ARCHIVIO DE SIMONE

Altre recensioni discografiche di musica contemporanea, etnica, etc.

 

Per diversi anni ho pubblicato recensioni discografiche su riviste specializzate a divulgazione nazionale. Esse hanno svolto una funzione di critica militante, spesso ‘scomoda’, tuttavia hanno offerto un contributo al radicale mutamento delle tradizionali categorie d’analisi, spesso poggiate su insiemi gerarchici di ‘qualità’ tra generi e stili. Quello che segue è un elenco di alcune di queste recensioni, ed i testi di quelle che ho potuto recuperare (vi sono escluse quelle scritte per il quotidiano ‘il manifesto’, che si possono leggere all’apposita voce dell’Archivio). Non è stato possibile uniformare i testi delle recensioni, ordinarli, organizzarli, aggiornarli. Ciò comporterebbe uno sforzo che va al di là delle possibilità individuali. Pertanto esse vanno prese così come furono pubblicate. Consiglio pertanto di avvalersi, una volta individuato nell’elenco qualcosa che possa interessare, di utilizzare le funzioni di ricerca automatica disponibili in ogni software di lettura.

Girolamo De Simone

 

 

 

Elenco articoli, recensioni e rubriche di Girolamo De Simone

pubblicati dalla rivista “Cd classica”

 

 

N. 68, Febbraio 1994

"Barber", p. 54

"Bernstein / Hundley / Bowles / Gershwin / Etc." , p. 58

"Revueltas / Orbon / Ginastera", p. 107

"The American Vocalist", p. 117

"Yo-Yo Ma", p. 125

 

N. 69, Marzo 1994

"An American Christmas", p. 65

 

N. 70, Aprile 1994

"Griffes / Sessions / Ives", p. 75

"Ives / Barber", p. 78

"Lang", p. 79

"Lazarof / Starer", p. 80

"Rands / Persichetti / Martirano / Martino", p. 92

 

N. 71, Maggio 1994

"Glass su Sony", p. 61

"Cage", p. 80

"Cage / Harrison / Young / Partch", p. 80

"Hall Lewis", p. 94

"Kolb", p. 100

"Riegger", p 112

 

N. 72, Giugno 1994

"Babbitt", p. 46

"Cage / Carter / Babbitt / Schuller", p. 74

"Copland / Jenkins / Bernstein / Gershwin", p. 81

"Ibert", p. 92

"Ives", p. 93

"Roussakis", pp. 108-109

"Schuller", pp. 111-112

"Zorn/Coleman/Klucevsek/King/Vierk/Marclay/Childs/Groesbeck/ Kernis", pp. 117-118

"Zwilich / Cory; Macbride", p. 118

 

N. 73, Luglio/Agosto 1994

"Autori contemporanei sulla CRI", pp. 30-31

"Copland/Tailleferre/Honegger/Poulenc/Milhaud", p. 54

"Petterson" p. 92

 

N. 74, Settembre 1994

"Briars" p. 56

"Glass/Partch; Druckman/Babbitt/Gideon/Monod/Wright/Gerber; Lewis", p. 68

"Hersch/Oldham/Deblasio/Gannon/Hampton", p. 77

"Jarrett", p. 78

"Nyman", pp. 87-88

"Terminal Velocity", p. 102

"Volans", pp. 104-105

"Zappa/Halle/Johnston/Strayhorn/Nurock/Yamada/Hendrix", p.105

 

N. 75, Ottobre 1994

"Peck/Sweelinck/Genzmer/Florio/Mozart/Francaix/Barroll", p. 96

"Rachmaninov/Brahms/Bach/Honegger/Berg", p. 100

 

N. 76, Novembre 1994

"Beaser", pp. 45-46

"The Hilliard Ensemble esegue Garbarek" p. 59

"Hindemith; Penderecki", pp. 83-84

"Stanford/Howells", pp. 110-111

"Tan Dun", p. 118

 

N. 77, Dicembre 1994 / Gennaio 1995

"Copland", p. 58

"Harbison/Sessions", p. 80-81

"Louis Glass su Marco Polo", p. 97

"Panufnik", pp. 100-101

"Paternoster", pp. 101-102

"Rota/Casella/Cortese/Pilati", p. 105

"Takemitsu", p. 114

"Turnage", pp. 115-116

 

N. 78, Febbraio 1995

"Speciale World Music", pp. 32-38

"Asia", p. 48

"Baron; Pavone", p. 53

"Beatles", p. 54

"Busoni", p. 64

"Floyd", pp. 76-77

"Jackson", p. 86

"Ligeti/Kurtag/Orban/Szervansky", p. 89

"Perosi", pp. 97-98

"Twining; Martland; MacMillan", p. 116

 

N. 79, Marzo 1995

"Husa", pp. 90-91

"Kogoj", p. 92

"Lambert", p. 92

"Revueltas; Moran", pp. 111-112

"Spirituals and traditional Gospel Music", p. 120

"Ghulam Mustafa Khan", p. 126 (rubrica world music)

"Kante' (Mamadou)", p. 126 (rubrica world music)

"Traditional" (1), p. 126 (rubrica world music)

"Traditional" (2), p. 126 (rubrica world music)

 

N. 80, Aprile 1995

"Cage", pp. 57-58

"Thomson/Hanson/Rorem/MacDowell/Schuman", pp. 108-109

"Traditional/Yanov-"Yanovsky/Alizadeh/Gubaidulina/Tahmizyan/Golijov/Kancheli", p. 116

"Varese/Ives", p. 116

"Wayne", p. 120

"Traditional" (1) p. 122 (rubrica world music)

"Traditional" (2), p. 122 (rubrica world music)

 

N. 81, Maggio 1995

"Cage", pp. 41-42

"Cage; Rautavaara", p. 42

"Crumb", p. 46

"Gorecki; Reich", pp. 53-54

 

N. 82, Giugno 1995

"Adams/Glass/Reich/Heath", p. 48

"Bach (arr. Swingle Singers), pp. 52-53

"Clemencic", p. 73

"Lennon & McCartney", p. 87

"MacMillan/Bolcom/Copland/Schnittke/Dresher", p. 87

"Raiff/Vanden Bosch/Bedeur", p. 95

 

N. 84, Luglio/Agosto 1995

"Muller-Siemens", p. 70

"Music and Memory", p. 70

"Orff-Keetman", pp. 70-71

"Peyretti", p. 72

"Schnittke; Guibadulina", p. 78

"Talgorn", p. 81

"Von Bingen", p. 88

"Canti popolari russi", p. 90 (rubrica world music)

"Canti rumeni", p. 90 (rubrica world music)

"Musica strumentale di Java; Traditional", p. 92 (rubrica world music)

 

N. 86, Ottobre 1995

"Adams", p. 37

"Anderson", p. 37

"Barber/Copland", p. 40

"Gorecki", p. 75

"Suk", p. 112

"Weill/Hindemith/Toch", p. 120

"Zemlinsky", p. 120

 

N. 87, Novembre 1995

"Corigliano/Schwantner/Foss", p. 46

"Koppel/Holmboe/Kulesha/Christiansen/Arnold", p. 61

"Maes", p. 62

"Il Giappone; Zimbabwe", p. 102 (rubrica world music)

 

N. 88, Dicembre 1995/Gennaio 1996

"Barber/Butterworth/Horder/Ireland/Moeran/Orr/Berkeley", p. 32

"La Belle et la Bete interpretato da The Philip Glass Ensemble", p. 45

"De Boeck; Lyatoshynsky; Victory", p. 46

"Petterson; Wetz", p. 80

"Schnittke", p. 87

"Spiritual", pp. 94-95

 

N. 89, Febbraio 1996

"Birtwistle", pp. 34-35

"Canat de Chizy", p. 39

"Krenek", p. 54

"Martinu/Nono/Schoenberg/Hartmann", p. 58

"Petterson", p. 68

 

N. 90, Marzo 1996

"Castelnuovo-Tedesco", p. 42

"Danieli", p. 45

"Estrada; Harvey", p. 50

"Schreker/Berg", p. 88

"Weir; Maxwell Davies", pp. 100-101

"Abjean", p. 102 (rubrica world music)

 

N. 91, Aprile 1996

"Hervig/Hibbard/Ziolek/Paredes/Eckert/La Barbara", p. 71

"Penderecki; Vasks/Balakauskas/Narbutaite", p. 81

"Schreker", p. 90

"Zimmermann; Tavener", pp. 101-102

 

N. 95, Settembre 1996

"Melodie ebraiche del Novecento", p. 61

"Milhaud", p. 71

"Pettersson", p. 78

"Villa-Lobos", p. 94

 

 

 

LANG

"Are You experienced?", "Orpheus over and under", "Spud", "Illumination Rounds"

Rozen, Lang, Le Nouvelle Ensemble Moderne, Vaillancourt; Niemann, Tilles; Schulte, Oppens.  CRI  CD 625. 60'00". Note (Ingl.). Distribuzione: ??????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO: DDD. Stereo. Salle Claude Champagne, University of Montreal, Agosto 1991. Ciascuno strumento riceve un trattamento personalizzato ed accurato, dalla voce dello stesso Lang all'uso del pianoforte, che non sfora mai nei ribattuti.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Questo disco, interamente dedicato a David Lang, è assolutamente imperdibile, sia perché raccoglie per la prima volta  in modo antologico  le musiche del provocatorio allievo di Hans Werner Henze, sia per l'oggettivo valore delle interpretazioni. Il titolo del disco, innanzitutto, richiama il famoso brano ed il relativo album  di Jimi Hendrix: un brano al centro del movimento di controcultura pop degli anni vicini al 1960. Il richiamo segue parallelismi non equivoci tra il cantante-chitarrista americano e David Lang, che titola allo stesso modo il suo primo cd. Sulla copertina campeggia la foto di una patata corredata di un punto interrogativo. Per farsi un'idea della stranezza quasi alla Satie nella scelta dei titoli, si pensi ai seguenti, tradotti liberamente: "Mangiando scimmie vive" (e il pensiero corre a Le Piege de Medusa),  "Ossa"; "Gli extraterrestri mi rapirono, e rubarono il mio sangue"; e, dulcis in fundo,  ecco anche un brano che spiega la foto di copertina:  "Patata".  Ma al di là delle note di colore, sarà bene precisare che la musica del compositore americano è serissima, originale, e soprattutto consapevole della nuova necessità di comunicazione che ormai segna l'universo della produzione contemporanea. Così, atmosfere delicatissime vengono affidate al duo pianistico formato da Edmund Niemann e Nurit Tilles, che per quasi venti minuti riescono a percorrere con ribattuti continui, ma leggeri, la tastiera, quasi realizzando la più aurea utopia   del pianoforte: un lungo canto ininterrotto, capace di variazioni dinamiche, timbriche, coloristiche.

