine e somiglianza sulle esegenze del compositore, va detto bene del tenore
Douglas Perry, e del controtenore Paul Esswood. Di Philip Glass che esegue sé
stesso al piano, poi, si è già detto in passato: il relativo cd intero ci
sembra una delle cose meno belle, e forse proprio a causa dell'esecuzione
'autentica'.
Un'ultima
osservazione riguarda la mancanza assoluta di note, che invece ci sembrano indispensabili soprattutto quando
si propone una antologia.
IBERT
Suite Elisabéthaine. Concerto for Flute and Orchestra. Suite Symphonique.
Capriccio.
Auldon Clark,
Zukerman, The
Giudizio Tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Privo
di indicazioni. Un suono vivido degli archi, senza appiattimento e
schiacciamento degli alti. Strumenti solisti sempre nitidi tranne che nel caso
del flauto solista.
Interpretazione:
BUONA
E'
questo un disco che sarebbe piaciuto a Gould, con
Chiude
il gradevole disco il Capriccio for flute, oboe, clarinet, Bassoon, trumpet,
String Quartet and Harp, scritto nel
1938 con uno stile aggressivo e sfavillante, oscillante tra politonalità e
cromatismo tonale, talvolta utilizzando sincopi jazz di sicuro effetto, di cui
però l'ensemble intuisce soltanto la ritmicità, e non il sound.
IVES
MarchIII.
Reynolds, Detroit
Chamber Winds and friends. KOCH
3-7182-2H1. 57'23". Note (Ingl.). Distribuzione: Florence International.
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo.
Interpretazione:
BUONA-MEDIOCRE
Un
disco della Charles Oves Collection, che ha quindi anche delle velleità
storicistiche, di ricostruzione e presentazione delle opere minime e minori, e
di quelle scritte a tredici o quattordici anni. L'ascolto, così, risulta un po'
frammentario, forse per il fatto che dei
venticinque brani ventitre almeno rasentano i tre minuti, e due soltanto
superano di poco i cinque. Tuttavia, nella composita silloge non mancano opere
evocative, introspettive o serali, come Remembrance, e soprattuto come gli aforistici Evening
e Mists , tratti dalle 114 Songs, una raccolta di canzoni su
testi di Ives, della moglie o di grandi poeti come Keats, che richiamano invero
alcune sognanti liriche dei francesi.
Peccato che l'atmosfera venga subito interrotta dal chiassoso ed ironico
(e davvero ivesiano) The circus Band, che fa il verso alla musica da banda, che pur nei primi brani del disco (ad esempio
nella March III) campeggia a tutto
piano. Segue il Romanzo di central park, una musica languida e descrittiva, alla Nino Rota. Peccato che i contrasti siano
poi accentuati da una scelta di volumi non sempre felice, e tale da creare
ulteriori difficoltà nella fruizione lineare della pur onesta e gradita
proposta della Detroit Chamber Winds, diretta da un Reynolds che appiattisce
forse eccessivamente i tempi. Brani di
rilievo presenti nel disco sono ancora The
Unanswered Question del 1908, con la tromba di Kevin Good che intona
"The perennial Question of Existence" e la Fugue in four Keys .
Il
disco è chiuso dalla prima delle Tre
scene di esterni, Hallowe'en,
vigilia di Ognissanti popolata da immagini spettrali rese da
instabili acuti d'archi.
ZORN/COLEMAN/KLUCEVSEK/KING/VIERK/MARCLAY/CHILDS/GROESBECK/KERNIS
Road Runner. Below
Klucevsek.
CRI CD626. 70'52". Note (Ingl.).
Distribuzione:????????
Giudizio Tecnico: OTTIMO.
DDD. Studio. 4/1991. Registrazione soddisfacente anche nei brani che prevedono
l'uso di suoni ed effetti particolari, come distorsioni, amplificazioni, uso di
voce.
Interpretazione:
OTTIMA
Guy
Klucevsek è un fisarmonicista polivalente e versatile di origine slovena,
cresciuto nella comunità della Pennsylvania occidentale e dedito in gioventù alla frequentazione non
occasionale di polke, tango, sambe, ed altra musica comunemente dedicata al suo
strumento. Tuttavia il nostro non s'è certo accontentato di fruire del
repertorio 'popolare' disponibile, rivoluzionando anzi la concezione estetica della scrittura per
fisarmonica, attraverso la diretta composizione, la commissione di brani a
giovani compositori americani, e collaborazioni con artisti del calibro di
Bobby Previte ("Claude's Late Morning" , Gramavision 1988).
"Manhattan Cascade", il disco prodotto dal medesimo Klucevsek per la
CRI segue a "Blue Window" ed a "Scenes From A Mirage" ed è
idealmente bibartito. La seconda parte raccoglie quattro polke di Christian
Marclay, Mary Ellen Childs, Rolf Groesbeck, Aaron Jai Kernis, tratte da una
raccolta dal titolo "Polka From the Fringe" propiziata proprio dalla
generosità del nostro. La prima parte, invece, prende il via con Road Runner di John Zorn, un brano del
1986 di breve durata ma dalla fantastica varietà, come al solito
"cartonista", di idee tematiche che si susseguono con una velocità da
cardiopalma. Segue Below 14th Street di
Anthony Coleman, l'organista e pianista collaboratore di Glenn Branca e dello
stesso Zorn ("Cobra", Hat Art 1987). Si ha poi una testimonianza
dello straordinario spessore sensitivo del fisarmonicista, che presenta Samba D Hiccup e An Air of Gathering Pipers, praticamente la rivelazione, o il
disvelamento, delle due anime, profana e colta, che tranquillamente convivono
sulla stessa tastiera. All Together Now
, brano zorniano basato su mescolanze e contaminazioni Sudafricane, blues,
zydeco, gospel, di John King e Manhattan
Cascade di Lois V Vierk completano una panoramica assolutamente imperdibile
per originalità e bellezza sui più giovani ed attivi americani della vera
avanguardia.
PETTERSSON
Symphony No 6.
Deutsches
Symphonie Orchester
Giudizio Tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo, Grober
Sendesaal des SFB. 5/93. Suono caldo, rotondo e tuttavia lucido e netto sia nei
piano che nei fortissimo.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Non
è facile confrontarsi con l'opera e la vita di Allan Pettersson, perché l'una
sovrasta l'altra, parla per l'altra, ne dà giustificazione e potenza
espressiva. Nato nell'Uppland, e cresciuto nei sobborghi di Stoccolma, con un
padre alcolista ed una madre bigotta, una visibilità annebbiata, scurita dallo sporco,
dal lavoro in recessi industriali, nella consapevolezza d'essere uno dei
"negri-bianchi" che combattono per la vita e la sopravvivenza allo
stesso modo in Sud Africa come in Svezia, e che infine conducono il loro
percorso superando un interiore senso di estraneità, la stessa sensazione di
essere degli "intrusi".
"Questo mondo non è quello che tento di far intravedere con la mia
musica. E' per questo che mi sono ritirato definitivamente dalla scena
musicale. Dovevo difendere i miei valori: essi sono indispensabili alla mia
opera". Una dura lotta per studiare, per comprare il primo strumento con
soldi racimolati in mille attività, il lavoro in orchestra, infine una malattia
terribile, lunga nel travaglio, una poliartrite cronica che lo getterà per anni
nel "tunnel della morte", e dalla quale si affaccia una musica
struggente, cromatica e in continua tensione, che non sfugge il ricorso ad un
senso, un progetto, seguendo una direzione ben definita:
"l'identificazione col piccolo, con l'insignificante, l'anonimo, senza
trascurare il nuovo, il puro, le cose che infine preservano la vita
dell'uomo", ma anche il desiderio di essere un "portavoce dei deboli,
degli esclusi, di chi ha avuto enormi problemi", senza fiacchezza
dell'anima.
L'unità
formale di questa musica, come si può a questo punto intuire, è
Una
musica ancora emozionante quindici anni dopo la morte di Pettersson, un disco
assolutamente imperdibile per chi ancora voglia rintracciare barlumi di
umanità, di valore, di significato al di là di ogni specialismo.
REVUELTAS,
ORBON, GINASTERA
Redes. Sensemayà.
Concerto Grosso for String Quartet and Orchestra. Pampeana No. 3.
E.
Mata; Cuarteto Latinoamericano, Simon Bolivar Symphony Orchestra of Venezuela.
Dorian, DOR-90178. 69'39". Note
(Ing. Spag.). Distribuzione: Ducale, Rebbia Varese.
Giudizio
tecnico:
OTTIMO: DDD, Università Centrale del Venezuela,
Caracas, Novembre 1992. D.H. Walters (Prod.), I. del s. vari. Il risalto dato ai solisti del quartetto è
sempre ben bilanciato con il tutti dell'orchestra. Anche i singoli strumenti
vengono trattati in modo da essere in rilievo quando solisti, senza tuttavia
risaltare in maniera sproporzionata.
Interpretazione:
BUONA - OTTIMA
Questo
disco raccoglie alcune delle più belle composizioni di tre autori del ceppo
spagnolo generalmente non eseguitissimi. Silvestre Revueltas, difatti, nato in
Messico a Santiago Papasquiaro, si trasferì in Spagna a studiare su consiglio
di Carlos Chàvez, dove collaborò col governo lealista. Anche Juliàn Orbon, cubano di origine
spagnola, fece i suoi studi in Spagna, al Conservatorio di Oviedo, entrando poi
nel gruppo di "Renovaciòn Musical" dell' Avana. Tornato in America,
studiò con Copland, ed infine fu a sua volta in contatto con Carlos
Chàvez. Il terzo, Alberto Ginastera,
leader fra i compositori argentini, è noto soprattutto per i suoi lavori
operistici, ma anche per il modo particolare di trattare le grandi forme. Anche
sommandole, le registrazioni disponibili in Italia e relative ai tre autori non
ammontano che ad una decina, tutte di brani diversi da quelli presentati in
questo ben articolato CD della Dorian. L' "Orchestra Simon Bolivar" dà bella prova di sé
soprattutto nella terza Pampeana di Ginastera, dove sia per i cambi di
velocità che per le realizzazioni
dinamiche di vasto spessore tiene banco con grande autorità tra le orchestre
sinfoniche. Anche nel Concerto grosso for
string quartett and orchestra di
Orbòn, riesce a non risultare soltanto di accompagnamento ai bravi interpreti
del "Quartetto Latinoamericano", lasciandosi trasportare con
leggerezza in un dialogo con i solisti. Merito è senz'altro del
direttore Eduardo Mata, che delude soltanto in Redes di Revueltas, forse
perché meglio disposto alle grandi forme che ai quadretti del compositore
messicano.
R. HALL LEWIS
Nuances II "Whale Lament", Concerto for chamber orchestra,
Symphony No. 2
R. Hall Lewis,
Royal Philharmonic Orchestra,
Distribuzione:
???????
Giudizio tecnico:
OTTIMO. ADD. Stereo.
Incisioni storiche con date e luoghi di registrazioni diverse per ogni brano.
Interpretazione:
BUONA
Non
sono di certo numerose le registrazioni e le incisioni dedicate a Robert Hall
Lewis, la cui produzione è prevalentemente dedicata a musica da camera vocale e
strumentale, e ad alcuni lavori orchestrali. Nato nell'Oregon nel 1926, si è
dedicato inizialmente allo studio delle possibilità seriali, per poi invece spostare
la sua attenzione sull'alternanza tra continuo e discreto, con studi su ritmo,
timbro, strutture contrapposte. Molto
eseguito dalle orchestre di tutto il mondo, Lewis non è conosciutissimo al
grande pubblico, forse per la non facile vendibilità dei suoi prodotti, come
del resto accade per molte delle opere che hanno fatto la storia dello
sperimentalismo degli ultimi quarant'anni. Anche Lewis sconta forse la non facile
riconoscibilità, per l'adesione a linguaggi che per loro natura non hanno
desiderato mettere in luce altro che non fosse una asfittica consistenza numerica. Serialità spesso è stata intesa
come seriosità, e lo strutturalismo non affascina più in ragione della sola
complessità. Tuttavia, il disco in esame rappresenta pur sempre una discreta
collezione di brani altrimenti non facilmente reperibili, e l'impasto inedito
di certi timbri può anche affascinare Può così essere senz'altro consigliato
agli amanti del genere, e a chi si dedica alla storia della grande promessa
mancata della serialità integrale.
ROUSSAKIS
Himn to Apollo. Ephemeris.
The
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD, ADD. Stereo. Studio, 19/8/90. Church of the Holy Trinity
NIC, 10/6/81 (per Ephemeris). Le diverse tipologie di registrazione
sono rese in modo omogeneo. Buona l'ambientazione anche se forse un eccesso di
spazialità è presente nel secondo brano.
Interpretazione: BUONA - OTTIMA
Nicolas
Roussakis, nato ad Atene nel 1934 e presto trasferitosi negli Stati Uniti, è
stato allievo di Pierre Boulez a Darmstadt, scegliendosi come punto di
riferimento americano Milton Babbit, padre di una cristallina visione seriale. Ciò non gli ha però impedito notevoli
aperture modali e tonali, e fughe che lo hanno portato lontano da
strutturalismo e determinismo. La CRI
presenta il suo Hymn to Apollo (Prestissimo e Allegro moderato, per un totale
di sedici minuti circa) assieme alle Ephemeris (quattro tempi per un totale di trentotto minuti), realizzando in modo
omogeneo un possibile itinerario descrittivistico dell'autore.
Il
progetto estetico di Roussakis risiede nella volontà di trovare una zona
intermedia tra tonalità e serialità, anche passando attraverso brusche fusioni
di atmosfere, forse tali da far storcere il naso ai più intransigenti adepti di
questa o quella scuola di pensiero. Il nostro, tuttavia, lo fa con tale
maestria tecnica (una bella mano) e con tanta sensibilità musicale (un certo
gusto), da indurre l'ascoltatore alla convinzione che uno stile eterogeneo, che
ancor dica qualcosa in pieno sperimentalismo (le opere presentate vanno dal '79
all' '89), abbia già piena legittimità estetica.
Il
primo movimento dell' inno in lode ad Apollo
è sviluppato in sei sezioni, ciascuna basata su un tono differente. Le
serie, evidentemente 'armoniche', vengono trattate e pensate secondo codici
tipici di un sistema strutturato per iterazioni e varianti minime, ammiccando
qui e là ad esplicite citazioni
stilistiche meramente seriali.
Il
secondo movimento, più lento del primo,
nelle intenzioni dell'autore risponde all'alternanza prevista negli inni
dell'antica Grecia "elogio della divinità e supplica per il suo
ritorno".
Un
tocco lidio è conferito al tema d'ingresso dell' Allegro moderato. Dopo
un'esposizione con quattro entrate, il soggetto viene trattato come una serie,
e quindi presentato in modo contrario, retrogrado e inverso retrogrado, le
quattro trasformazioni della "musica su dodici toni". Così,
attraverso una serie di passaggi graduali il materiale originariamente armonico
viene incrementato e reso più complesso fino all'esplosione della terza
maggiore e quinta giusta verso tutti i dodici suoni. "Tonalità e dodecafonia,
due sistemi apparentemente incociliabili", confessa Roussakis, si trovano
l'uno a un dipresso dell'altro, grazie all'intuizione di applicare l'idea di
sviluppo seriale ad un materiale diatonico.
Le
Ephemeris, scritte nel 1979,
richiamano esplicitamente, nella scansione di quattro movimenti, il sistema
delle effemeridi, le tavole astronomiche annuali che indicano la posizione di
stelle e pianeti. E' un poema che descrive le
fasi del giorno, dall'aurora alla notte fonda. Morning è prevalentemente
seriale (in senso proprio), e nelle intenzioni di Roussakis, la ripetizione
fortemente scandita della serie simulerebbe la vigorosa attività delle prime
ore del giorno. Più interessante Afternoon, che inizia con l'emergenza di un singolo
suono scambiato tra vari strumenti, quasi citando atmosfere alla Ligeti (ma lo
stesso Ligeti con grande onestà disse un giorno a Giacinto Scelsi: "la sua
musica mi ha influenzato molto").
Una
atmosfera più vicina all'affermazione della tonalità, seppur con modulazioni
sorprendenti ed inusuali, effetto di glissati degli archi conclusi su armonie
lontanissime, è presente in Evening. Segue
una serie armonica caratterizzata da
spostamenti ritmici che strizzano l'occhio (ma si tratta di pochi minuti
soltanto) al minimalismo additivo, e che si spegne nella sua stessa ripetizione
alfine indebolita.
Intimista,
naturalmente, Night. Ed allusiva di
atmosfere notturne e sonnolente, poi interrotte dalla citazione de Le Matin di Haydn, quasi come se si
volesse alludere alla circolarità del tempo ritrovato, già nascosto in embrione
nella più fonda notte.
Per
quanto riguarda gli esecutori, il "Pittsburgh New Music Ensemble"
diretto da David Stock è parso meno convincente ed intuitivo del "Group
for Contemporary Music String Quartet". E' pur vero che l' Hymn to Apollo presenta anfratti di
difficile decodificazione, e rapidissime sequenze costringono gli strumenti a
riprendere le serie gli uni dagli altri: comunque la sensazione di iniziale
tentennamento si attenua nella seconda parte.
SCHULLER
Impromptus and Cadenzas. Octet.
The chamber music
society of
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo.
Studio. New York 19 e 20/3/1990. Ciascuno strumento presenta una chiarezza e
caratterizzazione timbrica di notevole spessore. Ciò non nuoce all'amalgama
complessivo.
Interpretazione:
BUONA - OTTIMA
La
figura di Gunther Schuller, anche se ben rappresentata discograficamente
soprattutto per le opere prodotte fra gli anni 60 e 70, viene di solito tenuta a margine delle tre
principali correnti americane, dalla prima
che fa capo a Cage con Feldman, Wolff e Brown, dalla seconda che si
riferisce ai dettami del più rigido serialismo europeo, da Sessions a Babbitt
ed al primo Roussakis, ed infine dalla terza, definita in genere
'conservatrice', che lega secondo linee comuni Ives e Carter.
La
dicitura 'a margine' la si intende nel senso delle tradizionali chiavi di
lettura, ma se ci si sposta appena un po' più in là si scoprirà che altri
musicisti "marginali", come Lou Harrison e George Crumb, avevano
preconizzato imponenti fenomeni di massa come la world music (e l'espressione
"massa" non è denigratoria come al solito) o il citazionismo portato
ad esasperazione. Del primo si è già recensito un cd collettaneo proprio su
queste pagine (BRIDGE BCD 9041), e del secondo si potranno reperire facilmente
almeno Black Angels, Thirteen
Images from the Dark Land (Nonesuch
7559-79242-2).
Questo
bel disco antologico, invece, sposta l'attenzione proprio su Gunther Schuller,
altro americano fuori dal genere, intendendo proprio il fatto che si tratta di
un compositore degenerato, ma non perché uso a turpi costumi o perché
marginalizzato da volontaria emigrazione interna: Schuller è tra i promotori
della cosiddetta "terza corrente",
Schuller
si muoveva in un ambiente che si era formato sulle opere critiche di Adorno,
che come è noto pensava malissimo del jazz, perché riteneva che tutta la musica
gradevole fosse per questo stesso fatto "ingannevole e bugiarda",
pensando ancor peggio dei cultori di quel genere, simili a quei giovani che
"canticchiano imperterriti le sincopi mentre fanno rifornimento di
benzina". Ma per fortuna Adorno aveva torto, e precursori come Schuller
avevano ragione: oggi molti grandi interpreti sia del versante classico che
jazz fondono le due espressioni, traendone una variegata possibilità di
espressione comune. Ed i compositori appaiono felicemente consapevoli
dell'apertura offerta dalla possibilità di 'contaminare' le loro opere.
Ma
torniamo a Sculler: recentemente protagonista a Pescara dell'unico concerto
monografico della sua vita, ha a lungo gongolato per il fatto che esista la
nemesi storica. Ascoltando il disco della Arabesque che qui si presenta se ne
potrà avere conferma: si tratta di Improptus
and cadenzas e di Octet , musica da camera scritta apposta
per
THE AMERICAN VOCALIST
Spirituals and folk Himns, 1850-1870
The
Distribuzione:
Warner Classics
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Emmanuel Church,
Interpretazione:
MEDIOCRE
La
Camerata di Boston diretta da Joel Cohen propone in questo disco spirituals ed
inni folk americani dal 1850 al 1870, tratti essenzialmente da due fonti. La
prima è una raccolta intitolata The American
Vocalist del 1849, riscoperta
soltanto nel 1986, dalla quale è tratta la maggior parte delle melodie
riportate nel CD in esame. La seconda è
costituita da un libro contenente brani per una o più parti, dal titolo The Revivalist , pubblicato a New York nel lontano 1868. Ciò che potrebbe costituire motivo
d'interesse per i melomani del genere è sicuramente il fatto che si tratta di
"spirituals" del Nord degli Stati Uniti, completamente diversi da
quelli cui siamo abituati, e difatti
collegati con una tradizione 'vittoriana'
d'ispirazione bianca. Ma il problema è che nulla, nella confezione
esterna del disco, suggerisce tale contenuto. Difatti, titolo e sottotitolo (The American Vocalist. Spirituals and folk
Himns ) non forniscono elementi per discriminare il
"canto religioso d'ispirazione nera", cioè quel che comunemente si
ritiene essere lo spiritual, da questa produzione bianca, popolare fin che si
vuole, ma che si pone a metà strada tra la musica per vocalisti dilettanti da congregazione
(con una segnatura apposita che
favorisce la lettura) e l'ispirazione colta. E anche l'immagine di
copertina induce ad associazioni di matrice coloniale, e potrebbe portare fuori
pista l'acquirente.
Infine,
fuor di metafora: se dal punto di vista storico questa registrazione riesce a
colmare un vuoto realmente esistente, l'ascolto dice veramente poco, e si
riesce a segnalare soltanto che l' esecuzione si colloca nell'ambito della
tradizione vocale di scuola inglese, in genere non professionale ma di decoroso
dilettantismo, ed è piuttosto noiosa e 'déja
vu'.
Romanza, Dance Rhythms, Music for Orchestra, Concerto for piano and
woodwind quintet, Music for Brass choir, Moviment for two trumpets, Trombone
and piano, Nonet for brass, Symphony No. 3 op. 42.
Orchestra dell'
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonini, The
Distribuzione:
????????????
Giudizio tecnico:
OTTIMO. ADD. Stereo.
Incisioni storiche con date e luoghi di registrazioni diverse per ogni brano.
L'incipit è tuttavia inspiegabilmente
tagliato, forse per eliminare qualche rumore estraneo.
Interpretazione:
BUONA
Wallingford
Riegger, nato in Georgia e poi adottato da New York, fu solo in tarda età
riconosciuto come degno compagno di Ives e Cowell, fondatore tra gli altri
della "Pan-American Association of Composers". Il disco propone alcuni dei lavori per grande
orchestra, e ci consente di fissare l'attenzione sull'uso delle tessiture, e la
freschezza dell'ispirazione anche in presenza di grandi forme: lo sviluppo è
originale, mai noioso, e la riconoscibilità ripone, col senno di poi, cioè
attraverso la sensibilità contemporanea che non discrimina tra produzioni
differenti, questa musica nel caldo nido di quella che ben figurerebbe per un
uso cinematografico (e difatti, una parte della sua produzione è dedicata alla
danza). Qui e lì s'ode naturalmente una
eccedenza dei mezzi impiegati, e l'allontanamento costantemente ricercato dai
rimasugli della musica neoclassica, talvolta può essere ripescato nei cedimenti
ad impasti sonori impressionistici, come capita in "Music for
Orchestra". La componente sperimentale (modernista per riprodurre una
etichetta consueta) e tuttavia
gradevole, si percepisce invece nelle suggestioni timbriche di "Music for
brass Choir". La lunga e suggestiva "Terza Sinfonia" chiude il
cd, e ci parla anche in questo caso di un uso coerente e vario delle tecniche
compositive, dallo stesso Riegger così elencate: musica non dissonante,
impressionistica, parzialmente dissonante e dissonante.
BERNSTEIN, KIRCHNER,
GERSHWIN, IVES
Clarinet Sonata
(trascrizione per viloncello di Yo-Yo- Ma); Triptych; Three Preludes
(trascrizione di Heifetz); Trio.
Yo-Yo Ma, Lynn
Chang, Jeffrey Kahane, Gilbert Kalish, Ronan Lefkowitz. Sony classical SK 53126. 64'53".
Note (Ing. Ted. Fr. Ita.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.
Giudizio Tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo.
Studio, Boston, 15-19/1992; Massachutts, 7-8/1991. S. Epstein (Prod.). E.
Fitton (I. del s.). Ottimo equilibrio
tra i diversi strumenti. E' registrato con la nuova tecnica ad alta definizione
"20-bit", con grande analiticità del suono.
Interpretazione:
OTTIMA
Yo-Yo
Ma, il violoncellista d'origine cinese
nato a Parigi e cresciuto in
America, ha avuto la bella idea di riunire in un disco che si potrebbe definire
quasi "affettivo" le opere di compositori americani che hanno influenzato
la sua formazione musicale. Già il titolo "Made in America" la dice lunga sulla volontà di segnalare una
sorta di ancestrale bisogno d'appartenenza, di lasciare un segno sulle sorti e
la storia musicale del luogo d'adozione.
I compositori prescelti da Yo-Yo Ma sono, infatti, Bernstein e Kirchner,
ma l'intervento creativo, sotto forma di trascrizione, agisce poi anche sui Tre Preludi
di Gershwin. Il disco è
chiuso dal Trio for violin, Cello and Piano di Charles Ives, in cui Yo-Yo Ma suona
insieme a due frequentatori dell'Università di Boston, il pianista Gilbert
Kalisch ed il violinista Ronan Lefkowitz.
Ciò rende tutta l'operazione unica ed originale, perché i brani, ad
eccezione di quello di Ives, sono trascrizioni inedite o vere e proprie reinvenzioni. L'interazione
con la vita culturale dei corsi tenuti ad Harvard da Kirchner si
manifesta apertamente con la richiesta di una trascrizione di un brano originariamente pensato per violino, primo
del Trittico presentato nel disco. Anche
è una trascrizione "autorizzata" da
Bernstein, che lanciò Yo-Yo Ma attraverso una trasmissione televisiva seguita
in tutta America. La scelta meno felice
resta quella dei Preludi di Gershwin, arrangiati da Heifetz e
riadattati dal nostro; qui una vena formale di stampo classico rovina, nel
tentativo di rendere eguali i due strumenti, la freschezza della
scrittura originaria. Restando alle reinvenzioni, continueremo così ad
apprezzare quelle del New Art Ensemble,
dei Colin Muset e, perché no?, di
Dave Grusin.
TAAFFE ZWILICH / CORY
Chamber Symphony. String Quartet. Sonata for violin and piano. Profiles.
Apertures. Designs.
Giudizio tecnico: DISCRETO.
ADD. Stereo. Luoghi e date differenti per ciascun brano. Pianoforte leggermente imbottigliato nei
lavori della Zwilich. Notevoli disparità di qualità nelle registrazioni dei
brani di Elanor Cory. In Designs, nei fortissimi sono presenti notevoli
distorsioni
Interpretazione:
BUONA
MACBRIDE
Three Dances.
The Aurora String
Quartet. Supové. CRI CD640.
65'57". Note (Ingl.). Distribuzione:???????
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Portola Valley, 10/1991. Harvard University, Cambridge, 7/1992.
Buona resa degli archi, anche se negli acuti permane la sensazione di una certa
freddezza di suono. Il pianoforte è un po' sordo, il suono privo di spazialità.
Interpretazione:
OTTIMA
La
CRI presenta in un disco unico una scelta delle opere di Ellen Taaffe Zwilich e
di Eleanor Cory, entrambe poco note in Italia.
La
Zwillich è stata la prima donna a vincere il Pulitzer, grazie alla sua prima
Sinfonia, commissionata dall'"American Composers Orchestra", poi
diretta anche da Gunther Schuller. Dopo aver studiato piano, tromba e violino
per diversi anni fu attiva come violinista presso l'"American Symphony
Orchestra", sotto la direzione di Stokowski. Avvicinatasi alla composizione,
frequentò Elliott Carter e Roger Sessions, e lo stesso Boulez non disdegnò di
consacrare la sua abilità come compositrice. Tuttavia, la sua musica mantiene
una costante e matura vocazione al lirismo, e la struttura non la fa da
padrona, il linguaggio non è mai troppo serrato, ed il clima è più vicino ad un
caldo atonalismo che alla rigidità seriale. Insomma, ci pare comunque ben
affermata una forte connotazione di senso, specie nella Chamber Symphony, qui eseguita con grande dolcezza dal "Boston
Musica Viva" sotto la direzione di Richard Pittman. Questa riconoscibilità
viene un po' attenuata, invece, nel secondo tempo dello String Quartet , non certo a causa dell'esecuzione ugualmente
misurata ed attenta del "New York String Quartet", quanto proprio per
ragioni formali.
Eleanor
Cory è stata allieva di Meyer Kupferman, docente del Sarah Lawrence College,
compositore autodidatta non alieno alle incursioni nella musica jazz, ed
estremamente prolifico senza discriminare tra generi ed opportunità diverse,
non escluse la musica da cinema e da serial televisivo. La Cory ha poi ultimato
la sua preparazione con Charles Wuorinen e Chou Wen-Chung, raggiungendo l'apice
della carriera tra il 1985 e il 1989, come presidente dell'"American
Composers Alliance".
Il
disco comprende tre brani: Profiles del
1986, Apertures del 1984, Designes del 1979. Alcuni momenti
ispirati ci sembrano presenti nel secondo movimento dei Profiles, nel bell'amalgama tra clarinetto, violoncello e
pianoforte. Lo stile è dodecafonico, a maglie larghe. Apertures, per pianoforte solo, brano di una decina di minuti,
sostiene ancora le ragioni di una musica atonale, talora dodecafonica, con
tentativi di effetti coloristici alla Messiaen, e citazioni di progressioni
jazz (sono la cosa migliore dei tre brani) L'interpretazione di Aleck Karis è
sentita, e fa perdonare alcune ingenuità scritturali della Cory.
Bello
l'incipit del violino in Designs,
eseguito dall' "Arioso Trio"
con Benjamin Hudson, Judith Davidoff e Harold Lewin, ed ispirato ad una
ricerca delle soluzioni colte ispirate
al jazz. Ma la mescolanza la fa da padrona, anche per esplicita ammissione
della compositrice, e talora prevale il gusto impressionistico, talaltra
l'affermazione apodittica dell'espressionismo. Di romantico, eccettuata forse l'interpretazione,
non s'è trovato però veramente nulla.
Il
lavoro di David Macbride è acuto ed interessante, sempre teso alla ricerca
espressiva di un contenuto musicale piuttosto che alle formalizzazioni
asettiche e un po' decadenti che caratterizzano quanti sono alla ricerca
disperata di una struttura da esporre piuttosto che di un messaggio estetico da
comunicare. Il disco della CRI che qui si presenta è il primo lavoro
discografico del compositore, per la verità quasi sconosciuto in Italia, e poco
noto anche nell'ambiente accademico dei compositori americani. Ciò non toglie
che l'introspezione della sua Chartres per
pianoforte, e la ricerca circolare di linee interconnesse tra i quattro archi
in Three Dances ci fanno ben pensare che di questo musicista poco
più che quarantacinquenne si sentirà ancora parlare.
BERGSMA/ BLOCH/ DIAMOND/ LEES
Chameleon Variations/ Prologue, Capriccio and Epilogue/ The World of
Paul Klee/ Suite Symphonique. Symphony for Trombone and Orchestra.
Giudizio tecnico:
BUONO. ADD. Stereo. Luoghi
e date di registrazione non indicati (eccettuato Bloch: 27-28 febbraio 1976).
Si avverte una differenza di registri tra le registrazioni di Bloch e le
rimanenti.
Interpretazione:
OTTIMA
LENNON
Voices. Ballade Belliss'. Echolalia. Seven translations. Distances within me.
Kronos Quartet,
Continuum, Rosenfeld, Forger, Moriarty.. CRI
CD 599. 48'50". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio Tecnico:
OTTIMO-BUONO. ADD-DDD.
Stereo. San Francisco 9/74 (Voices), Michigan State University 21/3/91. NYC,
6/90 (i rimanenti). Eccesso di spazializzazione in Ballade Bellis'.
Interpretazione:
ECCEZIONALE (Kronos). BUONA (Continuum).
LADERMAN/ TRIMBLE
Pentimento/ Symphony No 3 "The Tricentennial".
Giudizio Tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. New
York 12/10/86. Nel brano di Laderman alcuni strumenti, tra i quali il
pianoforte, sono quasi non udibili.
Interpretazione:
BUONA
CARTER
Orchestral Songs. Complete Choral Music.
Rees, The Gregg
Smith Singers,
Giudizio tecnico:
OTTIMO. ADD. Stereo. Date e
luoghi differenti per ciascun brano. Ben dettagliata la voce solistica. Ottimo
trattamento del coro. Sonorità ben curate.
Interpretazione:
OTTIMA
Come
è ormai noto ai lettori di "CD Classica", la CRI è tra le principali
case discografiche americane dedite alla diffusione della musica contemporanea.
Fondata nel lontano 1954 da Otto Luening e dagli scomparsi Douglas Moore e
Oliver Daniel, ha pubblicato più di cinquecento dischi per oltre trecento
compositori, cavalcando le aspirazioni
delle diverse generazioni , e creando un
archivio sonoro di mole impressionante. Il meglio di questa raccolta viene progressivamente riversato su cd,
affiancato naturalmente dalle nuove
proposte.
Il
primo disco in analisi raccoglie brani di William Bergsma, Benjamin Lees, David
Diamond ed Ernest Bloch, eseguiti dalla Portland Youth Philarmonic diretta da
Jacob Avshalomov.
Bergsma,
allievo di Bernard Rogers ed Howard Hanson, docente per anni alla Juillard ed
infine direttore della School of Music di Washington, emerse intorno ai
trentacinque anni con l'opera in tre atti The
Wife of Martin Guerre. Il brano che offre l'incipit a questo cd, le Chameleon Variations , dà la sensazione
di una profonda assimilazione dei moduli europei, ma anche dell'eccentricità
(ricerca attorno a moduli più vari) della lezione stravinskijana. Le variazioni
vengono intese come una sorta di metafora di una piccola sinfonia, con le prime
tre che sostituiscono l'Allegro, la quarta e quinta il movimento lento, ed
infine la sesta e settima che rappresentano lo Scherzo. Senza alcuna
interruzione, un Finale chiude dodici minuti di gradevole espansione
immaginativa.
Anche
il Prologo, Capriccio and Epilogue di
Benjamin Lees strizza l'occhio a certi ostinati stravinskijani con vocazione
barbarica, anche se la scrittura risente di un eccesso di costruttivismo
intellettualistico, che smorza un po' la vena melodica allusa invece da
Bergsma. Autore molto eseguito, anche per l'uso 'democratico' dell'orchestra
(concede ad ognuno il suo, e non crea scontenti tra le file), filosofo della
diversità ("Io prospero nella diversità"), effettivamente in questo
brano gode sia dell'espansione lirica che promana talora dall'uso di semplici
armonie, sia dell'esplosione controllata di strutture complesse. The World of Paul Klee di David Diamond,
allievo di Rogers, di Sessions ma anche della Boulanger ci cala immediatamente
in un universo di sfumature e di sensibilità discorsiva e melodica di grande
pregio. Anche in questo caso referenti di scuola europea, soprattutto nel modo
di orchestrare che ci pare aver ben assimilato e masticato tanto Ravel, non
mancano: ma la carica introspettiva è tale da farci notare che i fiati della
Portland orchestra non sempre appaiono in sintonia con un progetto di tale
intimità compositiva.
Il
secondo disco di cui ci occupiamo è interamente dedicato a John Anthony Lennon,
allievo di William Bolcom, vincitore di numerosi premi internazionali di
composizione e docente alla University of Tennesee. Le sue musiche sono
perlopiù stampate, ed ha inciso sia per la CRI che per
Ben
rappresentato su disco, meno su cd, il prolifico Ezra Laderman. Newyorkese di
nascita, autore di oltre 12O opere per vari organici, attento anche alle
produzioni teatrali ed oggetto dell'attenzione di diverse grandi formazioni,
che nel tempo gli hanno commissionato più di un lavoro. E' il caso di Pentimento, scritto per
Il
cd contiene anche
Bello
e vario il cd antologico dedicato alla produzione vocale di Elliott Carter, che
sicuramente ha seguito la sua inclinazione in salita, secondo l'auspicio di
Boulez. Chi ha conosciuto il compositore americano ricorda certamente lo
scintillio dei suoi occhi nel parlare dell'Italia, e dei compositori italiani
che egli frequentò ed ammirò, evidentemente in un periodo fondamentale della
crescita musicale, da Luigi Dallapiccola a Goffredo Petrassi, cui dedicò un Riconoscenza per Goffredo Petrassi (Fonit Cetra, New Worlds Records). Ancora
ad una ispirazione italiana è dovuta
Soddisfano
le aspettative
BRYARS
Incipit Vita Nova. Glorious Hill. Four Elements. Sub
James, String
Trio / The Hilliard Ensemble / Large Chamber Ensemble / Gavin Bryars Ensemble. ECM 1533. 56'37". Note (Ingl.).
Distribuzione: Giucar Record, Bologna. Harmony Music, Firenze.
Giudizio Tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Propstei St. Gerold (Incipit Vita Nova) CTS Studios, London (Four Elements, Sub
Rosa). Date non indicate. Specie le sonorità create per l'Ensemble di Bryars
appaiono particolarmente brillanti, perforanti ma rotonde.