Girolamo De Simone

 

 

 

LAZAROF

Concerto per violoncello e orchestra, No 1/ Cadence II/ Continuum/ Cadence V

Laurence Lesser, Oakland Symphony Orchestra; Gerhard Samuel; Milton Thomas; Stanley Plummer; James Galway. CRI CD 631. 60'24". Note (Ingl.).  Distribuzione: ????????

 

Giudizio Tecnico: BUONO. ADD. Luoghi e date di registrazione diverse per ciascun brano, talora non indicate.  Il riferimento eterogeneo delle incisioni conferisce certa discontinuità del quadro sonoro complessivo.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

STARER

"Ariel" / Concerto a tre / "Anna Margarita's Will"

Camerata Singers and Orchestra, Kaplan; Bryn-Julson, Kraber, Kates, Ingraham, Sutherland.  CRI CD 612. 63'56". Note (Ingl.)

Distribuzione: ????????????

 

Giudizio Tecnico: BUONO ADD. Anche nel presente disco, le diverse registrazioni offrono un quadro sonoro eterogeneo, anche se non fastidioso.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

 

 

La serie American Master   della CRI  presenta due dischi antologici dedicati ad Henri Lazarof e Robert Starer, ripubblicando alcune loro incisioni storiche. Di Lazarof, nato in Bulgaria nel 1932 e poi davvero cosmopolita nella   formazione musicale, propone brani di eccezionale difficoltà tecnico-strumentale, pensati espressamente per i virtuosi che li eseguono.  Il Concerto per violoncello ed orchestra, scritto nel 1968 è in un'unico movimento, ed è sottoposto a continue metamorfosi, basandosi sull'intuizione di tradurre il contrasto espressivo tra solista ed orchestra accorpando l'idea di variazione tra violoncello ed alcune sezioni di quest'ultima. Il trattamento dell'orchestra nella sua interezza fa diventare densa la produzione sonora attraverso strati che si consolidano poco a poco. Nella Cadenza,  il bravo Laurence Lesser dà sfogo alle performance digitali previste appositamente per lui. Anche il Continuum for String Trio  è pensato per strumentisti che richiamano quelli descritti da Thomas Mann per le opere del povero Leverkhun: lo stesso Lazarof ci dice che questo brano si sarebbe   potuto definire come un libero e virtuoso concerto per trio.  Il contenuto del Continuum, scritto nel 1970 è quello di portare ad estrema flessibilità espressiva il fattore dei 'cambi' controllati, un gioco sulle possibilità delle varianti. Le  Cadence II, e V  che chiudono il disco, apparvero su disco a cavallo degli anni '70, e rappresentano Lazarof negli esperimenti da lui condotti  nel 1973 con nastri preregistrati.

Lo stile di Robert Starer, musicista di origini viennesi che il nazismo costrinse ad emigrare prima a Gerusalemme e poi in America, è più descrittivo, ed alcuni passi di Ariel,  per soprano, baritono, coro e orchestra, ricordano esplicitamente atmosfere debussiane. Il Concerto a Tre  , per clarinetto, tromba e trombone, è fortemente tematico, e richiama in modo impressionante alcuni brani del compositore partenopeo  Di Martino. Come si immagina, siamo ancora in ambito tonale, ma le melodie sono belle e accattivanti. Più avanzato nella ricerca l'  Anna Margherita's Will,  su testi di Gail Godwin, che però pur nella sua raffinata atonalità ricorda troppi brani analoghi scritti nel quarantennio nero della sperimentazione per poter essere goduto appieno.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

 

GRIFFES / SESSIONS / IVES

Sonata for Piano. Second Sonata for Piano. Sonata No. 1 for Piano

Peter Lawson. Virgin Classics 077775931624. 72'16". Note (Ingl. Ted.). Distribuzione: EMI Italiana.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. London. Gennaio-Febbraio 1991. Ottimi volumi. Ricercatezza del suono. Non vengono discriminati i particolari.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE / OTTIMA

Questo secondo disco della Virgin dedicato al repertorio sonatistico americano include le principali opere di Charles Tomlinson Griffes,  Roger Sessions e Charles Ives.  Dei tre, Griffes viene generalmente considerato come uno degli impressionisti americani, anche se le sue sonorità allucinatorie non sono lontane da certo Scrjabin, e le risorse pianistiche impiegate, ad esempio nella Sonata ,   richiamano la brutalità russica di Musorgskij.  La molteplicità dei richiami all'Europa è dovuta alla formazione musicale, avvenuta a Berlino dai diciannove ai ventidue anni, e poi ad una sorta di isolamento culturale patito nei lunghi anni trascorsi ad insegnare in una scuola di New York. Quando finalmente raggiunse il successo fu   colto da una grave pleurite, e da un esaurimento nervoso che dovevano portarlo prima al letto d'ospedale e poi alla morte, all'età di appena trentasei anni.  Come si può immaginare, sia la tendenza alla trasparenza onirica che la profonda sofferenza per la mancanza di prospettive sono palesi soprattutto nella Sonata ,  qui proposta da un ispirato e convincente Peter Lawson. Scritta nel 1918, a due anni dalla morte, è in un unico movimento diviso in più sezioni. Tonale anche per la presenza dell'impianto, porta soltanto nelle ultime battute al crepuscolare re minore.

La  Second Sonata for Piano  di Roger Session, scritta nel 1946-47 prima della conversione al serialismo  ha   caratteri molto più razionali ed  austeri, e mescola contrasti cromatici ad una forma neoclassica. Lo stesso programma compositivo dell'americano, prima vicino a Bloch, ma poi subito ispirato da Schoenberg palesa la tendenza alla ricerca di un linguaggio il più possibile universale, svincolato dai limiti di una musica nazionalista.  Anche qui l'adeguamento di Lawson è notevole: lo spessore emotivo si assottiglia notevolmente,  e pare proprio di ascoltare un brano che "di fatto" si presenta nella sua oggettività più pura.

La prima Sonata di Ives, scritta tra il 1902 e il 1908, ma pubblicata solo in tempi recenti, ancora parla del New England mescolando temi e citazioni che volgono talora ad una sorta di primitivismo ancestrale  e talaltra all'aspirazione ad una nuova classicità tutta americana. Così, affianco ad armonie della massima dissonanza e ad arditezze cromatiche e  semicluster insorgono movimenti di rag e di blues. E' soltanto qui che Peter Lawson non ci sembra perfettamente a suo agio, ma non certo nella resa tecnica della difficilissima Sonata, quanto piuttosto nella capacità di prendere in prestito, a tratti, l'ironia indispensabile al trasferimento delle citazioni. 

Girolamo De Simone

 

 

 

RANDS

Le Tambourin, Canti dell'Eclisse, Ceremonial

Muti, Schwarz, Paul. New World Records 9322-80392-2. 69'40". Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

Interpretazione: BUONA

 

PERSICHETTI

Winter Cantata, Mass, Love.

Mendelssohn club of Philadelphia,  Brooks. New World Records 9322-80316-2. 40'30". Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

Interpretazione: BUONA

 

MARTIRANO / MARTINO

Mass, Seven Pious Pieces.

The Ineluctable Modality, London; The J. Oliver Chorale, Oliver. New World Records 9322-80210-2. 52'55". Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

Interpretazione: OTTIMA

 

La New World Records propone tre cd dedicati in buona parte ad opere corali di compositori contemporanei. Bernard Rands, Vincent Persichetti, Salvatore Martirano e Donald Martino sono i quattro protagonisti delle incisioni in esame. Ma procediamo con ordine.  Di Bernard Rands, il compositore inglese allievo di Berio che riscosse un certo successo nel 1963 ai Ferienkurse di Darmstadt con Actions for 6  , la Philadelphia Orchestra diretta da Riccardo Muti esegue Le Tambourin, Suites 1 & 2,  i Canti dell'Eclisse, con il solista Thomas Paul,  ed il  Cerimonial 3.  Nelle due Suites  Le Tambourin  si susseguono suggestioni ed atmosfere diversissime, quasi un campionario che lancia sguardi sul varipinto paesaggio del periodo sperimentale, ancora forse con qualche incertezza della forma. Nel primo quadro le suggestioni sperimentalistiche sembrano prevalere, per cedere il passo ad aloni impressionistici nel secondo. Vi è un vago ondeggiare di linee melodiche non sottolineate tematicamente, probabilmente a ragione, da Muti, che invece tende a rendere l'impasto timbrico complessivo. Il terzo quadro torna ad essere più vicino all'area sperimentalistica.  La 'forma', complessiva sembra dunque essere ancora tripartita, semplicemente sostituendo il contenuto alla canonica alternanza dei tempi. Il tradizionale Allegro, Adagio, Allegro diviene una metafora di Movimento-Riposo-Movimento.  Nella seconda Suite i referenti linguistici si moltiplicano, nel quinto quadro con la citazione di un po' d'Oriente, e nel Sesto con un riferimento abbastanza esplicito alle intuizioni di Scelsi e di Ligeti.  I Canti dell 'Eclisse  sono abbastanza originali, e anche il parlato mi pare ben scandito. Tuttavia non sempre è ben bilanciato il rapporto tra solista ed orchestra.  Il brano, di notevole durata (oltre trenta minuti), è condito con un'abbondante scampanio, e persiste nella ricerca di una modulazione continua, non disdegnando frequenti incursioni nell'uso dei dodici suoni. La sensazione è quella di una eccessiva frammentazione, forse anche a causa dell'uso di lingue differenti.