Interpretazione:
ECCEZIONALE, OTTIMA
Terzo
disco di Gavin Bryars per la ECM, dopo
Three Viennese Dances (ECM 1323, 1987) e After The Requiem (ECM 1424,
1991): lavoro bellissimo, di grande suggestione, più vicino al paesaggismo
descrittivo del secondo periodo che agli esperimenti parzialmente aleatori del
primo (The Sinking Of The Titanic, Obsucre
1, 1974). Di recente, anche gli
Icebreaker hanno inciso un brano di Bryars per l'etichetta Argo (443 212-2),
che viene recensito in questo stesso numero di CD Classica, e al quale si
rimanda.
L'Incipit , title-track, è affidato alla
voce del controtenore David James ed al trio d'archi Dreyer, Lachner, Firth,
che dà il via con un suono lungo ed in crescendo ad un brano di grande
intensità lirica, melanconico e misterioso anche per la tessitura impiegata,
quasi una citazione della Threnodia di
Eugenio Fels. Il testo, naturalmente, è mutuato dalla Vita Nova di Dante, che per la verità
c'entra soltanto per il fatto che la nascitura di due amici di Bryars venne
così battezzata: "Vita", per l'appunto (ma Nomina sunt consequentia rerum.....). Glorious Hill è del 1988, scritto su commissione dello Hilliard
Ensemble, sfruttando alcune delle ricorrenze care ai cultori dell'omofonia
cromatica: i due tenori vengono utilizzati in modo straordinariamente
espressivo, consegnando una vena d'intimismo e mistero alla composizione.
Il
terzo brano, quello che occupa buona parte del compact con i suoi ventotto
minuti e trentasei secondi (è eseguito con buon respiro dal Large Chamber
Ensemble) resta il più minimale di quelli qui presentati, ricordando un po' il
macchinismo di Steve Reich (Electric
Counterpoint, Fast, in Different
Trains, ed altro). E' stato scritto nel 1990 su commissione della compagnia
di danza di Lucinda Childs, ed è quindi pensato per consentire ad otto
ballerini di muoversi ed alternarsi sulla scena. Strutturalmente, appare
suddiviso in quattro sezioni, ancora una volta intitolate secondo lo schema
alchemico "Water, Earth, Air, Fire", ma non è uno dei brani più
ispirati del nostro se non per l'ingresso, ancora una volta, del controtenore,
voce che sembra galvanizzare la creatività e l'istintiva predisposizione alla
melodicità ancestrale tipica del compositore inglese.
Sub Rosa
richiama le atmosfere rilassate e rassicuranti di Brian Eno, non senza
citare almeno in un paio di punti cruciali alcune aperture armoniche
tipicamente ravelliane (del secondo movimento del Concerto in sol per pianoforte e orchestra, per la precisione).
Scritto nel 1986 su suggestione dell'album In
Line di Bill Frisell, il primo
pubblicato per l' ECM (1241, 1985), modifica e trascrive in modo radicale Throughout,
diventando una sorta di "commento e parafrasi" di quel brano.
L'ammirazione di Bryars per il chitarrista allievo di Jim Hall, è bene
ricordarlo, culminò nel 1991 nella
collaborazione per After the
Requiem . L'esecuzione, tra le migliori del compact, è affidata
all'Ensemble guidato da Bryars, con
Alexander Balanescu al violino, Roger Heaton al clarinetto, Martin Allen al
vibrafono e John White al pianoforte.
HERSCH / OLDHAM / DEBLASIO / GANNON /
Tango Bittersweet / Concerto for Piano / God Is Our Righteousness /
Triad-O-Rama / Variations on "Amazing Grace".
Hersch,
Friedlander, Obson,
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Date e
luoghi e registrazione diversi per ogni brano. Non eguale accuratezza
contraddistingue le varie incisioni.
Interpretazione:
BUONA
Un
disco "dedicato a quelli che amiamo". Fred Hersch, Kevin Oldham,
Chris DeBlasio, Lee Gannon, Calvin Hampton: cinque compositori che hanno in
comune più di un progetto. Si tratta infatti di musicisti ammalati di AIDS, dei
quali due non hanno fatto in tempo a vedere la realizzazione del compact.
L'operazione è stata voluta dalla CATALIST per finanziare Classical Action, un
movimento a favore dei malati di AIDS: campeggia in copertina il simbolo forte
della solidarietà: il fiocco rosso attorcigliato e appuntato sopra uno sbiadito
ma pulsante foglio pentagrammato. E un fantasma arancione, su uno sfondo ocra:
i colori della dissipazione.
Ma
non mi pare possibile leggere questo lavoro soltanto all'insegna della
solidarietà, perché esso parla e decanta anche di qualità, ingegno, sensibilità
musicale. Non eguali per ciascuno dei compositori, naturalmente, ma possibili
sicuramente per il brano d'apertura, che in qualche misura dà il titolo al
compact: Tango Bittersweet di Hersch, un autore newyorkese che ha
pubblicato qualcuno dei suoi lavori per
GORDON / ANDRIESSEN / BRYARS / LE GASSICK / LANG
Yo Shakespeare / de Snelheid / The Archangel Trip / Evol / Slow Movement
Icebreaker.
Argo 443 214-2. 74'37". Note (Ingl.
Fr. Ted.Ita.). Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio. Abbey Road. 10-12/12/1993. Il timbro è incisivo, ma
non sempre rispondente alla straordinaria effusività per la quale l'ensemble è
noto. Una maggiore apertura e forzatura dei suoni sarebbe stata auspicabile
Interpetazione:
OTTIMA
Questo
disco corrisponde alla descrizione degli Icebreakers: "rompighiaccio"
che spesso frantumano con l'insistenza,
l'intransigenza ed il volume delle loro esecuzioni ogni confine
precedentemente tracciato (dagli altri o da essi stessi): va da sé che un
simile progetto sarebbe stato irrealizzabile, ed anzi proprio impensabile,
qualche anno fa, quando si era inspiegabilmente convinti del dogma della
saturazione dei linguaggi, e delle frottole ivi connesse: morte dell'arte,
entropia musicale, decadentismo, e via di seguito con variazioni sul tema
"ormai nulla più avanza".
Naturalmente,
l' Icebreaker è costretto a guardare in ogni direzione per poter realizzare questo incessante
cammino verso il costantemente oltre, perché l' "andare verso" è
spesso un "andare via da se stessi": è così che il percorso seguito
appare radicale ma aforistico, non tanto per la brevità delle composizioni, ma per l'affermazione
(magari prolungata) di idee diverse e nuove che si dirigono per ogni dove. A
singole idee marcatamente ed apoditticamente estese lungo ciascun brano,
corrisponde uno sviluppo fortemente conseguenziale, in modo tale da assegnare
grande varietà all'insieme delle esecuzioni possibili ma contemporaneamente
enorme coerenza e logica (un puntiglio tipicamente inglese) a ciascun pezzo
considerato isolatamente. E' così che un gruppo famoso per i "forte"
assordanti si produce per ventitré minuti e quaranta secondi in un lungo
vibrato tra piano e mezzoforte: lo Slow
Movement di David Lang (s'è già recensito su queste pagine il primo compact
monografico dell'americano: Emergency
Music, CRI CD 625). E' così che produce in proprio gli arrangiamenti
da altri organici: è il caso di de Sbelheid dell'olandese Louis
Andriessen, trascritto, da radicale a radicale, da James Poke. E' così,
inoltre, che compone per sé i propri pezzi. Ma qui Damian le Gassick delude (Evol),
perché la radicalità di scambiare frasi velocissime per ciascun
componente rompighiaccio alla fine rompe anche le scatole a chi si aspetta una
variazione, giunta finalmente ben oltre i sette minuti dei 7'58"
complessivi con un assolo di violino. Ma al di là dei motti di spirito, la
formazione dà ottimi spunti per distanziarci dalle sorti della grande musica
colta: magari attraverso gli elettricismi di Yo Shakespeare di Michael
Gordon o le suggestioni minimal-jazz di Gavin Bryars, l'unico autore qui
presentato per il fluire discorsivo di The
Arcangel Trip, e non certo per una sola intuizione geniale portata agli
estremi.
JARRETT
Elegy for Violin and String Orchestra. Adagio for Oboe and String
Orchestra. Sonata for Violin and Piano.
Jarrett,
Makarski,
Giudizio Tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Interpretazione:
ECCEZIONALE (Jarrett, Makarski) / BUONA
Keith
Jarrett non smette di sorprendere. Dopo le lunghe improvvisazioni dal vivo
(memorabili quelle di Colonia, e più di recente quelle giapponesi, tra cui la
seconda di Osaka, ECM 1100), gli storici e classici standards con Gary Peacock
e Jack DeJohnette (ECM 1255 e 1289), i tributi ai grandi jazzisti del passato
(ECM 1420/21), e le atmosfere mistiche e straordinariamente raccolte di Spheres (ECM 1302) dove riproduce con l'organo
sonorità tali da far precisare ai tecnici che nessun artificio è stato posto in
essere, eccolo arrivare alla "composizione" di stampo classico. Alla
composizione con le forme, per intenderci.
Qualche cedimento in tal senso s'era già registrato con l'incisione del Clavicembalo ben temperato (al piano) e poi con l'arduo cimento
delle Goldberg (al clavicembalo). Già in quelle sedi
meravigliava una precisazione del Nostro: vivissima la preoccupazione di
essenzialità e non interventismo sul testo bachiano, tanto da far parlare molti
dei nostri recensori di un' esecuzione 'scolastica' in eccesso, e pochi dei
restanti di un'interpretazione davvero godibile proprio per questa ragione.
Certo è che, a chi avesse buone orecchie, non era sfuggita una notevole
accuratezza di registrazione, soprattutto nei timbri e nella spazialità
concessa all' incisione. Una certa delusione, comunque, serpeggiava nell'aere non
tanto per quel che Jarrett aveva fatto, ma per
quel che avrebbe potuto fare, da genio della tastiera qual è.
Una
notazione simile potrebbe essergli mossa oggi, recensendo questo disco peraltro
godibilissimo, ed essenziale per chi segue ogni punto e virgola di Keith:
perché distinguere a compartimenti stagni gli stili, comprimendoli e
compattandoli in limiti angusti? Se non
si fosse trattato di Jarrett, e se non venisse fuori una quande propensione al
lirismo melodico, nemmeno si sarebbe preso in considerazione un simile lavoro.
Sa troppo di tritoni proibiti e di quinte ed ottave cancellate con la matita
blu dall'insegnante di composizione. E
se certo non ci fa stare peggio il sapere che il Nostro è capace anche di
cimentarsi con le Grandi Forme come se fosse appena uscito da una angusta aula,
ci fa stare invece piuttosto male immaginare la grandiosa opera di cui sarebbe
stato capace se la sfida non fosse consistita nell'anelito a dimostrare una
preparazione ineccepibile in qualsiasi campo. Del resto, Jarrett si aspettava
fin dal primo momento simili appunti, perché precisa, in dieci-righe-dieci, che
"molti di questi pezzi sono nati dal desiderio di contemplazione piuttosto
che da quello di dimostrare qualcosa di unico; non ho cercato di essere 'geniale'
in questi pezzi, né di essere un compositore. Ho solo cercato di scoprire i
motivi dello smarrimento: un certo stato di resa nello sviluppo dell'armonia
dell'universo, che esiste con o senza di noi".
Per
fortuna, al di là di ogni costellazione, il disco contiene una perla: la Sonata per violino e piano del 1984, dove con grande lirismo vien fuori
il talento di Michelle Makarski e l'istinto jazzistico del migliore Jarrett.
NYMAN
The Piano Concerto. MGV.
Royal
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Philarmonic Hall, Liverpool, 6-7 Gennaio 1994. Pienezza dell'orchestra,
definizione del pianoforte, ottimale resa degli ensemble acustici.
Interpretazione: ECCEZIONALE
Dopo
il successo di Lezioni di Piano, il
film di Jane Campion, la notorietà di Nyman si è estesa alle terze pagine dei
quotidiani, ed agli inserti dei
settimanali non specializzati. Il successo si è aggiunto ai precedenti, legati alle musiche scritte per i film di Peter Greenway (chi può
dimenticare l'effetto strabiliante de I Misteri del Giardino di Compton House ?
) ed ha evidentemente spinto il compositore
ad organizzare i materiali per la verità un po' eterogenei della sua
suite cinematografica in un insieme apparentemente più organico, intitolato The Piano Concerto. Ovvero: non tanto un Concerto per pianoforte,
in senso tradizionale, quanto un Concerto sulle note del film The Piano: Lezioni di Piano, per l'appunto. Il gioco, però, conduce Nyman a
concepire un lavoro sicuramente più
complesso, e che tuttavia non si presenta necessariamente come una
"estensione" del precedente.
Tentiamo di illustrarne le ragioni. Primo: il disco che raccoglie la
colonna sonora originale (La lecon de
Piano, Virgin Records 077778 826824) dura 57'28", ma nessun brano
supera i 5'50". Il Concerto di cui si parla dura molto di meno, e cioè
32'28", e tuttavia pare quasi che l'attenzione, esaurita la fase critica
dell'ascolto comparato (teso cioè a cogliere le differenze tra il vecchio e il
nuovo), fatichi ad essere tenuta desta. Secondo: di fatto è come se si entrasse
nello studio del compositore, e si prendesse visione delle varie pagine da lui scritte: un appunto qui, un altro lì,
un'idea cestinata, un'altra abbozzata. Il confronto tra i due testi rende
palese l'abilità sotterranea di ciascun autore nel collegare frammenti talvolta
eterogenei seguendo una nozione di sviluppo lineare. E qui sta il nesso critico da noi rilevato:
un disco riesce meglio se è formato da tracks
brevi, magari all'insegna della varietà. Inoltre, se il lavoro si riferisce ad
un film, esso ha una fortissima valenza evocativa, il che conferisce qualcosa
in più alla musica, e non è assolutamente una diminutio (contrariamente a quanto affermava Umberto Eco). Laddove
si va ad operare una sutura, a rimpolpare la scrittura piana e comunicativa, ad
alterare (anche se potenziandole) le enfasi emozionali del lavoro, si ottiene un prodotto che soltanto in
apparenza è più organico. Questa "apparenza" è quella della linearità
del concerto classico, che fa sembrare (ora sì) decadente e ovvia la riproposta
di sonorità appartenute, restando in questo genere, ad uno Chopin (un po'
rimaneggiato), o ad un Rachmaninov (meno accurato e motivato). La scelta, lo si
è ormai compreso, è ancora una volta tra un linguaggio apparentemente organico
e lineare ma superato, ed un altro che tenga conto della nostra attuale
capacità di attenzione e fruizione.
Tutto
ciò non implica naturalmente una sottovalutazione del lavoro, che mi pare
comunque bello ed espressivo, grazie anche al piglio energico della solista
Kathryn Stott ed alla direzione dello stesso Nyman, anche se qualche magagna
nella fusione tra orchestra e pianoforte c'è sembrato di registrarla.
Il
compact, assolutamente imperdibile per la rete di connessioni che porta ala
luce, contiene anche lo spiritoso e gradevole MGV, cioè Musique à Grande
Vitesse, scritto per l'inaugurazione del TGV-Nord, ed eseguito da quella
Michael Nyman Band & Orchestra che sta girando l'Europa, e che ha spopolato
anche in Italia.
PARTCH
The Bewitched. Castor and Pollux. The Letter. Windsong. And on the
seventh day petals fell in
Olson. Chorus of
Lost Musicians.
Giudizio Tecnico: MEDIOCRE.
Mono. AAD. Date e luoghi di registrazione non indicati. Trattandosi di
registrazioni-documento spesso i volumi sono alterati, 'sforando' nei forti o
attenuandosi all'improvviso.
Interpretazione: OTTIMA
SHIELDS
Apocalypse (an electronic opera)
Shields, Willson,
Matus. CRI CD 647.
67'58". Note (Ingl.). Testi (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio Tecnico: BUONO.
Stereo. ADD. Studio, NYC. Lo stacco tra un brano e l'altro non sempre è
effettuato con pulizia.
Interpretazione: MEDIOCRE
DRUCKMAN / BABBITT / GIDEON / MONOD / WRIGHT / GERBER.
Shake off your heavy trance. The faery beam upon you / Three Cultivated
Choruses / The Havitable Earth / Cantus Contra Cantum IV / Madrigals / Une
Saison en Enfer. Death, be not Proud. Corinna's going a-maying.
Schubert, New
Calliope Singers. CRI CD
638. 54'41". Note (Ingl.). Testi
(Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio Tecnico: OTTIMO. Stereo. DDD. Auditorium of the
American Academy and institute of Arts and Letters, NYC, Giugno 1990.Gli
impasti vocali sono resi al meglio, con pulizia e dovizia di particolari.
Interpretazione:
OTTIMA
LEWIS
Destini. Osservazioni II. Atto. Moto. Concerto for string Orchestra, Trumpets,
Keyboard and Harp.
R. Hall Lewis,
The Philharmonia Orchestra, Premru, Wallace, Miller, Stokes, Mason, Herbert,
Reeves. CRI CD 569.
75'37". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio Tecnico: BUONO.
Stereo. DDD. Date e luoghi diversi per ciascuna registrazione. Qualche
distorsione nei 'forte', e non completa discrezione negli ammassi strumentali.
Interpretazione:
BUONA
Il
Compact dedicato ad Harry Partch raccoglie perlopiù brani già editi da altri o
dalla stessa CRI (è il caso di The
Bewitched, di cui è qui riprodotta la sola scena finale, ma di cui esiste
una versione integrale in due LP, CRI 304), ed è appetibile nonostante alcune
sfasature tecniche di riproduzione, tipiche peraltro delle AAD.
La
musica di Partch è incantatoria ai limiti dell'ossessivo, come nella scena 10
di The Bewitched, lavoro del '55
scritto per
Il
compact successivo è un antologico dedicato alla Shields, ed è di quelli in cui difficilmente il giudizio
sull'idea complessiva del progetto (la qualità della composizione) può
prescindere da quello sull'interpretazione presentata: un'opera elettronica
come Apocacalypse è sicuramente un oggetto estetico compiuto in
sé, e si dubita che possa essere facilmente 'segnata' e poi 'riprodotta' da altri, dato anche il
particolare non trascurabile legato al superamento dei timbri usati, ed alle
modifiche della voce effettuate in studio. Ciò premesso, come apparirà già dal
'mediocre' attribuito al progetto complessivo più che alla semplice esecuzione,
il disco è un pastiche in grado di
illustrare la differenza che passa tra una fusione organica di materiali ed una
semplice successione degli stessi; i timbri usati sono datati (o meglio,
databili, il che è molto peggio), la parola subisce deformazioni scontate, ed
il testo mantiene una prevalenza discorsiva spesso sconnessa dalla musica.
Frammenti minimali o indiani vengono immessi nel calderone in modo non sempre
gradevole (se la gradevolezza non dovesse essere un parametro utilizzabile
potremmo chiamare in ballo la logica, la conseguenzialità, l'adeguamento di un
mezzo ad un fine qualsiasi). Insomma sfugge il senso possibile, e si può
soltanto alludere ad altro lavoro del genere che ci pare meglio riuscito: il Brise-Glace di Luc Ferrari e Colette
Fellous che vinse il Prix Italia nel 1987.
Ottima
invece la prestazione del New Calliope Singers, ensemble diretto da Peter
Schubert, che presenta un vasto collage di brani, da quelli brevissimi di Jacob
Druckman, allievo di Persichetti e Copland (vere perle vocali) al più lungo e
tripartito The Habitable Earth di Miriam Gideon, nipote d'arte ma allieva di
Roger Sessions. Il cd include anche brani dei non notissimi Steven Gerber e
Maurice Wright e, naturalmente, rende omaggio a Milton Babbitt con Three Cultivated Choruses.
Il
cd monografico dedicato a Robert Hall Lewis (si è già recensito su queste
pagine il CRI CD 596 con Nuances II
"Whale Lament" , il concerto per orchestra da camera e
VOLANS
String Quartet No. 2 "Hunting: Gathering". String Quartet No.
3 "The Songlines.
Balanescu
Quartet. Argo 440 687-2. 57'19". Note (Ingl. Ted. Fr. Ita.).
Distribuzione: Polygram Dischi, Milano.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Kleinzaal, Concertgebouw, Amsterdam, Aprile 1993. Compattezza di suoni,
amalgama sempre gradevole, nessuna sfilacciatura nei pianissimi.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Il
Balanescu Quartet vede e rilancia, confermandosi la formazione emergente per
eccellenza nel panorama dei gruppi d'insieme che portano avanti un progetto
estetico lungimirante e a tutto campo, senza artificiosi sbarramenti di
visuale. E soprattutto avendo ben compreso una cosa fondamentale: che la musica
moderna deve "essere accessibile", il che non significa abdicare alla
complessità o evitare il caos, ma semplicemente intuire la radice profonda del
caos, che non può escludere una (im)probabile organizzazione dei materiali, ed
una comunicazione con il pubblico aperta alla comprensione di ciò che si sta
facendo. Difatti, ascoltando il Balanescu eseguire questi brani di Kevin
Volans, una sensazione di reale contemporaneità ci assale, vuoi per il
linguaggio che finalmente trasuda di una sana extraterritorialità (Volans è
nato in Sudafrica, ma ha studiato a Colonia con Kagel, ed è stato assistente di
Stockhausen: ma per carità non ci si fermi a queste indicazione per cercare di
individuare il suo 'genere'), vuoi per il modo disinibito di eseguire le frasi,
di certo merito dell'originale e insofferente Alex Balanescu. Una chiave di
lettura può darla il confronto con l'esecuzione di Hunting: Gathering offerta dal Kronos Quartet (Elektra Nonesuch
7559-79253-2): un suono più fermo, tagliente, gelido e denaturato, un suono che
va oltre sé stesso per arrivare ad un immaginario scenografico di serietà e
apoditticità. Non così in questa interpretazione del Balanescu: maggiore
interiorità e curvatura delle frasi, maggiore attenzione alla componente
multietnica (quasi world-music), che davvero si coglie per la prima volta,
minore interesse per la 'purezza', e di più per il 'senso', la direzione
dell'interpretazione. Insomma, Gould contra
Nyiregyhazi, per usare una metafora pianistica. Anche le durate sembrano
confermare questa ipotesi: 21'14" del Kronos contro i quasi 24' del
Balanescu.
Ma
un'altra ragione dovrebbe spingere a possedere questo disco, ed è la
possibilità di ascoltare di seguito anche il terzo quartetto d'archi di Volans,
il No. 3 "The Songlines", dove ancor più presente appare la lezione
minimale; ma attenzione: si parla sempre di un minimalismo europeo, che non
riesce a rinunciare ad una forte dose di individualità, e di complessità. Il
Balanescu, infine, certo fa di tutto per potenziare anche le stirpi e
l'emergenza delle diverse nazionalità.
ZAPPA /
"Smart Went Crazy".
Meridian Arts
Ensemble. Channel Crossings
CCS 4192. 72'30". Note (Ingl. Ted. Fr. ). Distribuzione: Bottega
Discantica, Milano.
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo.
Raphaelpleinkerk, Amsterdam, Marzo 1993.
Pieni i bassi di tuba e trombone. soltanto i "Tutti" ci sembrano
leggermente affogati.
Interpretazione:
OTTIMA
In
questo bel disco, il Meridian Arts Ensemble propone una silloge di brani
provenienti dalle più disparate direzioni, mescolando i generi come ormai fanno
molti tra i più illuminati interpreti anche di provenienza 'colta'. Ad esempio,
un brano che sta diventando "classico" per queste veicolazioni
inedite da una sponda all'altra (ma le sponde possibili sono davvero tante) è Puple Haze di Jimi Hendrix, cavallo di
battaglia dei concerti dal vivo del
Kronos Quartet (e inciso su NONESUCH 7559279111-2). In questa aggressiva
versione, il brano dura intorno ai tre minuti, e la strada seguita è quella della
simulazione delle distorsioni della chitarra elettrica. Va anche detto, per
onestà, che dal vivo l'effetto è di gran lunga più dirompente, come capita ad
ogni concerto rock che si rispetti. La versione del Meridian è più lunga
(5'42"), e meno incisiva, perché non attua una reale con/fusione,
semplicemente adeguando la trascrizione al genere diverso. Prova ne sia
l'immediatamente successiva track, un Traditional
afrocubano arrangiato da
L'Ensemble
ci pare più a suo agio nei lavori maggiormente sperimentali, come nella title-track Smart Went Crazy di Kirk
Nurock, un brano scritto nel '92 che alterna lunghi suoni modulati alla Scelsi
ad esplosioni schizofreniche di sequenze semicasuali. Non si completerebbe
questa nota senza segnalare l'adeguatezza dei brani del trentaduenne Norman
Yamada, quasi tutti inferiori ai 2', scritti apposta per questa formazione
anomala, che resta sicuramente da seguire nei suoi sviluppi futuri.
COPLAND
Works for piano. Vol. II.
Tichman. Wergo
WER 6212-2. 64'45". Note (Ingl. Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Studio.
Munchen. Aprile-Maggio 1992. Talvolta il timbro è eccessivamente ovattato. Il
basso è un po' sordo. Registro centrale
carente.
Interpretazione:
BUONA
In
questo compact Nina Tichman, pianista vincitrice di numerosi concorsi
internazionali, completa il ciclo dedicato a Copland, avendo già inciso le Variazioni del 1930, i quattro blues, la
Sonata del 1941, lo Scherzo
umoristico The cat and the Mouse, più
altri brani minori.
GLASS (Louis)
Symphonies: No. 5, "Svastika". No. 6
"Skjoldungeaet".
Marchbank.
National Symphony Orchestra of the S.A.B.C. Marco Polo 8.223486. 68'26". Note (Ingl.). Distribuzione:
Ducale, Brebbia (Va).
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Studio, 11 e 22 Gennaio 1993. Suono
sufficientemente pastoso, ma eccessivamente uniforme nei volumi.
Interpretazione:
OTTIMA
Louis
Glass non è parente né avo di Philip Glass: è un compositore nato nel
Il
compact contiene due Sinfonie: la quinta,
"Svastica", Op. 57, e l'ultima "Skjoldungeaet", op.
60.
Da
entrambe fanno capolino echi tardoromantici, ma anche suggestioni mahleriane
(ma forse è
Un
disco godibile, consigliabile a chi ama annullarsi nell'ascolto con occhi
socchiusi, ritemprandosi da diuturni travagli.
SCHUMANN / MAHLER / BRAHMS / BACH
Piano Sonata No. 2 Op. 22. Symphonische Etuden, Op. 13. Symphonische
Etuden, Op. post. Symphonische Etuden Op. 13. Toccata Op. 7 / Symphony
No.
Kazakevich.
Conifer Classics 75605 51227 2. 76'54"; 24'00". Note (Ingl. Ted.
Fr.). Distribuzione: Sound and Music,
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. All Saints' Church. Maggio-Luglio 1993. Non sempre lucidamente
bilanciati i volumi.
RACHMANINOV / BRAHMS / BACH
/ HONEGGER / BERG
Piano Sonata No. 2 /
Intermezzo Op. 116 No. 4 e 5, Op. 117 No. 2, Op. 118 n. 6 / Das Wohltemperirte
Klavier, I, 8 / Prélude, arioso et fughetta sur le nom BACH / Piano Sonata Op.
1.
Kazakevich.
Conifer Classics 75605 51235 2. 63'10". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione:
Sound and Music,
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. All Saints' Church. Maggio-Luglio 1993. Preciso
e netto la ricerca timbrica in Rachmaninov. Buona resa dinamica in Bach.
Interpretazione:
BUONA / MEDIOCRE
Il
russo Kazakevich non ha fatto in tempo a pubblicare i primi dischi che già s'è
visto affibbiare l'etichetta di 'romantico', la quale nel bene e nel male
riesce a conquistrare ai dischi degli 'emergenti' una fetta dell'asfittico
mercato discografico. Così i due dischi (anche se in realtà si tratta di due
compact e mezzo, perché insieme al cd monografico dedicato a Schumann compare
un mini di 24' che ripropone gli stessi brani di Bach e Brahms presenti nel
disco compilativo, con un'addizionale trascrizione inedita di cui si dirà più
oltre) vanno ad aggiungersi alle già cospicue incisioni schumanniane di
Argerich, Arrau, Kempff, Horowitz (per la Sonata) e di Arrau Ashkenazy Backhaus
Brendel Cortot Kempff Kissin Perahia Perlemuter Pogorelich Pollini Richter
Rubinstein...... (per gli Studi). L'elenco è, come si immaginerà, parziale e
sommario, ma non manca di una certa carica provocatoria: sommeremo Kazakevich
ai "grandi" o ai "piccoli"?
Chi scrive predilige le versioni di Richter e Cortot, e ritiene che gli
elementi di novità (interpretativa) presentati nel disco schumanniano siano ben
pochi, perché dopo diversi ascolti non si vien sedotti né dalla carica
"romantica", né strabiliati da scelte di tempo o tecnicismi
mirabolanti.
Per
quanto riguarda invece il compact dedicato a Rachmaninov, Brahms, Bach,
Honegger e Berg, pur non mancando riferimenti ad altre esecuzioni eccelse (per
la Sonata di Berg, tra i vari Barenboim, Bratke, Bruins, Cherkassky, Demidenko,
Douglas, Dunki, Maisenberg, Pollini continuiamo ad amare la versione su disco
di Alfred Brendel , 11'18", e per amore d'eccentricità quella di Gould,
13'06", mentre questa di Kazakevich resta nella media degli 11'51", e
un po' forzata e melodrammatica nella caratura interpretativa) ci ha
colpito per precisione ed incisività
PECK / SWEELINCK / GENZMER / FLORIO / MOZART / FRANCAIX / BARROLL.
Drastic Measures / Fantasia / Zweites Quartett / Quartette / Zwolf
Variationene in C K 265 / Petit Quatuor pour saxophones / The Piggly-Wiggle.
New Century Saxophone
Quartet. Channel Classics Crossing CCS 5994.
63'00". Note
(Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: Bottega
Discantica, Milano.
Giudizio Tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Studio.
Renswoude. 2/1993. Buona omogeneità degli insieme, non eccezionale ricerca di
timbri inediti.
Interpretazione:
BUONA
Ascoltando
questo cd è sorto spontaneo un'accostamento ad un disco di Werner Bartschi (ECM
1377 839 659-2); similitudine non tanto rivolta al genere quanto alla modalità compilativa. Il quartetto di
sassofoni formato da Michael Stephenson al soprano, James Boatman all'alto,
Stephen Pollock al tenore e Brad Hubbard al baritono, accosta brani come Drastic Measures di Russell Peck, inizialmente evocativo
(Poco adagio, molto espressivo), ma poi subito cadenzato e burlesco nelle
citazioni funky (Allegro) alla Fantasia
di Sweelinck, allievo di Zarlino, in cui prevale una pacata
imitazione della vocalità nella conduzione delle parti solistiche. Il contrasto
non è limitato alle prime due tracce, ma si allarga al quartetto di Harald
Genzmer, allievo di Hindemith e specialista nella scrittura per sassofono,
contrapposto idealmente ad una trascrizione (di Boatman) delle Variazioni K 265 su "Ah, vous dirai-je Maman" di
Mozart. Molti gruppi , tra i più noti il Balanescu ed il Kronos Quartet, tra i
meno noti gli Icebreakers, il New art Ensemble, il Colin Muset, stanno procedendo con chiarezza d'idee
notevolissima in un'unica direzione, così semplificabile: primo,
caratterizzarsi anche con trascrizioni proprie, egualmente da brani rari o
celebri; secondo, accostare tra loro queste trascrizioni senza esserne
eccessivamente turbati; terzo comandamento, il più importante, mescolare generi
diversi, in modo che il disco possa "funzionare" all'ascolto. Ciò che è in gioco, oltre alla vendibilità
del prodotto, è anche l'adeguamento al sentire contemporaneo, che vuole oggi
restare aperto alla multimedialità della comunicazione, alla fusione tra le
reti, preparando forse una interattività già tentata (e pare con esiti
positivi) da qualche star del rock
(in fin dei conti, l'accostamento tra brani 'rilassanti' d'autore e produzioni
nuove era lanciato diversi anni fa da un'etichetta new age). A parte tutto
questo, il New Century Saxophone Quartet, pur adeguandosi nelle scelte di
compilazione alle novità vincenti di questi anni, sembra mancare della giusta
carica eversiva, perché il bel suono che fa vincere i concorsi (il cd è
inserito nella Winning Artist Series, che raccoglie i vincitori dei migliori
concorsi internazionali) spesso manca del "sound" necessario a conquistare il pubblico o a
meravigliare la critica.
HARBISON / SESSIONS
Oboe Concerto. Symphony No. 2 / Symphony No 2
Bennett.
Blomstedt.
Giudizio Tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Davies
Symphony Hall, S. Francisco, 27/5/1993. Buona spazializzazione dell'orchestra.
Discreto trattamento delle sonorità degli ottoni in Sessions. Bello ma un po'
esile il timbro dell'oboe in Harbison.
Interpretazione:
BUONA / OTTIMA (Bennett)
Questo
disco raccoglie tre opere date in prima esecuzione assoluta dall'Orchestra
sinfonica di San Francisco: l' Oboe
Concerto e
Aggressivo
l'incipit del Concerto per oboe di
John Harbison, allievo di Sessions, subito disciolto in frasi talora
melanconiche, suadenti e forse neoclassiche, certo non prive di accenni
all'opera di Stravinskij, e non immuni da una certa disposizione barocca. Un
interesse per il jazz si manifesta
nella cura per l'orchestrazione, simile, per espicita ammissione dell'autore, a
quella di maestri come Ellington, Henderson, Redmond. Infatti il solista
William Bennett, primo oboe dell'Orchestra Sinfonica di San Francisco, non
manca di colorire l'esecuzione con riferimenti e sporcature di "swing apocalittico", sicuramente
nello spirito della scrittura di Harbison, che da giovane girava con un gruppo jazz.
Collante tra le diverse vocazioni ci sembra la predisposizione allo
svolgimento lirico delle frasi, peraltro discontinue nello sviluppo e quindi
anche piacevolmente varie; dispiace un po' vedere risolto lo swing dell'orchestra nel solito modo
colto: esagerando gli accenti delle sincopi, laddove la vera scrittura
sincopata è soltanto un modo per conferire una pulsazione al
"battere", un impulso propulsivo, che dà movimento. Bennett di certo
possiede questo sapere prospettico: ma la direzione di Herbert Blomstedt riesce
a darne conto?
Meno
interessante
I
modelli di riferimento per l'uso dell'orchestra sono questa volta Tippett e
Sibelius, anche se la scrittura, nel suo momento migliore (proprio il
crepuscolo), evoca piuttosto Debussy e le sue atmosfere.
"WHERE THE SUN WILL NEVER GO DOWN"
Spirituals and tradizional Gospel Music.
Giudizio tecnico:
MEDIOCRE. DDD. Stereo.
Luoghi e date di registrazione non indicati. La copia in visione è danneggiata,
perché 'salta' in più punti. A parte questo, non pare ci sia una grande ricerca
timbrica nel contraddistinguere le voci.
Interpretazione:
BUONA
Ancora
un disco di Spirituals, come se le
formazioni corali tentassero di mettersi sul mercato facendosi qualche sconto
nella ricerca di repertori più connessi con i territori, più vicini all'appartenenza di stirpi e
dominazioni. Recentemente, proprio su queste pagine, avevamo recensito
"The american Vocalist" (ERATO, 2292-45818-2), Spiritual e folk Himns
eseguiti dalla Camerata di Boston diretta da Joel Cohen, ed il successivo
"An American Christmas" (ERATO 4509-92874-2), sempre con la stessa
formazione. Era poi stata la volta di "Christmas in Early America",
con il Columbus Consort diretto da Joseph Pettit (Channel Classics CCS 5693).
Già in quelle sedi on si era mancato di indicare le carenze di questo tipo di
operazioni, molto distanti dalle esecuzioni di gruppi provenienti dal basso, privi dell'aspirazione aberrante di iscrivere
questa produzione nell'alveo del repertorio classico, che, come sostenevamo, è
operazione "dark", nel
senso di tombale, funerea, mortifera. Non che ci si riponesse nelle pieghe
della filologia, che per fortuna ha un suo ambito naturale in ben più ponderose discettazioni. Joseph Jennings ha tentato, con Chanticleer,
di effettuare un'operazione di questo tipo: prendere materiali appartenenti
alla migliore tradizione degli Spirituals
e dei Gospel, e poi trascriverli,
talora assecondando talaltra forzando il naturale ambito vocale a cui era
abituata
Ciò
premesso, l'aspetto puramente vocale va salvato, per onestà critica ed
intellettuale: c'è grande cura sia nella conduzione degli insiemi che
nell'emergere delle voci soliste, ed in alcuni Gospel si registra anche una certa atmosfera, che forse riproduce
(falsifica quindi, perché non attualizza) quella originale.
Perché
allora non fare qualche incursione in territori banditi? Per esempio ascoltando
dal vivo alcuni gruppi della Louisiana: "The Might Chariots", e
"The Johnson Extension"; oppure "The Famous Zion
Harmonizers", per poi riparlare di Gospel,
purezza vocale, reinvenzioni, improvvisazioni, collegamento con territori
realmente vissuti e abitati...
BEASER
The seven deadly sins. Chorale Variations. Piano Concerto
Opalach,
Mia Paul, American Composers Orchestra, Russel Davies. Argo 440 337-2. Note
(Ingl.). Testi. Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Luoghi
e date di registrazione non indicati.
Se la resa timbrica della
voce non sembra ottimale (dove sono gli armonici?) quella del timbro pianistico
ci pare sufficientemente riuscita, e l'orchestrale molto buona.
Interpretazione:
BUONA-OTTIMA (Russel Davies)
Certamente
Robert Beaser non si muove nel rigido territorio dell'ortodossia dodecafonica.