Il cd dedicato a Persichetti contiene la Winter Cantata   (n. 2, Op. 97) per coro di donne, flauto, marimba,  Mass, Op. 84 per coro misto, e  Love, per coro di sole donne.   Persichetti, docente alla Juilliard e notevole caposcuola, è ben rappresentato discograficamente, perché già dal 1946 incide i suoi lavori più importanti.  Il linguaggio è fortemente tonale, la tessitura fondamentalmente omofonica, e l'uso che fa del diatonismo è piuttosto legato all'originalità e inventiva che alla ricerca della novità per la novità. Cosa questa abbastanza logica in sé, specie in un momento in cui ci si allontana dall'imperare di certe logiche di avanguardismo fine a sé stesso. Tuttavia, quello che meraviglia nei brani presentati, ma soprattutto nella Winter Cantata,  è la persistente incapacità di considerare il diatonismo come mezzo  attuale per una comunicazione estetica che non appaia datata.  Se addirittura Donatoni dichiara una tardiva apertura a questo linguaggio, una sorta di malsopportato  'cedimento',  a maggior ragione da musicisti come Persichetti, qualche sforzo in più potremo attenderlo legittimamente. Il problema, ancora una volta, non è tanto quello di produrre brani con 'novità' formali, ma musica in grado di dichiarare l'esistenza di  contenuti comunicabili. 

Il terzo cd in esame comprende la Messa  di Salvatore Martirano, diretta da Edwin London, ed i Seven Pious Pieces  tratti da opere di  Robert Herrick, e diretti da John Oliver.  La Messa , già su disco dal 1955, mi pare abbastanza legata alle forme tradizionali, ad esempio nel Credo, qui ancora trattato a sezioni, e omoritmico per rendere la dichiarazione di fede il più possibile comprensiva. Martirano, allievo di Dallapiccola, ha però dalla sua molteplici e varie esperienze compositive: non a digiuno di frequentazioni jazz e seriali, senza per questo disdegnare nastri preregistrati e computer music.  Il coro polifonico, "The ineluctable Modality", è sicuramente dotato.  I Sette pezzi devoti  di Donald Martino, anch'essi già pubblicati su disco nel 1976, sono caratterizzati da improvvisi crescendo e decrescendo, e da difficilissime ed intricate polifonie, con linee melodiche rese con vero virtuosismo dal coro di Oliver.  

Girolamo De Simone

 

 

BARBER

Complete works for solo piano

Eric Parkin, Chandos CHAN 9177. Durata.......  Note (Ing. Ted. Fr.)

Distribuzione: Carish, Milano

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Cambridge, 25-27 Ago 1992. Mike George, Ben Connellan. Registrazione ben bilanciata, anche se leggermente ovattata.

 

Versioni alternative:

-Horowitz (Sonata). RCA GD 60377

-Van Cliburn (Sonata). RCA  GD 60415

-D. A. Wehr (Sonata). Chandos, CHAN 8761

-A. BROWRIDGE (Sonata, Escursioni, Notturno, Ballata). Hyperion  88016

 

Interpretazione: BUONA

Se è vero che la produzione di Samuel Barber è conosciuta in Italia soprattutto per le oltre venti incisioni del celebre Adagio for Strings,  è pur vero che non mancano anche riferimenti alla produzione per pianoforte, soprattutto per la presenza della Sonata for Piano  Op. 26, scritta nel 1949, di cui abbiamo le versioni storiche  di Horowitz  e di Van Cliburn ,  quella  di Wehr D. Allen, che nell'89 la accoppiava a brani di Corigliano e Copland come è ormai prassi   per la scuola americana, e soprattutto quella di Browridge , che già nell' '80 registrava insieme alla Sonata   anche le quattro  Excursions  Op. 20 del 1944, il Nocturne  Op. 33 del 1959 e la Ballata  Op. 46 del 1977.  La Fuga (Finale) della Sonata, poi, compare anche nel catalogo RCA VIDEO, eseguita da José Carlos Cocarelli  nel Laser Disc dedicato all'ottava edizione del Concorso  Pianistico Internazionale  Van Cliburn. Pertanto, da un punto di vista meramente compilativo, il disco di Eric Parkin presenta in più,  sotto la dicitura "Opere complete per piano solo", un'unico ma consistente brano, i Souvenirs  Op. 28 del 1952, della durata di circa venti minuti, sul quale ci pare opportuno soffermarci. Dei Souvenirs  esistono tre versioni; la prima,  per pianoforte a quattro mani, fu scritta per gioco da Barber,  al solo scopo di suonarla con un amico. Su proposta di Lincoln Kirstein, ne approntò poi una versione orchestrale che doveva essere utilizzata per un balletto di Balanchine mai rappresentato. Per la terza versione Barber raccomanda di non esagerare con la tentazione canzonatoria o ironica, indulgendo tuttavia in una tenerezza affabile e divertente.  Come è chiaro, quindi, pur trattandosi di brani minori, essi riescono a rappresentare Barber nella scelta di non scendere nell'agone competitivo   della dirompente corsa al nuovo, ideale perseguito, ad esempio, dall' Ives che "anticipava" le date di composizione delle sue opere. Dal punto di vista interpretativo, l'esecuzione di Eric Parkin è corretta ed a tratti allusiva, specie nelle sonorità della seconda Escursione, la quale fa evidentemente il verso, in "slow blues tempo", al celebre Chiaro di Luna di Debussy. Trentadue anni separano la registrazione di Horowitz della Sonata  da quella di Parkin, ed anni luce, naturalmente, dista pure lo spessore e l'inventiva che caratterizza le due versioni. Ad un generale appiattimento dei tempi (5'44" del terzo contro 5'21" del quarto, mentre in Horowitz la differenza è di oltre un minuto) corrisponde una lettura che scorre via con grande onestà, ma senza brividi lungo la schiena.

Girolamo De Simone

 

 

KOLB

Soundings, Toccata, Appello, Looking for Claudio, Spring river flowers moon night.

Ensemble intercontemporain, Tamayo, Kipnis, Gottlieb, Starobin, Gottlieb, Ivanoff, Mason, Philips, Renzulli, Brooklyn College Percussion Ensemble, Kolb, CRI, CD 576. 69'25"  Note (Ing.)

Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. ADD. Stereo. Incisioni storiche con date e luoghi di registrazioni diverse per ogni brano. Esse tuttavia appaiono ben bilanciate e senza salti d'atmosfera.

 

INTERPRETAZIONE: BUONA

 

Figlia d'arte, originaria del Connecticut, Barbara Kolb trasferì probabilmente l'eclettismo di un papà musicista tuttofare in uno stile decisamente eclettico, nel senso che i suoi ammiccamenti variano da brano a brano viaggiando per iperboliche peregrinazioni stilistiche, dall'atonalismo al serialismo, dalla musica tonale a quella elettronica.  La fattura di alcuni brani, riproposti dalla CRI in questo cd monografico, è sicuramente eccellente, ed anche l'esecuzione è accurata, come ad esempio in "Soundings", composto nel 1971 e revisionato nel '75, su commissione dalla Fondazione Koussevitzky. Si basa sull'intuizione tecnica del ritorno in eco di un   un segnale sonoro, che conferisce una dimensione di grande pastosità sonora complessiva. "Patterns" cromatici si dissolvono nella tessitura del primo movimento, scomponendo un ostinato altrimenti lineare. Nella seconda sezione, invece, la diluizione del pattern avviene attraverso il dialogo delle sezioni solistiche. La terza  è invece caratterizzata da un'ascesa verso clusters accordali degli archi. Di un certo interesse anche "Looking for Claudio", per chitarra solista e nastro preregistrato e l'esperimento di implosione-esplosione di una Sonata di Domenico Scarlatti, riprodotta nel disco assieme alle sue varianti. Meramente speculativo nel senso della più deteriore tradizione sperimentalistica, invece, ci è parso "Appello" per pianoforte, eseguito da Jau Gottlieb. 

Girolamo De Simone

 

 

BABBITT

An Elizabethan sextette. Minute Waltz. Partitions. It takes twelve to Tango. Playing for time. About time. Groupwise. Vision and Prayer.

The Group for Contemporary Music. Feinberg, Beardslee, Sollberger.

CRI CD521. 65'19". Note (Ingl.). Distribuzione:?????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD, AAD. Stereo. Luoghi e date di registrazione diversi.

Le registrazioni in AAD risultano un po' compresse. Ciò non nuoce all'amalgama complessivo.

 

 

Interpretazione: OTTIMA

Allievo di Roger Session, da lui segnalato ai corsi di perfezionamento della Princeton University, e a sua volta caposcuola di intere generazioni di musicisti, Milton Babbit è tra i grandi sacerdoti della musica seriale americana, depositario della parte più radicale dell'oggettivismo del suo maestro. Più volte accusato di progettare a tavolino la sua musica, e programmare l'entrata della più piccola nota di ogni composizione, in realtà Babbitt non ha mai disconosciuto la forte cerebralità della sua produzione, facendosi anzi un vanto della componente razionale, e ascrivendola al ruolo ed alla funzione dell'intellettuale. Anche questa convinzione, evidentemente mutuata dalla prassi teorica dei francofortesi, naturali alleati della  trinità viennese  poi celebrata a Darmstadt, rende in parte già noto sia il progetto estetico del compositore, sia buona parte dell'opera. Babbitt è rimasto per anni a Princeton, ed è rimasto anche nella statuaria convinzione che la musica seriale abbia bisogno di tempo per essere amata: "chiunque possegga un buon udito può essere educato ad apprezzare la mia musica. Quanto più si ascolta la musica seriale tanto più si è in grado di comprendere la sua grammatica, le sue configurazioni, i suoi modi di procedere". Non può sfuggire nemmeno al più asettico dei critici che un simile approccio non prevede la futilità della fruizione di solo godimento, e risulta quindi contraddittoria in partenza.

Il disco presenta numerose opere scritte tra il 1957 ed il 1983, tutte caratterizzate da un linguaggio molto omogeneo, seriale e strutturalista, perché estende le acquisizioni schoenberghiane ad ogni parametro compositivo. Il suo rigore, tuttavia, se ci si sottrae ad una visione soltanto storicistica, è a tratti soffocante, e quindi necrotico. A questa considerazione fa eccezione Vision and Prayer, dove la bella voce di Bethany Beardslee riesce a proiettarci fuori dalle gabbie, su su verso la poesia mistica di Dylan Thomas, il poeta che creava forme visive disponendo le parole entro figure geometriche. Ma è strano che un compositore ispirato dalle tesi di Adorno scelga poi un poeta che dichiarò: "bisogna prendere una parola corrotta e prostituita, eliminare le rughe della sua dissipazione e rimetterla sul mercato, fresca e vergine...".

Due considerazioni finali meritano ancora di essere stese: la prima riguarda l'ottima prestazione del "Group for contemporary music", formazione importante per la divulgazione delle opere di compositori americani: la sonorità dell'insieme è sempre omogenea, e scorre via come acqua di ruscello a dispetto delle asperità seriali.

La seconda è invece relativa al libretto, che riporta solo in inglese i versi di Dylan Thomas: eventuali curiosi potranno leggerne una bellissima traduzione curata da Roberto Mussapi e pubblicata da "marcos y marcos".

Girolamo De Simone

 

 

AN AMERICAN CHRISTMAS

The Boston Camerata, Joel Cohen. Erato 4509-92874-2.  60'01". Note (Ing. Fr. Ted.). Testi. Distribuzione: Warner Classics.

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Studio Campion Center, Weston, USA, 03/1993. Eccessiva uniformità e chiarezza. Riverbero presente solo in alcuni brani.

Interpretazione: MEDIOCRE

 

CHRISTMAS IN EARLY AMERICA

The Columbus Consort, Joseph Pettit. Channel Classics CCS 5693. Note (Ing. Fr. Ted.). Testi (solo Ing.). Distribuzione: Harmony Music, Scandicci Firenze.

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Old Catholic Church, Delft, The Netherlands. 06/1993. Piani sonori molto omogenei, mai a discapito delle dinamiche. La resa degli strumenti è accurata e ben bilanciata con le voci.

Interpretazione: BUONA

 

Dopo il compact dedicato agli spiritual ed ai canti religiosi dell'America del Nord, la Camerata di Boston diretta da Joel Cohen prosegue nel tentativo di fornire materiali utili a colmare il vuoto esistente nella conoscenza di quella produzione  americana a metà strada tra colto e profano, tra stile antico e moderno. Certo è che molti di questi brani non erano mai giunti all'onore di una incisione, e quindi conoscerli e proporli è cosa senz'altro meritoria, anche per il fatto che si tratta di una produzione difficilmente collocabile, da un lato   destinata a cantori amatoriali e non professionisti, con palesi ammiccamenti al folklore inglese, dall'altro stilisticamente assai povera, vicina alla polifonia medievale ed al canto Rinascimentale. L'operazione di Joel Cohen sembra partire, quindi, da precise coordinate estetiche, peraltro espresse chiaramente nelle  note che accompagnano il cd: questi canti non appartengono alla musica classica,  e tuttavia hanno una loro dignità artistica, perché nell' insieme rappresentano temi e sentimenti universali come   nascita,   morte,   fede e  dubbio. Tuttavia, non ci pare che questa considerazione debba poi per forza condurci a condividere il moto istintivo espresso dalla frase: "Americani, risvegliamoci! Abbiamo una delle culture musicali tra le più ricche, diverse e stimolanti di questo pianeta!". E l' esclamazione non è dell'estensore di questa nota. 

Dal punto di vista vocale, l'osservazione resta identica a quella  già mossa al cd precedente: ha una certa coerenza filologica il fatto che brani scritti per amatori vengano eseguiti con voci non impostate secondo la più rigida tradizione nostrana, ma infastidisce    percepire una componente ibrida anche nella qualità timbrica degli insiemi.

Ancora canti di Natale della giovane America, della Georgia, Pennsylvania e della Carolina del Nord, nel cd proposto dal Columbus Consort. Differenti le posizioni teoriche di base, visto che le ingenuità tecniche di scrittura vengono fatte risalire ad una scelta cosciente dei compositori appena emigrati dall'Inghilterra.  La qualità vocale ci sembra migliore perché più omogenea che nella Boston Camerata,  e anche la parte strumentale non pare semplicamente accessoria.

Girolamo De Simone

 

 

 

BERNSTEIN, HUNDLEY, BOWLES, GERSHWIN...

American Song Recital

Lauren Wagner soprano, Fred Weldy piano. Channel Classics  CCS 5293.  48':00. Note (Ing., Fr., Ted.). Distribuzione: Harmony Music, Scandicci Firenze.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio.  Bad Homburg, Germany, 25-26-27/5/1992 Jared Sacks (Prod.).  Registro alto leggermente chiuso. Il volume del pianoforte non sembra adeguato al solo. Una certa pastosità uniforme rende difficile discriminare il minimo dettaglio.

 

Versioni alternative:

Gershwin, Secondo Preludio, Limelight DECCA 820 842-2

 

Interpretazione: BUONA (L. Wagner); MEDIOCRE (F. Weldy).

 

La Channel Classics presenta un disco interamente dedicato alla canzone artistica americana, dal titolo "American Song Recital".  Vi sono inclusi autori noti e meno noti, da Richard Hundley e Paul  Bowles  a John Corigliano, Leonard Bernstein e George Gershwin, seguendo una alternanza tra  brani per voce accompagnata o per solo pianoforte.  Il clima che viene suggerito, ad un primo ascolto, è abbastanza gradevole; il soprano Lauren Wagner, che viene dal teatro lirico, è certamente dotata di una tecnica vocale sicura, e anche se non eccelle nelle sfumature coloristiche evita accuratamente di fare sfoggio di sonorità da palcoscenico, con la piena consapevolezza, cioè, di essere in studio e di fronte ad un microfono. Ma ciò non  impedisce di pensare alla Hendrix, che pure cose analoghe ha interpretato, o di riferirci, in classici come Someone to Watch over Me  di Gershwin, ad alcune versioni ormai classiche di grandi interpreti del genere (una per tutte quella di Ella Fitzgerald). Infatti, la sensazione che permane agli ascolti successivi è di un'esecuzione di maniera, magari anche curata nei particolari, ma dolciastra e quasi alla francese, eccessivamente morbida e fluida. Da cosa si dovrebbe capire che si tratta di compositori americani anche viventi?

Per quanto riguarda  i brani eseguiti da Fred Weldy al solo piano, a parte i meno noti Anniversaires  di Bernstein, il confronto con altre grandi interpretazioni resta possibile per i Tre Preludi  di Gershwin. Almeno del secondo esiste una versione "autentica", con l'autore al pianoforte: il confronto tra le velocità è schiacciante:  due minuti contro i 3'38" di Weldy.  Eppure,  Gershwin riesce a sincopare il tema ed a suggerire un sound nero strepitoso. Ma questo è come la scoperta dell'acqua calda. Ciò che resta da annotare è che in tutti i punti in cui ci si aspetterebbe nitore e velocità si resta delusi, e che tocco e sfumature ci sembrano insufficienti o leziose.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

CAGE / HARRISON / YOUNG / PARTCH

Dream / In a Landscape / Suite No. 2 / Six Sonatas / Sarabande / Two Studies / Barstow

John Schneider, Amy Shulman, BRIDGE BCD 9041. 61'15". Note (Ing. )

Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, Los Angeles, Gen/Feb. 1993. J. Schneider (Prod.), S. Barker (I. del s.). I suoni sono sempre ben controllati. Anche l'esuberanza dei brani di Partch per voce e chitarra è trasmessa in modo ottimale. Le piccole variazioni microtonali si percepiscono chiaramente.

 

 

 

Interpretazione: OTTIMA

 

 

Di grande pregio questo disco dedicato alla musica microtonale per arpa e chitarra, grazie anche allo spessore eccezionale dei due interpreti, John Schneider alle chitarre e Amy Shulman all'arpa celtica e da concerto.  L'interpretazione, difatti, appare sempre funzionale alla trasmissiome di un messaggio estetico, più che alla mera riproduzione dei segni e dei segnali meramente speculativi e sperimentali. Del resto la musica scelta si presta all'introspezione, o al viaggio fantasioso tra culture anche lontanissime. Difatti, ciò accade specialmente con la seconda Suite di Lou Harrison, lavorata lungo un ventennio, ed eseguita con l'aiuto del percussionista Gene Sterling. Come è noto, Harrison, allievo di Henry Cowell e di Arnold Schoenberg, subì ben presto la fascinazione della musica asiatica, forse anche a causa della frequentazione con John Cage. Nella Suite questa attenzione per l'Estremo Oriente viene mediata attraverso il linguaggio della musica polifonica del Medioevo e del Rinascimento, soprattutto nel brano di apertura "Jahla". La "Threnody" scritta in memoria di Oliver Daniel nel 1990, si serve di un "soft diatonic mode", con rapporti tra toni alterati. "Ishartum" ricorre addirittura di un sistema di scrittura cuneiforme utilizzata per le antiche arpe babilonesi. Con bella soluzione di continuità, il disco procede presentando la breve "Sarabanda" di LaMonte Young, ed i "Due studi sulle antiche scale greche" di Harry Partch. Certamente più provocatorio, ed in linea con la sua tenace ricerca sui microtoni, è il brano dal titolo "Otto iscrizioni di autostoppisti sul parapetto di un'autostrada a Barstow", scritto nel 1941 per baritono e chitarra, già su disco come molti altri lavori dell'originale californiano. "Dream", nella versione per piano, ma qui per chitarra ed arpa, fu scritta da Cage basandosi sulle strutture di danza di Merce Cunningham, così come "In a Landscape" fu pensata per Louise Lippold. Qui, l'esecuzione di entrambi i musicisti è sicuramente misurata, sognante ed introspettiva, come si conviene ad un musicista alla ricerca costante di un "suono zen".

Girolamo De Simone

 

CAGE

Quartets I-VIII / Music for Seventeen

San Francisco Contemporary Music Player, S.L. Mosko, J. La Barbara, Newport Classic NPD 85547. 67'33". Note (Ing.)