E questo è spiegabile in parte con l'età (è nato nel '54), in parte con le
frequentazioni (ha studiato, fra gli altri, con Earle Brown), collocandolo fra
quei compositori che tentano di uscire dai confini dell'accademia, anche quando
quest'ultima prolifera da un'intuizione rivoluzionaria. Beaser non manca di
notare come il metodo per comporre con i dodici suoni sia stato adottato da
molti compositori americani, che magari venivano in Europa per apprenderlo
meglio. A noi pare che l'America abbia conosciuto un unico filone di ortodossia
seriale, e pochi cani sciolti, ma che la maggior parte delle correnti abbia
spaziato in lungo e in largo offrendo, forse,
una possibilità di uscita dal
sistema che il vecchio continente nemmeno si era sognata. La molteplicità delle
etnie, la velocità del progresso tecnologico (era naturalmente velocità di
adattamento degli user-friendly),
l'emergenza di un genere egemone ma marginalizzato, portarono prima ad
immaginare una terza via, e poi ad attuarla di fatto, come sta accadendo con la
giovane generazione americana a cui più volte s'è fatto cenno su queste
pagine. Fatta questa premessa, tuttavia,
va precisato che la derivazione accademica di Beaser è ancora percepibile, ad esempio,
nel "buon uso" dell'orchestrazione (il buon uso è immaginabile,
perciò prevedibile), e nell'abuso della variazione come principio di sviluppo
di un'opera. Insomma, le stesse caratteristiche che possono far vincere un Prix de Rome potrebbero far annoiare
l'ascoltatore. Ma la vena melodica sembra genuina, come anche l'aggressività
espressiva dei pattern . Nel Piano
Concerto preoccupa un po' il ritorno di un virtuosismo eccedente, ma
l'autore spiega i riferimenti alla tradizione romantica, e autorizza una certa vena ironica
dell'esecuzione. Peccato che questa ironia sia percepibile più nell'esecuzione
dell'orchestra che nelle intenzioni della pianista Pamela Mia Paul (e poi c'è
troppo Prokofiev con striature di Bartok, e poco Gershwin e Bernstein, come era
invece nelle intenzioni di Beaser).
L'"American Composers Orchestra" è una formazione
specializzata, fondata nel '75 da Dennis Russel Davies e dal compositore
Francis Thorne, e ha tenuto centinaia di prime assolute o di prime americane:
la loro abilità è percepibile senza riserve.
HINDEMITH
Mathis der Maler
Protscka,
Hermann, von Halem, Winkler, Stamm, Kruse, Hielscer, Reb, Cogram, Hass,
Rossmanith, Schmiege, Albrecht. Wergo,
WER 6255-2 , 54'42"; 57'00";
54'19" (tre compact). Note (Ingl. ted.), Testi. Distribuzione: Nuova
Carisch, Milano.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Studio Stolberger, Bonn, 1994.Buona spazialità delle voci, ottimo bilanciamento
tra voci ed orchestra.
Interpretazione:
OTTIMA
PENDERECKI
Musica da camera
The
Silesian String Quartet, Kulka, Malicki, Romanski, Esztenyi, Paciorkiwicz,
Monighetti, Romanski. Wergo, WER 6258. 67'51". Note (Ted. Ingl.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo.
Studio, Bonn. Giugno-luglio 1993. Veramente ottimale la resa delle dinamiche e
dei coloriti in situazioni di estremizzazione delle capacità strumentali di
produzione del suono.
Interpretazione:
BUONA-OTTIMA
La Wergo presenta due prime
registrazioni mondiali, l'opera Mathis der
Maler di Hindemith, che si colloca nella Edition
Paul Hindemith (la collezione comprende anche Cardillac, Sancta Susanna, Das Nusch-Nuschi, Neues vom Tage ), e la
produzione da camera di Krzysztof Penderecki (solo le Miniaturen 1-3 per clarinetto e pianoforte sono anche in un compact
EMI 567-749 711-2 con Meyer e Kontarsky, e Per
Slava, sempre nell'esecuzione di
Ivan Monighetti, appare in Helikon Heidelberg CM 278 1059).
Con
Hindemith si procede velocemente verso l'integrale. L'opera Mattia
il pittore , ispirata alla figura del pittore medievale Mathis Grunewald, è
forse tra le più significative, sia per il messaggio profondamente unitario che
propone, sia per il significato
politico, di opposizione al nazionalsocialismo, che fu le fu assegnato dopo la
prima rappresentazione mondiale allo Stadtttheater
di Zurigo, nel 1938. Un senso quasi di reazione viene generalmente associato
dalla critica alla riscoperta di nessi polifonici e contrappuntistici bachiani,
e l'opera in effetti si collocò come uno spartiacque tra il politonalismo
estremizzato della prima maniera ed il mistico monadismo sistemico,
prevalentemente tonale, della seconda. Il parametro di riferimento, che
consente di parlare di "reazione" è naturalmente Schoenberg, il cui
sistema non smetteva di tentare i più geniali compositori. Hindemith, tra i
pochi, ricercò una strada che fosse più discontinua rispetto alla linearità
dell'estremo sviluppo cromatico, certamente conseguenziale, rappresentata dalla
dodecafonia e dal serialismo, e questa è una delle ragioni per le quali la sua
produzione non appare terribilmente
datata. L'incisione di cui qui si parla
(ma esistono anche due cd con una selezione, DG 431 741-2), è molto curata, il
cast è di ottimo livello, l'insieme è certamente fresco e tutta l'esecuzione
scorre in modo omogeneo. Ma non viene da gridare al miracolo per la direzione
di Albrecht, e un po' di furore in più non sarebbe guastato. Forse non farebbe
male calarsi nella carica eversiva che
questa musica ancora oggi potrebbe regalare, specie dimenticando i riferimenti
ad una 'arretratezza' (reazione) del metodo compositivo, oppure, nel migliore
dei casi ad una diversità
(mal)tollerata.
Stando a quello che ci racconta
Norman Lebrecht nel suo divertentissimo Il
mito del maestro (i grandi direttori
d'orchestra e le loro lotte per il potere), forse noto alla maggioranza dei
lettori di cd classica, sembrerebbe finita l'era dei direttori compositori. Gli
ultimi due, Bernstein e Boulez, dovendo dividere il loro tempo tra prove,
tournee, incisioni, battaglie per mantenere la loro posizione (artistica ed
economica), faticarono non poco a continuare il lavoro compositivo. Sembrerebbe, invece, che esistano parecchi
compositori direttori, anche se le loro orchestre sono poi spesso delle band predisposte appositamente per le esigenze
creative del momento: quelle di Nyman, di Glass, di Bryars hanno percorso in
lungo e largo i festivals estivi d'Italia e non. Penderecki, dal canto suo, non fa eccezione
alla regola, perché dirige sempre più spesso le sue composizioni orchestrali,
usando però ancora compagini più o meno classiche. E proprio l'occasione di un
suo recente concerto ci ha dato modo di registrare alcune sconcertanti
affermazioni: primo, la musica come arte astratta non dovrebbe contenere
messaggi politici; secondo, le sue composizioni se le dirige da sé perché lui
solo sa cosa farne. Terzo, non si scrive per comunicare e non è lecito nemmeno
un passo in direzione del gradimento del pubblico. A parte la naturale
eccitazione che condisce le conferenze stampa (e porta ad esagerare per essere
più incisivi:
Il Penderecki che suona Penderecki è
testimoniato da una delle sue composizioni più recenti. la Sinfonietta, scritta dal compositore polacco nel
'92 ed eseguita a Varsavia ed all' Expo
di Siviglia. Comincia con accordi sferzanti e ripetuti, immediatamente
contrastanti con gli assolo della viola, del violoncello e del violino, che entra
virtuosisticamente con profusione di doppi suoni. Particelle tematiche di poche note passano
poi da un lato all'altro dell'orchestra d'archi, creando un effetto
'elettronico' di emissione sonora (quanta musica elettronica distribuisce in
questo modo le frasi in amplificatori disposti circolarmente?). Cambi di tempo improvvisi cedono il passo alla viola solista, strumento
privilegiato della Sinfonietta,
e ancora l'orchestra riprende un
frammento da quella esposizione e lo galvanizza fino alle estreme conseguenze:
l'esplosione verso gli acuti conclusa dal violoncello ai limiti delle
possibilità di estensione. Infine un dialogo di pizzicati tra violoncelli e
contrabbassi conduce all'ostinato e al vorticoso, rutilante gioco conclusivo.
La
scrittura orchestrale, qui vicina forse a Bartok, altrove accostata invece
all'opera di Xenakis per il vorticare di clusters,
diventa aforistica nei lavori per quartetto d'archi, e specie nel primo dà
il via ad un uso esteso delle possibilità di produzione del suono degli archi.
Virtuosismo, aggressività, effetti percussivi, glissandi (come non usarne dopo
la mirabile descrizione nel Faust manniano?), misti naturalmente all'uso di serie
permutate, rendono questa musica estremamente specialistica, più tesa a
documentare l'iter compositivo
dell'autore che a testimoniare l'acquisizione di una consapevolezza estetica
attuale o attualizzabile. Ciò vuol dire che bisogna aspettare
TAN DUN
Nine songs, ritual opera.
Nine songs
Ensemble and Chorus, Tan Dun. CRI
603. 70'33". Note (Ingl.). Testi. Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Luogo non indicato. 12-21 maggio 1989. Tenuto conto della straordinarietà del
lavoro si rileva un'eccezionale resa di strumenti non convenzionali, ed una
ottimale riproduzione della voce.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Ecco
un lavoro che sfugge alle abituali e facili classificazioni. Si tratta di Nine Songs di Tan Dun, ispirati ad
altrettanti componimenti poetici di Qu Yuan, antico poeta rituale cinese. Una
precisazione va fatta subito: si tratta di musica scritta per il teatro, con il
corredo di danzatori ed attori, e questo è immediatamente evidente, perché la
concentrazione interiore delle interruzioni sonore al silenzio dell'azione
teatrale rimanda necessariamente ad un movimento altro dalla musica. Qualcosa
che accade in un luogo diverso da quello temporale, capace di astrarre
attraverso lenti o accelerati/esasperati movimenti del corpo. Qui, spazio e
tempo alludono a reciproche, intime, minuscole connessioni, tali da trarre
quasi in trance ipnotica
l'ascoltatore. Può essere contento Tan Dun, il quale per comporre questa
musica ha sentito la necessità di
astrarsi dalle occupazioni quotidiane, e
dagli affetti: così è riuscito a trasmettere la magia dei rituali sciamanici e
la malia dei riti magici e misterici del suo paese. E lo ha fatto senza
riprodurre una musica soltanto folclorica, o meramente popolare, dal momento
che i diagrammi scritturali da lui usati, pur suggerendo le antiche calligrafie
cinesi, sono in realtà il risultato di studi semiografici sulla voce, sulle
percussioni, sulle intensità collegate alle velocità.
Il
risultato è un uso della voce molto legato al lavoro sul pitch, in grado di raggiungere acuti in glissato e di ricadere
attraverso una padronanza tecnica, sia di scrittura che di esecuzione,
assolutamente originale, ed unica a questi livelli. Collegherei, per concludere, questo
disco ai Canti del Capricorno di Giacinto Scelsi, interpretati da Michiko
Hirayama (Wergo 60127-50): i due lavori sono complementari, e risvegliano
sopite zone dell'anima, a patto d'essere disposti all'abdicazione e al
rapimento. Anche Evento, una
operina di Gabriele Montagano purtroppo
inedita, raggiunge una simile profondità di ricerca nell'uso della voce.
STANFORD / HOWELLS
Sacred Music
The
Giudizio tecnico:
OTTIMO. Mancante di
indicazioni. Stereo. Ely Cathedral. Febbraio 1992. Registrazione con buon
amalgama vocale, talora non precisissima nei dettagli.
Interpretazione:
OTTIMA
Bello,
raccolto, omogeneo ed imperdibile per gli amanti del genere, questo compact
dedicato alla produzione religiosa di Charles Villiers Stanford e di Herbert
Howells. Il primo, irlandese di nascita, si trasferì presto a Londra
compiendovi gli studi musicali (se si eccettua una parentesi berlinese con
Kiel). Divenuto prima organista e poi professore al Royal College of Music,
ricoprì pian piano moltissimi incarichi in punti nodali della formazione e
produzione musicale britannica, divenendo un vero e proprio caposcuola (viene
definito da John Rutter come il "padre spirituale" di Vaughan,
Williams, Holst, Bridge, Butterworth, Bliss ...), ed un infaticabile promotore
di iniziative vòlte alla rinascita del teatro musicale, o alla rielaborazione
del ricco patrimonio folclorico irlandese. Il suo stile è ancorato agli stilemi
del tardoromanticismo (nasceva nel secolo scorso e moriva nel 1924), pur vivificato
dall'influenza popolare, e nobilitato dalla scrittura di opere dedicate alla
produzione sacra anglicana. Il compact in esame raccoglie due brevi Magnificat (il primo con la voce solista di Caroline
Ashton); due Anthems: "O for a closer Walk" ed "I heard a voice
from heaven" col soprano solo Karen Kerslake; il breve "When Mary
thro' the garden went", il terzo numero dell'Op. 127, ispirata a Mary
Coleridge (ma la Mary del titolo è naturalmente Maria Maddalena). L'inno
"Te Deum" è il brano più lungo tra i prescelti in questa piccola
selezione dal mare magnum della
musica sacra (e dall'oceano di quella vocale) composta da Stanford.
Herbert
Norman Howells, meno noto e prolifico di Stanford, fu suo allievo al Royal
College of Music di Londra, restandovi poi come insegnante di composizione. Pur
se di una generazione successiva, il suo linguaggio resta ancorato (se non per
qualche maggiore arditezza nelle modulazioni) alle radici nazionalistiche e
tradizionali della sua patria. S'è dedicato nel tempo alla produzione corale e
sacra senza però trascurare altre forme
e specie. Il disco presenta, di cospicuo, il Requiem, con la Kerslake, Frances Jellard e Andrew Gant come
solisti. E' il brano più lungo di un compact che riesce a restare omogeneo
nonostante i brani dei due compositori vengano alternati, e non presentati in
modo antologico. Omogenea sembra essere anche la prestazione del "The
Cambridge Singers" diretto da John Rutter ed accompagnato dal versatile
Wayne Marshall all'organo.
Symphony No. 3. Symphony No. 2.
The
Giudizio tecnico:
BUONO. Presa del suono non
indicata. Symphony Hall, Phoenix, 1993. Suono un po' 'vecchio' ma onesto.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Chissà
perché dai libretti d'accompagnamento di compact di compositori, specie
americani, emerge sempre la preoccupazione di mantenere un proprio linguaggio
'originale' nonostante la preparazione accademica, o nonostante la formazione
jazz, o nonostante gli studi in Europa. Pare quasi che la soggettività
americana debba sempre dipendere da un 'nonostante', come se il luogo comune
del successo, della personalità, dell'emergenza da luoghi oscuri fino alle
solari affermazioni di grazia e riconoscimento universale non appartengano a un
passato con fin troppi debiti verso
PAVONE
Song for (septet).
Pavone e band.
Distribuzione:
Sound and Music,
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Luogo
di registrazione non indicato. 1994. Registrazione ben bilanciata, suoni vividi
del contrabbasso.
Interpretazione: BUONA
BARON
RAIsed pleasure dot.
Baron, Eskelin,
Swell.
Distribuzione:
Sound and Music,
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Studio,
NYC, 1993. Suoni un po' ovattati, una maggior ruvidezza sarebbe gradita nelle
esplosioni di sassofono e sax tenore.
Interpretazione:
OTTIMA
File
under jazz presenta per CounterCurrents della New World Records due compact
dedicati a Mario Pavone ed a Joey Baron. Il primo è un monografico di Joey
Baron, con percussioni essenziali,
rarefatti colpi di bacchette ad intervalli binari, e una radicalità non priva
di interesse speculativo quando subentrano Ellery Eskelin al sassofono tenore e
Steve Swell al trombone. L'ensemble è povero ma le idee sono certamente in progress, anche quando il richiamo
esplicito sembra essere rivolto alle origini afroamericane. In Boss Hog, su un bit poverissimo di spazzola si
estendono dialoghi solipsistici degli
ottoni, raramente intrecciati in linee polifoniche, ed anzi uniti nel tema
finale esposto in raddoppio. La placida e contemplativa stasi cessa in lunghe
peregrinazioni free nel lapidario Hello!
Hello! Hello!, e si condensa in meditate frasi all'unisono in I've Been Holding It All My Life,
sviluppate su nodi similari in Stand Up. Quest'ultimo
brano ci pare il più riuscito del cd, perché lo sviluppo segue linee
significanti ed originali allo stesso tempo, offrendo una rara prova di
concentrazione, poi espansione, interiore del suono; a pochi, nel jazz, è dato
di utilizzare in questo modo anche il silenzio,
Il
secondo compact in esame vede impegnato il bassista Mario Pavone, assieme a
Marty Ehrlich (alto sassofono e clarinetti), Thomas Chapin (flauto), Peter
McEachern (trombone), Bill Ware (vibrafono), Peter Madsen (piano) e Steve Johns
(drums). I riferimenti attuali di Pavone sono dichiarati: da Stinson e Grimes a
Charlie Haden, Fred Hopkins ed il grande Mingus. Song for (septet) arriva dopo diversi dischi, e soprattutto dopo Sharpville, Shodo (per Alacra) e Toulon Days (per
BEATLES
Classical Mystery Tour.
Trio Rococo. RCA Victor 74321 22488 2. 52'27".
Senza note. Distribuzione: RCA, Roma
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Studio. Focus Recording Copenhagen. Marzo 1994. Squisito il bilanciamento tra
gli strumenti. Ottimi impasti sonori.
Interpretazione:
OTTIMA
BEATLES
Beatles Go Baroque.
Breiner and
Chamber Orchestra. Naxos
Int'l 8.990050. 56'44". Senza note. Distribuzione: ????????????
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Moyzes
Hall of the Slovak Philarmonic, Bratislava. Febbraio e marzo 1992. Qualche
strumento che emerge in assoli dall'orchestra non appare sempre col dovuto
rilievo, ma forse è una scelta estetica che simuli le sonorità di un 'reale'
concerto grosso.
Interpretazione: ECCEZIONALE
I
due dischi presentano una gustosa silloge di trascrizioni delle più celebri
canzoni dei Beatles: si tratta di un esperimento già tentato da John Bayless,
che da anni ripropone questi brani nello stile di Bach.
Per
la RCA, l Trio Rococo, formato da Niels Eje all'oboe, Inge Mulvad al
violoncello e Berit Spaelling all'arpa, s'inventa divertenti e rilassanti
arrangiamenti, dove l'intento della trascrizione appare evidente, perché la
linearità melodica viene conservata senza troppi problemi. Prevale, cioè,
l'adattamento (a questa particolare formazione) e la continuità (discorsiva) di
ciascuna song. I brani si susseguono così con bella opportunità da Eleanor Rigby, Yesterday, Here Comes Sun,
Because, fino a Michelle, And I Love Her (per arpa sola: molto brava la Spaelling,
che crea sempre un tessuto connettivo interessante), e I am the walrus (per
violoncelli: ma data l'inesistenza di note di copertina non si capisce se si
tratti di sovrapposizione di tracce o di compresenza di più esecutori). La
presenza di glissati rielaborati rende quest'ultimo tra i più arditi del
compact.
Il
cd Naxos, con Peter Breiner e la sua orchestra da camera, sembra andare più in
là del Trio Rococo, riproponendo gli standard nella forma del Concerto Grosso.
Naturalmente, l'espressione "forma" va intesa qui con una certa
elasticità: qui e là spunteranno sincopati jazz che tradiscono volutamente
l'origine di Breiner come pianista di quel genere. Può risultare interessante
la suddivisione dei brani all'interno dei quattro concerti: ad esempio, quello
"nello stile di Bach" comprende A
Hard Day's Night, Girl, And I Love Her, Paperback Writer, Help (solista al violino Juraj Cizmarovic). Quello
"nello stile di Haendel", She
Loves You, Lady Madonna, Fool on the Hill, Honey Pie, Penny Lane (solista
al violoncello Juraj Alexander).
Ultima
considerazione/domanda: che stia nascendo una Beatles music?
FLOYD
Susannah.
Studer,
Ramey, Orchestre de l'opera de Lyon, Nagano. Virgin Classic (2
cd) 7 243 54503924. 41'24", 53'13". Note e testi (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: EMI italiana,
Varese.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Studio, Opera de Lyon. 1993,1994. Buon dettaglio delle voci. Amalgama
orchestrale molto cutato.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Carlisle
Floyd è un allievo di Ernest Bacon (si perfezionò poi al pianoforte con Sidney
e Rudolf Firkusny) noto soprattutto per la produzione operistica, lavori con un
linguaggio che si fa beffe di atonalismo e
modernità, adagiandosi comodamente nel sito neoromantico (espresso, tra
l'altro, in epoche non sospette). Susannah
è la prima e la più nota di queste opere, scritta nel 1955 e rappresentata
al New York City Opera nel '56, con un tale successo di pubblico da essere dopo
pochi anni esportata all'esposizione di Bruxelles. Seguirono Wuttering Heights (del '56) e Of Mice and Men (del '69), certo non
all'altezza dell'apodittica serenità di questo lavoro giovanile (fu composto a
soli ventun anni). Il testo, raccolto dal libro di Daniele, possiede una trama
non complessa, come ci si aspetterebbe da un lavoro scritto nei mitici anni
Cinquanta; i personaggi sono caratterizzati in modo esemplare, con transfert
facili e identificazioni a portata di mano. L'ambientazione non è esente da
elementi biografici, perché situa l'opera nel Sud degli Stati Uniti,
raccontando con semplicità ipocrisie e rigidità dei piccoli paesi della
Caroline del Sud. La musica ancora ci parla dell'America, senza disdegnare
l'arte della citazione colta. L'Overture, di appena tre minuti, catapulta
immediatamente nello stile comunicativo ed espressivo di Floyd, grazie anche ad
agogiche e crescendo rispettati da Kent Nagano e dall'Orchestra dell'Opera di
Lione. It's a hot night for dancing cita apertamente Bach, trasformando il barocco
in scherzo gioioso. Tanta America nel duetto tra Sam (Jerry Hadley) e Susannah
(Cheryl Studer), con la prevalenza della commedia musicale, e non senza
citazioni dai primordi del blues, nella sua ricezione bianca. Momenti forti e drammatici non mancano,
come ad esempio nel finale della terza scena That crick oughta be right about here, dove ad un tratto emerge un
pizzico di oscurità in un lavoro complessivamente solare. Ultima notazione sulla
meravigliosa veste grafica del cofanetto, corredato di un libretto voluminoso
ma completo.
FLOYD
Susannah.
Studer,
Ramey, Orchestre de l'opera de Lyon, Nagano. Virgin Classic (2
cd) 7 243 54503924. 41'24", 53'13". Note e testi (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: EMI italiana,
Varese.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo.
Studio, Opera de Lyon. 1993,1994. Buon dettaglio delle voci. Amalgama
orchestrale molto cutato.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Carlisle
Floyd è un allievo di Ernest Bacon (si perfezionò poi al pianoforte con Sidney
e Rudolf Firkusny) noto soprattutto per la produzione operistica, lavori con un
linguaggio che si fa beffe di atonalismo e
modernità, adagiandosi comodamente nel sito neoromantico (espresso, tra
l'altro, in epoche non sospette). Susannah
è la prima e la più nota di queste opere, scritta nel 1955 e rappresentata
al New York City Opera nel '56, con un tale successo di pubblico da essere dopo
pochi anni esportata all'esposizione di Bruxelles. Seguirono Wuttering Heights (del '56) e Of Mice and Men (del '69), certo non
all'altezza dell'apodittica serenità di questo lavoro giovanile (fu composto a
soli ventun anni). Il testo, raccolto dal libro di Daniele, possiede una trama
non complessa, come ci si aspetterebbe da un lavoro scritto nei mitici anni
Cinquanta; i personaggi sono caratterizzati in modo esemplare, con transfert
facili e identificazioni a portata di mano. L'ambientazione non è esente da
elementi biografici, perché situa l'opera nel Sud degli Stati Uniti,
raccontando con semplicità ipocrisie e rigidità dei piccoli paesi della
Caroline del Sud. La musica ancora ci parla dell'America, senza disdegnare
l'arte della citazione colta. L'Overture, di appena tre minuti, catapulta
immediatamente nello stile comunicativo ed espressivo di Floyd, grazie anche ad
agogiche e crescendo rispettati da Kent Nagano e dall'Orchestra dell'Opera di
Lione. It's a hot night for dancing cita apertamente Bach, trasformando il barocco
in scherzo gioioso. Tanta America nel duetto tra Sam (Jerry Hadley) e Susannah
(Cheryl Studer), con la prevalenza della commedia musicale, e non senza
citazioni dai primordi del blues, nella sua ricezione bianca. Momenti forti e drammatici non mancano,
come ad esempio nel finale della terza scena That crick oughta be right about here, dove ad un tratto emerge un
pizzico di oscurità in un lavoro complessivamente solare. Ultima notazione
sulla meravigliosa veste grafica del cofanetto, corredato di un libretto
voluminoso ma completo.
PEROSI
Transitus Animae. Messa da
Requiem.
Cossotto,
Angelicum di Milano, Coro Polifonico di Milano, Bertola, Caracciolo, Zambelli,
Togni, Chigioni, Coro della Cappella dell3immacolata di Bergamo, Berruti,
Corbetta.
Sarx Records SXAM
2003-2. 68'28".Note (Ita. Ingl.).
Distributore: ???????????
Giudizio Tecnico
OTTIMO. ADD. Stereo.
Milano, Angelicum, 1963 (Transitus Animae), Studio, 1965 (Messa). Maggiore atmosfera nella registrazione
all'Angelicum. Meno calda, con eccesso di riverbero effetto chiesa in quella da
studio.
Interpretazione:
OTTIMA / BUONA
Come
è noto, Lorenzo Perosi svolse la sua attività come organista e compositore
dalla fine del secolo scorso fino alla prima metà dell'attuale, ricoprendo importanti cariche a
Montecassino, Imola, Venezia, e assumendo infine quella di direttore della
Cappella Sistina fino alla morte, avvenuta a Roma nel 1956. Le sue scritture,
perciò, almeno storicamente, attraversano tutte le vicende della crisi del
linguaggio, tutte le peripezie della tonalità e del suo superamento. Sarebbe
ingiusto affermare che non c'è traccia di tutto questo nei brani presenti nel
cd in esame, perché fermamente crediamo che la contemporaneità di un artista
sia data dalla sua sola presenza in seno agli eventi che percorrono la sua
epoca; ma esistono, sono rintracciabili, nicchie di sentimento, di rarefazione,
di ovattamento? anfratti infrastratici che filtrino i linguaggi consentendo una
tale straordinaria e completa sincerità e linearità di discorso? Nel caso di
Perosi, e specie nell'anomalo oratorio per mezzo soprano, coro e orchestra Transitus Animae, tale esemplare
trasparenza mi pare evidente, e non contestabile. Non sopraggiunge per nulla un
moto di protesta per il canto che giunge da nicchie di religiosa bellezza, e
con questa incredibile e apodittica affermazione di senso. Del resto, la sola
egida di "musica religiosa" non conferisce per ciò solo la stessa
potenza ai brani di Part o di Gorescki, certo più consapevoli del
"dopo", del già accaduto (come rialzarsi dopo una caduta, appunto).
Nessun inciampo per Lorenzo Perosi, che può modulare arditamente o giocare con
semplici progressioni, in modo sempre conseguenziale e coerente. Non può
mancare, infine, una parola per gli esecutori (si ricordi che si tratta di
registrazioni del '63 e '65): piace il solismo di Fiorenza Cossotto, ma
convince tantissimo anche il coro polifonico di Milano diretto da Giulio
Bertola. Un po' anatocistica, come sempre, la direzione di
TWINING
Shaman.
Bielawa, Twining,
Johnson, Purnhagen, Stewart. Catalyst 09026 61981 2. 66'46". Note (Ingl.).
Distribuzione: ?????????????
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Studio. NYC, 1993. Straordinaria
la strumentalità delle voci, realizzata con eccellenti missaggi.
Interpretazione: ECCEZIONALE
MARTLAND
Patrol.
The Steve Marland
Band, Marland, The Smith String Quartet. Catalyst 09026 62670 2. 57'37". Note (Ingl.).
Distribuzione: ?????????????
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. Inghilterra, Marzo
1993. Belle sonorità, mai incapsulate,
ed anzi ben spazializzate.
Interpretazione:
BUONA
MACMILLAN
Busqueda. Visitatio
Sepulchri.
Scottish
Chamber Orchestra, Bolton, MacMillan. Catalyst
09026 62669 2. 69'09". Note (Ingl.). Distribuzione: ?????????????
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Studio.
Scozia. 1993. Il suono dell' orchestra risulta un po' imbottigliato. Le
sonorità quelle dell'avanguardia storica già ampiamente digerita.
Interpretazione:
BUONA
World
music, lunghi bassi della Mongolia, accenti Africani, letteratura
rinascimentale. Queste ed altre cose troverete nel compact della Catalyst dal
titolo evocativo Shaman, dedicato ai
brani di Toby Twining. Si tratta di composizioni a cappella, dagli influssi
abbastanza riconoscibili, e tuttavia originali perché sommano uno o più
elementi tradizionali ad invenzioni vocali provenienti dalla fase della
sperimentazione. Hymn, eseguito con
l'aiuto del basso Peter Stewart che riempie i segmenti ritmici lasciati in
sospeso dal baritono, si contraddistingue per un inizio di marca
rinascimentale, tipo mottetto isoritmico; ma ecco che subito si è spiazzati
dall'ingresso di voci che oscillano su un tono alla maniera dei monaci
tibetani, e dall'ingresso di una melodia decisamente new age. Richi Richi Rubel si contraddistingue
per la presenza di una voce che simula il piatto sfregato dalla spazzola, altre
due in funzione accordale o sincopata, ed una quarta che esegue difficili
arpeggi di derivazione minimale. Munu
Munu ricorda placide distese sonore
realizzate con la voce e con il pitch che la deforma alla fine dell'emissione.
Molto di africano nel suggestivo Sanctus,
uno dei brani più riusciti del compact.
Steve
Martland scrive una musica che ricorda straordinariamente quella di Mertens per
il Ventre dell'architetto, il film di
Greenaway che i fortunati non avranno perso (e se l'hanno fatto ne esiste una
versione su nastro disponibile sul mercato). Ciò accade specialmente in Dance 1, commissionata insieme alle
altre tre con le quali forma ovviamente Danceworks,
dal London Contemporary Dance Theatre. Minimalismo europeo, quindi, e ancora
vivo e vegeto, a dispetto di chi lo vuole agonizzante sul selciato. Lo stesso
Glass pare si sia stufato di sentirsi chiamare 'minimalista': oggi si ritiene
un operista, ed in effetti lo sviluppo melodico lo rende un po' più leggero, e
quando ingrana la vena giusta anche più seducente (spiace non essere nostalgici
dei primi dischi; la nostalgia deprime ancor più dell'umor nero). Non si
capisce il motivo per cui dovrebbe interessare Principia, un brano di tre minuti dove il gioco pare essere quello
di proporre una specie di rock minimale, con batteria, suoni sintetici, e tutto
il corredo insieme. Patrol, il brano
più lungo, è forse anche il più riuscito, anche se stanca un po', e l'incipit degli archi ricorda Gorescki.
James
MacMillan, dal canto suo, sarà pure uno dei più passionali compositori
britannici, come lo definiscono le note di copertina, ma a noi non pare usi i
notevoli e pregiati strumenti compositivi di cui dispone per sortire esiti che
non appaiano già in tanta altra musica, specie di matrice americana (si sente
un po' di Barber nelle lunghe modulazioni). Belle idee sicuramente sia in Visitatio Sepulchri che in Bùsqueda. Ma non strappiamoci i capelli
dalla gioia.
LIGETI / KURTàG / ORBàN /
SZERVàNSZKY
Six Bagattelles. Ten Pieces / Wind Quintet Op. 2 / Wind Quintet /Wind
Quintet No. 1.
Philharmonisches
Blaeserquintett
Giudizio tecnico:
MEDIOCRE. DDD. Stereo.
Studio Swedisch Broadcasting Corporation, Svezia, Gennaio 1994. Registrazione
leggermente piatta, e senza particolare cura timbrica dei singoli strumenti.
Interpretazione:
BUONA
Il
Berlin Philharmonic Wind Quintet, con Michael Hasel al flauto, Andreas Wittmann
all'oboe, Walter Seyfarth al clarinetto, Fergus McWillian al corno ed Henning
Trog al fagotto, ci presenta un prescindibilissimo disco dedicato alla
produzione di Ligeti, Kurtàg, Orbàn e Szervànszky. Si tratta, in particolare,
del primo Quintetto per fiati, del '53, di Szervànszky, delle
Six Bagatelles di Ligeti (sempre del
'53) cui seguono i Dieci Pezzi (1968),
e del secondo Quintetto di Gyorgy
Kurtàg. Il disco è chiuso dal Wind
Quintet di Gyorgy Orbàn. Non che il gruppo suoni male: anzi, il suono è
ricercatissimo, le atmosfere sono ben dipinte, nessuna sforatura m'è riuscito
percepire. E tuttavia, fatta eccezione per i brani di Ligeti, di cui si dirà
oltre, la forma sembra soffocare questa produzione, e dà impronta di sé anche
nell'esecuzione del Berlin Wind Quintet. Un esempio valga per tutti: nel primo
dei Dieci Pezzi di Ligeti, a una nota
che va a spasso da esecutore ad esecutore se ne sovrappone altra a distanza di
semitono: è il classico stratagemma utilizzato da Scelsi (al quale Ligeti
ammise di dovere molto) per ottenere un suono "mobile", o leggermente
distorto. Quello stesso raggiunto con
facilità dai monaci tibetani, o dai pastori mongoli: suoni che mutano
impercettibilmente, suoni in movimento,
profondi come l' universo. Un semitono, se si ha questa consapevolezza,
non può restare in Ligeti un semplice semitono. E le volatine del quinto e del
sesto pezzo non sono che cadenze su quei suoni lunghi, giammai peregrinazioni
futili alla maniera degli sperimentali puri. Certo, altrove il gruppo sembra
intuire giusto, come ad esempio nell'ottavo dei Dieci Pezzi, dove da un impasto timbrico eccezionale si procede ad
un crescendo improvviso, e poi allo spegnimento. Molto interessante anche
l'esecuzione del brano di Orbàn, compositore che guarda alla musica cirstense
(e che perciò è facile accostare a Nino Rota, come si fa nelle note di
copertina), nell'ottica però di una musica da film che consenta una migliore
comunicazione col pubblico. L' ultima osservazione va rivolta al tipo di registrazione:
pochi armonici in libertà; un suono più aperto e timbricamente caratterizzato
avrebbe consentito una veicolazione più attuale e convincente.
TRADITIONAL
Séga ravanne mauricien.
Séga tambour de l'Ile Rodrigues
Zenfan
ti Riviere, L'oiseau Tetu, Cardinal Jaune, Gaspard. Ocora C 580060.
50'58". Note (Fr., Ingl., Ted.).
Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico:
BUONO. ADD. Stereo.
Maurice, Rodrigues. 1981. Non tutti i brani presentano la stessa qualità.
Interpretazione:
BUONA
Varie
sono le etimologie del termine séga, e vengono riportate con bella accuratezza
nel libretto d'accompagnamento al cd in esame: deriva dalla danza del serpente
sanscrita, da un motto africano, da un adattamento dal francese (malgasche e poi sé gasse e poi séga) o da
altro ancora? Non si sa. Di certo "séga" indica il genere musicale
prevalente delle isole Mauritius, Rodrigues e delle Seychelles, e sicuramente
ha origine in danze rituali collegate con la schiavitù, e con i rituali di alcool,
morte e sesso del diciannovesimo secolo.
Cosa sia rimasto di quelle antiche nenie e danze, subito decisamente e
rigorosamente proibite (potere-sapere della musica; essa va addomesticata ed
imbrigliata, perché potrebbe ricordare alle menti in schiavitù che esistono
luoghi volatili come aliti di vento) viene precisato anche dall'estensore delle
note esplicative: forme imbastardite come la versione edulcorata dal costume
urbano, o come la séga turistica, e pochi cantori tipici (a proposito, Ocora presenta
altri due titoli affini in catalogo: Hommage
à Ti Frère, C 560019; e Musiques
oubliées des Iles, C 559055, un viaggio alle musiche dimenticate delle
Seychelles). Il compact offre una panoramica su diversi gruppi e tecniche del
genere. Il primo è lo "Zenfan ti Rivière", che si iscrive nella sèga
ravanne mauricien, perché usa un tamburo suonato con ambedue le mani chiamato
appunto 'ravanne'. I brani presentati, sia esclusivamente strumentali che
cantati, sono estremamente ripetitivi, ipnotici e quasi sabbatici, come del
resto vuole l'origine della séga. L'appel
è solo strumentale, con percussioni piane che non osano disturbare troppo
col levare, ma proseguono in modo piuttosto lineare. Tangalé, Charani e Ena dix
sono nenie portate all'esasperazione, ed infine quasi gridate, dal testo
ripetitivo e descrittivo delle occupazioni quotidiane, con tanto d'elenco di
piccoli e grandi dispiaceri. Il secondo gruppo è "L'Oiseau Tetu",
appartenente al genere della sega Tambour delle Rodrigues. Presenta una silloge
di canti più controllati con percussioni. Anche in questo caso si tratta di
musica molto ripetitiva, che pur interessando i cultori del genere potrebbe
risultare stancante e noiosa per gli altri. Il compact si chiude con il gruppo
"Cardinal Jaune" e con due romanze in francese interpretate da
Lorenza Gaspard, assolutamente imperdibili.
GHULAM MUSTAFA KHAN
Raga Bilaskhani Todi. Raga
Puriya. Raga Pilu
Mustafa Khan ed
ensemble. Nimbus Records NI 5409. 74'32".
Note (Ingl.). Distribuzione: Nuova
Carisch, Milano.
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo.
Monmouth, 12 Novembre 1992. Sovente la voce sfora. Gli altri strumenti sono
tenuti troppo in sottofondo.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Non
si lasciano amare facilmente le lunghe peregrinazioni raga di Ghulam Mustafa
Khan. Questo per almeno due motivi: la prevalenza del parlato; la scarsa
sintonia con gli strumentisti accompagnatori. Vediamo meglio: perché prevalenza
del parlato? gli occidentali faticano a stare dietro a giochini eccessivamente
lunghi: i ventidue (ventidue) minuti di Charan
gahe ki rakho laj ed i ventidue (ventidue) di Eh piya gunevanta stancano chi è abituato a fruizioni che non
superano i quattro minuti, o chi è uso a recepire messaggi televisivi (non solo
pubblicitari) di trenta secondi. Ma questo può essere un parametro di giudizio?
Sicuramente lo è: se voglio ascoltare musica indiana devo entrarci
profondamente dentro, essere cioè catturato dalla magia incantatoria delle
microvariazioni raga che ogni artista riesce ad inserire nelle sue
performances. Non che il nostro ne sia incapace: quando calma l'eccesso
virtuosistico (che qui consiste in lunghi abbellimenti del parlato), come nel
conclusivo Ghir ke aayi badaria hai Raam,
ecco rifiorire la malia dell'India, o di quel che un occidentale può volere
dall'India. Una voce finalmente suadente,
che canta senza urlare, che
conquista l'attenzione al microscopico, che ci dice qualcosa di una
cultura dell'attenzione, della dolcezza, della gentilezza. Si guardino
fotografie dell'India, se non ci si è andati: gesti delicati, riprodotti da
donne di quattro generazioni. Drappeggi sempre identici, autobus sgangherati ma
lindi. Strade bianchissime. Mille divinità che guardano da ogni angolo. Anche
lotte sociali (e che lotte), ma una cultura vincente, quella della non
violenza, che ha insegnato qualcosa al mondo intero. Massimalizzo, certamente.
Ma esiste una differenza tra quello che la world music etnica può dire al mondo
e quello che al mondo interessa recepire e far suo, senza per questo discriminare?
E' rude la vocalità di quest'artista un po' panciuto, ancorché dai lineamenti
nobili come quelli di ogni indiano: sfora spesso e volentieri, e non c'è
tecnica di registrazione che possa occultare le impennate vocali; fa troppi
giri vacui; non tiene in nessun conto né l'harmonium di Mashkoor Hussain Khan
né la tabla di Ghulam Sultan Nalzi. Quest'ultima, che potrebbe offrire ben
altre suggestioni, c'è tanto per esserci, perché è sempre sullo sfondo, in modo
assolutamente inessenziale. E campeggia una affermazione della personalità
troppo palese per parlarci dell'India, a dispetto della fama di cantore, delle
nobili origini, dell'appartenenza ad una grande famiglia (etnia nell'etnia) di
musicisti.
TRADITIONAL
Our Hope
The Male Choir of
the
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Mosca.
1992. Benché con un effetto lontananza eccessivo, coro nell'insieme e solisti
assai ben bilanciati.
Interpretazione:
OTTIMA
Il
cd in esame riunisce folk-songs e traditional russi ed ebraici eseguiti dal
Male Choir Cantor Art Academy, una formazione che riunisce voci di
professionisti e di semplici amatori. Va detto subito che si tratta di una raccolta
variegata, e tuttavia non priva di quel fascino segreto che permea un po' tutte
le musiche russe, e più d'una traccia suggerisce agli appassionati della
filmografia russa (e polacca) situazioni e scene un po' immaginate e un po'
realmente viste, magari al cineforum dei padri gesuiti (sono sempre i padri
gesuiti ad organizzare cineforum...). Un disco evocativo, certamente, perché la
vocalità spontanea rappresentata qui è ben lontana, ad esempio, da quella degli
amatori inglesi, o dalla pacchiana imitazione
italiana. Altra stranezza, il fatto che almeno nella prima track, il pensiero
corra alle esecuzioni di sequenze; ed in effetti si tratta di Shalom Aleychem, un traditional usato
nella cerimonia ebraica del sabato. La sensazione si rafforza con Boruch Kel Elyoyn, con la stessa
matrice. In Kadsheynu, tenore e basso
s'alternano con l'accompagnamento del coro, in un lirismo solo apparentemente
ed inizialmente occidentale: ecco subito il "fervore ebraico" venire
allo scoperto. Un inno, invece,
abbastanza consueto, quello composto da Louis Lewandowski, Ma Towu. Certo virtuosistico Sim
Shalom, con giochi ritmici di classe, ed un fascino particolare dei singoli
cantori, con assoli vibranti e pieni di
piccole appoggiature di parlato. Molto espressivo, ancorché sovente monodico, Moydim Anachnu Loch, dove un cantore
intona frasi liriche alternate all'intervento molto ritmato del coro, in un
gioco di botta e risposta di rara intima concentrazione. Complessivamente un
disco dal 'colore' molto accentuato, davvero godibile, specie in serate
silenziose e solitarie.
KANTé (MAMADOU)
Les Tambours du Mali
Kanté,
Diarra, Camara, Diakité. Playa Sound PS 65132. 59'47". Note (Fr. Ingl.).
Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Data e
luogo di registrazione non indicati. La resa delle percussioni non è malvagia.
Tuttavia secca molto, all'ascolto, il fatto che il suono venga staccato alla
fine di ogni pezzo senza concedere nessuna risonanza naturale ai tamburi.
Interpretazione:
OTTIMA
Il
Mali è quel ch'è rimasto di un paese che comprendeva originariamente Gambia,
Senegal e Guinea, con i quali condivide
tuttora notevoli radici musicali. Attualmente confina con l'Algeria, il Niger,
CHASALOW
Winding Up. Fast Forward. Over the Edge. The Fury of Rainstorms. Hanging
in the balance. The Furies. First Quartet for string quartet.
Speculum Musicae
String Quartet, Schneider, Knoles, Spencer, Schadeberg, Sherry.
Giudizio tecnico:
BUONO-OTTIMO . DDD. Studio,
date e luoghi di registrazione diversi per ciascun brano.Non sempre omologate
le diversità tra le registrazioni.
Interpretazione:
OTTIMA (Schadeberg) MEDIOCRE
THORNE / SESSIONS
Piano Concerto No 3 /
Concerto for Piano and Orchestra.
Oppens, Taub, The
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo.
Studio, Purchase College, 1-2/1994. La registrazione resta ottimale, il
pianoforte vien fuori bene, ma i timbri potevano essere migliorati.
Interpretazione:
OTTIMA (Oppens) BUONA (Taub)
ROREM
Piano Concerto for left hand and Orchestra. Eleven studies for eleven
players.
Graffman, The
Symphony Orchestra of the Curtis Institute of Music, Previn.
Giudizio tecnico:
DDD. Stereo. Academy of
Music, The Curtis Institute of Music, Philadelphia, 1993.Curata la timbrica del
pianoforte.
Interpretazione:
OTTIMA
FENNELLY
In wildness is the preservation of the World.
Polish Radio
National Symphony Orchestra, Suben, Symphony Orchestra of the Czechoslovak
Radio of
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Stereo. Date e
luoghi di registrazioni diversi per ogni brano.Percepibili le ambientazioni
diffrenti, ma nel complesso ben valutabili.
Interpretazione:
BUONA
Eric Chasalow è stato allievo di
Mario Davidovsky alla Columbia University, dove Davidovsky era associato
all'Electronic Music Center. Ma se il maestro era riuscito a personalizzare un
genere già di per sé sufficientemente asettico, anche se alleggerito da un uso
misto di elettronica, sintetizzazioni e strumenti comuni, l'allievo risulta non
particolarmente originale, ed anzi abbastanza ipocondriaco e ripetitivo: dà
malinconia già Winding Up per corno,
con buona pace di Bruno Schneider, che deve aver faticato non poco per
eseguirlo (ma quale differenza con l'introspezione dei Quattro pezzi per corno solo di Scelsi, eseguiti mirabilmente da
Guido Corti!). Ancora più asettico, Fast
Forward, per tape e percussioni: quasi sette minuti di inesorabili
cascatelle ritmiche e timbriche. Efficace invece, anche per la brevità
aforistica, The Fury of Rainstorms,
per tape ma con un uso quasi allucinatorio della voce di Christine Schandeberg:
per un attimo l'attenzione si desta, salvo subito placarsi con Hanging in the Balance: ancora
ripetitivo, ed indagatorio delle possibilità infinitesime dei bits.
Il sogno, ci pare, è sempre il medesimo: realizzare a casa propria,
magari con semplice tecnologia MIDI, quei brani poco eseguibili o ineseguibili
con mezzi tradizionali. L'assunto filosofico è discutibile, per ragioni che
sarebbe troppo lungo indagare ed indicare. Si accennerà soltanto che, se da un
lato la MIDI music viene maltrattata dai cultori della elettronica e della
computer music, considerata come sorella minore (e magari deficiente) per il
fatto che pochezza d'idee estetiche ed imperizia nel mezzo di fatto
sottoutilizzano il personal ed il suo
software, dall'altro una schiera di
musicisti "colti" se ne servono soltanto per trasferire le loro
costruzioni sul video, e sentirle finalmente eseguite. Non sempre si pensa che:
1- la larga interfaccia utente della MIDI consentirebbe una veicolarità
diretta, senza intermediazioni dell'interprete, e renderebbe più vicino quel
villaggio globale virtuale (di compositori?) del quale tanto si ciancia; 2-
Il secondo, breve compact in esame raccoglie due concerti per pianoforte e
orchestra, il terzo di Francis Thorne e l'unico di Roger Sessions. Come già
accennato altrove (di Sessions sono state recensite di recente su CD Classica
Ned Rorem ha una vena fresca ed
originale, il suo stile si avvicina a quello degli americani estrosi, da
Copland a Bernstein, con qualche ammiccamento a Satie e Poulenc. Nel bel Concerto per mano sinistra ed orchestra,
naturalmente, gli accenni vengono rivolti a Ravel, sia per le armonie che per
le espressive frammentazioni tematiche che talora intercalano l'intervento dei
fiati in crescendo. Un impressionismo molto romantico, come accade a molti
epigoni di Ravel, ma certamente di
grande effetto, perché il gioco è scoperto: si sta lavorando a doppia trama.
Curiosa la divisione dei tre tempi in altrettante scenette: Opening Passacaglia, Tarantella,
Conversation, Hymn, Duet (con il violoncello), Vignette, Medley (inutile dire che si tratta di una sorta di
riassunto tematico dell'intera opera), Closing Passacaglia. Le due Passacaglie
sono i momenti stilisticamente più 'veri', meno basati sulla citazione, perché
la variazione è intesa come gioco sulle altezze. Bisogna dire un gran bene sia
di Gary Graffman, in grado di interpretare, finalmente, i rallentati ed i
crescendo con un pianismo che abbia cognizione di causa e un minimo di grinta.
In molti luoghi vien fuori anche la personalità di Previn, più raffinata, ma
coerente e consapevole del gioco. Meno entusiasmante gli Undici Studi per Undici Suonatori, un po' più speculativo, ma
comunque originale, e da ascoltare.
L'ultimo compact in esame raccoglie
diversi brani di Brian Fennelly, compositore newyorkese allievo, tra gli altri,
di George Perle e Donald Martino (sempre
CAGE
In a Landscape. Music for Marcel Duchamp. Souvenir. A Valentine Out of
Season. Suite for Toy Piano. Bacchanale. Prelude for Meditation. Dream.
Drury. Catalyst
09026 61980 2. 59'22". Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. NYC. 1993-1994. Bel trattamento timbrico del pianoforte, anche
preparato.
Interpretazione:
OTTIMA.
RAUTAVAARA
Cantus Articus. String Quartet No. 4. Symphony No. 5.
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. NYC. 1994, tranne Symphony, 1989-90. Effetti pieni e soddisfacenti
specie nella sovrapposizione tra uccelli e orchestra nella title track.
Interpretazione:
OTTIMA.
Due
bei dischi della Catalyst, in tendenza con gli altri già recensiti su queste
pagine per quanto riguarda la grafica splendida delle copertine e dei compact:
l'oggetto disco come piccola opera d'arte in sé appare tema affascinante, forse
da trattare come capitolo per estetiche del futuro. Due dischi, tuttavia, molto
più interessanti dei precedenti, perché la musica di entrambi è godibile e di indubbio
interesse intrinseco. Cominciamo da Rautavaara: è un compositore finlandese
formatosi negli Stati Uniti con Vincent
Persichetti alla Juilliard, e poi con Sessions e Copland a Tanglewood. La sua
musica riesce con difficoltà ad essere classificata, e già questo la dice
lunga, e bene, sull'intensità d'emozione che è possibile recepire all'ascolto,
al di là di riferimenti stilistici oggi quasi sempre possibili. Di bella
fattura il Quartetto, eseguito in modo serio, concentrato ed efficace dal
Sirius: una giovane formazione già nota anche in Italia per la sua
partecipazione a qualche rassegna. Ma convince appieno, sia per l'idea che per
l'intensità impressionistica, il Cantus
Articus, che sovrappone stridii d'uccelli a maree debussiane.
Il
compact dedicato a Cage merita un "ottimo" sia per la scelta dei
brani, della loro sequenza intendo, sia per l'interpretazione, effettivamente
cageana, che ne dà Stephen Drury (anche al pianoforte preparato). La
title-track mi fa stabilire una linea continuativa d'interpretazione tra certi
girotondi di Satie, il Cage modale, e l'opera di Einaudi.
GORECKI
Miserere. Amen. Euntes
ibant et flebbant. Wislo Moja, Wislo Szara Szeroka Woda.
Lira Chambers
Chorus, Ding. Elektra Nonesuch
7559-79348-2. 61'25".
Note (Ingl. Fr. Ted. ). Testi. Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. St. Mary of the
Angels Churc,
Interpretazione:
OTTIMA.
REICH
Tehillim. Three Movements.
Schoenberg
Ensemble, De Leeuw,
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Wisseloord
Studios,
Interpretazione:
BUONA.
A
confronto, nelle due novità Nonesuch, opposte concezioni per intendere
TRADITIONAL
Inde du Sud. L'art de la
vina.
Raga Shri. Raga Vachaspathi.
E.S. Shastry. Ocora Radio France C 580062. 43'39".
Note (Ingl. Fr. Ted. ). Distribuzione: ????????????????
Giudizio tecnico: BUONO.
ADD. 1975. Privo di altre notizie.
Efficace resa di molti effetti "non convenzionali" della vina.
Interpretazione:
OTTIMA.
TRADITIONAL
Ouzbékistan
Monajat, Tanavar, Girya,
Sham u saharlanda, Kim avval kim ilgari, Tanavar, Chargah, Ushshaq, Saqiname-i
Bayat, Dasht-i nava, Aylading. Dogah-Hosany.
Monajat
Yultchieva. Ocora Radio France C 560060.
76'15". Note (Ingl. Fr. Ted. ). Testi. Distribuzione: ????????????????
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. 1994. Privo di altre notizie.
Ottimo lo spessore timbrico della voce, ben riprodotto.
Interpretazione:
OTTIMA.
I
due compact che qui si presentano appartengono alla collezione Ocora Radio
France, che ha il pregio di fornire un dettagliatissimo lavoro di ricerca
intrecciato. I libretti sono completi di testi, loro traduzioni, e di
efficacissime note informative, anche se non ancora redatte in italiano: ma
questa è prassi comune. Il primo raccoglie raga dell'India del Sud, carnatica,
che si differenzia da quella del Nord, detta indostana, perché quest'ultima è
ricca di influenze musulmane. Il compact raccoglie quattro pezzi, accoppiati a
due a due: un raga Shri, non nella sua forma originale, più un Kirtnam, sorta
di tema con variazione; e un raga Vachaspathi, dove le note principali sono
do-re-mi e sol-la-sib, anch'esso seguito da una variazione molto ritmica.
L'esecutore, che sempre fa suo il raga, mi sembra al meglio soprattutto nel
primo, interpretatissimo raga, e non mi pare renda tanto quando nel finale
diventa ritmico in eccesso.
Il
secondo compact è interamente dedicato ad una stella del maqam, Monajat
Yultchieva, che presenta una serie di languide ma bellissime canzoni
dell'Usbechistan, paese dell'Asia Centrale vicinissimo all'India (ne è separato
soltanto da una stretta fascia di terra), al Pakistan, all'Afghanistan e
all'Iran. La particolarissima voce di questa cantante è famosa per
l'estensione, soprattutto nelle zone alte ( chiamate awj), che riesce a coprire senza alterare i
testi o sforzare
TRADITIONAL
"The music of
Lorestan, Iran"
Sangin Se-pa, Se-pa, Do-pa,
'Ashayeri, Shane-shaki, Savar-Bazi.
Shahmirza
Moradi, Reza Moradi. Nimbus Records NI
5397. 77'44". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????????
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Privo di notizie. Generale appiattimento delle sonorità.
Interpretazione:
DISCRETA.
Questo
compact presenta una selezione delle musiche del Lorestan, una provincia
situata a Sud-Ovest dell'Iran. Si tratta di lunghi pezzi eseguiti da Shahmirza
Moradi, virtuoso di zorna, o zurna (ci sono almeno una decina di varianti del
nome, in base alle diverse zone in cui lo strumento è presente), accompagnato
dalle percussioni di Reza Moradi, per restare in famiglia, come è lì usuale. La
zurna è una sorta di cialamello a doppia ancia, dal suono simile a quello di un
oboe, formato da un solo pezzo di legno, lungo circa quaranta centimetri, allargato a trombetta, con sette od otto
fori. Le sue possibilità sono alquanto limitate, e per questo motivo si può
facilmente intuire che un disco interamente dedicato alle performance su
melodie di maqam sia un po' ripetitivo, anche per il fatto che la musica di
queste zone, avendo una natura soprattutto cerimoniale, epica o guerresca,
predilige ritmi di accompagnamento piuttosto semplici (anche se l'aggettivo non
ha, nelle intenzioni di chi scrive, una connotazione qualitativa), e ha una
lunghezza eccessiva, tra i dieci e i venti minuti a brano. Il tutto resta
abbastanza ipnotico, e bisogna dire che minuscole variazioni infratoniche
rendono comunque appetitoso il timbro e l'esecuzione di Moradi.
VAILLANT / TESI / TROVESI /
SAUVAIGO / AVENEL
"Colline"
MAIENCA DANSA / IL
FUNAMBOLO / PROMENADE / LI BARQUETAS DE SANT JOAN / TARANTELLA ROUGE ET NOIRE /
ROMANCE (VAIL.) MAZURCAZIONE (TESI).
Tesi,
Vaillant, Trovesi. Silex Y225048. 50'03". Senza note. Testi.
Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Studio GAM , Belgio, Giugno 1994. Suoni puliti, timbri netti e ben definiti.
Interpretazione:
OTTIMA
Ci
siamo occupati di Riccardo Tesi e Patrick Vaillant recensendo i due dischi
della Silex Véranda e Anita Anita (Y 225002, Y 225037). Le
songs mescolavano brani originali di Tesi e arrangiamenti da traditional, e noi
non ci esimevamo dall'auspicare maggiori interventi soltanto strumentali, cosa
che accade in questo disco frizzante e divertente, come è nello stile del
gruppo. "Mormorii di colline nomadi", recita la frase-programma
stampata sul disco: ed in effetti vi si conferma la vocazione un po' errante,
sempre più coraggiosa, di Riccardo Tesi, che firma la maggior parte delle
composizioni. Ma, come si sarà letto nel sommarietto, anche Trovesi e Vaillant
trovano ampio spazio, e l'amalgama è ben costruito. Bene funzionano le
accoppiate tra l'accordéon diatonico di Tesi e la mandola e mandolino di
Vaillant, ai quali si aggiungono il clarinetto ed il sax di Trovesi. Gradevoli
gli interventi del contrabbasso di Jean-Jacques Avenel, un po' scontata invece
la batteria di Joel Allouch. La
malinconia argentina, mista alla tradizione provenzale, ed alla loro
derivazione da balera, sono egualmente vive. Mi disturba soltanto un certo
sperimentalismo di risulta che ogni tanto fa capolino senza ragione (troppo, ad
esempio, in Promenade), e gli
stacchetti desituazionisti stili new-age (ovviamente non danno fastidio in sé,
ma sono troppo riconoscibili ed isolati). Ma comprerei lo stesso il disco.
BERIO / SCELSI / TAKEMITSU
/ STOCKHAUSEN / JOLAS
"The Solitary Saxophone"
In Freundschaft (
Delangle.
BIS-CD-640. 69'51". Note (Ingl. Fr.
Ted.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico:
OTTIMO. DDD. Furuby Church, Sweden, 1-5 luglio 1994
Straordinario lavoro di rifinitura dei timbri, in grado di seguire le
rarefazioni del solista.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Bisonga
dire che il sassofonista Claude Delange, in forza all'Ensemble
InterContemporain di Boulez ed anche "forza maggiore del mondo del
sassofono in Francia", ha fatto una scelta di brani varia solo in
apparenza, ma poi risultante all'ascolto molto omogenea e ragionata, anche
nella discontinuità che le sequenze di Berio e In Freundschaft di Stockhausen forniscono a tutta
FRANKEL
Symphonies 1 & 5. May Day Overture op. 22.
Giudizio tecnico:
DISCRETO. DDD. Privo di notizie.
Interpretazione:
DISCRETA
Benjamin
Frankel, nato a Londra nel 1906, è poco noto come compositore, anche se chissà
quante volte avremo udito musiche sue accompagnare film noti ("Tempesta
sul Nilo", "La fine dell'avventura"). Dopo aver studiato in
Germania, conobbe anni difficili, e suonò non solo come pianista ma anche come
violinista, arrangiando brani di hot jazz, e diventando infine richiestissimo
come direttore degli shows tenuti ai quartieri del West Ends di Londra. Nel
1933 la sua prima importante esecuzione "seria", ad un concerto
tenuto presso il suo atelier, e l'emergenza delle sue ragioni di etniche, che
lo portarono a considerare, per un certo periodo di tempo, l'opportunità di
definirsi "compositore ebreo" come necessità esistenziale e
riferimenti formali. Dal '34 scrive musica da film: le sue partiture ammontano
ad un centinaio. Doveva poi pagare con lo scetticismo altrui il fatto d'essersi
"contaminato" con la musica cosiddetta leggera. Approdò nel '46 alla
Guildhall School of Music di Londra, dedicandosi con maggior cura alla sua
produzione "complessa". Poi accade secondo noi l'irreparabile: perché
nel '57 Frankel emigra in Svizzera, apprende il metodo di Schoenberg
studiandolo assieme al suo amico Hans Keller, e tra il '62 e il '72 scrive le
sinfonie, tra cui la prima e la quinta qui presentate. Evidentemente la voglia
di crearsi una 'presentabilità' e di darsi uno statuto di 'musicista colto'
rendono insopportabilmente pesante la sua scrittura: per averne una prova, si
ascolti l'overture "May Day", del 1948, che chiude il disco: nove
minuti di libertà.
CRUMB
Gnomic Variations. Processional. Ancient Voices of Children
Fuat Kent,
Bourbeau, Schaaf, Ensemble New Art. WWE
31876. 54'25". Note (Ingl. Fr. Ted.).Testi. Distribuzione: ????????????????
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Musikhochschule Munchen,
Settembre-Ottobre 1992. Sufficientemente netti anche i suoni non convenzionali
del pianoforte.
Interpretazione:
DISCRETA
Di
George Crumb ci siamo già occupati in uno dei numeri scorsi di CD classica, a
proposito di Black Angels, Thirteen
Images from the Dark Land (Nonesuch
7559-79242-2). Quello che abbiamo tra le mani, invece, è un monografico della
serie "Col legno" che racchiude uno dei lavori fondamentali del
compositore statunitense: le Ancient
Voices of Children, scritto nel '70
e composto di otto brani su testo di Garcìa Lorca, di cui due puramente
strumentali, e cinque vocali. E' soprattutto su questi che si poggia
l'attenzione, dal momento che vi trovano posto sia l'impiego di mezzi
estremamente virtuosistici e sperimentali, sia la pratica della citazione
deformata. Numerosi elementi interetnici arricchiscono, pertanto, un brano
pensato per essere anche 'rappresentato', con elementi scenici come l'entrata a
sorpresa di un giovane (boy, garzon) che canta come un soprano (nel disco è
effettivamente una donna). Molto deludenti, invece, i due brani pianistici,
specialmente le Gnomic Variations del
1981, che ho trovato prolisse e ripetitive (19'21"). Un bell'incipit m'è
parso non reso con la dovuta sensibilità (che oggi finalmente tutti possediamo)
dal pianista Fuat Kent, soprattutto per quel che riguarda le dinamiche. Più
sopportabile Processional, che esiste
curiosamente in due versioni: una senza effetti speciali (gli interventi all'esterno
della tastiera), l'altra con questi ultimi.
RAIFF / VANDEN BOSCH / BEDEUR
On line. Lo"o"st Waltz. Sand glass. Ma non troppo. The words
to say. Estepona. First tooth. Song for Mia. Lucky. Time goes too fast.
Raiff Trio, Farmer,
Loos. Pavane ADW 7268. 54'37".
Senza note. Distribuzione: ????????????
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio DES, Brussels,
Gennaio 1992. Registrazione volutamente ovattata, dai toni intimi e discreti.
Interpretazione:
BUONA
"On
Line" raccoglie brani composti prevalentemente da Guy Raiff, eccettuato Sand Glass del batterista Luc Vanden
Bosch e Lucky del contrabbassista
José Bedeur. L'atmosfera della title-track è aggressiva e misterica, le
sonorità abbastanza elettriche, senza mai eccedere in sforature dinamiche. Un
lungo assolo del contrabbasso si intercala a quello della chitarra elettrica di
Raiff, che quando non girovaga per la tastiera crea atmosfere lunghe con
accordi tenuti. Il tutto resta sempre abbastanza comunicativo e 'ad effetto'. La
seconda traccia, Lo"o"st Waltz sembra evocare alcune atmosfere evansiane,
almeno nell'accompagnamento e nell'armonizzazione di Charles Loos. Lo sviluppo
resta piuttosto comune, ed il pezzo è complessivamente gradevole, anche se le
frasi sono un po' prevedibili, specialmente nei crescendo e nelle rarefazioni
discorsive delle frasi affidate al piano. Le atmosfere e gli accordi alla Miles
Davis versione elettrica pervadono invece Sand
glass, con qualche effetto al vetro di troppo, e qualche ingenuità nella
eccessiva fluidità solo accordale di certi passi. Bello il suono un po' roco
della tromba di Art Farmer in Ma non
troppo, finché gli è possibile emetterlo senza manipolazioni e riverberi,
che fanno un po' retro, un po' escursus vacuo già sentito. The words to say it concede molto al tessuto soft della batteria,
ma dona grande scorrevolezza da standard a questo brano, forse sovrapponibile a
qualche altra melodia di successo; delude, tuttavia, l'incapacità di sviluppo e
di espansione strumentale delle linee tematiche: subito subentra l'invenzione
solistica, forse senza aver portato a compimento le (belle) tracce già
lanciate.
CLEMENCIC
Kabbala
Clemencic
Consort, Clemencic.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Chiesa di San Francesco, Cividale del Friuli. 29 luglio
1992. Buona spazializzazione, bella resa delle voci. Forse l'amalgama con
l'orchestra poteva essere più bilanciato.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
La
collana "col legno", specializzata in musica scritta dopo il 1950, ci
propone Kabbala, un oratorio di René Clemencic. Artista versatile, ma a modo
suo conseguenziale e completo, il Nostro è noto come direttore di un ensemble
di musica antica, il Clemencic Consort, ma anche come musicologo, scrittore,
compositore. A latere della sua attività squisitamente musicale, ha curato gli
studi filosofici, e la passione per gli incunaboli, per opere e sculture
particolari. Ha mani affusolate, e un volto che esprime profondità, spessore e
un velo di dolorosa consapevolezza, proprio come la musica che scrive. La sua
frase "cerco di usare suoni e complessi sonori come segni e cifre di esperienze
e avvenimenti interiori" la dice lunga sulla capacità di esprimere
effettivamente "l'immediatezza magica del suono e del gesto sonoro"
in opere decisamente non convenzionali, perché fondate su un linguaggio
originale, che scuote certe fibre del nostro sentire, usando probabilmente
suoni arcaici arrivati da recondite profondità immaginative. La sua scuola lo
collega ad allievi ed amici di Schoenberg, Ratz, Polnauer; studia dodecafonia
con Johannes Schwieger. Ma quando usa queste tecniche, perlopiù con funzione di
raccordo tra intuizioni sublimi, essa appaiono decontestualizzate. Prevale, a
nostro avviso, l'arcaicità davvero moderna di segni sconvolgenti. Che assumono
il senso di segni dei tempi in Kabbala, un
oratorio estremamente coerente, il cui progetto è infatti quello di un cammino
che è "il ritorno cosciente all'origine; nessuna regressione, ma piuttosto
un ritorno in avanti". Ed è così che il compositore, partendo dagli
antichi suoni delle lettere ebraiche, è arrivato quasi da solo "al
materiale primordiale di questo oratorio; anziché inventarlo l'ho largamente
trovato". Nella piena consapevolezza dei principi cabalistici, del
"mondo unico" e globale, nella fusione delle sottili reti e trame che
collegano l'esistenza di ciascuno a quella dell'universo intero.
SUMERA
Symphony No. 1; No. 2; No.
3.
Malmo
Symphony Orchestra, Paavo Jarvi. Bis CD 660. 76'53". Note (Ingl. Ted.
Fr.). Distribuzione: Nuova Carisc, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Malmo Concet Hall, Sweden. 1993-94. Bel suono orchestrale.
Interpretazione:
OTTIMA
SUMERA
Musica tenera. Piano
Concerto. Symphony No. 4.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Malmo Concet Hall, Sweden. 1994. Bel suono orchestrale, buona
definizione del timbro pianistico (ma non è un timbro tagliente, stile ECM)
Interpretazione:
OTTIMA
Lepo
Sumera non è un compositore conosciutissimo in Italia, nonostante i corsi
tenuti a Darmstadt (ma non credo ai Ferienkurse, perché la cosa non risulta) e
nonostante egli abbia ricoperto il ruolo di Ministro per la cultura in Estonia
per ben cinque anni. La vocazione di questo autore è principalmente sinfonica,
e va detto subito che il suo sinfonismo è 'di misura', e cioè che l'impiego dei
mezzi orchestrali è sempre proporzionato alle idee compositive da esprimere.
Questa capacità di adeguamento fa sì che le sue sinfonie da un lato raccolgano,
come grandi operazioni di sintesi, temi e lavori presenti anche in precedenti
lavori, e dall'altro siano, nonostante l'autocitazione parziale, estremamente
coerenti e dall'ascolto
BACH (arr. Swingle Singers)
Bach Hits Back, a new a cappella tribute.
The Swingle Singers. Virgin Classics 7243 5 45049 2 1. 53'31". Note (Ingl. Ted. Fr.).
Distribuzione: EMI Italiana ???????????.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio, 1991. Le voci
vengono "strumentalizzate": gioco di parole per rendere una
effettività, la presenza di un tecnico audio anche dal vivo.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Per
i non amanti del jazz, occorre dire che gli "Swingle Singers" furono
un gruppo famoso per il virtuosismo vocale, nato nel '62 per impulso
dell'americano Ward Swingle, ex membro dei "Blue stars" e dei
"Double Six", con cantori francesi tra cui spiccava Christiane
Legrand. Il loro primo disco fu proprio dedicato a Bach, e perfino Berio
scrisse per loro un pezzo. Gli Swingle si sciolsero negli anni settanta, ma il fondatore,
dopo essersi trasferito a Londra, formò gli "Swingle II". Nel
1984 Ward si ritira, ma il gruppo
continua a vivere e a crescere, tenendo centinaia di concerti in tutto il
mondo. Il disco che ci occupa ripete, con stile ed esecuzione differenti,
l'originale successo iniziale. Fin qui
LENNON & McCARTNEY
Eleanor Rigby. Here, there and Everywhere. Ticket to Ride. Fool on the
Hill. She's Leaving Home.
Barrueco,
Giudizio tecnico:
BUONO. DDD. Stereo. Air Studios, London,
1994. Buon bilanciamento tra chitarra e tutti orchestrale. Suono pieno
dell'orchestra.
Interpretazione:
DISCRETA
Manuel
Barrueco è considerato una stella di prima grandezza nel firmamento dei
chitarristi classici. Pur non utilizzando appieno le intuizioni di Abel
Carlevaro (autore della Serie Didactica
para guitarra in quattro quaderni, dove affronta i problemi relativi ai
salti in modo da evitare il fastidioso ronzio dello scivolamento della sinistra
sulla tastiera), e lasciando qualche rumorino negli spostamenti, la sua tecnica
è assolutamente prodigiosa, e di altissimo livello. Non staremo a piantare la
solita grana del virtuosismo che uccide la musica, ma sposteremo il discorso su
un altro piano, più vicino al commento di questo disco. Come ai lettori di CD
classica è già noto, si sta verificando un curioso fenomeno, che funziona
commercialmente (almeno da qualche anno a questa parte): la nascita e la
proliferazione, di una Beatles music. Il fenomeno ha coinvolto John Bayless,
che ancora gira per i festival con le sue bellissime e creative reinvenzioni.
Recentemente, inoltre, forse complici la scoperta e la pubblicazione di alcuni
inediti del mitico gruppo, ci erano capitati tra le mani due dischi, l'uno del
Trio Rococo (oboe, violoncello e arpa) e l'altro di Peter Breiner e la sua
orchestra, con arrangiamenti nello stile del concerto grosso (!!). Entrambi ci
avevano affascinato perché comunque creativi nell'applicazione dell'idea di trascrizione
e reinvenzione. Dal punto i vista compositivo, anche il compact di Barrueco è
impeccabile: alcuni degli arrangiamenti per chitarra e orchestra sono mutuati
proprio da Bayless, altri sono del genialoide Leo Brouwer, ed altri
nientedimeno che di Toru Takemitsu (e sono forse i più intensi). Due songs sono
trascritte da Jeremy Lubbock. Quello che
non va, invece, è proprio la freddezza esecutiva: come si fa a proporre
un'operazione frivola (beneficamente frivola) come questa con la pesantezza di
un'esecuzione da repertorio, e l'apoditticità dei classici? Se già non
riusciamo a sopportare l'indifferenza dei virtuosi nell'esecuzione di opere di
repertorio, come la si potrà lodare nelle canzoni dei Beatles?
ADAMS / GLASS / REICH / HEATH
Shaker Loops / Facades. Company /
Eight Lines / The Frontier
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. All Saints
Church, Petersham. Marzo 1990. Suono pulito e ben dettagliato.
Interpretazione:
OTTIMA
Le
opere di Glass, innanzitutto. Si tratta di Facade, originariamente scritta per
Koyaanisqatsi, di Reggio, quel capolavoro sul macchinismo metropolitano che
così bene si fonde alla ripetitività del minimalismo. La musica accompagnava
una scena in cui compariva un montaggio dei grattacieli di Wall Street, ma
successivamente si decise di tagliarla. Si tratta di un brano fortemente
evocativo, che compare anche in un disco Sony già recensito su queste pagine,
nella versione del Philip Glass Ensemble (nella discografia di Glass compare anche una versione per la
Angel, con Wilson al flauto, che non conosco) ed è di quelli miliari di Glass.
L'altro pezzo, Company , è un lavoro
pensato per il teatro, e trae il suo stesso titolo da un romanzo di Samuel
Beckett (sua prima esecuzione data nell'inverno dell''84 al Public theatre de
New York). Anche questo brano compare in una compilation del Kronos Quartet,
ovviamente in altra versione e con ben altro climax (Elektra Nonesuch 79111-2,
1986). Il pezzo di Reich, pur sempre aggressivo e macchinico, appare un po'
smussato dall'esecuzione orchestrale, ma la cosa non gli nuoce. Vera
rivelazione di questo compact, tutavia, è il brano di apertura, il più lungo
della raccolta, Shaker Loops, di John
Adams, clarinettista e direttore d'orchestra, in forza al conservatorio di San
Francisco. Raramente ho sentito musica minimale così espressiva, e anche quelle
rare volte era di matrice europea. Questo viene solitamente rimproverato ad
Adams, ma a me pare che non sia così importante restare all'interno dei confini
di un genere, specie laddove supplisca l'espressività e la comunicabilità di un
brano. Il brano del flautista Dave Heath, sorta di bis ad effetto, è
sicuramente aggressivo, e vuole avvicinarsi alle sonorità rock, anche per l'uso
frequente dei glissati. Le trovate restano, tuttavia, un po' scontate.
MACMILLAN / BOLCOM /
COPLAND / SCHNITTKE / DRESHER
Kiss on Wood / Second Sonata for violin and piano / Nocturne / Sonata
No. 1 / Double Ikat - Part 2
Bachmann,
Klibonoff. Catalyst 09026 62668 2. 66'39". Note (Ingl.). Distribuzione: ?????????????
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Clinton Studios, NYC, 1Febbraio e Marzo 1994. Ottima resa delle
dinamiche
Interpretazione:
OTTIMA
Considerando
il bel viso di questa violinista si sarebbe tentati, istintivamente, di
sottovalutarne le capacità. E invece, ascoltando il disco Catalyst, che si
allinea agli altri per l'accuratezza della grafica (e recentemente anche per
l'originalità delle proposte) si inverte rapidamente il (pre)giudizio, semmai
interrogandosi su come mai vengano distribuiti i talenti, se tanta sensibilità
musicale corrisponde ad una immagine tanto veicolabile secondo gli standards
della migliore industria discografica. La Bachmann, vincitrice di vari
concorsi, si attesta come specialista in musica americana, riuscendo a
raccogliere importanti dediche e prime esecuzioni di compositori viventi. E'
accompagnata al piano da Jon Klibonoff, che non dispiace affatto al
pianoforte, soprattutto per
TRADITIONAL
Chanukah (arr. Lenzon)
Lenzon,
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Mosca, 1993. Timbri, impasti e spazializzazioni un po' arcaiche,
ma funzionali al tipo di disco.