Distribuzione: ?????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Skywalker Sound, Marin County, CA, Data non indicata. R. Shumaker. Registrazione a tratti ovattata.

 

 

 

Interpretazione: BUONA

Un periodo di febbrile attività precede la composizione del "Quartets I-VIII", quello che inizia negli anni '70 e va fino alle commissioni per il Bicentenario dell'Indipendenza Americana. Cage viene premiato per il "Song Books" alle Giornate di Musica Contemporanea di Parigi; nel '71 compone i "Sixty Mesotics Re Merce Cunningham" per voce e microfono, incisi da Demetrio Stratos, ed anche di recente riproposti su cd da Eberhard Blum. Nel '73 è la volta di "M", e nel '77 "Empty Wards".  Il "Quartets" è invece del 1976, otto quadri eseguibili, come spesso accade in Cage, a scelta per piccoli insiemi (24 oppure 41 elementi) o per grande orchestra (93 elementi), e che tuttavia mantiene il nome di "quartetto" perché solo quattro musicisti per volta suonano simultaneamente. Le diverse sezioni derivano da composizioni di Andrew Law, Jacob French, e del conciatore di pelli, musicista dilettante, William Billings. Gli otto inni sono: "Lift Up Your Heads" (French), "The Lord Descended" , "Old North" (Billings), "New York" (Law), "Heath", "Judea (Billings), "Greenwich" (Law), "The Lord Is Ris'n" (Billings).

Cage svolge un lavoro di assemblaggio, modificando le linee tematiche attraverso il sistema delle permutazioni, perseguendo un'effetto di echeggiamento (Konsequenz, per dirla con Adorno), che richiama tempi ed atmosfere lontani nel tempo, attraverso una lente deformante ma attualizzante. I 24 esecutori  della "San Francisco Contemporary Music Players"  riescono, dopo un avvio stentato, a raggiungere un'atmosfera davvero 'cageana' nel bel mezzo del brano, quando effettivamente i suoni sembrano procedere da soli, senza mano o intelligenza che li guidi, e tuttavia seguendo un percorso che miracolosamente riesce ancora a mantenere un senso (una direzione) grazie alla presenza di suoni che "ac-cadono". Invece il gruppo delude in "Music for...", laddove i diciassette strumentisti eseguono in modo troppo preciso, e starei per dire con eccesso di volizione, per riuscire davvero a ricreare le sfumature impercettibili alluse dal compositore.

Girolamo De Simone

 

CAGE/CARTER/BABBITT/SCHULLER

Atlas eclipticalis. Variations for Orchestra. Correspondences. Spectra.

Levine. Chicago Symphony Orchestra. Deutsche Grammophon 431 698-2. 68'23". Note (Ted. Ingl. Fr. Ita.). Distribuzione: PolyGram Dischi,  Milano.

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Chicago, orchestra Hall, 7/1990.

Buona prospettiva stereofonica. Chiaro l'ingresso degli assolo, compatto l'insieme.

 

Interpretazione: BUONA

Come viene rilevato da David Hamilton nella concisa introduzione presente nel libretto d'accompagnamento, non è facile trovare delle esecuzioni di grande orchestre dei brani 'progressisti' scritti dai più fecondi e realmente innovativi compositori americani del dopoguerra. La ragione di questo accadimento potrebbe risiedere in una rinnovata propulsione del nuovo che avanza, o nella sconfinata depressione montata dalla opprimente dichiarazione di resa dell'arte e di morte della composizione. Un momento di grande fervore di questo disco è così senz'altro rappresentato dalla presenza di Spectra, un lungo brano (20'22") di Gunther Schuller, commissionato al newyorkese dalla New York Philharmonic Orchestra grazie ai buoni auspici di Dimitri Mitropoulos. Il grande direttore aveva già diretto la Dramatic Ouverture e la Sinfonia per ottoni e percussioni , ed aveva richiesto esplicitamente la commissione di un consistente pezzo per grande orchestra. Spectra è così un monolitico brano, la cui unità temporale non avanza per masse compatte che obbediscono ad una forma data, ma alle ragioni di sviluppo del materiale usato. E' così che il pezzo "si costituisce da sé la propria forma".  L'altra caratteristica strutturale prevede la divisione in settori dell'orchestra, in modo che si possa avere dal vivo la sensazione di un suono che viaggia lungo il palcoscenico. Spectra, eccettuata una larga sezione iniziale in cui il suono appare realmente autoprodursi e generarsi, per così dire, 'dal di dentro', obbedisce comunque ad una concezione di derivazione seriale, e non è rappresentativo di quelle influenze jazz che pure caratterizzano altra parte della produzione e degli interessi di Schuller.

Le lunghe Variazioni per orchestra di Carter, commissionate dalla piccola orchestra di Louisville, sono rappresentative dello stile poliritmico di Carter, e procedono per repentini guizzi e contrasti di  velocità e atmosfere. Levine dà qui la misura dell' estremo virtuosismo esecutivo raggiunto dalla Chicago Symphony, pronta a recepire e rendere con immediatezza tutti i cambi tempo.

La scrittura di Babbitt in Correspondences  riproduce più o meno fedelmente i dettami estetici e stilistici della scrittura seriale. Appartiene alla serie di brani pensati (o aggiustati) per orchestra e sintetizzazioni, onde favorire una determinazione massima di ciascun particolare ritmico e timbrico. Ma mentre la storia delle sintetizzazioni ha fatto passi da gigante, il sintetizzatore RCA utilizzato  negli anni Settanta, e quindi il nastro che implementa l'orchestra, è rimasto lo stesso: ciò conferisce un che di datato a Correspondences, che non pare oltretutto caratterizzato da uno stile particolarmente originale.

La storia di Atlas eclipticalis  è quella condivisa da molti lavori di Cage. Già alla prima di Montreal del 1961 fioccarono incomprensione, critiche, soprattutto da parte degli orchestrali. E' anche nota la posizione al riguardo di Cage, tutta tesa nell'auspicio di una nuova generazione di musicisti più disponibile ad una libertà "controllata", alla parziale nuova creazione di ogni opera per ciascuna sua esecuzione.  Anche qui la Chicago Symphony Orchestra non delude le aspettative, anche se il brano, nel suo complesso, pare filare in modo troppo liscio e costruito per alludere alla scrittura poco definita delle parti, questa volta ispirata graficamente alle linee di un atlante astronomico.

Girolamo De Simone

 

 

 

COPLAND/ JENKINS/ BERNSTEIN/GERSHWIN

Clarinet Concerto. Goodbye. Sonata for Clarinet. West Side-Variants. Promenade. Bess, You is my Woman now. Short Story. Three Preludes.

Stoltzman, Tilson Thomas, Stern, London Symphony Orchestra. RCA Victor Red Seal 09026 61790 2. 64'04". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, 11/92; 5/1993. Una certa morbidezza complessiva delle sonorità  discrimina di poco le due sedute di registrazione: Copland e Jenkins sono resi con un suono più 'caldo' e vicino.

 

 

Interpretazione: OTTIMA-BUONA

Molto godibile questo disco di Richard Stoltzman, sicuramente consigliabile anche a quanti vogliano farsi un'idea della produzione americana, originale o trascritta, per clarinetto. Alle suggestioni impressionistiche, ma anche arcaiche a tratti, del Concerto di Copland, commissionato all'autore da Benny Goodman nel 1947, e diretto con ampiezza di respiro e ottima gestione del fraseggio da Michael Tilson Thomas, segue la trascrizione di Goodbye  di Gordon Jenkins, anch'essa pensata per Goodman, che la eseguiva al termine dei suoi concerti radiofonici. Si tratta di un brano famoso, fortemente legato all'imprimatur del grande clarinettista, ma qui eseguito in una trascrizione che   rende benissimo la visceralità  e la dolcezza del jazz più melodico. Le sterzate improvvisative (quasi improvvisative) e le sospensioni di Stoltzman vengono assecondate dolcemente da Tilson. Più presente ritmicamente Eric Stern nellla virile Sonata per clarinetto di Bernstein, orchestrata da Sid Ramin, e nelle varianti dalla pluriomaggiata West Side Story, laddove l'arrangiatore-reinventore Frank Bennett non manca di richiamare temi della Sonata.  Il disco è chiuso da una silloge felice di brani noti e meno noti di Gershwin, tra cui una ulteriore trascrizione dei Tre Preludi. Su queste pagine se ne era già registrata una del violoncellista Yo-Yo Ma, e quella sfavillante del New Art Ensemble.

Girolamo De Simone

 

COPLAND/ TAILLEFERRE HONEGGER POULENC/MILHAUD

Sonata/ Arabesque. Sonata/ Sonatine/ Sonata/ Sonatine. Duo Concertant.

Soames, Drake. Classics CC0001. 68'09". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione:???

 

Giudizio tecnico:

MEDIOCRE. DDD. Stereo, Studio, CBS No1, London 1989. Il suono del pianoforte non è sufficientemente aperto. Non sembrano resi in modo ottimale i contrasti.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

Si è già recensita su queste pagine una vibrante esecuzione del Concerto per clarinetto di Coopland ad opera di Richard Stoltzman con la London Symphony Orchestra. Nel caso in oggetto, invece, la presenza della Sonata per clarinetto e pianoforte è preparatoria al ciclo simpaticamente intitolato "Les Six", che come è facile immaginare comprende le opere per clarinetto e pianoforte di Germaine Tailleferre, Arthur Honegger, Francis Poulenc, la Sonata per clarinetto solo della Tailleferre, e la Sonatine  e il Duo Concertante di Darius Milhaud.  Deludono, però,  in Coopland e nell'abbondante cernita di francesi, sia la Soames che Julius Drake. Il suono del clarinetto, ad esempio nel finale del Lento della Sonata di Coopland, appare finemente sbrindellato, lo spessore delle dinamiche troppo sottile, le velocità un po' appiattite, i crescendo non sempre  effettuati di comune accordo. Anche il pianista ci pare troppo rigoroso nel battere il tempo, che quasi è metronomico in Milhaud, e sembra iscritto al club di quegli esecutori che credono di far bene rallentando secondo complesse strategie algoritmico-matematiche. Non si riesce a percepire la difficoltà di un passaggio neanche a pagarla, e la maestria tecnica ne è conseguentemente appiattita anziché esaltata.