Interpretazione:
DISCRETA
"Chanukah"
è una festività religiosa ebraica che si protrae per otto giorni, celebrata
tradizionalmente con canti, danze, coinvolgimento di fanciulli in giochi
canori. Il disco che si presenta è appunto una silloge di brani appartenenti
alla tradizione ebraica, folk e religiosa, generalmente associate a
"Chanukah", e in grado, come dice Victor Lenzon di comunicare
l'atmosfera religiosa ed il simbolismo generale della festività-Festival.
Lenzon è direttore musicale della registrazione, del Mitzwa Ensemble, autore
degli arrangiamenti. Inoltre suona il piano e accompagna al clavicembalo il
baritono Boris Finkelstein, cantore della sinagoga di San Pietroburgo, dalla
scura voce russa un po' melanconica, capace di sfruttare i microtoni e le
piccole appoggiature tipiche di questo stile .
Altri solisti sono Alexander Gurevich al clarinetto, Alexander
Bronweiber al violino, e il tenore Leonid Bomstein. Il coro dei giovani di S.
Pietroburgo è diretto da David Zapolsky, e pare possedere un bel vivaio di
voci soliste in grado di reggere il
confronto ed il passo con quelle più vissute del tenore e del baritono. L'atmosfera complessiva del compact riesce
sicuramente a trasmettere il messaggio (il programma) che i loro ideatori
s'erano proposti: il risultato, tuttavia, resta un po' confuso, perché un gran
numero di tracce si susseguono nei 63'30" di durata complessiva,
presentando formazioni ed atmosfere sovente molto diverse e variabili. Questo,
se trasmette la vena mistica e malinconica di un popolo, e la profonda nobiltà
del suo sentire, nuoce un po' all'oggetto disco (al disco come oggetto d'arte
da fruire in pieno godimento).
MULLER-SIEMENS
Die Menschen
Trauboth, Larsen,
Jalbert, Steinberger, Macdonald, Unger, Danner, Eger, Overmann, Pia, Jones,
Renard, Holland, Scheder, Diakov, Stossinger, McGrath, Mydtskov, Stache,
Hardegger. Wergo (2 cds) WER 6253-2. 38'41".
49'56". Note (Ted. Ingl. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio
tecnico: MEDIOCRE. DDD. Stereo. Theater
Interpretazione:
DISCRETA
Detlev
Muller Siemens, di cui Wergo pubblica in cofanetto l'opera Die Menschen (Gli Uomini), è un giovane compositore, classe 1957,
vincitore di numerosi concorsi internazionali, meticolosamente elencati nella
notizia biografica che in genere accompagna i cds, allievo di importanti numi
dello sperimentalismo di questo secolo (tra cui Ligeti, e Messiaen) e infine
vincitore di un "professorato di composizione" alla Musik Akademie.
Notevoli le sue frequentazioni darmstadtiane: un Trio eseguito nel '74, anno nel quale risulta anche vincitore del
Kranichsteiner Musikpreis, un Notturno
nel '
HILDEGARD
VON BINGEN / SOUTHER
Vision
Souther, Van
Evera, Fritz. Angel 724355524621. 56'04". Note e
testi (Ingl.). Distribuzione: ??????????
Giudizio
tecnico: OTTIMO. DAD. Stereo. St.
Andreas Church, St. Walburga Monastery, England. Privo di data. Ottima
spazializzazione, bel timbro delle voci.
Interpretazione:
OTTIMA
Il
compact in esame raccoglie opere della mistica tedesca Ildegarda di Bingen,
nata alla fine del mille e cento e vissuta fino al 1179. Monaca benedettina,
divenne badessa e fondò un proprio convento. E' nota come poetessa (le sue
visioni influenzarono diversi papi ed imperatori), ma anche come autrice di un
trattato medico. Ultimo ma non ultimo, compose anche una serie di brani
d'ispirazione sacra, fra cui responsori, inni, sequenze, antifone e un kyrie.
Importante la sacra rappresentazione Ordo
virtutem. Vision, titolo appropriato del cd, si basa sui testi (riportati
integralmente nel libretto accluso, ma non in italiano, come al solito), e su
temi originali della Santa, naturalmente armonizzati e modificati secondo le
esigenze compositive di Richard Souther. In generale, c'è in primo piano la
voce di due vocaliste eccezionali, Emily Van Evera e Sorella Germaine Fritz,
con un effetto ambient in parte naturale (la registrazione è stata effettuata
in una cripta), in parte ottenuto grazie al sottofondo spesso intrigante e
curato degli accompagnamenti sintetici o campionati. Il risultato è uniforme,
di qualità medio-alta, e la sensazione all'ascolto è delocalizzante, sia dal punto
di vista storico-temporale che da quello della collocazione spirituale: è
ancora musica mistica, oppure anche un po' demonica? Certo è musica gotica: va
verso il cielo e verso le fondamenta, come ci insegna Fulcanelli in un libro
famoso e misterioso.
SCHNITTKE
Symphony No. 2
'St. Florian'
Bellini,
Eliasson, Ernman, Borelius, Mikaeli Chamber Choir, Eby, Royal
Giudizio
tecnico: DISCRETO. DDD.
Stereo.
Interpretazione:
BUONA
GUBAIDOLINA
Silenzio.
De Profundis. Et Expecto. In Erwartung
Draugsvoll,
Moller, Brendstrup, Raschèr Saxophone Quartet, Kroumata Percussion Ensemble. Bis CD-710. 69'02". Note (Ingl. Ted. Fr.).
Distribuzione: Nuova Carisc, Milano.
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Luoghi e date di registrazione differenti. Bella
resa delle dinamiche degli archi.
Interpretazione:
DISCRETA/BUONA
La
Bis presenta due monografici dedicati, rispettivamente ad Alfred Schnittke e a
Sofia Gubaidulina. Nel primo c'è
Del
compact dedicato alla Gubaidolina, devo purtroppo confessare di sopportare
soltanto il primo brano, Silenzio,
perché mi pare essere il meno crudemente sperimentale, il più denso ed
introspettivo. La personalissima compositrice russa mi pare generalmente
sopravvalutata, ed i suoi lavori sono discontinui: ad alcune idee eccezionali
seguono sviluppi di pari valore. Altre volte, invece, la bella personalità cede
il passo all'assenza di idee, e la scrittura diventa meno accurata, di maniera.
Ma, ripeto, Silenzio, che affianca
Geir Draugsvoll al violino di Arne Balk Moller e al violoncello di Heinrik
Brendstrup, occupa i primi venti minuti del compact, e forse anche da solo può
giustificarne l'acquisto.
MACMILLAN
Seven Last Words
from the Cross . Cantos Sagrados
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. St John-Hackney,
Interpretazione:
DISCRETA / BUONA
JONES / SAMUELS /
LANSKY / SHABALALA / COLTRANE / ALDRIDGE / MANGIONE / MACKEY
Legal Highs /
Wood Dance / Hop / Nansi Imali / Naima / Combo Platter / Feels so Good / Feels
so Baaad
Marimolin.
Catalyst 09026 62667 2. 64'41". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????
Giudizio
tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, NYC. Febbraio/aprile 1994. Belle e chiari
dinamiche e timbri.
Interpretazione:
OTTIMA
Di
MacMillan ci siamo già occupati su queste pagine, sempre per due dischi
Catalyst. Nel primo, un monografico, si presentavano Busqueda e Visitatio
Sepulchri, e si notava come la scrittura, ancorché fresca e
sufficientemente 'passionale', secondo una definizione che del britannico viene
data, non ci sembrava poi tanto strabiliante, anche se delle idee originali
affioravano qui e là. Queste impressioni venivano superate all'ascolto del
secondo compact (una compilation di vari compositori che includeva anche pezzi di
Bolcom, Copland, Schnittke e Dresher) laddove Kiss on Wood c'era parso più motivato, anche se mai straordinario
quanto Double Ikat di Paul Dresher,
il più attuale autore a quel disco consegnato. Anche queste Seven Last Words from the Cross , del
'93, per coro e orchestra d'archi, ci sembrano discontinue, e un po'
pretestuose, certamente non memorabili. Qualcosa in più dicono, forse, i Cantos Sagrados del 1989, per coro e
organo. L'incipit mi ricorda stranamente la musica di Orff.
Marimolin
è un minuscolo ensemble costituito da violino e marimba: Sharan Leventhal e
Nancy Zeltsman, alla loro prima, straordinaria, prova discografica. Il genere è
difficile da inquadrare, e proprio per questo è di quelli che più si fanno
amare. Recita la copertina: "Come definire la musica di
quest'album?", ed in effetti, le due 'marimolizzano' tutti i brani
eseguiti, talvolta con l'ausilio di altri strumenti. Di certo, le influenze
jazz non si contano, ma anche quelle sudafricane, e non solo nel brano di
Joseph Sabalala. Dal minimalismo alla sperimentale noiosa, dal coolswing
all'avanguardia seriosa, una bella panoramica non esente da grande gusto
esecutivo.
ORFF
/ KEETMAN
Musica
poetica, Orff Schulwerk
Tolzer
Knabenchor, Kammerchor der Staatlichen Hochschule fur Music, Stuttgarter
Sprechchor, Schieri, Schmidt-Gaden, Mende, Godela Orff-Buchtemann, Orff. RCA
Victor 09026 68031 2 (cofanetto di sei compact) Oltre sei ore di musica. Note (
Ted. Ingl.). Distribuzione: RCA-BMG, Roma
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Date e luoghi di registrazioni variabili per
ciascun compact (dal 1963 al 1971); in questa compilazione:1994. Poca
spazializzazione, eccessiva freddezza digitale.
Interpretazione:
BUONA
Un cofanetto di sei dischi e un cospicuo
libretto contenente tutti i testi e le analisi (ma in tedesco e inglese, quindi
non si pensi nemmeno lontanamente di trarne troppi benefici), con il metodo
concepito nel 1930 da Carl Orff per educare una gioventù che sarebbe poi andata
ad affollare le trincee e gli obitori dell'esercito nazista. L'opera fu ideata
insieme a Gunild Keetman, quando per diversi anni Orff lavorò alla scuola di
danza Gunter, e fu poi pubblicata in cinque volumi a cavallo tra il 1950 e il
'54. Si tratta di un metodo progressivo di apprendimento della musica, basato
sull'intuizione del legame esistente tra ritmicità del parlato e canto. Si
avvale, inoltre, della progressione d'apprendimento intervallare, soprattutto
modale, abbinata al ritmo del movimento della danza e a quello di
glockenspiele, xilofoni e varie altre percussioni. Prevede, inoltre, davvero
bella intuizione, la possibilità di una certa improvvisazione dei bambini.
Ascoltando
i sei compact, se si resiste all'assillo
delle numerose cantilene e filastrocche (magari prendendo il respiro nei brani
strumentali e per coro), si coglie una morbosa attenzione per l'infanzia, per
la trasformazione ed educazione dei bambini,
tipica della cultura tedesca e che traspare in modo non casuale anche da
Germania Anno Zero, il film che
Rossellini dedicò proprio al problema dell'educazione in quel paese. Una certa
intolleranza, rigidità, disaffezione per gli aspetti più giocosi traspare anche dall'ordinata, selettiva, per
carità anche efficace e corretta, serie di esercizi e pezzettini dello Schulwerk. Grande precisione
nell'esecuzione da parte del Kammerchor der Staatlichen Hochschule fur Music,
del Tolzer Knabenchor e dello Stuttgarter Sprechchor (i direttori sono Frits
Schieri, Serhard Schmidt-Gaden ed Heinz Mende), grande commozione per le
vocette, ma per carità che non escano mai dal tempo, che siano sempre ben
intonate, infiorettate, irregimentate
in un ordine che è stato definito già in tempi lontani volutamente
inconsapevole della nozione di 'crisi', di 'entropia', per essere invece
informato alla volontaria chiusura in zone melodiche circoscritte. Chi scrive
non fa certo vangelo di quanto scritto da Adorno a proposito della musica
giovanilistica, ma bisogna pur dire che qualcuna delle osservazioni del
filosofo/musicista, da tedesco a tedesco, potessero essere valide. Il rischio, tuttavia, che parte della critica
ha corso nel confrontarsi con la potenza della modalità di Orff, è stato
certamente quello di cadere in una ideologia all'incontrario, incapace di vedere
che il musicista, facendo un passo indietro, anticipava alla grande un ritorno
alla modalità che s'è poi puntualmente verificato. Inoltre è innegabile che molte opere, e diverse delle
canzonette qui presentate, hanno in effetti una forza, una potenza, una
chiarezza indiscutibili. La cosa sicura è che il caso Orff è ben lungi
dall'essere inquadrato dalla critica, e proprio per questo merita grande
attenzione del pubblico.
PEYRETTI
Les Souvenirs
Oublies
Gazzolo, Gasdia,
Giudizio
tecnico: MEDIOCRE. DDD. Stereo. Scuola di Alto Perfezionamento musicale di
Saluzzo, Giugno 1994. Per il commento vedi recensione.
Interpretazione:
DISCRETA
Di
certo con un bel cast, ecco il disco realizzato dal Melos Art Ensemble su
musiche di Alberto Peyretti. Si tratta di "cinque testimonianze valdostane
di origine diversa, ma di chiara ispirazione locale", poi articolate in
sette tracce divise tra gli interventi musicali e la narrazione delle fiabe. La
voce calda e densa è quella di Nando Gazzolo, la cui presa è però troppo vicina
e pulita per propiziare la fusione con l'ensemble. La musica entra ed esce dal
racconto sottolineandolo in modo descrittivo, del tipo: "E riprese a raccontare
mentre i lupi ululavano alle stelle e nel vento della notte aleggiava un canto
di fanciulla", ed ecco entrare
A.A.V.V.
Music
and Memory (antologia)
Antologia
di vari gruppi, Cohen. Erato 4509-91777-2. 71'02". Note e testi ( Fr.
Ingl. Ted.). Distribuzione: Warner classics, Milano.
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Date e luoghi di registrazione diversi per gruppi
di brani. Buon lavoro nell'equiparare la qualità tra le differenti
registrazioni
Interpretazione:
BUONA
Questo
"Musica e memoria" è un antologico dedicato a Joel Cohen, di cui ci
siamo occupati su queste pagine a proposito di due monografici: "The
American Vocalist" e "An American Christmas". Il compact
raccoglie il meglio del direttore americano, dalla versione medievale del
Tristano e Isotta, ai canti dei Trovatori del dodicesimo secolo, passando anche
per i dischi che abbiamo già citato, ed alle cui recensioni rimandiamo. Alcuni
brani sono davvero notevoli,come The
Great Day, uno dei più antichi testi della tradizione occidentale, o come
il Salmo In Exitu Israel, che ci
precipita in atmosfere religiose e mistiche di lontanissima fattura. In Altas Undas il provenzale Raimbault de
Vaquerais adatta e trasforma una melodia portoghese ancora più antica, di certo
suggestiva. Altri brani, come Le Lai du
Chèvrefeuille o Yseult dans sa
chambre narrano le vicende d'amore
tra il musicista di talento Tristano, e
TALGORN
Vinum
et Sanguinem
Camerata
de Bourgogne, Estourelle, Piquemal, Heraud. Pierre Verany PV79013. 67'39".
Note e testi ( Fr. Ingl. ). Distribuzione: ??????????
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Espace Grevin de Lion, dicembre 1993. Buona
fusione tra gli insiemi e i solisti.
Interpretazione:
BUONA
Frederic
Talgorn è più noto come autore di musica per film e d'occasione, come nel caso
del "Giovane Indiana Jones", e del "Percorso della fiamma"
per i giochi olimpici d'inverno del '
TRADITIONAL
Palais
Royal de Yogyakarta. 2. La musique instrumentale
Ocora
Radio France C 560068. 65'58". Note ( Fr. Ingl. Ted.). Distribuzione:
???????????????.
Giudizio
tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Java 1971-73. Bella evanescenza degli amalgami
percussivi
Interpretazione:
BUONA
TRADITIONAL
Chamanes
et Lamas
Ocora
Radio France C 560059. 69'50". Note ( Fr. Ingl. Ted.). Distribuzione:
???????????????.
Giudizio
tecnico: OTTIMO. ADD. Stereo. Luoghi non precisati, 1991-93. Ottima presa
strumentale; un po' in lontananza le voci degli sciamani
Interpretazione:
OTTIMA
Questi
due dischi di Ocora Radio France
(Harmonia Mundi) sono dedicati rispettivamente alla musica strumentale
dell'isola di Giava (appartiene all' arcipelago dell'Indonesia, ed è vicina
allo stretto di Bali) ed alle pratiche misteriche degli sciamani e buddiste dei lama della Mongolia. Cominciamo
da quest'ultimo, dal momento che ci è parsa di estremo interesse la
ricostruzione dei due aspetti portanti tentata dai curatori (in realizzazione
di un progetto dell'Unesco). La prima traccia occupa diciannove minuti, ma
riesce ad ipnotizzare l'ascoltatore, per
la bellezza e varietà del ritmo, per la
nenia cantata dallo sciamano, per i
suoni imitativi dei versi di animali magici, e le risate propiziatorie. La
registrazione è dell'agosto del '92, lo sciamano ha la bella età di ottantuno
anni (Darqad), e tutta la famiglia è presente, in piena notte, al rituale: ma
non si pensi di ascoltare qualcosa di realmente magico, dal momento che si
tratta soltanto dell'augurio di buon viaggio fatto alla spedizione di
occidentali. Anche il secondo sciamano è piuttosto anziano, ha settant'anni
(Buriat) ed effettua un rituale magico-medicamentoso: sono altri diciannove
minuti un po' più lenti, molto ritminici, anche se si tratta, in sostanza, più
che di musica, di una nenia accompagnata. Meraviglioso, poi, musicalmente
parlando, l'incipit dell'Ufficio del "Tchogtchin Qural" del monastero
dell'Erdeni Zuu: da qui si può partire per capire la musica di Giacinto Scelsi.
Belli anche i suoni e le voci delle invocazioni ai protettori (quarta traccia)
Mahakala, Dharmarajaia, Lhamo, al monastero di Gandan: veramente emozionanti
nelle micromodulazioni che effettuano glissati di tutto il coro. Consiglio il
disco non solo agli esperti di musica etnica, ma anche a quelli che amano la
contemporanea espressiva. Più deludente, invece, il compact dedicato a Giava, perché un po'
ripetitivo e molto percussivo, anche se in grado di farci respirare l'aria di
quell'arcipelago. Da rilevare anche la capacità di accelerazioni e ritardandi corali
molto precisi e d'effetto.
TRADITIONAL
Chants des
Peoples of Russia
Chant du Monde
CMT 274978. 66'05".
Note ( Fr. Ingl.). Distribuzione: ???????????????.
Giudizio
tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Luoghi differenti da traccia a traccia, date non
precisate. Un po' fastidioso l'effetto ambient.
Interpretazione:
BUONA
Il
compact presenta canti registrati in differenti regioni della Russia,
soprattutto in villaggi. Si susseguono, così, il villaggio Sousemka della
Regione di Briansk, il villaggio Jivotovo di quella di Tula, il Kevrola
(Arkhangelsk), lo Yuva (Sverdlovsk), della regione Tartara, del villaggio
Besstrachny (Krasnodar), e infine lo Zavgorodnéié (Kharkov). Le tipologie
presentate vanno da canti d'origine religiosa a canti nuziali d'origine
folklorica, di buon viaggio o d'addio,
lamentazioni per cerimonie funebri, canti di danza. La prima sezione (tracce
1-5) presenta perlopiù brani monodici, molto simili tra loro; la seconda
(tracce 6-10), con un fastidioso effetto ambiente, che però suggerisce la
lontananza tra le voci soliste che si richiamano a distanza, e sottolinea
l'entrata del tutti, è interessante soprattutto per la somiglianza che ho
rilevato tra la nona traccia, Une
araignée rampe sur le coquelicot, ed un canto d'origine finlandese chiamato
Golbma Irkki. La terza sezione
(tracce 11-18), si basano su un sistema di stretto contrappunto tra due fasce
melodiche affidate a due sezioni corali, voci giovani e acute e più scure o di
anziane, con una solista che fa 'disturbo' attraverso piccole variazioni e
abbellimenti. Interessanti anche le altre sezioni, anche se, nel complesso, il
disco stanca ad un ascolto prolungato.
TRADITIONAL
Cantari
la nunta, Musique de noces en Valachie (Romania)
Auvidis
B 6799. 63'12". Note ( Fr. Ingl.). Distribuzione: ???????????????.
Giudizio
tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Luoghi differenti da traccia a traccia, date
non precisate. I suoni sono un po' imbottigliati.
Interpretazione:
DISCRETA
Il
compact raccoglie soprattutto musica per taraf, ensemble strumentale o vocale e
strumentale a composizione variabile. Molte ballate, canzoni d'amore e melodie
di danza, come illustra Speranta Radulescu, hanno trovato proprio in questa
formazione un luogo di sviluppo insuperato. E' musica in cui trova spazio
soprattutto il violino, con innumerevoli variazioni e interpolazioni al canto,
ma spesso c'è il piccolo timpano o
tambal, che crea un curioso sottofondo che noi definiremmo 'stonato', o
parzialmente intonato. C'è inoltre il contrabbasso, la fisarmonica, e talvolta
un secondo violino. Le influenze orientali (sciite e tartare) si sentono, e non
poco, ma anche quelle bizantine e turche. L'atmosfera complessiva è quella
della settimana di festeggiamenti prevista per le cerimonie nuziali rumene. Un
compact da consigliare soltanto ai cultori specializzati nel genere, perché è
ripetitivo e poco digeribile.
BLITZSTEIN
Symphony "The Airborne". Dusty Sun.
Bernstein, NYC
Symphony Orchestra, RCA Victor Chorale, Shaw. RCA Victor 09026 62568. 59'00". Note (Ingl. Ted. Fr.).
Testi. Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
ADD. Mono. Lotos Club, NYC.
30 ottobre 1946 (The Airborne). RCA Studio, NYC. 27 novembre 1946 (Dusty
Sun). Per considerazioni tecniche approfondite si rimanda al testo della recensione.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Nel
ciclo dedicato agli anni giovanili di
Bernstein, che ha già visto apparire altri due compact (il primo con
Il
compact è un riversamento dal 78 giri (Disc-to-digital). Come è noto, in fase
di rimasterizzazione, il sistema digitale consente una 'ripulitura' efficace
dei rumori di fondo e dei picchi, più una serie complessa di espedienti utili a
riprodurre soltanto i suoni 'puri'. La scelta, peraltro giustificata e gradita,
di conservare intatta la piena frequenza della registrazione originale evitando
metodi troppo radicali consente di ascoltare un suono effettivamente più fedele
dal punto di vista filologico. Tuttavia, naturalmente, certe distorsioni nei
fortissimi, e un certo appiattimento generale, ripropongono una delle questioni
sorte all'inizio dell'era del compact, quando ci si divise in cultori del
fruscio e amanti della freddezza riproduttiva. Sappiamo oggi quale delle
estetiche ha vinto, e non rimpiangiamo nulla (anche per il fatto che, volendo,
di vecchi dischi sugli scaffali ne abbiamo un bel po'), ma non si può non
interrogarsi sulla reale consistenza di una 'filologia' spesso costruita a
tavolino.
COPLAND
Grohg. Prelude for chamber orchestra. Hear Ye! Hear Ye!
The
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Severance Hall,
Interpretazione:
BUONA
Grohg è la prima opera orchestrata da Copland,
scritta su invito della Boulanger che aveva intuito le doti descrittive e la
predisposizione al balletto del nostro (seguiranno Billy the Kind, Rodeo, Appalachian Spring...). L'opera ha genesi
certa ma vita difficile, dal momento che l'originale del '24 ed una revisione
del '32 andarono presto smarrite, dopo una sola esecuzione per pianoforte a
quattro mani (tra parentesi: risulta difficile comprendere come possa avere
influenzato i "cliché dei compositori di Hollywood" se è stata poi
eseguita per la prima volta al festival di Aldeburgh nel 1992: la solita
preclusione per la musica da film, o la
distinzione post-neo-idealista tra opera pura e mista?). Il compact
presenta anche in prima assoluta Hear Ye!
Hear Ye!, nella quale erano confluiti alcuni dei materiali utilizzati per
Grohg e poi dispersi.
Anche
Il breve Prelude nasce da più
scritture successive, pensato per Nadia Boulanger
e quindi strutturato in modo da piacerle. Più precisamente, si tratta di una
rielaborazione della Sinfonia per
organo e orchestra del 1924, eseguita per la prima volta dalla New York
Symphony orchestra sotto la direzione di Walter Damrosch. Joseph Machlis
riporta il seguente giudizio espresso dal direttore subito dopo la prima:
"se un giovane di ventitré anni può scrivere una sinfonia come questa, fra
cinque anni sarà pronto a commettere un omicidio". Ma questa battuta non
tragga in errore il fruitore: il Preludio
è senz'altro opera accessibile, e fin troppo francese per i gusti di chi è
abituato ad ascolti trasgressivi, ed alle particolari commistioni della musica
americana, talora così underground, talaltra così miserevolmente europeizzante.
L'esecuzione della London Sinfonietta è particolarmente vivace, più vivida,
meno preoccupata e 'professionale' (in senso peggiorativo, ovviamente) di
quella della Cleveland Orchestra.
HUSA
Music for Prague 1968. Reflections. Fresque.
Slovak Radio
Symphony Orchestra, Kolman. SMarco
Polo 8.223640. 54'57". Note (Ingl.). Distribuzione: ??????????.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Concert Hall of the Radio in Bratislava, novembre 1993 e febbraio
1994. Eccellente lavoro nella resa dei crescendo, che mai sforano per eccesso.
Interpretazione:
OTTIMA
Karel
Husa, nato a Praga nel 1921, fu professore alla Cornell University, già allievo
di Nadia Boulanger ed Arthur Honegger per la composizione e di Eugène Bigot,
Jean Fournet e André Cluytens per la direzione d'orchestra. Il suo stile
compositivo dimostra la competenza e la conoscenza profonda dell'orchestra, con
masse strumentali che si muovono con pienezza (ma non ridondanza) e colori
utilizzati all'estremo delle possibilità
orchestrali con crescendo e decrescendo per piccoli segmenti. Temi (e ritmi)
evidentemente riferibili ad una matrice popolare vengono manipolati ben oltre
tale origine, specie in Fresque dove
il riferimento corre obbligatoriamente ad Honegger. L'interpretazione di Barry Kolman
e della Slovak Radio Symphony Orchestra è d'alto livello, per passionalità e
concentrazione: nel Moderato della seconda Sinfonia, Reflections, è esemplare
l'attenzione per le sfumature, come notevole resta il contrasto col
molto allegro del secondo movimento, risolto più in senso ritmico-ossessivo che
melodico. Che suono pieno e denso, poi, nel finale! si sente finalmente l'amore
degli orchestrali, ed evidentemente del direttore, per un professionismo non
aberrante, non consuetudinario, vivo e teso alla vera sperimentazione.
L'atteggiamento mentale di questi veri interpreti è simile a quello dei maestri
di un tempo, ma quell'atteggiamento produce una ventata di fresca vitalità e
convinzione sul terreno della contemporanea 'colta'. Il disco è chiuso da Music
for Prague 1968, un brano che si ispira ai procedimenti seriali, anche se non
ne fa vangelo.
KOGOJ
Andante. Preludij. Portret.
Sette Pezzi. Piano (vol. primo e secondo).
Crtomir
Siskovic, Arciuli. Stradivarius STR 33342. 61'03". Note (Ita. Ingl.).
Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo. Sala dei Congressi, Ortisei, Bolzano. 17-19/6/1994. Eccessivo
effetto ambiente nei brani per pianoforte solo.
Interpretazione:
BUONA
Marij
Kogoj è autore non proprio conosciutissimo, nato a Trieste alla fine del secolo
scorso e scomparso nel 1956 dopo mille peripezie, lunghi vagabondaggi ed una
inasorabile malattia nervosa che lo porterà al silenzio e alla morte. Il
compact in esame raccoglie l'opera completa per violino e pianoforte, da un Andante tardoromantico e a tratti
berghiano ai Sette pezzi, vere
miniature aforistiche, passando per il Preludio
ed uno struggente "ritratto",
perlopiù tonale, ma struggente ed introspettivo, come dovette essere la
natura dello sfortunato compositore. L'esecuzione di questi pezzi sceglie
appropriatamente la strada della concentrazione sulle mezze tinte, senza
cercare inutili virtuosismi o effetti da recital, e privilegiando tocco e
suono. Crtomir Siskovic ed
Il
compact è reso più ricco dalla presenza di Piano,
una raccolta di brani per pianoforte solo, ma non una suite organica. Infatti i
singoli pezzi sono slegati per lunghezza, espressività, riferimenti. Tale
discontinuità è compensata dalla bellezza aforistica, e ancora berghiana, di Skica.
LAMBERT
The Rio Grande. Concerto. Horoscope.
Stott, Jones, BBC
Singers, BBC Concert Orchestra. Argo
436 118-2. 69'07". Note (Ita. Fr. Ingl.). Testi. Distribuzione: PolyGram
Dischi, Milano.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Walthamstow Assembly Hall. Giugno 1991. Una maggiore ricerca
timbrica sarebbe possibile nella resa del pianoforte, il quale, specie nel
Concerto, risulta talora in secondo piano.
Interpretazione:
OTTIMA (Stott). BUONA
Versatile
uomo di cultura e musicista poliforme, Constant Lambert fu il primo inglese ad
avere l'onore di una commissione da Diaghilev (e mi ricorda per questo il
nostro Rieti). Noto, e spesso citato, come acuto osservatore della realtà
musicale degli anni Trenta, non fu autore prolifico, tant'è che il disco che
qui si presenta sembra raccogliere circa metà della sua produzione, dando così
modo di valutare sia la vocazione per il balletto (con Horoscope, una suite tratta dall'omonimo balletto, la cui partitura
andò dispersa) che la capacità di trattare parola e versi, con l'armonica
lirica The Rio Grande di Sacheverell
Sitwell. Ma già in questo brano, che ha una singolare orchestrazione,
Lambert mostra una predilezione per il
pianoforte, che zampilla energia e si comporta un po' da solista richiamando su
di sé l'attenzione dell'ascoltatore. Di
certo viene fuori l'allusione al jazz, quello umoristico e bianco, ma non alla
Giuffre, perché l'atmosfera complessiva pare piuttosto vicina ad un uso leggero
e spregiudicato (citare Gershwin sarebbe fin troppo ovvio). Ambedue i
caratteri, la predilezione per il pianoforte e l'amore per il jazz vengono
fuori in modo completamente diverso, certo per il programma di costruire un
brano con un forma precisa, e pur sempre diviso in tre movimenti (Overture, Interméde e Finale). Scompare qui l'energia di The Rio Grande, e l'articolazione del
linguaggio segue modi e forme più vicine allo sviluppo 'colto' e 'classico'. Se
questo costituisca un bene o un male per le sorti future del Concerto giudichi il lettore: certo a
noi pare che i pastiche di musicisti jazz che si avvicinano al classico siano
egualmente deludenti degli esperimenti apparentementi progressisti (lo erano
all'epoca di Lambert) tentati da
musicisti d'area 'colta'. E sicuramente i pasticci devono essere pasticci, e
non si può gustare una meringa come se fosse un'acciuga.
REVUELTAS
Homenaje a Federico Garcia
Lorca. Sensemaya. Ocho X Radio. Toccata. Alcancìas. La noche de los Mayas.
New
Philharmonic Orchestra, Mata, London
Sinfonietta, Atherton, Orquesta Sinfònica de Jalapa, Herrera de la Fuente.
69'31". Note (Ingl. Sp.). Distribuzione: ???????????????
Giudizio tecnico: BUONO.
ADD. Stereo. Date e luoghi di registrazione diversi per ciascun brano. Non
sempre soddisfacenti gli amalgami fra differenti strumenti e tracce.
Interpretazione:
BUONA
MORAN
The Dracula Diary.
Houston Grand
Opera, Holmquist. 71'25". Note
(Ingl.). Testi. Distribuzione: ???????????????
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Cullen Theater, Houston. 21
e 22 marzo 1994. Bel gioco di timbri differenziati emergenti nelle diverse
tracks.
Interpretazione: OTTIMA
Un
gusto un po' macabro informa questi due dischi della Catalyst,
un'"antologico dedicato a Revueltas dal tenebroso titolo Notte dei Maya, con scheletri visibili
in trasparenza sulla copertina e un teschio in bella evidenza sulla superficie
argentata del compact. Il secondo propone l'opera in un atto di Robert Moran Il
diario di Dracula e, come si può immaginare, ha in copertina una croce tombale
con il viso al negativo, stampato in rosso, di una delle malcapitate interpreti
femminili, Laura Knoop. Stessa croce stampigliata sul disco. Come se non
bastasse, i compact compaiono in una serie che raccoglie "Memento
Bittersweet" , "Visitatio Sepulchri" ed "Of Eternal
Light"! Ma veniamo al dunque: nel monografico per Revueltas,
Nato
a Denver, nel Colorado, ma presto allievo di Hans Erich Apostel a Vienna per la
dodecafonia, e poi di Milhaud e Berio al Mills College di San Francisco, Robert
Moran presto fonda il San Francisco New Music Ensemble, e raccoglie le prime
importanti commissioni. Catalyst, in particolare, dimostra interesse per il
compositore, commissionandogli un'opera su testi di Cage. Il progetto che qui
lo vede impegnato è quello di un'opera sui vampiri, con un libretto di James
Skofield, rappresentata recentissimamente, in prima mondiale, al Lillie and Roy
Cullen Theater in Texas, credo sempre con lo stesso cast (Laura Knoop, James
Maddalena, Ray Very, Jill Grove...) e con la direzione di Ward Holmquist. Il tessuto musicale è originale, anche se
personalmente soffro della mancanza dell'elemento scenico, e gli stili
utilizzati sono vari e mai seriosi, anche se riesce difficile immaginare dei
vampiri che cantano così bene e in modo tanto 'lirico'.
TRADITIONAL
Anthologie de
Groupe
vocal féminin, Daneva, Marinova, Mindova, Atanasov, Peytchev, Vasiliev. Le chant du Monde CMT 274977. 71'36".
Note (Ingl. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Diversi luoghi di registrazione, molti non indicati, 1976-1981. Qualità disomogenea delle registrazioni. Le
voci sembrano sempre un po' appiattite timbricamente.
Interpretazione:
DISCRETA
Questo
compact è il terzo dedicato ad una panoramica sull'eterogenea musica balcanica,
che raccoglie una decina di lingue, senza calcolare i dialetti. La Tracia, in
particolare, è tra le zone più ricche di canti folclorici, anche per la
presenza della danza come naturale momento aggregante delle parti più depresse
e meno ricche della popolazione.
Qui
non v'è traccia, come suggerisce Herman Vuylsteke, dei ritmi irregolari che
caratterizzano altra musica bulgara, e ciò apparirebbe motivato dal fatto che
l'occupazione ottomana delle zone cittadine avrebbe interessato ben poco quelle
rurali, che rappresenterebbero, in tal modo, la parte più
"ancestrale", e quindi originale e tradizionalmente più pura di
quella zona. Le stesse danze sui carboni ardenti risulterebbero pertanto una
reminescenza di più antiche usanze, collegate ai culti orgiastici precristiani.
Così,
il compact presenta inizialmente una serie di canti di costume del villaggio di
Krepost, arrangiati da Haskovo, che personalmente ritengo poco interessanti.
Alla settima traccia, però, il villaggio di riferimento diventa quello di
Dobritch, e a voci soliste si aggiungono ensemble strumentali locali.
Imitazioni degli strumenti a fiato possono ascoltarsi nelle ornamentazioni dei
solisti. Il compact non mantiene sempre lo stesso livello di interesse, e lo
consiglierei solo a chi è particolarmente coinvolto dalla ricostruzione etnica
delle diverse tradizioni musicali.
CAGE
The 25-Year Retrospective Concert of the Music of John Cage (3 CDs). Six
Short Inventions for Seven Instruments. First Construction in Metal. Imaginary
Landscape No. 1. The Wonderful Widow of Eighteen Springs. She is Asleep.
Sonatas and Interludes. Music for Carillon No. 1. Williams Mix. Concert for
Piano and Orchestra.
A. Ajemian, M.
Ajemian, Allan, Brockway, Broiles, E. Brown, P. Brown, Butterfield, J. Cage, X.
Cage, Carmen, Cohen, Colgrass, Cunningham, Dennison, Fisch, Gromko, Jansen,
Kaufman, Lolya, Martin, Price, Rehark, Rosenberg, Schwartzberg, Smith, Taiko,
Tudor. Wergo 6247-2 286
247-2. 39'20". 28'35". 37'04". Note (Ingl. Ted.). Distribuzione:
Florence International.
Giudizio tecnico: BUONO. AAD. Mono. Town Hall, NY, 15-5-1958. Trattasi
di registrazione live mono, con i pregi (di documentazione storica) e i difetti
(soprattutto di appiattimento delle sonorità) che ciò comporta.
Interpretazione:
OTTIMA / BUONA
La
Wergo presenta un bel cofanetto dedicato a John Cage, con la registrazione del
concerto di New York, alla Town Hall, del 15 Maggio del 1958. Come può
rilevarsi anche soltanto dando un'occhiata agli interpreti coinvolti nel
progetto di quella storica retrospettiva, i tre compact rappresentano una
ghiotta occasione, non tanto per la conoscenza della musica, o della
particolare interpretazione che fu data dei brani più o meno aleatori di Cage
in quella circostanza (risate, proteste ed applausi compresi), ma per
verificare quali fossero gli standard esecutivi nel confrontarsi sia con la
prima produzione, dalle Sei invenzioni
per sette strumenti del '34, sia con quella
intermedia del Concerto per pianoforte e orchestra, la
quale come è noto già metteva a frutto circa otto anni di esperimenti
sull'alea, secondo la massima "opera affinché nulla di ciò che si indica
all'esecutore produca qualcosa di già previsto". Alla eccezionale
riproposta documentale si affianca, naturalmente, la particolare riuscita di
alcuni brani, come ad esempio di Imaginary
Landscape No1 del '39, dove la mano di Cage nel manovrare frequenze e
microfoni si nota proprio nella capacità di micromodulare le altezze e le intensità, e di manomettere
la simmetria del tempo, subito diventato ondulazione, respiro conseguenziale ma
irregolare. Più speculativi gli interventi al piano dello stesso Cage, che
soltanto in seguito risolverà il complesso rapporto con lo strumento secondo
l'ottica di una estetica consapevole e creativa, piuttosto che meramente
distruttiva. Non ci si può esimere, infine, dal segnalare le esecuzioni di
David Tudor, interprete privilegiato e storico di Cage, non mancando
provocatoriamente di segnalare come si stia pian piano creando una storia delle
esecuzioni (con tanto di filologica riproduzione delle pagine della edizione
originale) anche per musica così volatile.
COPLAND
The Complete Music for Solo
Piano
Smit.
Sony Classical SM2K 66 345. 59'18". 58'17". Note (Ingl. Fr. Ted.).
Distribuzione: Sony Classical, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
ADD, DDD. Stereo. NYC. 1978,
Interpretazione:
ECCEZIONALE.
Leo
Smit non è un pianista qualsiasi. A quattordici anni aveva lavorato con Dimitri
Kabalevski, Isabella Vagerova, Nicolas Nabokov. A quindici lavorava come
pianista per l'American Ballet Caravan al fianco di George Balanchine e Igor
Stravinskij, in opere come Apollon
Musagète, Baiser de la fée e Jeu de
cartes. Ha incrociato il suo percorso con Bernstein, Copland, Stokowski,
Hindemith, e con numerosissimi altri artisti di rilievo, risultando dedicatario
di opere, primo esecutore, direttore, trascrittore. Un lavoro da musicista,
insomma, più che da mero pianista. Non a caso, Leo Smit è conosciuto anche come
compositore, ed è ben rappresentato su disco con Copernicus, At the Corner of the Sky e con i suoi Canti di meraviglia per coro maschile.
Una simile parentesi di vita non può che produrre effetti mirabolanti in opere
come quelle di Copland, di cui Smit offre l'integrale: piccoli brani ma anche
lavori monumentali, e sia la consapevolezza della forma che il gusto
dell'aforisma sono presenti nell'interpretazione. Le melodie vengono
"cantate" con gioia; i blues ed i molteplici riferimenti alla cultura
jazz vengono recepiti con energia e consapevolezza delle pratiche di questo
genere. Il tutto con un'energia sempre presente, ed apparentemente
inesauribile. L'approccio particolare al mondo della musica viene anche reso
dialogico da Leo Smit in un omaggio a Copland pubblicato nel libretto
d'accompagnamento: "Il mondo antico comprende 142 specie di cucù. In
America del Nord non ce ne sono che due: il coccyzus
erythropthalmus Ives ed il coccyzus americanus Copland". Il
cucù Copland non eviterà d'esplorare il nido ancestrale d'Europa, ma tornerà
alla terra natale per elevarsi alto
nell'aria, e cogliere il vero spirito americano.
VARèSE
/ IVES
Amériques.
Symphony No 4, The Unanswered Question.
The Cleveland
Orchestra, Jahja Ling, The Cleveland Chorus, Morrell, Von Dohnànyi. Decca 443 172-2. 60'52". Note (Ingl.
Fr. Ted. Ita.). Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Severance Hall, Cleveland, Ohio, 1992-1994. Mentre
gli amalgama orchestrali sono ben riprodotti, il suono delle sirene avrebbe
meritato un trattamento particolare in entrata.
Interpretazione:
BUONA.
Riuscì
davvero Varèse a riprodurre con l'orchestra i glissati metropolitani delle
sirene? Gli bastò inserirne qualcuna nel corpus di una grande orchestra per
emulare il "significato" profondo che possiede lo stridio lacerante
di una sirena notturna all'interno di una città? Riescono a cogliere gli
interpreti di oggi il mistero (fabbrica, ambulanza, polizia) che quel suono poteva
evocare (normalità del lavoro, eccezionalità di un incidente, delitto o
ferimento) nell'ascoltatore sensibile, esteticamente sollecitato? Varèse dovette subire l'incomprensione del
pubblico per questo suo sentire ante litteram: la comprensione del mistero un
po' decadente e un po' progressista della promessa della civiltà
industrializzata occidentale. Quella promessa è ancor oggi irrisolta, in bilico
tra le possibilità di un futuro virtuale (e il gioco si incrocia sul senso
ancora metà fasullo e metà concreto di
questa parola) ipertecnologicizzato oppure dalla nuova barbarie, in agguato dietro i cips dei computer. Non è
un caso che il silenzio di Varèse si sia poi protratto fino all'avvento del
nastro, che consentiva uno sviluppo conseguenziale al suo modo di trattare
l'orchestra, e dava luogo concreto ad un immaginario urlo metropolitano,
all'irrisolta questione dei nuovi mondi sollevata da Amériques.
La
maestosa quarta Sinfonia di Ives segue nel compact in esame, accomunata al
precedente brano di Varèse dal medesimo destino di incomprensione e di
insuccesso: davvero esistono autori che parlarono prima di altri un linguaggio
del domani, che intuirono la mescolanza dei generi e dei temi musicali
possibili a darsi in una musica che soltanto da qualche decennio si è
affacciata sul panorama internazionale, conquistando finalmente il successo che
merita. Un'opera straordinariamente attuale proprio per la confusione che
veniva prima additata a difetto del lavoro del geniale imprenditore/compositore
americano.
Il
compact è chiuso da Unanswered Question, domanda irrisolta sul destino
dell'uomo, che richiama a più vicine memorie, ad un Quaesivi et non inveni
angoscioso e vicino al nostro sentire contemporaneo.
A.A.V.V.
Kongerei. Lacrymosa. Mugam
Sayagi. Quartet No.
Kronos Quartet.
Throat Singers of Tuva. Dawn Upshaw. Djivan
Gasparian. Alexandrovich. Elektra Nonesuch 7559-79346. 78'54". Note
(Ingl.). Distribuzione: Nuova Carish, Milano.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Skywalker
Sound,
Interpretazione:
ECCEZIONALE.
Questo
disco dei Kronos abdica felicemente al presupposto dell'avanguardia per
l'avanguardia, che rendeva i precedenti lavori
troppo speculativi, ed intellettuali in eccesso. La strada imboccata è
quella delle collaborazioni con altri interpreti (già nel compact dedicato a
Bill Evans c'erano Eddie Gomez e Jim Hall), ed evidentemente si tratta di una
scelta vincente sia per l'oggettiva qualità di quest'ultimi, sia perché si ha
il coraggio di rompere la logica stringente (e un po' oppressiva) della
scrittura per quartetto. Per quanto l'uso di "effetti speciali"
avesse caratterizzato sin dall'esordio questa formazione (dal vivo e in sala di
registrazione), e non si fossero lesinate sovrapposizioni su nastro ed uso del
computer, riuscendo così a creare strutture 'aperte' per un genere tanto nobile
quanto inflazionato come quello del quartetto d'archi, era inevitabile che il
passo successivo sarebbe stato quello dell'apertura ad incroci con altre
culture anche attraverso il lavoro d'insieme. Ed è proprio quello che avviene
in Night Prayers, fin dalla prima
traccia, Kongerei, che propone un Traditional arrangiato nel 1993 da Mackey con
la presenza delle tre voci eccezionali dei Throat Singers of Tuva. Si tratta di
un canto d'emigranti, il popolo dei Tuva giunto in Mongolia dalla Siberia: la
profondità gutturale delle emissioni richiama atmosfere imperdibili, da
monastero zen o canti di pastori.
Molto
bella anche la voce della soprano Dawn Upshaw, caratterizzata timbricamente, e
puntuale nell'intonazione infratonica: non ci si aspetti però il
soprano-strumento tradizionale. Sorprende l'emergenza del violoncello in Mugam Sayagi, della compositrice azera
Franghiz Ali-Zadeh, con uso di strumenti tradizionali e impiego degli archi
alla maniera orientale (l'incipit e la chiusa piaceranno agli amatori di
Scelsi). Complessivamente, tutto il disco è godibile, perfino il quartetto
della Gubaidulina, insolitamente espressiva.
SCHUMAN / HANSON / THOMSON / GERSHWIN / SESSION / IVES / MENNIN / PISTON
/ COPLAND
String Quartet No. 3 / Quartet in one Movement, op. 23 / String Quartet
No. 2 / Lullaby for String Quartet / String Quartet No. 2 / Scherzo for 2 violins,
viola and cello / String Quartet No. 2 / String Quartet No. 5 / Two Pieces for
String Quartet.
The Kohon
Quartet. Vox Box 11 59192. 75'46".
77'20". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????.
Giudizio tecnico: BUONO.
ADD. Stereo. Date e luoghi di registrazione non indicati. Scelte timbriche ben
operate.
Interpretazione:
OTTIMA.
THOMSON / HANSON / ROREM /
MACDOWELL / SCHUMAN
Louisiana Story / Symphony No 6 / Symphony No 3 /Suite No. 2 op. 48
"Indian Suite" / Symphony No 7.
Westphalian
Symphony Orchestra, Landau, Westchester Symphony Orchestra, Utah Symphony
Orchestra, Abravanel. Vox
Box 11 60212. 62'56". 57'42". Note (Ingl.). Distribuzione:
????????????.
Giudizio tecnico: BUONO.
ADD. Stereo. Date e luoghi di registrazione non indicati. Non sempre il livello
di resa delle sonorità orchestrali è omogeneo.
Interpretazione:
BUONA.
E'
di una semplicità disarmante, e quindi affascinante,
Howard
Hanson, nato nel 1896 e scomparso nel 1981, si muove dalla matrice romantica
("Abbraccio il romanticismo con fervore, convinto che troverà in questo
paese una nuova crescita"), e le sue opere sinfoniche sono notevoli soprattutto
per l'architettura.
Di
Ned Rorem si è recentissimamente recensito il Piano Concerto per sola mano sinistra ed orchestra, dove ci si
entusiasmava per l'estro, la freschezza e la progettualità del compositore.
Questi caratteri restano inalterati nella terza Sinfonia, specie nell'Allegro molto vivace e nel conclusivo Allegro
molto, anche se nella scrittura per orchestra Rorem tende ad appesantire la
scrittura.
Edward
MacDowell (1861-1908) è stato tra i fondatori della musica americana, e per
questo motivo viene sovente ricordato, anche se non altrettanto spesso
eseguito, nonostante la sua vocazione tardoromantica. Nella Indian
Suite raccoglie temi e melodie degli Iroquois, Chippewa, Iowa e Kiowa, ma
il suo sinfonismo è pesante, arcaico, teso alla ricerca di una legittimazione.
Una nota: il suo secondo concerto per pianoforte fu dedicato alla grande Teresa
Carreño, e da lei fatto conoscere in Europa nel 1890.
Schuman,
scomparso recentemente (1992), ha scritto non pochi lavori per orchestra, molti
dei quali su commissione, e perciò eseguiti abbastanza frequentemente. Schuman
teneva in modo particolare soprattutto alle ultime tre sinfonie, e quindi anche
alla Settima, scritta nel 1960 e qui
proposta nell'esecuzione della Westphalian Symphony Orchestra diretta da
Landau. Si tratta di un sinfonismo di grandi dimensioni, apodittico e serioso,
perlopiù tonale (ma il male non è qui di certo), gestito anche bene
tecnicamente, ma forse noioso, perché si ha la sensazione che non accada nulla
di straordinario. Soltanto il terzo movimento, Cantabile intensamente, ha
momenti di lucidità introspettiva. Pure il terzo quartetto non lascia nulla di
memorabile.
Segnaliamo,
infine, che nel doppio dedicato ai quartetti trovano posto anche una simpatica Lullaby di Gershwin, e lo Scherzo di Ives interpretato anche dal
Kronos.
TRADITIONAL
Thai Classical Music
The Prasit Thawon
Ensemble. Nimbus Records, NI 5412. 67'30". Note (Ingl.). Distribuzione:
Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio, St.
Giles, Cripplegate, 9 luglio 1993. Il particolare timbro dei
differenti strumenti è riprodotto con buona fedeltà.
Interpretazione:
BUONA
Il
disco in esame raccoglie quattro brani di musica sacra tailandese suonati dal
Prasit Thawon Ensemble. Nel primo, Homrong
Sornthong, il compositore, Luang Pradit Pairoh, si ispira al modello di Sathukarn, un lungo pezzo di musica sacra, dal quale seleziona e
sutura frammenti in modo da creare una differente organizzazione tematica. Ciò
avviene attraverso l'uso di molteplici accordature tra gli strumenti, a
differenza del sistema tradizionale che ne prevede una soltanto. In Homrong
è presente l'organico più ricco, con oboe, percussioni, xilofoni,
cembali e Khong Wong Yai, una sorta di impalcatura circolare che supporta più
di un gong. Segue Sumran Dontri Klong,
una lunga suite compilata dal Maestro Prasit Thawon (dal quale prende nome
l'ensemble) in occasione di un dottorato in musica conferitogli dall'Università
dello Srinakharingwirot, alla quale è infatti dedicato. La Suite è stata poi
eseguita all'Università di Londra nel luglio del '93. Si tratta di un insieme
di brani che si susseguono senza interruzione alcuna, con frequenti cambiamenti
di tempo e velocità, secondo lo stile classico tailandese, assemblando temi originali, spesso sincopati,
ad altri appartenenti alla tradizione.
Il
terzo pezzo, Sarama, prevede un
organico di solo tre persone, con percussioni, cembali e Pi Chawa, uno
strumento a fiato d'origine indonesiana dal suono stridente e piuttosto
intrusivo e fastidioso. Il che spiega il fatto che Sarama, con le sue incalzanti percussioni, sia usato per
accompagnare le fasi della boxe tailandese, famosa per l'uso di colpi di gomito
e ginocchiate anche mortali. Il compact è chiuso da Cherd Chin, altro standard della tradizione classica qui presentato
in una antica versione del secolo scorso.
WAYNE
Symphony No. 5
"Africa"
The State
Philarmonic of Brno, Svàrosky. Newport Classic NPD 85569. 46'34". Note
(Ingl.). Distribuzione:
????????????.
Giudizio
tecnico: MEDIOCRE. DDD. Stereo. Studio, Czech Republic, Aprile 1993. Eccessivo risalto delle percussioni.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Questo
compact è idealmente dedicato all'aspirazione di libertà, ritmica ed
esistenziale, del popolo africano. E' un monografico di Hayden Wayne,
compositore e librettista di Africa... a tone poem. Fin qui il progetto: che poi
le scelte stilistiche per realizzare il programma funzionino o meno è
quantomeno discutibile. Ad esempio, nella danza tribale iniziale, l'unica
ritmicità che riesco a rintracciare è un fortissimo colpo simmetrico che sfora
e svetta su pulsazioni costanti. Né si rintracciano elementi tematici che
suggeriscano la capacità ipermodulante, ed infratonica, delle canzoni africane.
Ma tutto sommato, grazie alla gradevolezza di un temino ripetuto, si passa alla
seconda traccia speranzosi. Quand'ecco che ci aspettano al varco altri colpi
assolutamente ritmici, fortissimi e inspiegabili: scelta estetica o problema di
registrazione? Forse si sarà pensato che "africano" dovesse essere
sinonimo di "casino con le percussioni", cosa assolutamente indimostrabile
ed aberrante, per chi abbia un minimo di dimestichezza con le effettive,
variegate, percussioni di quel continente. Che dire se non segnalare che quello
che ci era sembrato un pregio, il fatto che si dimostrasse sensibilità per
certe problematiche, e si venisse da una esperienza di scrittura di musiche
cinematografiche e commerciali (una nuova estetica prende piede in questa
direzione), si rivela all'ascolto motivo d'estrema delusione.
JAN PEERCE SINGS HEBREW MELODIES
A Plea to God. Rozhinkes mit Mandlen. A Shepherd, a Dreamer. Mom-e-le.
A Zemerl. A Dudele. Kol Nidrei. Meyerke, Mein Zun. Eili, Eili. Shiroh.
A Cantor for a
Sabbath. Peerce, RCA Victor Orchestra. BMG
09026 61687 2. 41'28". Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola,
Roma.
Giudizio tecnico: OTTIMO. ADD. Stereo. Webster Hall, NYC,
Gennaio e febbraio 1960. Nonostante si tratti di registrazioni dei primi anni
sessanta, la resa timbrico/armonica della voce è molto bella, grazie alla
tecnica del Living Stereo, ampiamente descritta nel libretto esplicativo
Interpretazione:
OTTIMA
"Hebrew
Melodies" ripropone (le registrazioni sono del 1960) su compact alcune
melodie ebraiche cantate da Jan Peerce, con l'accompagnamento della RCA Victor
Orchestra. Si tratta soprattutto di traditional, cioè di brani evidentemente
legati a doppio filo alla tradizione sacra di quel popolo, e tuttavia
provenienti o raccolti in luoghi differenti,
di origini remote o più recenti. Si tratta, quindi, di un'antologia, in
cui gli arrangiamenti ci consegnano intatta e pulita la linea melodica, con
l'orchestra che accompagna e asseconda, come è giusto che sia, il celebre
tenore americano, che iscrisse nel suo curriculum anche frequentazioni jazz e
leggere, nonché l'interesse per le musiche da film. Così, la scelta degli
arrangiamenti è solo in alcuni casi vicina ad una ragione etnica, risultando
più spesso funzionale all'esecuzione solistica, sia dove è presente il coro
(massimamente, ad esempio, in A Zemerl ),
sia dove è invece l'orchestra a sottolineare con frasette cromatiche che
simulano i glissati folclorici, le belle permutazioni vocali su un bordone.
Troppo simile ai recitativi d'opera la riduzione di Kol Nidrei, e di nuovo filmica e citazionista A Cantor for a Sabbath. A ben vedere, valutando oggi queste incisioni,
mi pare grandissima la voce e l'intuito interpretativo di Jan Peerce, ma
pessime tutte le trascrizioni, non solo perché datate, dal momento che pasticci
simili sono frequenti anche oggi, ma perché tendono ad attenuare le
contaminazioni, riportando una melodia evidentemente tradizionale all'interno
dei canoni della musica occidentale. Nulla di cui meravigliarsi, visto che
l'han fatto anche grandissimi musicisti, e mi sfugge l'esistenza di un genere
compiuto in sé che si mantenga puro e non presenti questi caratteri. Ma mi pare
che se Peerce dimostra d'essere capace di osare, e di confrontarsi con modalità
esecutive di tale difficoltà, avrebbe potuto anche abdicare al pregiudizio
della supremazia virtuosistica, e preoccuparsi un po' di più del musicale che
gli accadeva attorno. In due parole: perché c'è intuizione etnica
nell'esecuzione della linea melodica e non nella trascrizione?
SUK
A Summer's Tale, op. 29.
Royal
Liverpool Philarmonic Orchestra. Pesek. Virgin Classics 7243 5 45057 2 0.
51'56". Note (Ingl. Ted. Fr.).
Distribuzione: EMI Italiana, Varese
Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Philarmonic Hall,
Liverpool. Maggio 1994. Resa dei pastelli orchestrali soddisfacente.
Interpretazione:
BUONA
Più
noto come violinista che come compositore, Josef Suk fu allievo di Dvoràk al
conservatorio di Praga, dove, dal 1922, divenne a sua volta docente di composizione. Fu molto legato al
maestro, e ne sposò
ZEMLINSKY
Landliche Tanze op. 1. Balladen.
Fantasien uber Gedichte von Richard Dehmel op. 9. Albumblatt. Skizze. Fuge in
g-Moll.
Mauser.
Virgin Classics 7243 5 45125 2 0. 63'26".
Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese
Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Studio 3, Bayerischer
Rundfunk Dicembre 1993. Il timbro pianistico è un po' sordo.
Interpretazione:
BUONA
Alexander
von Zemlinsky fu suocero e maestro di Schoenberg, il quale confidenzialmente lo
chiamava "Alex", come quando annota nel Diario berlinese "Alex
è sembrato molto irritato da una lode indirizzatami da Webern, e ha ritenuto
necessario aiutarmi (ad una prova, nda). Ciò m'ha certamente nuociuto nei miei
rapporti con l'orchestra". E
ancora: "Alex non è altrettanto gentile. Soprattutto mi lesina, quasi per
principio, ogni parola di lode". A saper leggere tra le righe, c'era tra i
due un rapporto alquanto conflittuale, anche se mi pare indubbia la stima di
Arnold verso chi gli aveva insegnato ad amare, senza discriminazioni, Wagner
quanto Brahms. E, tuttavia, di Wagner c'è poco nella produzione pianistica di
Zemlinsky, quasi completamente ammucchiata negli ultimi anni del secolo scorso,
visto che sia le Danze rustiche che
le Ballate risalgono al 1891/92, l'Albumblatt, e lo Skizze al 1895/96 e solo la Fantasia
sui versi di Richard Dehmel lambisce il
JAPAN. KABUKI & OTHER TRADITIONAL MUSIC
Echigojishi. Ataka no Matsu. Musume Dojoji. Kanjincho. Shirabe-Sagariha.
Atsumori. Hanayagi. Satto.
Ensemble
Nipponis. Nonesuch 7559-72084-2. 48'20".
Note (Ingl.). Distribuzione:
Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico: BUONO.
Presa del suono non indicata. Stereo. American Academy, NYC, Ottobre 1978. Ambientazione
di grande impatto.
Interpretazione:
OTTIMA
ZIMBABWE. THE SOUL OF
MBIRA.
Nhemamusasa. Taireva.
Nyamaropa. Kuyadya. Mbiriviri. Nhimutim. Nyamaropa. Dangurangu. Kumakudo.
Magaya,
Pasipamire, Mude, Mutemasango, Utsvoma, Katvayire, Fatsika, Nyamuda. Nonesuch
7559-72054-2. 44'39". Note (Ingl.).
Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico: DISCRETA.
Presa del suono non indicata. Zimbabwe, 1973. Buon amalgama d'insieme, ma
complessivamente non ben spazializzato.
Interpretazione:
BUONA
Nonesuch
presenta due monografici dedicati rispettivamente al Giappone ed allo Zimbabwe.
Il primo propone una serie di composizioni variamente datate, di autori e
periodi differenti, soprattutto mutuate dal teatro giapponese del Kabuki,
eseguito tradizionalmente soprattutto da donne. Echigojishi è un brano del 1811, composto da Kineya Rokuzaemon.
Come gli altri mutuati dal genere
nagauta, prende la stessa formazione usata nel complesso no, ed usa voce,
flauto di bambù, gong e percussioni di vario genere e soprattutto lo shamisen,
un liuto a tre corde. Il secondo brano, estremamente suggestivo, è del 1769,
scritto da Fujita Kichiji. Anche nel terzo, Musume
Dojoji di Kineya Yasaburo (è del 1753), la voce è presente, ma viene usata
con estrema parsimonia, quasi da sfondo, e rende atmosfere molto ipnotiche. Gli
ultimi quattro pezzi, invece, sono prevalentemente strumentali, e più vicini
nel tempo, consentendo all'ensemble
Nipponia di offrire una bella prova di concentrazione e abilità nelle
impercettibili variazioni degli andamenti. Completamente differente il disco
dedicato allo Zimbabwe, certamente più etnico, ma non meno interessante perché
dedicato alle performance che i suonatori professionisti di Mbira effettuano in
cerimonie religiose o d'altro tipo. La Mbira, di cui esistono infinite specie,
è fatta di un numero variabile di linguette metalliche, ordinate in doppia fila
(l'inferiore presenta linguette più lunghe), accordata generalmente seguendo
una scala pentatonica (ma anche esatonica o eptatonica). Nel compact viene suonata soprattutto quella con un risuonatore
in legno (o semplicemente una zucca) che
fa da cassa armonica. Quando l'orchestra
di mbira risuona al completo l'effetto è interessante, e senza eccezioni di
contemporaneità.
BARBER / COPLAND
Adagio for String. Nocturne. Sure on This Shining Night (from Four Songs
op. 13). Knoxville: Summer of 1915 / Quiet City. Eight Poems of Emily
Dickinson.
Hendricks, London
Symphony Orchestra, Murphy, Pendrill, Tilson Thomas. EMI Classics 7243 5 55358 2 5.
63'17". Note (Ingl. Ted. Fr.).
Testi. Distribuzione: EMI Italiana, Varese
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio No 1, London, Maggio 1994. Molto belle le dinamiche. Bella
resa della pienezza armonica della voce.
Interpretazione:
OTTIMA
Barbara
Hendricks dà bella prova di sé in questo disco che tenta un accostamento, anche
ragionato, alle figure dei due compositori americani Copland e Barber. Altissimo il livello sia nei Poemi da Emily Dickinson che nel Nocturne
e in Sure on This Shining Night. Entrambi i brani, scritti inizialmente per
pianoforte, sono su testi di poeti amati dal compositore ( intendo
metaforicamente, vista la nota omosessualità, puntualmente descritta nel
libricino d'accompagnamento ): il Notturno,
su testo di Frederic Prokosch, fu composto nel 1940; Sure of This Shining Night, su testo di James Agee, nel 1938,
subito dopo la stesura di Knoville:
Summer of 1915. Bellissimo
soprattutto l'aprirsi della melodia nel Notturno,
capace davvero di commuovere. Come si vede dal sommarietto, non solamente brani
vocali sono compresi nel disco, anche se in copertina campeggia solitaria una
bella immagine della soprano. C'è infatti il celebre Adagio per archi, che come è ormai prassi affianca quasi ogni nuova
uscita di Barber. Qui è eseguito con suono denso e corposo, molto pulito come
tutto il resto del compact; e tuttavia ciò non ci impedisce di rimpiangere la
malinconica e sfilacciata esecuzione di
Cantelli. Primo brano in ordine di esecuzione, poi, prescindendo dalle indicazioni
di copertina, è Quiet City, con la tromba solista di Maurice Murphy che dialoga con
il corno inglese di Christine Pendrill, riuscendo ad evitare pesantezze
declamatorie.
GORECKI
Symphony No. 3.
Kilanovic,
Szymanowski state Philarmonic Orchestra, Cracow, Kasprzyk. EMI Classics 7243 5
55368 2 2. 56'49". Note (Ingl. Ted.
Fr.). Testi. Distribuzione: EMI Italiana, Varese
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo. St. Mary Cathedral, Wroclaw. 5/IX.1993. Un suono
mistico, per lontananze e sonorità d'atmosfera. Spicca la voce solista,
tuttavia ben mescolata all'avanzare dell'orchestra.
Interpretazione: ECCEZIONALE
Questo
brano è ormai troppo famoso per poterne parlare ex novo come se niente fosse.
Il suo autore si va delineando come una delle più interessanti (e possenti)
voci del panorama contemporaneo, anche perché riesce a conciliare le esigenze
di puro mercato con l'effettiva densità di contenuto, senso e bellezza del suo
'prodotto'. E la sottolineatura mi pare vada posta proprio sotto la parola
"densità", che esiste, e riesce a catturare l'ascoltatore nelle
maglie di un discorso capace di sviluppo, musicale e addirittura
linguistico. Mistico perché capace di rinviare oltre di sé. La versione
precedente ha venduto ben trecentomila
copie, e scusate se è poco per un pezzo di musica contemporanea. Di cosa si
tratta? E' musica lenta, ma con piccole variazioni di tempo, capace di lunghe
onde agogiche, che segnalano l'incedere e la progressione, crescente e poi
decrescente, della melodia, affidata a bande tematiche sovrapposte degli archi nel bellissimo e struggente primo
tempo, o alla voce del soprano che procede per piccoli passi diatonici nel
secondo. Sprazzi di luce, però, s'aprono ogni tanto, talvolta scanditi da un
rintocco di nota isolata affidata al pianoforte (avete presente Ligeti e
Scelsi, o i suoni ripetuti che ac/cadono quasi heideggarianamente in Brian Eno?
Bene, qui c'è molto di più). Assodato, dunque, che il brano nella sua scrittura
è davvero eccezionale, si può parlare dell'esecuzione, visto che lo
straordinario successo della versione della London Sinfonietta diretta da David
Zinman, con
WEILL / HINDEMITH / TOCH
Concerto for violin and wind orchestra / Septet for Wind / Five Pieces
for Wind and Percussion op. 83.
Tetzlaff,
Soloists of the Deutsche Kammerphilarmonie. Virgin Classics 7243 5 45056 2 1. 58'08". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI
Italiana, Varese.
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo. Immanuelsikirche Wuppertal-Oberbarmen, Febbraio 1994. Un po'
insufficiente il volume di registrazione. Si ha la sensazione di ascoltare da
una distanza eccessiva.
Interpretazione: DISCRETA
Il
timbro degli strumenti a fiato non è che sia sempre caratterizzato, specie in certe formazioni timorate di Dio, cioè con
rispetto reverenziale per la pagina scritta e attenzione focalizzata sul bel
suono. E il bel suono c'è di sicuro nei solisti della Deutsche
Kammerphilharmonie, ma c'è anche dell' indeterminatezza stilistica nel
connotare le diversità anche timbriche
tra un brano e l'altro. Usando la funzione random ci si può divertire ad
ascoltare i diversi pezzi dei tre compositori come se si trattasse di un unico
pot-pourri, per verificare se e quanto si è notato sia effettivamente vero,
specie nelle tinte mediane. Fatta questa premessa sull'esecuzione, va almeno
accennata la presenza del Concerto per violino e orchestra di fiati op. 12 di
Kurt Weill. Si tratta di un lavoro giovanile, nel quale c'è ben poco
dell'ironia e della spregiudicata scrittura dell'Opera da quattro soldi e di Mahagonny,
anche se certi elementi tematici qui presenti verranno ripresi e modificati
proprio in quelle opere. Vivace, ma un po' penalizzato dall'esecuzione, il Settetto di Hindemith, scritto subito
dopo la revisione dei Marienleben, nel
ADAMS
Chamber Symphony. Grand Pianola Music.
Alley,
Sutherland, London Sinfonietta, Adams. Elektra
Nonesuch 7559-79219-2. 52'55". Note
(Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. CTS Studios, London. Febbraio 1993. Nel secondo brano i due
pianoforti sembrano eccessivamente in sottofondo.
Interpretazione:
OTTIMA
Non
si è fatto in tempo a lodare un brano di John Adams, compositore, clarinettista
e direttore d'orchestra in forza al Conservatorio di Sanf Francisco (si
trattava di Shaker Loops, situato in
un collettaneo che affiancava il nostro a Glass, Reich, Heath, un disco Virgin
7243 5 61121, con
HE'S GOT THE WHOLE WORLD IN HIS HANDS.
Spirituals.
Anderson, Rupp,
Motley. RCA Victor 09026 61960. 72'44". Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola,
Roma.
Giudizio tecnico: BUONO.
ADD. Stereo. Webster Hall, NYC, 1961. Rispettati i timbri più scuri e quelli
più acuti della contralto. Buon bilanciamento.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
La
Anderson, come è noto, fu eccezionale interprete americana, debuttando intorno
agli anni Trenta in Europa, e conquistandosi a fatica, dato il colore della sua
pelle, un ruolo di prim'ordine con uno straordinario concerto al Lincoln
Memorial, al quale assistettero oltre settantamila persone. Non poche polemiche
suscitò il suo debutto nei panni di Ulrica nel Ballo in Maschera, al Metropolitan: prima contralto di colore in
quel ruolo e in quel teatro. Nel compact che recensiamo, vengono presentati
alcuni spirituals, a parer nostro eseguiti con eccezionale maestria, anche se
il timbro della voce risente un po' del peso degli anni. Ma che interprete! Il
gioco viene effettuato con una duplice scansione, consentita dall'ampia
estensione della Anderson. In He's Got
the Wole World in His Hands si
assapora il suono più cupo e profondo, quasi maschile, mentre, ad esempio, in Oh Didn't It Rain, aforistico
nell'arrangiamento di Burleight, campeggia una sorta di falsetto (per carità,
non proprio falsetto, è chiaro...). Bravi i due accompagnatori, capaci di
percepire il vero respiro spiritual della nostra: Franz Rupp e John Motley.
Inoltre, visto che una volta tanto vengono elencati anche gli arrangiatori, che
in genere lavorano all'oscuro di qualsiasi merito, desidero citarli anche qui.
Oltre al maggioritario Hall Johnson, ci sono Hamilton Forrest, Lawrence Brown,
Boatner, Burleigh, Florence Prince, Roland Hayes e Rosamund Johnson.
KOPPEL / HOLMBOE / KULESHA / CHRISTIANSEN / ARNOLD
"Moonchild's Dream" / Concerto for recorder, String Orchestra,
Celeste and Vibraphone op. 122 / Concerto for Recorder and Small Orchestra /
Dance Suite op. 29 / Concerto for Recorder and Orchestra op. 133.
Petri, English
Chamber Orchestra, Kamu. RCA Victor
09026 62543 2. 77'49". Note
(Ted. Ingl. Fr.).
Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. The Hit Factory, London. 21-23 Settembre 1992. Il
flauto solista stacca nettamente, restando tuttavia ben bilanciato con
l'orchestra.
Interpretazione:
OTTIMA
Michala
Petri, specialista di flauto a becco per il repertorio barocco, che in tempi
non lontani ha inciso le Sonate di Bach ed Handel con Keith Jarrett (BMG 09026
61274 e RCA RD 60441), si confronta in questo compact con autori
contemporanei, ammettendo esplicitamente
che "la loro musica non s'adatta al flauto a becco; al contrario sono io
che mi sforzo di adattare il flauto alla loro musica". E difatti la
virtuosa sembra dare il meglio di quanto
possibile con quello strumento, per velocità ma soprattutto per nitore
di suoni, riuscendo, nel caso delle pagine migliori, ad ottenere una fusione
notevole con l'orchestra, e ad acquisire un linguaggio strumentale
consapevolmente contemporaneo. Da questo punto di vista, il brano più riuscito
mi pare essere quello della title-track, "Moonchild's Dream" di
Thomas Koppel (nato il 1944), che ricorda, dopo i 5', certe atmosfere neoclassiche ravelliane, e
non mi pare ignorare il miglior Morricone (quello cinematografico). Giocoso e
magico, davvero danese, il concerto di Vagn Holmboe (1909), godibile nei
dialoghi tra flauto, celesta, vibrafono (che fanno gruppo a sé) e tra questi e
l'orchestra d'archi. Leggero lo stile di Asger lund Christiansen (1927), che fa
un po' il verso a certi sfavillii alla Poulenc, con temi brevi, esposizione e
sviluppo abbastanza scontati e scolastici, che si susseguono rapidamente con
l'orchestra che li accompagna. Ancora neoclassico l'ultimo Concerto, quello di
Malcom Arnold (1921), almeno per quel che concerne il secondo movimento, una
Giga che potrebbe alludere a suoni cinematografici se fosse intesa con maggiore
ironia. Il brano meno riuscito è quello di Gary Kulesha (1927): troppo
'sperimentale' nel senso deteriore del termine: dovremo meravigliarci ancora
dei glissati degli archi o degli aggiustamenti microtonali del flauto?
CORIGLIANO / SCHWANTNER / FOSS
Troubadours (Variations for Guitar and Orchestra) / From Afar... A
Fantasy for Guitar and Orchestra / American Landscapes for Guitar and
Orchestra.
Isbin, The Saint
Paul Chamber Orchestra, Wolff. Virgin
Classics CDC 7243 5 55083 2 4. 66'35".
Note ( Ingl. ). Distribuzione: EMI Italiana, Varese.
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Orchestra Hall,
Minneapolis. Ottobre e Novembre 1994. Effetti orchestrali resi ottimamente.
Forse la chitarra vien fuori in modo eccessivo in alcuni punti.
Interpretazione:
OTTIMA
Dopo
averli tenuti a battesimo, ecco le prime registrazioni mondiali della
chitarrista Sharon Isbin per i concerti di John Corigliano (prima assoluta
nell'ottobre 1993), Joseph Schwantner (prima l'otto gennaio 1988) e Lukas Foss
(prima a New York il 29 Novembre 1989).
Il
brano d'apertura è Troubadours di
Corigliano, e consiste in una serie di variazioni su un tema d'origine
provenzale, soltanto 'aggiustato' dal compositore. Corigliano è noto per la sua
capacità di volgere a buon esito, sovente attraverso una squisita intuizione melodica,
anche le più ardue scritture e acquisizioni tecniche contemporanee; ha quindi
tutte le carte in regola per potersi meritare un certo successo di pubblico,
che in effetti lo accompagna dal Poem in
October (su disco dal '70) fino a The
Ghosts of Versailles per il quale ha
ricevuto due Grammy nel 1991, e alla Sinfonia
interpretata da Barenboim. Spesso ben cesellati anche i brani pianistici o
quelli per voce e pianoforte (ricordo
soltano For Tryon Park, recentemente
inciso da Lauren Wagner per Channel Classics 5293). In queste Variazioni per chitarra riesce a
miscelare l'ispirazione trovadorica con un polistilismo felice ma un po'
discontinuo. Inizio poderoso e virtuosistico per la Fantasia di Joseph
Schwantner (le altre poche incisioni sono un brano And The Mountains Rising Nowhere
per Sony eConsortium I e IV
per Fono), sostanzialmente in linea con la maggior parte dell'esiguo repertorio
per chitarra ed orchestra, si smarrisce presto in esercizi sperimentali
pretestuosi, ai quali s'alternano poderosi rombi dell'orchestra, privi tuttavia
di sviluppo. Un brano discontinuo che mette in mostra la bravura della Isbin,
ma giusto quella. In chiusura
MAES
Symphony No. 2. Viola
Concerto. Ouverture Concertante. Arabesque and Scherzo for Flute and Orchestra.