La qualità timbrica dell'insieme, infine: se tanti maestri hanno dedicato qualche brano al duo clarinetto-pianoforte vorrà pur dire che c'è da ricercare qualcosa, che so, un suono particolare, un effetto, un'atmosfera. Ma nulla di tutto ciò si riesce a percepire, nonostante diversi ascolti. Né l'ironia evidente di certe scritture, né lo sfavillio di altre, né la complessità ritmica e dissonante delle rimanenti.

La prima parte del compact riproduce la prima mondiale di una trascrizione d'autore, ma la parte restante  è dedicata ai francesi. Ma dov'è la Francia, e un po' di quel sano spirito alla Satie che spruzzato qui e lì su questi autori non avrebbe fatto che bene?

Girolamo De Simone

 

 

IVES/BARBER

String Quartet no. 1/ Scherzo/ String Quartet no. 2/ String Quartet op. 11

Emerson String Quartet, DG 435 864-2. 64'40". Note (Ing. Ted. Fr. It.). Distribuzione Polygram Italia, Milano.

 

Giudizio Tecnico: OTTIMO. DDD. American Academy of Arts and Letters, New York. 11/1990, 6/1991. Registrazione ben regolata, con attenzione alla qualità timbrica di ciascuno strumento.

 

Interpretazione: BUONA

 

Quello che più colpisce in questa ultima fatica dell'Emerson String Quartet è la ricerca costante di un bel suono, senza sforature né forzature del discorso musicale. Un modo di interpretare Barber ed Ives che li iscrive, a ragione o a torto, nell'alveo della musica di repertorio. Così, sorge spontaneo il paragone con le esecuzioni di altri due gruppi, il Kronos ed il Balanescu, che invece riescono a farci sentire quanto ancora c'è di contemporaneo, e di vivente, nella musica dei due americani. Sia di "Holding You Own" di Ives, che del celebre "Molto Adagio" di Barber, il Kronos ha fornito interpretazioni imprescindibili, dalle sonorità completamente diverse, forse per la maggiore radicalità delle scelte estetiche. Nel primo brano, ad esempio, il limite evidente nell'esecuzione dell'Emerson è nella impossibilità di rendere evidente l'aggressività mantenendo  costante il bel suono. Né è sufficiente il tentativo di renderlo un po' più aspro e stridulo, perché bisognerebbe pensare a vere e proprie manomissioni tecniche, dal vivo con l'uso di microfoni e l'aiuto di un ingegnere del suono, ed in studio accettando di alterare deliberatamente, magari con un pizzico di elettricità in più, le tracce dei diversi legni. Anche nel "Molto Adagio" la comparazione è a tutto svantaggio del quartetto Emerson: venti secondi di durata in meno è un particolare decisamente trascurabile, se la connotazione di senso, la tensione, fosse mantenuta adeguatamente. Dal canto suo, se l'esecuzione del Kronos assomiglia, grazie all'uso di espedienti tecnici, più ad una trascrizione della versione per orchestra   che alla stesura originale, ciò è dovuto non solo al suono pastoso e molto più 'sporco' che è stato deliberatamente scelto, quanto al profondo significato emotivo, veramente di più largo respiro, che i quattro conferiscono alla loro lettura. Certo è che l' esecuzione integrale   pone dei problemi di continuità non risolvibili che attraverso la pulizia ed il nitore dell' emissione. In conclusione, usando la metafora dello specchio,  tra l'immagine ed il suo doppio non discrimineremo né l'una né l'altra, conservando sia la freschezza delle invenzioni di David Harrington che la serietà filologica di Eugene Drucker.

Girolamo De Simone

 

 

GLASS

The Essential P. Glass: Lightning, Changing Opinion, Facades, A Gentelman's Honor, The kuru field of justice, Protest, Evening Song, Hymn to the sun, Window of Appearances, Bed, Dance, Metamorphosis Four, Closing.

Interpreti vari, Sony SK 64133. 74'52".  Senza note.

Distribuzione: Sony, Milano.

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Date e luoghi non indicati. Pare ottima la qualità timbrica degli strumenti elettronici, e curato il trattamento della voce.

 

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Questo suggestivo disco raccoglie, come già suggerisce il titolo, la produzione "essenziale" di Glass, selezionando le composizioni presentate, essenzialmente, da sei dischi precedenti, e precisamente, "The Photographer", "Solo Piano", "Glassworks", "Dancepieces", "Songs from Liquid Days", "Song From The Trilogy".  Si aggiunga che già gli ultimi due selezionano lavori precedenti, e l'ultimo, specialmente, focalizza l'attenzione su quella che il minimalista definisce la sua "Trilogia" operistica, naturalmente intendendo per opera qualcosa di completamente diverso dal dettato tradizionale.  Stranamente, le opere scelte dalla trilogia non sono elencate in modo cronologico, e forse è un bene, data la suggestione che questa sequenza riesce ad ottenere: c'è un estratto da "The kuru field of Justice", "Protest" ed "Evening Song", tratte da "Satyagraha", la lunga meditazione in sanscrito ispirata alla figura di Gandhi e sollecitata da Hans de Roo, direttore della Netherlands Opera, che provocatoriamente chiedeva a Glass, nel 1976: "Che ne diresti, Philip, di scrivere ora una vera opera?".  Seguono "Hymn to the sun" e "Window of Appearances" tratte da "Akhnaten", e soltanto un frammento di "Bed", precisamente una piccola sequenza dell'Aria. L'originale è lungo circa 14 minuti, contro i 3'40"  qui riportati, tuttavia molto più suggestivi, vuoi per la qualità timbrica della voce impiegata, vuoi per l'arrangiamento a tratti differente. Certo, la natura dell'operazione è sicuramente valida, anche se una antologia veramente essenziale, a parer nostro, avrebbe dovuto comprendere almeno qualcosa da "Koyaanisqatsi", la colonna sonora dell'omonimo film di Godfrey Reggio, ed il bellissimo quartetto per fortuna disponibile nell'esecuzione del benemerito Kronos. Va spesa ancora una parola sugli esecutori: a parte il "Philip Glass Ensemble", costruito ad immagine e somiglianza sulle esegenze del compositore, va detto bene del tenore Douglas Perry, e del controtenore Paul Esswood. Di Philip Glass che esegue sé stesso al piano, poi, si è già detto in passato: il relativo cd intero ci sembra una delle cose meno belle, e forse proprio a causa dell'esecuzione 'autentica'.

Un'ultima osservazione riguarda la mancanza assoluta di note, che invece  ci sembrano indispensabili soprattutto quando si propone una antologia.

Girolamo De Simone

 

 

IBERT

Suite Elisabéthaine. Concerto for Flute and Orchestra. Suite Symphonique. Capriccio.

Auldon Clark, Zukerman, The Manhattan Chamber Orchestra. Newport Classics NPD 85531. 69'26". Note (Ingl.). Distribuzione: ??????

 

Giudizio Tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Privo di indicazioni. Un suono vivido degli archi, senza appiattimento e schiacciamento degli alti. Strumenti solisti sempre nitidi tranne che nel caso del flauto solista.

 

Interpretazione: BUONA

E' questo un disco che sarebbe piaciuto a Gould, con la Suite Elisabéthaine di Ibert, in pieno revival neoclassico, condito qua e là da arpe impressionistiche: John Blow, John Bull,  Orlando Gibbons ed Henry Purcell la fanno da padroni, dal momento che le loro melodie, e la forma delle danze elisabettiane vengono solo in parte modificate da Ibert, e a parer nostro in modo tutt'altro che parodistico. Con convinzione, ci pare, utilizza nei nove movimenti della suite la voce femminile, il coro, e gli archi.  Il Concerto per flauto e Orchestra , scritto per Marcel Moyse nel 1932-33, e premiato l'anno dopo  dalla Société des Concerts sceglie ancora un linguaggio piuttosto semplificato, raccogliendo qualcosa dall'impressionismo sognante soltanto nel secondo movimento, con una Eugenia Zukerman per la verità piuttosto restia nel concedere briciole di sana agogica,  tecnicamente ineccepibile, ma dal suono un po' debole. Segue la Suite Symphonique "Paris", forse il brano più interessante se guardato col senno di poi: un certo descrittivismo filmico non guasta, specie se sottolineato con classe ed  ironia programmatica. Difatti, i sei movimenti descrivono luoghi parigini tipici, le cui caratteristiche vengono richiamate con esplicite citazioni strumentali imitative: dalla tromba che sottolinea la partenza in Le Métro,  ai richiami esotici ed orientaleggianti  di La Mosquée de Paris.  Il Restaurant au Bois de Boulogne  è tutto un proliferare di musiche da danza, talvolta valzer romantici, talaltra il jazz bianco delle orchestrine da ballo tanto avversate da Adorno. Qui anche l'orchestra da camera di Manhattan dà il meglio di sé, anche se una certa incertezza nei rallentandi, quasi sempre metrici e rigidi ci lascia un po' perplessi su alcune scelte di Richard Auldon Clark.

Chiude il gradevole disco il Capriccio  for flute, oboe, clarinet, Bassoon, trumpet, String Quartet and Harp,  scritto nel 1938 con uno stile aggressivo e sfavillante, oscillante tra politonalità e cromatismo tonale, talvolta utilizzando sincopi jazz di sicuro effetto, di cui però l'ensemble intuisce soltanto la ritmicità, e non il sound.

Girolamo De Simone

 

 

IVES

MarchIII. Ann Street. Calcium Light Night Holiday Quickstep. Four Song For Brass Quintet. Fugue in Four Keys. The Unanswered Question. Remembrance. Evening. Mists. The Circus Band. Romanzo di Central Park. Scherzo. Scherzo (Over The Pavements). Gyp The Blood or Hearst?! Which is Worst?! Adagio Sostenuto. Tone Roads nn. 1 & 3. March II with the Air "Son of a Gambolier". The See'r. Luck and Work. Like a Sick Eagle. Hallowe'en.