De Neve, Vanhove.
Royal Flanders Philharmonic Orchestra, Oskamp. Marco Polo 8.223741. 55'07". Note (Ingl.). Distribuzione: ??????????
Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Elisabeth Hall in Antewerp. Luglio 1994. Nell'incipit
s'ode qualche piccolo rumore ritmico. Per il resto la resa dell'orchestra è
abbastanza fedele, ma di tipo tradizionale. Belle le dinamiche.
Interpretazione:
BUONA
Gli
accessi all'opera di Jef Maes non sono certo moltissimi, dal momento che non
m'è dato di reperirne altri oltre al compact di cui qui si scrive, comprendente
SPIRITUAL
Steal Away to Jesus! Certainly, Lord. Wade in the Water. Ride on King
Jesus! Jesus walked this Lonesome Valley. Take my Mother Home. Amazing Grace.
Deep River. Calvary Medley. I Been in de Storm. Po' Moner got a Home at Las'.
Soon Ah will be Done. On Mah Journey Now, Mount Zion. I want Jesus to Walk with
Me. My Lord What a Morning. He's got the Whole World in His Hand.
Conrad, The
Convent Avenue Concert Choir, The New England Symphonic Ensemble. Hopkins. Naxos 8.553036.
55'12". Note ( Ingl. Ted. Fr.).
Testi (Ingl.). Distribuzione: ????????
Giudizio tecnico: MEDIOCRE.
DDD. Stereo. Live
in Concert, Covent Avenue Baptist Church, Harlem, NYC, e Fisher Hall, Santa
Rosa, California. Marzo 1994 e Maggio '94. Il coro e
l'orchestra sono un po' distanti.
Interpretazione:
DISCRETA
Ancora
spiritual, questa volta per la collana medioprezzo Naxos, con registrazioni
live (fin troppo live) di Barbara Conrad, con coro, orchestra, pianoforte, e
chi più ne ha più ne metta. "Immaginate una piccola comunità rurale nera
del Sud-Ovest degli Stati Uniti, immaginate una terra rossa e fertile, dei
magnifici campi di cotone, di mais e pomodori, immaginate il blu chiaro del
cielo e il calore del sole, all'Est del Texas; è là che sono cresciuta, è là
che la mia famiglia e i miei amici hanno penato, lungamente e duramente, con
fierezza e ostinazione, per istallare quella comunità". E' un po' il luogo
comune, già memoria, che lega la storia dell'America a quella delle origini del
jazz. Lo spiritual come sfogo tra il canto e la preghiera, il pianto e
GLASS
La Belle et la Bete.
The Philip Glass
Ensemble, Riesman, Felty, Purnhagen, Kuether,
Giudizio tecnico: ECCEZIONALE. DDD. Stereo. The Looking Glass Studios,
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Philip Glass ha girato in lungo e
largo i festival nostrani col suo ensemble per presentare questa versione de La Belle et la Bete, riuscendo ancora a
scatenare polemiche e a provocare diversioni critiche. Così mi pare senz'altro
opportuno parlare dello straordinario cofanetto della Nonesuch senza però
ignorare, vista la particolarità e complessità dell'operazione, la sua
rappresentazione scenica. Parto avvantaggiato perché ho assistito a Napoli, in
occasione di un concerto per la Scarlatti, ad una lettura 'autentica',
rigorosamente dal vivo, dell'opera.
La Bella e la Bestia è la seconda parte di una trilogia teatrale dedicata da
Glass ai film di Jean Cocteau. Il trittico è articolato in modo da offrire uno
spaccato sui modi di 'tradurre' una pellicola in forme artistiche differenti.
In Orphée , testa di serie del
progetto, Glass è partito dal film per ricreare innanzitutto il libretto di
un'opera da camera, e poi la sua visualizzazione scenica, senza però servirsi
"dell'immaginario" dipinto nell'originale, come precisa lo stesso
autore. Con La Bella e la Bestia il
compositore di Baltimora sopprime la colonna sonora originale, proietta il film
in sala, esegue la musica dal vivo sincronizzando le voci con i testi che
scorrono sotto le immagini mute, e condisce il tutto con alcune trovate
scenografiche. Insomma, incrocia film ed Opera. L'ultimo atto della trilogia
studierà l'incontro de Les Enfants
Terribles con il Teatro/Danza.
Come si può vedere, questa
traslatura su suggestioni è cosa forse affine, ma certamente differente dalle
operazioni precedenti di Philip Glass sia in relazione alla musica da film che
a quella per il teatro. Sto dando naturalmente per scontato che non esista più
una discriminante di valore sui diversi generi di produzione musicale, e che le
distinzioni procedano per insiemi di quantità, e non di qualità; individuare
una specie non comporta necessariamente porla in una graduatoria di
rispettabilità estetica. E' noto che Glass ha dato il meglio di sé, più che
nelle opere iniziali fortemente ed esageratamente speculative (forse rigorose
ma noiose, macchiniche ma postindustriali più che postmoderne), in quei brani
pensati come colonna sonora di un film (ad esempio, Koyaanisqatsi, e più di recente Anima
Mundi , Candyman, A
Brief History of Time ; talora Glass
si riferisce anche a 1000 Airplanes on the Roof, che però è
un melodramma di ispirazione filmica); e a tutti gli estimatori del musicista
non sarà sfuggito che molti suoi pezzi vengono 'riciclati' e riutilizzati dai
programmisti di mezzo mondo in documentari, servizi televisivi, etc.
Già in tempi lontani ho ritenuto di
scorgere un filo rosso tra certe reiterazioni della migliore "musica
d'arredamento" e le intuizioni di fondo di Glass, come se la
caratteristica della musica cinematografica fosse da ricercarsi proprio nella
capacità di porsi in parentesi durante lo scorrimento delle immagini, e però di
richiamarle immediatamente, ed in modo esplosivo, non appena quelle colonne
sonore vengano riproposte prive del supporto visuale. Si tratterebbe, cioè, di
messa in parentesi per una successiva deflagrante allusività.
I lavori musicali per il teatro, dal
canto loro, hanno accompagnato (quasi) tutte le intuizioni e le evoluzioni
dello stile di Philip Glass. Per convincersi di questo basta leggere la sua
biografia musicale: l'incontro con Bob Wilson, la conseguente stesura di Einstein on the Beach; la provocazione
di Hans de Roo, direttore della Netherlands Opera ("Bene, Philip, molto
interessante" - gli disse dopo aver visto l'Einstein - "ma che ne diresti di scrivere ora una vera opera?"), e la scrittura di Satyagraha , nella convinzione di
indagare anche la "realtà fisica
dei teatri" in cui si trovava a lavorare.
Il trittico che attualmente occupa
l'americano è invece qualcosa di più, perché allunga di una spanna l'indagine
sulle forme artistiche affini. Non mi sento però di parlare di vera
contaminazione, se non in senso molto lato; l'elemento principale resta quello
musicale, ed è per giunta molto omogeneo. E proprio considerando gli esiti
"puramente" musicale riterrei che si sta verificando una svolta nel
modo di comporre e progettare un lavoro.
La Bella e la Bestia mantiene della colonna sonora la capacità evocativa ed allusiva; della
produzione teatrale l'esecuzione dal
vivo, davvero complessa e bisognosa di una precisione millimetrica, e la
gestualità teatrale che ogni rappresentazione porta con sé. La sintesi di
queste opzioni realizza davvero il
progetto ambizioso di Glass, perché la musica effettivamente suggerisce, purché
si sia vissuta almeno una volta la suggestione dello spettacolo dal vivo, le
atmosfere a metà strada tra inconscio e magia che appartengono al film.
L' "alchimia dello
spirito" di cui parla Glass a proposito de La Bella e la Bestia soffia davvero in quelle immagini un po'
sbiadite, ed è evocata anche all'ascolto del disco (una videocassetta è forse
più efficace, ma meno aderente all'itinerario logico e compositivo che abbiamo
tentato di illustrare). Ma non mi si fraintenda: consiglio, eccome, l'acquisto
del cofanetto, perché la musica è bellissima anche da sola; e ritengo ozioso
continuare a interrogarsi sullo stato di salute del minimalismo. Quello che
conta è la coerenza del percorso individuale e la funzionalità dell'opera. E
Glass possiede ancora entrambe.
PETTERSSON
Symphony No. 2. Symphonic Movement.
BBC Scottisch
Symphony Orchestra, Francis. Cpo
999281-2. 57'11". Note (Ted. Ingl.
Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Data e luogo di registrazione non indicati. Suono complessivamente
un po' pastoso.
Interpretazione:
BUONA
WETZ
Symphony No. 1.
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Cracow Philharmonic Hall, 19-14 giugno
1994. Un po' sordi i
fortissimi: così si appiattiscono le dinamiche.
Interpretazione:
OTTIMA
Di
Pettersson, compositore nato nell'Uppland e cresciuto nei sobborghi di
Stoccolma, la Cpo sta pubblicando la serie completa delle sinfonie (sedici in
tutto; esiste poi un frammento della diciassettesima), ma finora ho avuto tra
le mani solo una struggente e bellissima versione della sesta
nell'interpretazione di Trojahn con
Il
disco comprende una bella esecuzione di Alun Francis della seconda sinfonia,
completata nel 1953, e il Movimento
Sinfonico scritto nel 1873: opere
che comprendono un ventennio, durante il quale il nostro scrisse dieci sinfonie,
certo raffinandosi. Ma non si creda che il linguaggio, per quanto un po'
variegato della seconda sinfonia sia sconnesso; una trama sottilissima la
percorre, proprio come accade al Movimento
Sinfonico, segnato come da sacro furore. Il confronto mostra come non ci
sia stata alcuna retromarcia o cambiamento di tendenza nel lavoro di
Pettersson: la coesione che lega i suoi brani è affidata ad una fortissima
spinta volitiva.
Accoppio
deliberatamente a questo disco quello della Cpo dedicato a Richard Wetz: mi
sembra abbiano valore per lo stesso motivo. L'opera del tedesco, morto nel '35,
è più facilmente etichettabile come 'tardoromantica'; ma profondamente coerente
fu il suo procedere di maestro in maestro, controtendenza, in modo
antiaccademico. I suoi familiari, in giovane età, gli impedirono di proseguire
gli studi musicali, che nonostante tutto compì grazie a un orecchio interno col
quale 'sentiva' la sua musica anche al buio di una cameretta. La prima
sinfonia, del 1917, si rifà all'opera di Bruckner, ed è molto gradevole.
DE BOECK
Symphony in G. Violin Concerto. Dahomeyan Rhapsody
De Neve, Royal
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Elisabeth Hall in Antwerp, Belgio, luglio 1994. Registrazione ben
bilanciata, ma con dinamiche contenute.Il violino solista è un po' lontano.
Interpretazione: DISCRETA
LYATOSHYNSKY
Symphonies Nos. 2 and 3
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Concert Studio of
Ukrainian Radio,
Interpretazione:
OTTIMA
VICTORY
Ultima Rerum (2 cds)
Kerr, Greevy,
Thompson, Opie, RTE Philharmonic Choir, National Chamber Choir, National
Symphony Orchestra of
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. National Concert Hall, Dublin, 12-14 dicembre 1992.
Sufficientemente aperte le dinamiche. Un po' lontane e imbottigliate le voci.
Interpretazione:
OTTIMA
Non
mi pare inopportuno accoppiare tre compact della Marco Polo dedicati a tre
sinfonisti europei che disegnano una linea cronologica continua. Infatti August
De Boeck scompare nel 1937, Boris Lyatoshsynsky nel 1968 e Gerard Victory,
l'unico ancora vivente (è nato nel 1921). Il belga De Boeck si forma con Mailly,
Dupont, Kufferath, ma importante per la sua evoluzione è l'incontro con Paul
Gilson (quest'ultimo, tardoromantico, influenzato anche dai "Cinque"
fu vincitore di un Prix de Rome). Il compact presenta i suoi lavori più
importanti, vale a dire
Lyatoshynsky,
considerato il padre della musica contemporanea ucraina, ha scritto cinque
sinfonie, due opere, molta musica da camera e per pianoforte. Ha svolto una
carriera accademica di tutto rispetto, e questo si sente. La sua musica,
benché abbastanza densa, si ispira
inizialmente al modello schumanniano, poi a quello scriabiniano, infine a
quello atonale. Dopo il '29 si dedicherà allo studio del folclore ucraino, che
difese e rappresentò in opposizione all'ingerenza russa, anche nelle due
Sinfonie qui riprodotte (e composte tra il '35 e il '54).
Gerard
Victory studiò a Dublino, entrando ben presto nell'organico dell'Abbey Theatre
come direttore d'orchestra. Iniziò a collaborare con radio e televisione
irlandesi, giungendo nel 1967 alla carica di direttore. Ha scritto una
moltitudine di opere, e vista la sua forte presenza mediale è anche ben
rappresentato su disco. Ultima Rerum dà
il polso della sua produzione e del suo stile: come pochi altri contemporanei
usciti dal limbo del mero sperimentalismo, Victory mescola elementi e
tradizioni diverse, trovando però un suo linguaggio originale a metà strada tra
le fonti medioevali ed il trattamento atonale ed aleatorio. Del compact è bello
il cast, ma soprattutto la direzione.
SCHNITTKE
Ritual. (K)ein
Sommernachtstraum. Passacaglia. "Seid Nuchtern und wachet" (Faust
Cantata). Concerto No. 1 for violoncello and Orchestra. Kingende Buchstaben.
Four Hymns. (2 cds)
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo.
Interpretazione:
OTTIMA
Questo
cofanetto della BIS è tra quelli da non perdere. Raccoglie, infatti, due
compact (437 e 507) con brani che vanno dal 1980 al 1988. Il primo,
soprattutto, presenta più d'una first recording, tra cui Ritual, Passacaglia, e
BARBER, BUTTERWORTH, HORDER,
Poems and Song from "A
Bates, A. Rolfe
Johnson, G. Johnson. Hyperion
CDA66471/2. 123'29" complessivi. Note e testi (Ingl.). Distribuzione:
???????????? Sound and Music, Lucca???????.
Giudizio tecnico: MEDIOCRE.
DDD. Stereo. Data e luogo di registrazione non indicati. Brutta riproduzione
del timbro pianistico, con insopportabile riverbero.
Interpretazione:
DISCRETA
Alfred Edward Housman è un poeta inglese scomparso
nel 1936, autore di alcuni libri di successo, tra cui "A Shropshire
Lad" (che può tradursi come "Un ragazzo dello Shropshire", del
1896; ma i brani di Lennox Berkeley sono tratti dal successivo "Altre
poesie" del 1936), che dà il titolo al compact del quale ci occupiamo. In
quest'ultimo le liriche vengono presentate nella lettura/recitazione di Alan
Bates o, quando musicate, eseguite dal tenore Anthony Rolfe Johnson e dal pianista Graham Johnson. Solo che, su
sessantasei tracce suddivise in due compact, ben quaranta sono occupate da
Bates, e le restanti presentano anche belle interpretazioni, sia per l'accordo
che c'è tra i due esecutori che per la qualità della voce di Rolfe Johnson, ma
con una resa fonica che definirei alquanto rudimentale, e che fa perdere
parecchie sfumature dell'"accompagnamento" pianistico. Resta
fondamentale, infine, l'obiezione della prevaricazione del dettato linguistico sul
contenuto musicale, con l'inevitabile conseguenza di far evaporare del tutto
l'atmosfera e la contiguità tra i brani. Va detto, per completezza, che i due
interpreti non sono nuovi a trovate originali, visto che hanno al loro attivo
un compact dal titolo "Song to Shakespeare" e un altro che raccoglie
centocinquanta anni di musiche composte da musiciste inglesi.
AHMED ESSYAD
Le collier des ruses
Nahon. K617 AFAA K617051
(Due CD). 89'13" (min. tot.). Note
e testi (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: ???????????????
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Privo di notizie; forse
registrazione live della rappresentazione tenuta dal 22 al 25 settembre nel
Teatro Nazionale di Strasburgo. Suono decisamente estroverso, aperto con ottima
connotazione timbrica dei differenti strumenti e buona definizione di ciascuno
di essi.
Interpretazione:
BUONA
Ho
conosciuto Jean Digne come operatore culturale: a Napoli sommosse parecchi
territori contigui con una direzione scoppiettante dell'Istituto Francese. Ora
è direttore dell' Association francaise d'Action Artistique, emanazione del
ministero degli affari esteri, che sta promuovendo la collezione "Sur
Mesure", nella quale c'è questo disco di Essyad. Quali gli intenti
dell'operazione? Ce li chiarisce lo stesso Digne: 'Sur Mesure' nasce
"sotto il segno dell'incontro, organizzato o fortuito, tra musica e
musicisti francesi e stranieri che illustrano la loro complicità o specificità
e che, lontani da un sincretismo artificiale, tessono un contrappunto immaginario".
Il progetto, dunque, ha un bel respiro, e sembra capace di predisporre
contenitori utili ad ospitare qualsiasi 'oggetto' compositivo. Difatti, non vi
sono limiti in questo gioco senza frontiere, e anche 'specificità' tradizionali
potranno essere pubblicate senza problemi (ma quale consapevolezza reale
dell'incontro e confusione tra culture può esserci nei repertori
tradizionali?). Il compact del quale ci occupiamo, per fortuna, presenta
un'opera da camera intitolata Le Collier
des ruses, del compositore marocchino Ahmes Essyad. Ma non ci si aspetti
musica etnica (traditional) nel senso più retrivo del termine; ben presto, a
ventitre anni, Essyad si trasferisce a Parigi, conosce e diventa allievo
prediletto di Max Deutsch, entrando dunque in contatto con le teorie
schoenberghiane. Il risultato è una commistione di tecniche, talvolta capaci di
tradurre la sensibilità, la poesia, gli stilemi della musica orientale (maqam,
dum, tak, etc.), talaltra di riprodurre note tecniche sperimentali. Il punto debole,
probabilmente, di questa musica, altrimenti gradevole, è proprio nell'abuso non
espressivo di queste ultime.
PETTERSSON
Symphony No. 3. Symphony No. 15.
Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo.Linkoping Concert Hall,
Sweden, 24-25/5/1994 (1-4); 29/5/1993 (5). Buona differenziazione tra le
dinamiche.
Interpretazione:
BUONA
PETTERSSON
Violin Concerto No 1. Chamber Works.
Hoelscher,
Manderling-Quartett, Banfield, Albert Schweitzer-Quintett. Cpo 999169-2. 60'11". Note
(Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo.Funklaus NalepastraB, 9/93- 12/94. Strumenti solisti ben
evidenziati.
Interpretazione:
OTTIMA
In
questi due dischi vengono presentate
Il
Concerto per violino e quartetto
d'archi, del 1949, dimostra la già
profonda conoscenza della scrittura per archi, ed anticipa parecchie tecniche
specifiche solo in seguito consolidatesi (dall'uso non convenzionale
dell'archetto a quello dei glissati). Dal punto di vista dei contenuti, va
segnalata la costante presenza di aspre dissonanze, e l'assenza di quei momenti
contemplativi, lirici, che distendono invece la scrittura orchestrale. Per
fortuna più 'leggere' e divertenti le Quattro
improvvisazioni per violino, viola e violoncello, che ci danno modo di
respirare prima della densa Fuga .
Due brani aforistici, per viola sola e piano (ma quanto è 'legato' il pianista
Volker Banfield!), completano il compact: sono quelli più accattivanti, per
l'incontrovertibile necessità di ascolti brevi che caratterizza la nostra
epoca.
KRENEK
Chamber Music for Strings
Trio Recherche. Cpo 999167-2. 65'58". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Florence
International, Firenze.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Koln, Studio Stollbergen, Lindlar Kulturzenter, Stuttgart, Studio
Villa Berg, 4/91- 10/91. Ben dettagliata e definita la linea timbrica dei
singoli strumenti; piccole diseguaglianze di ambientazione tra le differenti
incisioni.
Interpretazione:
BUONA
Autore
di una gran quantità di musica, e quindi anche di molteplice produzione da
camera, Krenek scrisse anche questi tre lavori per trio, l'op. 118 del 1949,
BIRTWISTLE
Tragoedia. Five Distances. Three Settings of Celan. Secret Theatre.
Ensemble
InterContemporain, Boulez, Whittlesey. Deutsche Grammophon 439 910-2.
65'58". Note e testi (Ingl. Ted.
Fr. Ita.). Distribuzione: PolyGram Dische, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Studio. IRCAM, Parigi, 6/93. Suono pulito, buoni gli impasti.
Belle aperture di armonici.
Interpretazione:
DISCRETA
Interpretazione
discreta per un progetto mediocre. Per quel che riguarda Tragoedia: (per quintetto di fiati, arpa e quintetto d'archi, già
su disco) cosa può conservare di accattivante, oggi, questa musica evidentemente di tipo speculativo, scritta nel
1965, che già dimostra dalle intenzioni del compositore che, per carità, il
titolo non ha alcuna "implicazione di tipo tragico, nel senso ottocentesco
del termine", e zac!, prima stangata alla possibilità di confondere il
pezzo con contenuti di tipo teatrale, o con rifacimenti romantici ispirati al mondo
greco. E tuttavia, di quel mondo si vorrebbe conservare la semplice 'forma', o
meglio, la 'formalità': vale a dire l'alessandrinismo, nel senso peggiore del
termine. La struttura, da altri evidenziata come pregio del compositore
inglese, a me pare soffocante, anche nell'articolazione dei movimenti,
evidentemente simmetrica. A di là del rispetto meramente storico che occorre
portare a queste opere sperimentali (una qualche funzione l'avranno pure
avuta), il loro fallimento estetico mi sembra evidente. Sono prevedibili, e se
per i precetti adorniani esse avrebbero dovuto rispecchiare la dialetticità
(negativa) del reale, ed essere espressione della fallibilità dell'umano,
perché non conciliate, esse sono diventate ancor più scontate e già ascoltate
in brevissimo tempo. Il numero e la struttura non ci hanno liberato da alcun
potere; e restano un vano scodinzolio che ricerca la legittimità di un
linguaggio con regole anche più stringenti e intolleranti. Questa sensazione
del "già visto" ci accompagna per tutto il compact, anche se
Birtwistle cerca di organizzare il materiale in modo unitario -e non
stringatamente gerarchico- nelle composizioni seguenti, e mi riferisco a Three Settings of Celan per soprano e
cinque strumenti. Infatti, bisognerebbe definire l'ambito concettuale del
termine 'struttura'; qui essa è evidentemente allargata, eppure riesce ad
essere ugualmente opprimente. Secret
Theatre prevede che gli esecutori
siano seduti "quanto più possibile lontani gli uni dagli altri", per
segnalare il rapporto dipendenza/interdipendenza tra gli stessi; per
l'estensore delle note di copertina, questa è una musica "che non dà mai
l'impressione di essere improvvisata": credo che lo si possa rassicurare,
visto che ritengo assai improbabile che in questi brani possano
esistere/resistere respiri improvvisativi.
L'interpretazione
è certamente altamente professionale: perbacco, si tratta dell' Ensemble
Intercontemporain, e di Pierre Boulez. E' proprio come ce la si aspetta:
sicuramente precisa, nitida, anche virtuosistica; e magari solo un po'
raggelante.
CANAT DE CHIZY
Tombeau de Gilles de Rais
Philarmonie
de Lorraine, Maitrise de Paris, Marco, Ensemble Musicatreize, Hayrabedian,
Atkine, Peintre. PIERRE VERANY PV795091. 50'08". Note e testi (Ingl. Fr.). Distribuzione:
?????????????????.
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo. Studio. Luogo di registrazione non indicato, 1-4/2/1995. Timbri un
po' sfilacciati.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Edith
Canat De Chizy è nata a Lione nel 1950, ma vive ed opera a Parigi, lavorando al
CNSM con Guy Reibel. Allieva di Ivo Malec e Maurice Ohana, ha vinto una serie
di premi, anche discografici, ed è poi approdata alla direzione di un
conservatorio. La sua produzione mi appare accademica nel senso meno entusiasmante
del termine, e decisamente poco godibile. Dal punto di vista tecnico, c'è
ridondanza di stilemi legati all'avanguardia di un ventennio fa, e la cosa non
sembra spiegarsi, visto che questo Tombeau
è stato scritto su commissione tra il '91 e il '
GLIèRE
The Bronze Horseman. Shakh-Senem Gyul'sara. Heroic March
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. St. Petersburg Philharmonic Hall, 2-4/1994. Impasti di buon livello ma convenzionali.
Interpretazione:
BUONA
Recentemente
leggevo su un settimanale a larga diffusione un giudizio estremamente riduttivo
di Reinhold Glière, per un altro compact edito in edizione economica.
Naturalmente, come al solito, non condivido né il metodo né la prassi di queste
valutazioni. Cosa diavolo dovrebbe scrivere questo musicista nato a Kiev nel
1875 e morto a Mosca nel '56? Certo, eredita la tradizione romantica russa, e
alla sua musica bisogna abbandonarsi senza troppe congetture, godendone senza
pregiudiziali (come la categoria della 'novità per la novità'). Personalmente,
quindi, gradisco sia
MARTINù / NONO / SCHOENBERG
/ HARTMANN
Pamàtnik Lidicim / Canti di
vita e d'amore / A survivor from Waesaw, op. 46 / Symphonie Nr. 1 "Versuch
eines Requiems"
Metrmacher,
Bamberger Symphoniker, Leonard, Kallisch, Randle, Samel, Mannerchor der
Bamberger Symphoniker. EMI Classics 7243 5 55424 2 7.
58'36". Note e testi (Ingl. Ted.
Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese.
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo. Sinfonie an der Regnitz, Bamberg, 5/95. Registrazione leggermente
sorda, e insufficiente nelle aperture dinamiche, specie nei fortissimi.
Interpretazione:
OTTIMA
Quattro
autori, due di sicuro richiamo, e diversi solisti importanti sotto la bacchetta
di Ingo Metzmacher, seguendo un percorso che si potrebbe definire 'storico',
perché contrappunta opere d'opposizione al regime. Il progetto mi ricorda una
costatazione di Stefano Petrucciani
riferita proprio all'ambito teorico dal quale promanano le idee
politiche che sono a monte della produzione riportata nel bel disco (Adorno e
Horkheimer, naturalmente): "se è vero che la ragione richiede autonomia e
universalità; se è vero che queste devono valere per la forma di vita umana in
generale; se è vero infine che la nostra forma di civiltà non realizza
l'autonomia e l'universalità possibili; allora ne consegue che l'interesse
all'emancipazione da tutte le forme sociali di dominio e di ingiustizia è un interesse
della ragione stessa". Ingo Metzmacher, legato alla EMI in esclusiva, ha
con la stessa etichetta realizzato un compact dedicato ad Ives, ricevendo la
nomination per il Grammy e diversi altri premi minori. La sua dedizione
all'opera di Karl Amadeus Hartmann si manifesta attraverso il progetto di
registrare l'integrale delle otto sinfonie, e il primo disco della serie ha già
ottenuto notevoli riconoscimenti critici. Anche Nono fa già parte degli
interessi del giovane direttore, visto che sempre per la EMI ne ha curato il Prometeo. Metzmacher dirige con energia,
concedendo una grandezza e profondità tutta tedesca alle partiture eseguite. La
cura del particolare non viene però trascurata, ad esempio nel rivelare piccole
tessiture intermedie nella Sinfonia di Hartmann
tra pianoforte e violoncello, o tra archi che intrecciano motivi
espressionisti, e così via. Soprattutto in quest'ultimo lavoro, la visione
d'insieme non si smarrisce nemmeno per un istante e la ricchezza del linguaggio
(benché Hartmann fosse stato allievo anche di Webern) viene ben riprodotta
senza disturbare il percorso d'ascolto 'interno'. Ho la sensazione che la sala
di registrazione nuoccia a questo interprete, che non ho mai ascoltato dal
vivo: sempre la cura del dettaglio in pianissimo fa a pugni con la
magniloquenza delle esplosioni sinfoniche. Nei Canti di vita e d'amore resto un po' deluso, forse per
quell'esubero sperimentale della pagina stessa.
WEIR
Chamber Works
Domus, The
Schubert Ensemble of
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. All Saints
Church,
Interpretazione:
ECCEZIONALE.
DAVIES
Corpus Christi, with Cat
and Mouse. House of Winter.
Sea Runes, Lullabye for Lucy. Apple-Basket: Apple-Blossom. One Star, at Last. A
Hoy Calendar. Westerlings.
BBC Singer, Joly.
Collins 14632. 70'37". Note (Ingl. Ted. Fr.). Testi. Distribuzione: Milano Dischi, Milano.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. St Giles' Church, London, Marzo 1995. Timbro un po' pastoso, non
sufficientemente nitido.
Interpretazione:
DISCRETA.
Davvero
sorprendente il gesto compositivo di Judith Weir, in un disco dedicato alla
musica da camera e che tuttavia sembra prediligere gli sfoghi dei tre pianisti
impegnati, Susan Tomes, William Howard e Petra Casén. Nel primo brano, The Art of Touching the Keyboard, Howard
dà una lettura pienamente consapevole della scrittura modulare ma espressiva e
ricca di forti percorsi di senso della Weir. Il titolo non sembrerebbe
richiamare, nelle intenzioni dell'autrice, quello pressocché simile di
Couperin, tentando tuttavia di riprodurre una vasta serie di campioni per i
differenti 'tocchi' pianistici. Per una cernita dei quali occorrerebbe non una
recensione ma almeno un libello di quaranta pagine. Sta di fatto che Howard,
specie nei violenti fortissimi che concludono il brano (tripartito in
rapido-lento-rapido, ma senza soste), dimostra di conoscere e apprezzare il
timbro puro sprigionato dai violenti rombi prodotti con la parte bassa della
tastiera: un suono espansivo, non intimidito e per nulla 'controllato'. Il
secondo brano dell'album, I Broke off a
Golden Branch strizza un occhio a
Schubert e l'altro alla musica della Yugoslavia, e precisamente ad una melodia
croata citata all'inizio della seconda parte. Qui Howard è molto più misurato,
ma sempre bravissimo. Temi e tradizioni britannici o irlandesi si fanno sentire
negli altri brani del bel compact. Ad esempio, una allusione alla cornamusa è
in The Bagpiper's String Trio,
eseguito da DOMUS (trio con pianoforte), tutto composto pensando alla tecnica
di quello strumento.
Trovo
deludente invece il secondo compact della Collins dedicato a Peter Maxwell
Davies, un compositore che ha rivolto gran parte della sua produzione alla
musica corale. La sua scrittura è prevalentemente arcaicizzante, talvolta
poggiata su un acuto lavoro di ricerca e rielaborazione di manoscritti
antichissimi. Una 'manualità certamente
elevata, che tuttavia non sembra sufficiente a renderlo figlio del nostro
tempo.
CASTELNUOVO-TEDESCO
Opere per chitarra
Samuelli.
Rivo Alto (Electa) CRSZ 9407. 68'05". Note (Ita). Distribuzione:
????????????
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Privo di indicazioni relative a data e luogo di registrazione.
Suono nitido e spaziato.
Interpretazione:
OTTIMA.
Questo
disco è dedicato a parte della sconfinata produzione chitarrista di un autore
iperprolifico come Mario Castelnuovo-Tedesco. In particolare, include le Variations à Travers les Siecles, gli Appunti , Tonadilla e il Capriccio
Diabolico. Il periodo coperto, come si può notare, è vastissimo, visto che
comprende opere che spaziano tra il 1932 e il 1968, data in cui il compositore
scompare. Le Variazioni davvero
sembrano consentire a Castelnuovo-Tedesco di "seguitare a danzare
attraverso i secoli", come giustamente indica il curatore del libretto
d'accompagnamento Marco Riboni. Un po' più speculativi, forse, gli Appunti, almeno per quanto riguarda
quella parte dedicata allo studio degli intervalli ("Sulle corde a
vuoto" e
ESTRADA
Chamber Music for String
Arditti
String Quartet, Scodanibbio. Auvidis Montaigne MO 782056. 78'35". Note
(Fr. Spa. Ingl. Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. Radio France
paris, 8-12/VI/94. Qualità timbrica molto curata. Ottima resa delle dinamiche.
Interpretazione:
OTTIMA (Scodanibbio) - BUONA.
String Quartets, Lotuses, Scena
Arditti String
Quartet, Renggli, Nieuw Ensemble, Spanjaard. Auvidis Montaigne MO 782034. 64'50". Note (Fr. Ingl.
Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. 1-3 BBC, 1993;
5-9, Njmegen, 1994; 4 & 10, London, 1994. Suono un po' freddo e distante
(1-3); orchestra da camera
eccessivamente in sottofondo (5-9).
Interpretazione:
DISCRETA.
I
due dischi, frutto di una coproduzione Montaigne e Auvidis, sono ospitati nella
Arditti Quartet Edition, e seguono
importanti pubblicazioni di monografici dedicati a brani della seconda
scuola di Vienna, ad alcuni radicali
ricercatori come Estrada (integrale di trii e quartetti) o Ferneyhough (Sonate,
secondo e terzo quartetto), ma anche a 'fuorilinea' come Rihm, Xenakis, Nono.
Sempre, o quasi, però, la strada prescelta è quella di una certa oggettività
esecutiva che sovente conduce ad un ipertecnicismo privo di calore. I timbri
sono abbastanza prevedibili (puliti, raffinati); le dinamiche non sforano
frequentemente in eccessi che non siano pastosi e ben confezionati. Questo mi
pare abbastanza evidente, ad esempio, nel compact dedicato alla produzione di
Jonathan Harvey, allievo prima di Erwin Stein e Hans Keller, e poi di Milton
Babbitt. In Scena si alternano
sostanzialmente due stati d'animo, quello un po' rarefatto del violino solista
e quello movimentato, intricato, di tipo sperimentale, dell'orchestra da
camera. Non mi convince nemmeno il primo quartetto, esplicitamente riferito a
Giacinto Scelsi, perché vi permane fin troppa enfasi volontaristica. Infatti,
vi si riferisce l'ispirazione a Steiner, il celebre antroposofo, la cui
speculazione c'entra solo marginalmente con lo zen di Scelsi. Nel compact
dedicato a Estrada, pur permanendo le suddette abitudini esecutive del
quartetto Arditti, devo dire ogni bene di una portentosa esecuzione di Stefano
Scodanibbio in Miqi'nahual.
ABJEAN
Ar Marh Dall. Missa Keltia.
Ensemble Choral
du Bout-du-Monde, Les musiciens de An Triskell, Abjean. Arion ARN 64337. 46'40". Note (Fr.
Ingl.). Testi. Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).
Giudizio tecnico: DISCRETO. AAD. Stereo. Eglise de Plouguerneau
(Nord-Finistère), 1980-1982. La
registrazione presenta gli inconvenienti tipici di un live.
Interpretazione:
BUONA.
Si
tratta di un disco pop. E pertanto ha ben poco da condividere con la classica
se non in termini di forma. René Abjean, citato solo una volta nel risvolto di
copertina (evidentemente aveva più piacere a figurare come direttore) adotta
nei due brani qui presenti la forma di "cantata" e di
"messa". Ma i due termini hanno poche implicazioni di tipo colto.
Infatti, Ar Marh Dall è una cantata
solo perché viene, appunto, "cantata", e la cosa "è priva di
analogie di qualunque tipo". E, difatti, s'ispira alla musica folk,
tradizionale, rurale, che parla alla gente, ed è forse capace di coinvolgere
quest'ultima proprio perché basata su motivi celtici trattati in modo libero,
con batteria che risalta più dell'organo, con voci corali e soliste, con
bombarde, chitarre ed arpe. Così, Ar Marh
Dall risulta composto di una serie di piccoli brani suddivisi in tre parti,
sette tracks che contengono però molte songs differenziate. Il risultato è
discontinuo, e forse un po' insistente, ma l'operazione è di quelle
accattivanti, perché fondata sulla mescolanza delle fonti e la commistione di
tecniche che manipolano gli originali. Anche
DANIELI
Laudes Mariae
Cori
"Orlando di Lasso", "Polifonica 10", della scuola R.
Goitre, della scuola "Figlie di Betlem", Ubaldi, Cavedon, Senese,
Cremaschi, Reister, Villani, Calindri, Cornaggia, Puppo, Gorrotxategi,
Guadagnini, Tiboni. Sarx Records, SX
005-2. 69'03". Note (Ita. Ingl.). Testi. Distribuzione: ??????????
Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Chiesa SS Patroni
d'Italia Francesco e Caterina, Milano, Giugno 1994. Registrazione non sempre
ben bilanciata.
Interpretazione:
BUONA.
Confesso
di aver avuto subito, già prima dell'ascolto, dubbi sulla formula del compact. Che si presenta in
questo modo: diciotto tracce, nelle quali si inseriscono alcuni testi recitati
da Ernesto Calindri (che peraltro è anche bravo). Testi tratti da Petrarca e
Dante, tutti principianti con la parola "Vergine...". Per carità,
nulla in contrario alla tradizione dei Fedeli d'Amore: soltanto ragioni di
opportunità formale mi spingono infatti
a ritenere che un espediente utile in una rappresentazione dal vivo non
necessariamente funziona poi in un compact, un 'oggetto estetico' che ha regole
a sé stanti, e non è un semplice contenitore o supporto audio di qualcosa che
risiede altrove. Non so se l'esecuzione dal vivo portata a buon esito ai primi
del '94 effettivamente presentasse questi testi come una sorta di espediente
per interrompere la successione musicale, e quindi nemmeno posso dire se dal
vivo questo alleggerimento della tensione funzionasse. Nel disco, alla prova
dei fatti, mi pare di no, perché interrompe una narrazione affascinante, ed una
esecuzione di grande qualità. Danieli, benché sia stato allievo di Donatoni,
possiede una bella e rarefatta scrittura, espressiva e di mistico respiro. Si nota anche l'impegno
interpretativo, e la cura, dei molti cori impegnati: l'insieme è omogeneo. Ma
ogni volta che ascolto il disco programmo l'esclusione dei quattro testi
recitati.