Reynolds, Detroit Chamber Winds and friends. KOCH 3-7182-2H1. 57'23". Note (Ingl.). Distribuzione: Florence International.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. St. Paul's Catholic Church, Michigan. Privo di data di registrazione. Talora i riverberi si presentano eccessivi e fastidiosi, specie quando non si smorzano le sonorità degli ottoni.

 

 

Interpretazione: BUONA-MEDIOCRE

Un disco della Charles Oves Collection, che ha quindi anche delle velleità storicistiche, di ricostruzione e presentazione delle opere minime e minori, e di quelle scritte a tredici o quattordici anni. L'ascolto, così, risulta un po' frammentario, forse per il fatto che  dei venticinque brani ventitre almeno rasentano i tre minuti, e due soltanto superano di poco i cinque. Tuttavia, nella composita silloge non mancano opere evocative, introspettive o serali, come Remembrance,  e soprattuto come gli aforistici Evening  e Mists , tratti dalle 114 Songs, una raccolta di canzoni su testi di Ives, della moglie o di grandi poeti come Keats, che richiamano invero alcune sognanti liriche dei francesi.  Peccato che l'atmosfera venga subito interrotta dal chiassoso ed ironico (e davvero ivesiano) The circus Band,  che fa il verso alla musica da banda,  che pur nei primi brani del disco (ad esempio nella March III) campeggia a tutto piano.  Segue il Romanzo di central park, una musica languida e descrittiva,  alla Nino Rota. Peccato che i contrasti siano poi accentuati da una scelta di volumi non sempre felice, e tale da creare ulteriori difficoltà nella fruizione lineare della pur onesta e gradita proposta della Detroit Chamber Winds, diretta da un Reynolds che appiattisce forse eccessivamente i tempi.  Brani di rilievo presenti nel disco sono ancora The Unanswered Question del 1908, con la tromba di Kevin Good che intona "The perennial Question of Existence" e la Fugue in four  Keys .

Il disco è chiuso dalla prima delle Tre scene di esterni,  Hallowe'en,  vigilia di Ognissanti popolata da immagini spettrali rese da instabili acuti d'archi.

Girolamo De Simone

 

 

ZORN/COLEMAN/KLUCEVSEK/KING/VIERK/MARCLAY/CHILDS/GROESBECK/KERNIS

Road Runner. Below 14th Street. Samba D Hiccup. An Air of Gathering Pipers. All Together Now. Manhattan Cascade. Ping Pong Polka. Oa Poa Polka. Polka I. Phantom Polka.

Klucevsek. CRI  CD626. 70'52". Note (Ingl.). Distribuzione:????????

 

Giudizio Tecnico: OTTIMO. DDD. Studio. 4/1991. Registrazione soddisfacente anche nei brani che prevedono l'uso di suoni ed effetti particolari, come distorsioni, amplificazioni, uso di voce.

 

Interpretazione: OTTIMA

Guy Klucevsek è un fisarmonicista polivalente e versatile di origine slovena, cresciuto nella comunità della Pennsylvania occidentale  e dedito in gioventù alla frequentazione non occasionale di polke, tango, sambe, ed altra musica comunemente dedicata al suo strumento. Tuttavia il nostro non s'è certo accontentato di fruire del repertorio 'popolare' disponibile, rivoluzionando anzi la  concezione estetica della scrittura per fisarmonica, attraverso la diretta composizione, la commissione di brani a giovani compositori americani, e collaborazioni con artisti del calibro di Bobby Previte ("Claude's Late Morning" , Gramavision 1988). "Manhattan Cascade", il disco prodotto dal medesimo Klucevsek per la CRI segue a "Blue Window" ed a "Scenes From A Mirage" ed è idealmente bibartito. La seconda parte raccoglie quattro polke di Christian Marclay, Mary Ellen Childs, Rolf Groesbeck, Aaron Jai Kernis, tratte da una raccolta dal titolo "Polka From the Fringe" propiziata proprio dalla generosità del nostro. La prima parte, invece, prende il via con Road Runner di John Zorn, un brano del 1986 di breve durata ma dalla fantastica varietà, come al solito "cartonista", di idee tematiche che si susseguono con una velocità da cardiopalma. Segue Below 14th Street di Anthony Coleman, l'organista e pianista collaboratore di Glenn Branca e dello stesso Zorn ("Cobra", Hat Art 1987). Si ha poi una testimonianza dello straordinario spessore sensitivo del fisarmonicista, che presenta Samba D Hiccup  e  An Air of Gathering Pipers,  praticamente la rivelazione, o il disvelamento, delle due anime, profana e colta, che tranquillamente convivono sulla stessa tastiera. All Together Now , brano zorniano basato su mescolanze e contaminazioni Sudafricane, blues, zydeco, gospel, di John King e Manhattan Cascade di Lois V Vierk completano una panoramica assolutamente imperdibile per originalità e bellezza sui più giovani ed attivi americani della vera avanguardia.

Girolamo De Simone

 

 

PETTERSSON

Symphony No 6.

Deutsches Symphonie Orchester Berlin. Trojahn. CPO 999 124-2. 60'30".Note (Ted. Ingl. Fr.). Distribuzione: ???

 

Giudizio Tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo, Grober Sendesaal des SFB. 5/93. Suono caldo, rotondo e tuttavia lucido e netto sia nei piano che nei fortissimo.

 

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Non è facile confrontarsi con l'opera e la vita di Allan Pettersson, perché l'una sovrasta l'altra, parla per l'altra, ne dà giustificazione e potenza espressiva. Nato nell'Uppland, e cresciuto nei sobborghi di Stoccolma, con un padre alcolista ed una madre bigotta, una visibilità annebbiata, scurita dallo sporco, dal lavoro in recessi industriali, nella consapevolezza d'essere uno dei "negri-bianchi" che combattono per la vita e la sopravvivenza allo stesso modo in Sud Africa come in Svezia, e che infine conducono il loro percorso superando un interiore senso di estraneità, la stessa sensazione di essere degli "intrusi".  "Questo mondo non è quello che tento di far intravedere con la mia musica. E' per questo che mi sono ritirato definitivamente dalla scena musicale. Dovevo difendere i miei valori: essi sono indispensabili alla mia opera". Una dura lotta per studiare, per comprare il primo strumento con soldi racimolati in mille attività, il lavoro in orchestra, infine una malattia terribile, lunga nel travaglio, una poliartrite cronica che lo getterà per anni nel "tunnel della morte", e dalla quale si affaccia una musica struggente, cromatica e in continua tensione, che non sfugge il ricorso ad un senso, un progetto, seguendo una direzione ben definita: "l'identificazione col piccolo, con l'insignificante, l'anonimo, senza trascurare il nuovo, il puro, le cose che infine preservano la vita dell'uomo", ma anche il desiderio di essere un "portavoce dei deboli, degli esclusi, di chi ha avuto enormi problemi", senza fiacchezza dell'anima.

L'unità formale di questa musica, come si può a questo punto intuire, è la ricerca. Ma non di certo quel vuoto tramestio  che si condensa in forme inarticolate, quanto l'incessante lavoro di chi segue percorsi  ben più articolati e fondativi: "l'opera alla quale mi accingo è la mia stessa vita, quella che è maledetta: io m'adopero per ritrovare il canto che l'anima una volta cantò".

Una musica ancora emozionante quindici anni dopo la morte di Pettersson, un disco assolutamente imperdibile per chi ancora voglia rintracciare barlumi di umanità, di valore, di significato al di là di ogni specialismo.

Girolamo De Simone  

 

 

 

REVUELTAS, ORBON, GINASTERA

Redes. Sensemayà. Concerto Grosso for String Quartet and Orchestra. Pampeana No. 3.

E. Mata; Cuarteto Latinoamericano, Simon Bolivar Symphony Orchestra of Venezuela. Dorian, DOR-90178. 69'39".  Note (Ing. Spag.). Distribuzione: Ducale, Rebbia Varese.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO:  DDD, Università Centrale del Venezuela, Caracas, Novembre 1992. D.H. Walters (Prod.), I. del s. vari.  Il risalto dato ai solisti del quartetto è sempre ben bilanciato con il tutti dell'orchestra. Anche i singoli strumenti vengono trattati in modo da essere in rilievo quando solisti, senza tuttavia risaltare in maniera sproporzionata.

 

Interpretazione: BUONA - OTTIMA

 

 

Questo disco raccoglie alcune delle più belle composizioni di tre autori del ceppo spagnolo generalmente non eseguitissimi. Silvestre Revueltas, difatti, nato in Messico a Santiago Papasquiaro, si trasferì in Spagna a studiare su consiglio di Carlos Chàvez, dove collaborò col governo lealista.  Anche Juliàn Orbon, cubano di origine spagnola, fece i suoi studi in Spagna, al Conservatorio di Oviedo, entrando poi nel gruppo di "Renovaciòn Musical" dell' Avana. Tornato in America, studiò con Copland, ed infine fu a sua volta in contatto con Carlos Chàvez.  Il terzo, Alberto Ginastera, leader fra i compositori argentini, è noto soprattutto per i suoi lavori operistici, ma anche per il modo particolare di trattare le grandi forme. Anche sommandole, le registrazioni disponibili in Italia e relative ai tre autori non ammontano che ad una decina, tutte di brani diversi da quelli presentati in questo ben articolato CD della Dorian. L' "Orchestra  Simon Bolivar" dà bella prova di sé soprattutto nella terza Pampeana  di Ginastera, dove sia per i cambi di velocità  che per le realizzazioni dinamiche di vasto spessore tiene banco con grande autorità tra le orchestre sinfoniche. Anche nel Concerto grosso for string quartett and orchestra  di Orbòn, riesce a non risultare soltanto di accompagnamento ai bravi interpreti del "Quartetto Latinoamericano", lasciandosi trasportare  con  leggerezza in un dialogo con i solisti. Merito è senz'altro del direttore Eduardo Mata, che delude soltanto in Redes  di Revueltas, forse perché meglio disposto alle grandi forme che ai quadretti del compositore messicano.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

R. HALL LEWIS

Nuances II "Whale Lament", Concerto for chamber orchestra, Symphony No. 2

R. Hall Lewis, Royal Philharmonic Orchestra, London Sinfonietta, CRI CD 596. 59'55"  Note (Ing.)

Distribuzione: ???????