SCHREKER / BERG
Kammersymphonie. Vorspiel
einer GroBen Oper / Drei Orchesterstuecke op. 6
Badische
Staatskapelle, Neuhold. Antes BM-CD 31.9043. 63'24". Note (Ted. Fr. Ingl.
Ita.). Distribuzione: ?????????
Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Badisches Staatstheater,
Dicembre 1994. Timbri ben curati, mai a
danno dell'omogeneità complessiva.
Interpretazione:
OTTIMA
Anche
se la copertina segue il solito vezzo di
anteporre il nome del compositore più 'fortunato', questo compact risulta poi
nei fatti sostanzialmente dedicato a Franz Schreker (o Schrecker, visto che la
'c' fu eliminata solo in un secondo momento), e per la precisione a due lavori,
una Sinfonia da Camera per ventitre strumenti solisti, scritta a
Vienna nel 1916 e rappresentatavi al Conservatorio l'anno successivo, e il Prologo per una Grande Opera, che
tuttavia non sarebbe mai venuta (si tratta del progettato Memnon) a causa della morte sopravvenuta due giorni dopo il 56°
compleanno, nel 1934. I due brani occupano complessivamente quasi
quarantacinque minuti, mentre solo diciannove
son dedicati al Berg dei Tre pezzi
op. 6. La musica e la vita di Schreker vengono inquadrate generalmente come
liberty, tardoromantiche, ed è singolare che a questa lettura s'adegui la sua
attenzione per una "musica remota" inseguita tutta
ESA-PEKKA SALONEN
Mimo II. Yta I, II, III. Concerto for Alto Saxophone and Orchestra. Floof.
Finnish Radio
Symphony Orchestra, Salonen, Helasvuo, Hakila, Karttunen, Savijoki, Komsi. Finlandia Records 4509-95607-2.
57'10". Note (Ingl. Fr. Ted.). Testi. Distribuzione: ????????????
Giudizio tecnico: MEDIOCRE. ADD/DDD. Stereo. Luoghi differenti
per ogni registrazioni. 1989-1993. Risultati variegati e differenziati. Suoni spesso
imbottigliati; presa del suono sovente difettosa
Interpretazione:
MEDIOCRE.
Esa-Pekka
Salonen è un giovane compositore e direttore d'orchestra, allievo del
grande Rautavaara (si è detto ogni bene
su queste pagine di un suo monografico edito da Catalyst). Il frutto di
entrambe le professioni, che già da piccolissimo aveva desiderato svolgere, è
in questo compact monografico, che però non mi sembra particolarmente
accattivante. Come direttore mi pare non malvagio. Ma le sue sequenze per
strumento solista sono deludenti, non
originali né gradevoli. Non trovo eccezionalmente bravi nemmeno gli interpreti.
Sia Yta I per flauto solo, che Yta II e III per pianoforte e violino saranno pure brani virtuosistici, ma lasciano
piuttosto scettico l'ascoltatore: perché mai un compositore di talento scrive
ancora musica come questa? Una risposta è nelle date di scrittura: il Concerto per sassofono risale al 1980, Yta è stato elaborato tra l' 82 e l'
'86. Floof, per soprano e cinque
esecutori, è dell' '
SCHREKER
Irrelohe
Singverein der
Gesellschaft der Musikfreunde in Wien, Froschauer, Wiener Symphoniker, Gulke.
Sony Classical S2K 66 850 (due cd). 68'26", 57'59". Note (Ingl. Ted. Fr. Ita). Testi (Ted. Ingl.).
Distribuzione: Sony Classical, Milano.
Giudizio tecnico:
ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Grober Musikvereinsaal, Vienna, 15 Marzo 1989. Belli
i contrasti.
Interpretazione:
BUONA
Sony
Classical propone in cofanetto l'opera di Franz Schreker Irrelohe, che segna una svolta nella produzione di colui che fu
definito "l'erede di Wagner" da Paul Bekker. Difatti il lavoro, che è
del 1924 e segue a Der ferne Klang (Il
suono lontano), Das Spielwerk und die
Prinzessin (Il carillon e la principessa), Der Schatzgraber (Il cercatore di tesori), viene generalmente
indicato come quello in cui Schreker si allontana dalle modalità proprie del
teatro espressionista. Irrelohe deve
il suo nome ad una casualità: svegliatosi di soprassalto durante un viaggio in
treno, Screker si affaccia al finestrino e vede il nome della stazioncina che
ha causato la fermata improvvisa: "Irrloh", che diventa subito Irrelohe,
approssimativamente traducibile come vampa di fuoco, scintillio folle. Lo
scintillio è quello degli occhi del protagonista Heinrich (lo stesso nome di
Faust), che rappresenta un po' il versante maledetto dell'opera. La quale è,
appunto, un lavoro che può essere collocato in ambito postromantico, tenendo
conto della complessa vicenda creativa del compositore, e della sua
profondissima conoscenza del trattamento dell'orchestra. Tutto ciò vuol dire
che il lavoro è molto gradevole, e interessante specialmente nei punti
esclusivamente orchestrali.
ZIMMERMANN
Requiem fur einen Junger
Dichter
Gielen,
Orsanic, Johnson, Rotschopf, Schier, Grund, Jazz Band A. Von Schlippenbach,
SWF-Sinfonieorchester Baden-Baden. Sony Classical SK 61995. 64'12". Note
(Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. SWF Grobes Festspielhaus, Salzburg, Austria, 12 Marzo 1995.
Dinamiche rese ottimamente. Bel lavoro anche nel trattamento della voce degli
speakers.
Interpretazione:
OTTIMA
TAVENER
The Lamb. Innocence. The Tyger. Annunciation. Two Hymns to the Mother of
God. Little Requiem for Father Malachy Lynch. Song for Athene.
Rozario, Titus,
Nixon, Neary, Fullbrook, Baker, English Chamber Orchestra,
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Westminster Abbey 1994-1995. Buona resa timbrica dell'organo, voci
solo un po' in lontananza, ma la cosa non disturba.
Interpretazione:
OTTIMA
I
due compact Sony Classical, dedicati entrambi alla musica sacra, con un Requiem fur einen junger Dichter (per un giovane poeta) composto tra il '67 e
il '69 da Bernd Alois Zimmermann e un Littlke
Requiem for Father Malachy Lynch (padre Malachia non è un personaggio di
Eco ma un priore caro al compositore) scritto da John Tavener nel '72. Sia per
l'attenzione al genere, sia -grosso modo- per le date di composizione, è
possibile porre i due mondi l'uno affianco all'altro, e trarne qualche
interessante spunto. Di formazione presbiteriana, John Tavener ha prodotto una
gran quantità di musica sacra, che però si distingue per originalità, perché tratta la forma
tradizionale con interventi decisamenti anticonvenzionali (e un esempio è proprio il Requiem presentato nel disco).
Se dovessi tradurre in linguaggio lineare questa musica così evocativa
non potrei fare meglio che riferirmi ad uno degli autori prediletti di Tavener,
vale a dire al poeta visionario William Blake, dal quale prende in prestito i
testi per The Lamb e per The Tiger due lavori dell' '82 e '87. Blake pare al nostro Tavener
"limpido e diretto, piuttosto che sinuoso", e un esempio di questo
contrappunto indiretto tra lingua e musica gli è parso Songs of Innocence.
Completamente
diversa la produzione di Zimmermann, formatosi a Colonia e conosciuto
soprattutto per Die soldaten. Il suo Requiem è estremamente sofisticato dal
punto di vista delle tecniche utilizzate. Usa ad esempio ben due speaker (e la
cosa non è affatto semplice, perlomeno con un risultato compositivamente omogeneo),
un'orchestra jazz (ma c'è ben poco jazz puro, naturalmente), un grand'organo, e
ben cinque, dico cinque, cori, che producono inserti a mo' di collage.
Quale
dei due autori si può prediligere? si tratta di mondi differenti, ma se avessi
con me soltanto pochi denari, comprerei Tavener.
PENDERECKI
Complete sacred works for
chorus a Cappella 1962-92
Tapiola
Chamber Choir, Kuivanen. Finlandia 4509-98999-2. 51'31". Note (Ingl. Ted.
Fr.). Distribuzione: ?????????????
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. The Olary Church, Espoo, Finland. Suono nitido, dinamiche un po'
statiche.
Interpretazione:
BUONA
VASKS / BALAKAUSKAS /
NARBUTAITE
Stimmen / Ostrobothnian Symphony / Opus Lugubre
Ostrobothnian
Chamber Orchestra, Kangas. Finlandia
4509-97892-2. 65'02". Note (Ingl. Ted. Fr. Fin.). Distribuzione:
?????????????
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Kokkola Conservatory Hall, Finland, marzo 1994. Pianissimi poco percepibili.
Interpretazione:
OTTIMA
Nel
primo cd Finlandia il Tapiola Chamber Choir diretto da Jula Kuivanen presenta
una selezione di opere per coro a cappella di Penderecki scritte nell'arco di
un trentennio, tra il '62 e il '92. Il lavoro più antico è lo Stabat Mater del 1962, su testo di
Jacopone da Todi. Parrebbe echeggiare profondi bassi tibetani, salvo subito
allontanarsi dal suono unico tipico di quella tradizione e produrre distanze
tipiche del periodo sperimentale. Il fascino sarebbe assicurato se non si
perdesse subito il dettato linguistico, attraverso frammentazioni di senso che
non è possibile godere né condividere. Il Miserere,
e In pulvere mortis, su testo
tratto dalla vulgata, seguono la stessa linea: una esposizione che lascia
intravedere un progetto di forte spessore, una capacità di scrittura densa e
profonda, ma che poi decide di perdersi in atolli un po' isolati, con troppi
virtuosismi tecnici, troppe trovate sperimentali. Il percorso si fa via via più
arioso con il progressivo allontanamento dal vangelo dell'avanguardia a tutti i
costi, fino a risalire nuovamente la china con opere che sfiorano le consonanze
rinascimentali, ma con la consapevolezza di utilizzo propria di chi scrive
oggi, in tempi di consolidata consapevolezza postmoderna: le cose più recenti,
un Benedicamus Domino e un Benedictus del 1992 sono quelle in cui
il discorso compositivo si dipana più felicemente. L'interpretazione del
Tapiola è tecnicamente funzionale alle esigenze di Penderecki, e riesce ad
assecondarle felicemente in tutto il loro percorso.
Anche
il secondo cd Finlandia è dedicato ad opere sinfoniche di compositori baltici
dei quali non è affatto facile reperire accessi discografici. Si tratta di
Osvaldas Balakauskas, del quale viene presentata l'intricata Ostrobothnian Symphony (qui le tecniche sperimentali non disturbano
fruizione e comunicazione espressiva); Peter Vasks, con la Symphony for string 'Stimmen'; e di Onute Narbutaite, con Opus Lugubre. Bellissima
l'interpretazione della Ostrobothnian Chamber Orchestra: un compact che vale la
pena possedere.
GERHARD
Symphonie n. 1 & n. 3
Orchestra
sinfonica di Tenerife, Pérez. Auvidis/Valois V 4728. 58'59". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Florence
International, Firenze.
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo. Paraninfo de l'Université de la Laguna, Tenerife. Fortissimi un
po' compressi.
Interpretazione:
DISCRETA
Roberto
Gerhard è conosciuto soprattutto per aver 'implementato', per così dire, la sua
origine spagnola (è nato a Valls, in Catalogna, nel 1896) con la sua fede
dodecafonica. Già questo fa capire che non si tratta di un 'ortodosso': la sua
nascita viene ammorbidita da un trasferimento in Inghilterra, appena all'inizio
della guerra civile; la sua fede non è rigida al punto da fargli evitare
l'utilizzazione di stilemi sufficientemente appassionati o espressivi, o da
fargli utilizzare miscellanee con la musica elettronica, come fa proprio nella
terza Sinfonia, ospitata nel compact.
Va detto subito che l'esecuzione del Collages
(il titolo di sinfonia fu successivo)
è tecnicamente più che complessa, come sempre accade quando le registrazioni su
nastro si mescolano a quelle 'reali'. Tuttavia, lo sviluppo e la tecnica
utilizzata per la costruzione del nastro è abbastanza personalizzata, e non
intenderei, d'accordo con David Drew, estensore delle note di copertina, questa
musica come un prodotto elettroacustico (per bella fortuna di Gerhard), ma come
l'utilizzazione saltuaria di una tecnica espressiva. Non si aspetti, tuttavia,
l'ascoltatore, il piacere del trasporto rilassato, ma piuttosto quello
intellettuale della ricognizione storico-musicale.
JON LEIFS
Sinfònìa I, Op. 26
Iceland
Symphony Orchestra, Vanska. Bis CD-730. 53'55". Note (Ingl. Ted. Fr.).
Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Hallgrim's Church, Iceland, marzo 1995. Suono leggermente
intubato.
Interpretazione:
DISCRETA
Interpretazione
discreta, per una sinfonia dalla scrittura poderosa, significante, spessa. Jon
Leifs, nonostante fosse stato messo al bando dal governo nazista, era riuscito
ad avere un posticino alla fine di una rassegna. Inizia l'esecuzione, ma
ciascuno spettatore si alza, e pian piano si svuota
WILLAN
Missa brevis. Sancti J. Baptistae. Corde Natus. Motets.
The Choirs of the
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo.
Interpretazione:
MEDIOCRE
Virgin
Classics presenta in un compact monografico buona parte dell'opera corale di
Healey Willan. Dalla data di nascita (1880) si può ben immaginare che Willan
non dialoghi e non si preoccupi affatto di quello che in ambito formale stava
accadendo nel mondo, e lo si può giustificare. Ma da quella di morte (1968),
invece, si dovrebbe desumere che l'assetto e l'andamento impermeabilizzato di
questo compositore abbia avuto un che di stupefacente. E' vero che la sua
produzione è soprattutto liturgica, che si è trattato di un musicista straordinariamente
prolifico (settecento numeri d'opera), che pur essendo inglese ha vissuto a
lungo in Canada (e tanti canadesi si sono lamentati della particolare
'sfortuna' di quella terra per quanto riguarda la genialità compositiva). Ma
non si riesce a trovare eccitante, forse anche per l'esecuzione, questa musica
che pare scritta in secoli lontani. Nonostante Willan sia stato un caposcuola
di musica liturgica.
HERVIG / HIBBARD / ZIOLEK / PAREDES / ECKERT / LA BARBARA
Off Center / Handwork / Nocturnes / 16 (Speakers) / Movement for Five
Instruments / Awakenings.
Head, Wendt,
Geary, Ziolek, Ohlsson, Greehoe, Bergquist, Feeney, Ross, Rovine, Fuller,
Koenig, Marco, Feeney, Palmer, Gompper e altri. Music & Arts CD 830. 73'14". Note (Ingl. ).
Distribuzione: ??????
Giudizio tecnico: BUONO. DDD except 4 track: ADD. Stereo. Clapp Recital Hall,
The
Interpretazione:
OTTIMA
Interessante
questa documentazione sonora di quello che l'Università di Iowa ha proposto
negli ultimi anni d'attività. Ricordo al lettore che presso quell'università ha
sede il Center for New Music (CNM) fondato nel 1966 come emissione della
Rockefeller Foundation. Lì sono passati, per intenderci, Luciano Berio, George
Crumb, Charles Dodge, Morton Feldman, Lukas Foss, Salvatore Martirano, Roger
Sessions, etc. Si tratta di un modo molto diverso di fare musica contemporanea:
in Italia i compositori quasi pagano pur di avere esecuzioni. In America invece
ancora esistono commissioni, e spesso i compacts vengono realizzati con
munifiche elargizioni. Non parlo di finanziamenti statali, ma di privati! e di privati che ancora credono alla valenza
culturale della musica contemporanea!
...meraviglie dell'America. Ma al di là della boutade va detto che effettivamente il compact offre una bella
panoramica; si va dal concentrato, benché ancora un po' pendente dal lato dello
sperimentalismo deteriore, Off Center
di Richard Hervig (1991) allo sfavillante Handwork
, dove un irreprensibile Garrick Ohlsson esibisce tecnica e precisione notevoli in un lavoro
purtroppo compositivamente prescindibilissimo di Hibbard. Il cd, dopo altri tre brani recenti
(tutti del '91) di Eric Ziolek, Robert Paredes e Michael Eckert, si chiude con Awakenings di Joan La Barbara, un pezzo per ensemble strumentale che mi pare la
cosa migliore qui riprodotta, e che rende inevitabile l'acquisto.
MILHAUD
Symphonies 10-12
Radio-Sinfonieorchester
Basel, Alun Francis. Cpo 999 354 - 2.
59'14". Note (Ingl. Ted. Fr. ).
Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Volkshaus Basel, Vienna, Maggio 1995. Elevata cura del suono, che
risulta corposo e fedele in tutta la gamma delle dinamiche.
Interpretazione:
BUONA
Milhaud
ha composto la decima e l'undicesima sinfonia,
La
musica è più 'convenzionale' e meno dirompente che in altri brani più noti,
come ne La Création du monde o Le Boeuf sur le toit (che Milhaud pare sia arrivato quasi ad
odiare negli ultimi anni di vita).
Il
repertorio di Alun Francis comprende anche Berio, Stockhausen, e numerosi altri
contemporanei. Segnalo, specialmente, l'incisione dell'integrale delle sinfonie
di Allan Pettersson, di cui Francis mi pare interprete ideale. Il filtro del
contemporaneo arricchisce certamente anche la lettura delle sinfonie 10-12 di Milhaud, e degli altri
lavori incisi per la Cpo, tra i quali indico la quinta e sesta sinfonia
( 999 066-2), la settima, ottava e nona (999 166-2), Les
Reves de Jacob, e le serenate Stanford
eAspen ( 999 114-2). Tra i pregi
della sua interpretazione ci sono l'attenzione per i colori, l'equilibrio tra i
differenti episodi, l'unitarietà e consapevolezza del linguaggio. Ma il
contraltare di questi pregi è l'eccessiva morbidezza, la prevalenza del momento
razionale, un generale appiattimento. E se questo può portare ad esiti felici
nella Sinfonia "Romantica", che in tre intensi movimenti
("Intense", "Méditatif" e "Emporté") disegna il
versante espressivo di Milhaud, sembra diventare troppo 'pesante' nel quarto
movimento, "Lumineux", della Sinfonia "Rurale".
MARIACHI JALISCO
Canta a su tìerra
Ensemble
Mariachi Jalisco. Arion 64342. 60'17". Note (Mex. Ted. Fr. ). Testi. Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Studio Gema, Barcellona. Settembre 1995. Sound complessivo molto
vicino a rimasterizzazioni d'epoca, ma che conserva intera la nitidezza
digitale.
Interpretazione:
BUONA (ma progetto MEDIOCRE)
Cosa
scrivere di questo disco? Si tratta, francamente, di un lavoro spiazzante,
perché non saprei collocarlo né nell'area della musica etnica doc (di cui
l'etichetta Arion è validissima promotrice), né nell'alveo di quella produzione
che oggi si definisce 'globale', e di cui si fanno testimoni etichette come
Real World, Narada, Ecm... "Mariachi Jalisco" è un ensemble di trombe, violini, chitarre,
cori, diretto da Gilberto Piedras e Paulino Carrazco, e prende il nome dal
complesso strumentale che accompagna il "corrido" degli
arrangiamenti. Per quanto riguarda la musica, si tratta di una sorta di revival
commercial-turistico che non mi dispiacerebbe ascoltare come sottofondo in un
buon ristorante messicano. Gli arrangiamenti e il modo di suonare sono simili a
quelli che andavano tanto in voga in Italia alla fine dei malinconici
'Sessanta', e prima dei fulgidi 'Settanta', che avrebbero poi inseminato tanta
musica successiva. Un disco che trasmette una certa tristezza, nonostante la
bravura dei singoli musicisti.
PETTERSSON
Symphonies No. 5, No. 16
Rundfunk-Sinfonieorchester
Saarbrucken, Alun Francis. Cpo 999 284 - 2. 65'24". Note (Ingl. Ted. Fr.
). Distribuzione: Florence
International, Firenze.
Giudizio tecnico: BUONO.
DDD. Stereo. Grober Sendesaal des SR, Febbraio-Marzo 1995. Registrazione un po'
pastosa.
Interpretazione:
OTTIMA
Pettersson,
il compositore svedese allievo di Honegger e Leibowitz, dovrebbe ormai essere
noto ai lettori di Cd classica, perché la Cpo ne sta curando una integrale, e
chi scrive ha già recensito parte dell'opera da camera, la seconda sinfonia e
il Movimento Sinfonico diretti sempre da Francis. Invece, la terza e
quindicesima sinfonia sono state trattate per la direzione di Segerstam (per la
Bis). La sedicesima sinfonia, l'ultima compiuta dall'autore (esistono solo
frammenti di una diciassettesima), riesce davvero ad essere una sorta di
lascito sinfonico, come indica il curatore del librino d'accompagnamento. La
sinfonia fu scritta nel 1979 su richiesta del sassofonista americano Frederik
Hemke ed è un brano notevolissimo, pieno di scatti ritmici, momenti
d'atmosfera, alternanza di episodi e abbinamenti strumentali particolari,
restando tuttavia sempre attraversato da una specie di tensione discorsiva, di
incessante e progressivo incalzare. E' un lavoro dall'incredible potenza
espressiva. Abbinato alla quinta
Sinfonia, la prima a grande struttura, costituisce un programma eccellente per
conoscere il meglio della produzione di Pettersson. Nella quinta, quell'ansia
dinamica non può dirsi ancora sbocciata nell'incalzare che contraddistingue,
invece, la sedicesima e la quindicesima sinfonia. Qui, l'ansia prende forma
attraverso la densità e l'espansione delle dinamiche, spesso improvvisamente
accese su esplosioni inattese dei fiati e degli archi. Una nota particolare di
merito va al il sassofonista John-Edward Kelly, che, ad un confronto problematico
ed estremamente dialettico con la partitura, ha migliorato e riscritto alcune
sezioni trasponendole all'ottava alta, confortato in ciò dal consiglio di
Anders Eliasson, uno dei compositori più attenti ed interessati all'opera dello
svedese. Sarà per il fatto di sentirla più 'sua' grazie a questi interventi, o
per la potenza quasi innata della scrittura, ma l' interpretazione di Kelly è
davvero bella, con esiti piacevolmente
sconcertanti.
VILLA-LOBOS
Symphony No. 4 "Victoria",
"Cello Concerto No. 2, Amazonas.
Simòn Bolìvar
Symphony Orchestra of
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Universitdad Central de Venezuela, Caracas, luglio-agosto 1995.
Suono corposo e pieno.
Interpretazione:
OTTIMA
La
sinfonia "Victoria" di Villa-Lobos appartiene ad un miniciclo che ne
comprende altre tre (terza, quarta e quinta) descrivendo a programma,
rispettivamente, avvenimenti di guerra, vittoria e pace.
NIN-CULMELL / RODRIGO / LIBEROVICI / MILHAUD / RAVEL
Chanson populaires séphardiques / Canciones serdìes / Otto canti in
ebraico e in yiddish / Chants populaires hébraiques / Deux mélodies hébraiques,
Chants Populaires
Jona,
Alessi. Nuova Era 7261. 61'33". Note (Ita. Ingl.). Distribuzione: Harmony Music, Scadicci (Fi).
Giudizio
tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Villafranca d'Asti, Ottobre 1992. Eccesso di
spazialità per il pianoforte.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Un
progetto importante. Un disco imperdibile, anche perché in questo periodo c'è
grande attenzione per il mondo musicale ebraico, e numerose uscite
discografiche che raccolgono materiali originali, opere di contemporanei,
musica klezmer, lavori per canto dalla shoa, o, come in questo caso,
composizioni di provenienza colta. Ma, come scrive lo stesso Alberto Jona,
bravissimo interprete di questo compact, ogni autore, benché avesse una
provenienza colta, si è accostato con approccio particolarissimo
all'eterogeneità del mondo ebraico, pervenendo a personali riletture. La base
comune, assieme ad un modo particolare di concepire la spiritualità e la
severità del divino, è "un misto di malinconia, ironia, allegria e
tristezza". Parrebbero opposti inconciliabili, e invece la musica ebraica
è proprio così, e benché venga raccontata in modo diverso da Ravel, Rodrigo, o
da Sergio Liberovici, cui il disco è dedicato, resta sempre riconoscibile,
unica eppure molteplice, come unica è la radice di quel grande popolo,
capace di mescolarsi al resto del mondo
senza perdere nulla in identità e tradizioni. Accosterei il disco, per questi
motivi e a causa di pure assonanze
mistiche, soprattutto a quello di Sarah Gorby (Les Inoubliables chants du Ghetto, Ario, 64081), a quello
dell'Ensemble of Jewish Music Mitzwa (MK 427133), o alle melodie ebraiche
cantate da Jan Peerce, benché con una riserva sugli arrangiamenti (RCA 09026
616872), tutti già recensiti su queste pagine. E' opportuno ancora segnalare la
magnifica lettura di Jona e Alessi di "Una pastora yo amì" di
Rodrigo, la rasserenante "Senza Parole" di Liberovici, e
naturalmente, le due raffinate melodie ebraiche di Ravel.
Altre segnalazioni
Per
cominciare vorrei indicare ai lettori una rosa piuttosto eterogenea di titoli.
Il primo è reperibilissimo: si tratta di un disco Ermitage interamente dedicato
a Gershwin, uscito pochi giorni fa
assieme ad uno speciale di "Symphonia" (il tutto può essere richiesto
agli edicolanti più forniti). Il cd comprende alcune chicche particolarmente
gustose. C'è innanzitutto "Blue Monday", l'opera jazz in un atto del
1922, su lirics di Buddy De Sylva e con orchestrazioni di Gregg Smith e Edmund
Hajera. Siamo nel periodo in cui il nostro è ancora un "songster", un
macinatore di canzoni di successo, proprio alla vigilia dello straordinario
successo della rapsodia in blu. "Blue Monday" è stata piuttosto sfortunata: creata come
intermezzo di rivista, fu poi rielaborata in forma di oratorio (si fa per dire,
naturalmente). Segue il progetto di Paul Whiteman di "mettere in evidenza
l'incredibile progresso compiuto dai tempi del jazz disarmonico fino alla
musica d'oggi, così melodiosa che -senza una ragione valida- si insiste a
chiamare jazz": un programmino niente male... Il compact è completato
dalle "Improvvisations" per piano solo trascritte da Wodehouse tra il
'26 e il '28 (un passo avanti rispetto alle più conosciute songs rielaborate da
Ira Gershwin), e dal reperto storico "Deliciuos" del 1931, con
estratti dalle soundtrack originali.
Il
secondo compact che merita l'acquisto contiene la splendida musica scritta da
Eleni Karaindrou per il film di Theo Angelopoulos "Lo sguardo di Ulisse" ("Ulisses' Gaze", ECM
new series 1570, lo si trova da Demos). Temi tradizionali (si tratta di un
salmo) si mescolano a variazioni affidate alla viola solista Kim Kashkashian,
che davvero evoca atmosfere straordinariamente rarefatte, sospese tra il cielo
e la terra, magiche ed allusive come le immagini del film.
E'
uscito pochi giorni fa nelle edicole assieme alle Monografie della rivista New
Age and New Sounds. Si tratta di un compact interamente dedicato ai nuovi
pianisti, da Roedelius ad Arturo Stalteri, da Rick Wakeman a Katia Labeque (NSM 015). Se l'acquirente non si fa ingannare dalla
collocazione, infatti, si vedrà che molti dei pianisti hanno una provenienza
colta o progressive. Roedelius, ad esempio, è stato borsista per
Un
compact piuttosto raro è invece quello che raccoglie la colonna sonora de "La doppia vita di Veronica"
(Sideral 001), il film che ha segnato la svolta francese del regista
Kiesloswski, scomparso pochi giorni fa. Il personale è costituito dalla Great
Orchestra of Katowice, dal coro di Silesia condotto da Antoni Wit e dalla
eccezionale solista Elzbieta Towarnicka. La musica è dello stesso autore che ha
firmato quella di "Film blu", Preisner, ed è evocativa in grado
eccelso, specie laddove pare richiamare
Arvo Part.
Un
classico della colta contemporanea è nella straordinaria raccolta "The University of Iowa, Center for
New Music" (Music & Arts CD-830), che comprende brani di Hervig,
Hibbard, Ziolek, Paredes, Eckert e soprattutto di Joan La Barbara: un brano che ricorda la musica di Giacinto Scelsi.
La compilation ha un valore anche storico perché l'Università di Iowa ospita
dal 1966 il CNM, emanazione della Rockefeller Foundation, luogo di passaggio di
Berio, Feldman, Sessions e tanti altri.
Ultimo,
ma non ultimo nella rosa di compact
godibili è il monografico di Giancarlo
Cardini "O quieta e dolce mattina d'ottobre" (Materiali Sonori
90061). Si tratta di una silloge di pezzi raffinati e introspettivi che mostra
come Cardini si distacchi dalla noiosa avanguardia sperimentale che ha
funestato gli ascolti degli ultimi vent'anni.
GINASTERA
Variaciones Concertantes
Op. 23. Glosses on Themes
of Pablo Casals Op. 46 e Op. 48.
Ben-Dor,
London Symphony Orchestra, Israel Chamber Orchestra. Koch International
3-7149-2. 58'38". Note (Ingl.).
Distribuzione: Florence International, Firenze.
Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Mann Auditorium,
Tel-Aviv, Israel. Luglio 1994. Dettaglio strumentale soddisfacente.
Interpretazione:
DISCRETA
Come
è noto, Alberto Ginastera, nato a Buenos Aires nell'aprile del 1916 e scomparso
nel 1983, è stato uno dei migliori compositori argentini. Scrive musica che
oscilla tra citazione di atmosfere
folcloriche e ardui esperimenti armonici, politonali ed atonali, con incursioni
nello sperimentalismo soprattutto per quel che riguarda timbriche e ritmiche.
Esemplari di questa modalità compositiva sono proprio le Glosse op.
KOLESSA / SKORYK
Symphony No 1 / Hutsul Tryptich. Carpathian Concerto
Odessa
Philarmonic Orchestra, Hobart Earle. ASV 3DCA 963. 66'29". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione:
?????????????
Giudizio tecnico: DISCRETO.
DDD. Stereo. Odessa. Luglio 1994.
Riproduzione un po' piatta.
Interpretazione:
DISCRETA
Mykola
Kolessa e Myroslav Skoryk sono due compositori ucraini poco noti nel resto del
mondo. Il primo, classe 1903, è nato in
Ucraina, dove è stato direttore dell'orchestra di Lviv. Ha poi assunto la
carica di direttore dell'Opera di Praga. Ha scritto due sinfonie, una Suite,
delle Variazioni sinfoniche, e varia musica da camera. I riferimenti musicali
vanno a Bartok e ai compositori francesi della prima metà del ventesimo secolo;
in alcuni punti della sua prima Sinfonia, però, è possibile anche retrodatare
le influenze. Myroslav Skoryk è nato nel 1938, sempre a Lviv, dove ha
conosciuto e studiato con Kolessa. Ha poi incontrato Stankovich, Karabits, Kiva
e Zubitski, e ha cominciato a comporre mescolando elementi folclorici con
suggestioni neoclassiche. I risultati, purtroppo, ci sembrano piuttosto
modesti, come modesta, precisa e anatocistica,
è la direzione di Hobart Earle.
BACH / DE COURSON / AKENDEGUé / TRADITIONAL
"Lambarena. Bach to Africa"
Calo,
Gubitsch, Ateba, Vasconcelos, complessi vocali gabonesi ed occidentali.
Celluloid Sony Classical SK 64542. 48'44".
Note (Ingl. Fr. Ted. Ita). Distribuzione: Sony Classical, Milano.
Giudizio tecnico: OTTIMO.
DDD. Stereo. Parigi. Profondità del suono, emergenza dei vari inserti
strumentali etnici, timbri vocali e strumentali eccellenti.
Interpretazione:
ECCEZIONALE
Questo
disco prende il nome di "Lambarena" in omaggio ad Albert Schweitzer,
che com' è noto, giunto all'apice della carriera di organista, decise di
trasferirsi in Africa Equatoriale, sulle rive del fiume Ogooué a Lambarene, nel
Gabon, fondando un ospedale per lebbrosi. Schweitzer utilizzò il denaro che
riusciva a racimolare con le sue incisioni bachiane per uno scopo diverso
dall'autopromozione, lasciando, nel 1963, poco prima della morte, un villaggio
con 350 pazienti e 36 medici. Il senso del sottotitolo, "Bach to
Africa" dovrebbe a questo punto essere più chiaro: si tratta di una
eccezionale collaborazione multiculturale. Questa volta, su ispirazione di due
straordinari musicisti, sono stati gli artisti e i musicisti del Gabon a
trasferirsi per cento giorni a Parigi, e ad incidere esempi della musica delle
quarantadue etnie principali di quel paese. Naturalmente mescolandole ed
intrecciandole con temi di Bach. E' così che Hughes De Courson, compositore e
produttore francese che è stato il pilastro occidentale dell'operazione, e
Pierre Akendengué, chitarrista ed autore originario del Gabon, hanno ottenuto
quattordici tracce sempre sorprendenti, in cui gli elementi di tradizioni così
distanti nello spazio e nel tempo combaciano tranquillamente e gradevolmente.
Non avrebbe a questo punto molto senso elencare i titoli africani dei ritmi e
delle canzoni riprodotti, perché non ci trasferirebbero alcuna conoscenza
stratificata nella memoria (basti dire che alcune melodie vengono trattate alla
maniera di Bach, altre vengono missate, altre ancora richiamate alla mente con
citazioni della distanza e dell'evanescenza). Ma può aver senso, invece, citare
i brani di Bach che contribuiscono alla contaminazione, o che la subiscono (in
senso benevolo, naturalmente). Si tratta della Cantata BWV 147, dell'incipit della Passione secondo Giovanni,
della Giga dalla quarta Suite per violoncello, del celebre preludio della
partita per violino BWV 1006, del quattordicesimo preludio della seconda parte
del Clavicembralo ben Temperato, della Messa in si minore, dell'Invenzione a
tre voci in re maggiore BWV 789, della Cantata BWV 147... e d'altro ancora. Un
disco da non perdere, che illustra come il melting
pot sia tutt'altro che un'illusione.
INDIAN CLASSICAL MUSIC
Rag Yaman Kalyan. Rag Gaoti.
Wajahat Khan,
Sukhvinder Singh, Rohini Rathore. Hyperìon. 63'34". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: Sound
and Music,
Giudizio tecnico: DISCRETA.
DDD. Stereo. Purcell Room, London. Maggio 1995. Registrazione discreta
nonostante la presenza di alcuni rumori dovuti al live.
Interpretazione:
OTTIMA
Benché
il disco paghi un po' lo scotto dell'incisione live durante un concerto londinese dello scorso anno, mi sento di
consigliarlo caldamente sia agli amanti del genere che ai non esperti, perché
l'esecuzione di Wajanhat Khan è molto concentrata, parla bene la lingua del suo
paese, trasferendo l'intensità e la rarefazione senza impicciare le orecchie
con insopportabili virtuosismi. Difatti, anche se le tracce incise sono
soltanto due, e di sconfortante lunghezza (quarantuno e ventuno minuti),
risultano entrambe più che assimilabili anche per un occidentale, riuscendo a
trasferirlo nel mondo magico, fiorito, sacrale, dei raga. Wajanhat Khan è un
giovane suonatore di sarod, uno
strumento a corde pizzicate dal suono caldo, ed è uno straordinario talento.
Viene accompagnato dalla tabla (è un
tamburo formato da due corpi separati, il principale suonato con la mano destra
ed accordato sulla tonica, e il secondario, o baya, suonato con la sinistra e che svolge funzioni di grancassa)
di Sukhvinder Singh, che però svolge interventi discreti, mai offensivi delle
delicate tessiture del sarod, e dalla
tanpura (è un altro strumento a
corda) di Rohini Rathore, che funge da bordone creando un sottofondo di grande
atmosfera. I due raga interpretati sono lo Yaman Kalyan, il cui significato
letterale è andato perduto, ma che viene suonato prevalentemente di sera.
L'atmosfera è evocativa, mistica, devozionale. Il secondo raga è più
movimentato, ma non per questo fa smarrire dolcezza e delicatezza d'esecuzione
a Wajanhat.
"Nyiregyhazi At The Opera" (Vai
Audio) è il titolo di un disco del quale si è parlato troppo poco, e soltanto
in ambienti per addetti ai lavori. Ervin Nyiregyhazi, infatti, è uno di quei
pianisti scomodi che, se li ascolti una volta, poi non puoi più fare a meno di
chiederti per quale motivo tutti gli altri sembrano aver ingoiato un metronomo,
o abbiano bisogno di mille ore per registrare i preludi di Chopin. Il
Nyiregyazi di cui parlo è un vecchio leone, perché nell'Ottanta, alla bella età
di settantasette anni, pubblica un disco per
L'altro
compact che vorrei segnalare, invece, è recentissimo, e segue il successo di
"Officium". Si parla, naturalmente, del fenomeno Garbareck, il
sassofonista legato alla ECM di Eicher al quale dobbiamo uno degli esempi
meglio riusciti di 'confusione'. In quel disco, infatti, si mescolavano suoni
improvvisati dal sax e pezzi dell'alto medioevo, nell'interpretazione magistrale
dello Hilliard Ensemble. In "Visible
World" (ECM 1585), invece, Jan Garbarek ripete la magia con
ingredienti differenti, una diluizione e rarefazione forse meno incisive, ma
sempre d'atmosfera.