Giudizio tecnico:

OTTIMO. ADD. Stereo. Incisioni storiche con date e luoghi di registrazioni diverse per ogni brano.

Interpretazione: BUONA

Non sono di certo numerose le registrazioni e le incisioni dedicate a Robert Hall Lewis, la cui produzione è prevalentemente dedicata a musica da camera vocale e strumentale, e ad alcuni lavori orchestrali. Nato nell'Oregon nel 1926, si è dedicato inizialmente allo studio delle possibilità seriali, per poi invece spostare la sua attenzione sull'alternanza tra continuo e discreto, con studi su ritmo, timbro, strutture contrapposte.  Molto eseguito dalle orchestre di tutto il mondo, Lewis non è conosciutissimo al grande pubblico, forse per la non facile vendibilità dei suoi prodotti, come del resto accade per molte delle opere che hanno fatto la storia dello sperimentalismo degli ultimi quarant'anni. Anche  Lewis sconta forse la non facile riconoscibilità, per l'adesione a linguaggi che per loro natura non hanno desiderato mettere in luce altro che non fosse una asfittica consistenza  numerica. Serialità spesso è stata intesa come seriosità, e lo strutturalismo non affascina più in ragione della sola complessità. Tuttavia, il disco in esame rappresenta pur sempre una discreta collezione di brani altrimenti non facilmente reperibili, e l'impasto inedito di certi timbri può anche affascinare Può così essere senz'altro consigliato agli amanti del genere, e a chi si dedica alla storia della grande promessa mancata della serialità integrale.

Girolamo De Simone

 

 

 

ROUSSAKIS

Himn to Apollo. Ephemeris.

The Pittsburgh New Music Ensemble, Stock. The Group for Contemporary Music String Quartet.  CRI CD624. 53'30". Note (Ingl.). Distribuzione ??????

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD, ADD. Stereo. Studio, 19/8/90. Church of the Holy Trinity NIC, 10/6/81 (per Ephemeris). Le diverse tipologie di registrazione sono rese in modo omogeneo. Buona l'ambientazione anche se forse un eccesso di spazialità è presente nel secondo brano. 

Interpretazione: BUONA - OTTIMA

Nicolas Roussakis, nato ad Atene nel 1934 e presto trasferitosi negli Stati Uniti, è stato allievo di Pierre Boulez a Darmstadt, scegliendosi come punto di riferimento americano Milton Babbit, padre di una cristallina visione seriale.  Ciò non gli ha però impedito notevoli aperture modali e tonali, e fughe che lo hanno portato lontano da strutturalismo e determinismo.  La CRI presenta il suo Hymn to Apollo  (Prestissimo e Allegro moderato, per un totale di sedici minuti circa) assieme alle Ephemeris  (quattro tempi per un totale di  trentotto minuti), realizzando in modo omogeneo un possibile itinerario descrittivistico dell'autore.

Il progetto estetico di Roussakis risiede nella volontà di trovare una zona intermedia tra tonalità e serialità, anche passando attraverso brusche fusioni di atmosfere, forse tali da far storcere il naso ai più intransigenti adepti di questa o quella scuola di pensiero. Il nostro, tuttavia, lo fa con tale maestria tecnica (una bella mano) e con tanta sensibilità musicale (un certo gusto), da indurre l'ascoltatore alla convinzione che uno stile eterogeneo, che ancor dica qualcosa in pieno sperimentalismo (le opere presentate vanno dal '79 all' '89), abbia già piena legittimità estetica.

Il primo movimento dell' inno in lode ad Apollo  è sviluppato in sei sezioni, ciascuna basata su un tono differente. Le serie, evidentemente 'armoniche', vengono trattate e pensate secondo codici tipici di un sistema strutturato per iterazioni e varianti minime, ammiccando qui e là ad  esplicite citazioni stilistiche meramente seriali.

Il secondo movimento, più lento del primo,  nelle intenzioni dell'autore risponde all'alternanza prevista negli inni dell'antica Grecia "elogio della divinità e supplica per il suo ritorno".

Un tocco lidio è conferito al tema d'ingresso dell' Allegro moderato. Dopo un'esposizione con quattro entrate, il soggetto viene trattato come una serie, e quindi presentato in modo contrario, retrogrado e inverso retrogrado, le quattro trasformazioni della "musica su dodici toni". Così, attraverso una serie di passaggi graduali il materiale originariamente armonico viene incrementato e reso più complesso fino all'esplosione della terza maggiore e quinta giusta verso tutti i dodici suoni. "Tonalità e dodecafonia, due sistemi apparentemente incociliabili", confessa Roussakis, si trovano l'uno a un dipresso dell'altro, grazie all'intuizione di applicare l'idea di sviluppo seriale ad un materiale diatonico. 

Le Ephemeris, scritte nel 1979, richiamano esplicitamente, nella scansione di quattro movimenti, il sistema delle effemeridi, le tavole astronomiche annuali che indicano la posizione di stelle e pianeti. E' un poema che descrive le  fasi del giorno, dall'aurora alla notte fonda. Morning   è prevalentemente seriale (in senso proprio), e nelle intenzioni di Roussakis, la ripetizione fortemente scandita della serie simulerebbe la vigorosa attività delle prime ore del giorno. Più interessante Afternoon,  che inizia con l'emergenza di un singolo suono scambiato tra vari strumenti, quasi citando atmosfere alla Ligeti (ma lo stesso Ligeti con grande onestà disse un giorno a Giacinto Scelsi: "la sua musica mi ha influenzato molto").

Una atmosfera più vicina all'affermazione della tonalità, seppur con modulazioni sorprendenti ed inusuali, effetto di glissati degli archi conclusi su armonie lontanissime, è presente in Evening. Segue una serie armonica  caratterizzata da spostamenti ritmici che strizzano l'occhio (ma si tratta di pochi minuti soltanto) al minimalismo additivo, e che si spegne nella sua stessa ripetizione alfine indebolita.

Intimista, naturalmente, Night. Ed allusiva di atmosfere notturne e sonnolente, poi interrotte dalla citazione de Le Matin di Haydn, quasi come se si volesse alludere alla circolarità del tempo ritrovato, già nascosto in embrione nella più fonda notte.

Per quanto riguarda gli esecutori, il "Pittsburgh New Music Ensemble" diretto da David Stock è parso meno convincente ed intuitivo del "Group for Contemporary Music String Quartet". E' pur vero che l' Hymn to Apollo presenta anfratti di difficile decodificazione, e rapidissime sequenze costringono gli strumenti a riprendere le serie gli uni dagli altri: comunque la sensazione di iniziale tentennamento si attenua nella seconda parte.

Girolamo De Simone

 

 

SCHULLER

Impromptus and Cadenzas. Octet.

The chamber music society of Lincoln Center. Sherry, Kargacos. Arabesque Recordings Z6620. 50'43". Note (Ingl.) Distribuzione: ??????????

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. New York 19 e 20/3/1990. Ciascuno strumento presenta una chiarezza e caratterizzazione timbrica di notevole spessore. Ciò non nuoce all'amalgama complessivo.

Interpretazione: BUONA - OTTIMA

La figura di Gunther Schuller, anche se ben rappresentata discograficamente soprattutto per le opere prodotte fra gli anni 60 e 70,  viene di solito tenuta a margine delle tre principali correnti americane, dalla prima  che fa capo a Cage con Feldman, Wolff e Brown, dalla seconda che si riferisce ai dettami del più rigido serialismo europeo, da Sessions a Babbitt ed al primo Roussakis, ed infine dalla terza, definita in genere 'conservatrice', che lega secondo linee comuni Ives e Carter.

La dicitura 'a margine' la si intende nel senso delle tradizionali chiavi di lettura, ma se ci si sposta appena un po' più in là si scoprirà che altri musicisti "marginali", come Lou Harrison e George Crumb, avevano preconizzato imponenti fenomeni di massa come la world music (e l'espressione "massa" non è denigratoria come al solito) o il citazionismo portato ad esasperazione. Del primo si è già recensito un cd collettaneo proprio su queste pagine (BRIDGE BCD 9041), e del secondo si potranno reperire facilmente almeno Black Angels,  Thirteen Images from the Dark Land  (Nonesuch 7559-79242-2).

Questo bel disco antologico, invece, sposta l'attenzione proprio su Gunther Schuller, altro americano fuori dal genere, intendendo proprio il fatto che si tratta di un compositore degenerato, ma non perché uso a turpi costumi o perché marginalizzato da volontaria emigrazione interna: Schuller è tra i promotori della cosiddetta "terza corrente", la "Third stream music" che si propose già in tempi lontanissimi di sperimentare le possibilità di fusione e contaminazione tra due generi lontani tra loro anni luce, a tutto dispetto degli esperimenti colti di alcuni compositori: il jazz ed il classico.

Schuller si muoveva in un ambiente che si era formato sulle opere critiche di Adorno, che come è noto pensava malissimo del jazz, perché riteneva che tutta la musica gradevole fosse per questo stesso fatto "ingannevole e bugiarda", pensando ancor peggio dei cultori di quel genere, simili a quei giovani che "canticchiano imperterriti le sincopi mentre fanno rifornimento di benzina". Ma per fortuna Adorno aveva torto, e precursori come Schuller avevano ragione: oggi molti grandi interpreti sia del versante classico che jazz fondono le due espressioni, traendone una variegata possibilità di espressione comune. Ed i compositori appaiono felicemente consapevoli dell'apertura offerta dalla possibilità di 'contaminare' le loro opere.

Ma torniamo a Sculler: recentemente protagonista a Pescara dell'unico concerto monografico della sua vita, ha a lungo gongolato per il fatto che esista la nemesi storica. Ascoltando il disco della Arabesque che qui si presenta se ne potrà avere conferma: si tratta di Improptus and cadenzas  e di Octet , musica da camera scritta apposta per la Chamber Music Society tra il 1979 e il 1990. La fluidità e gradevolezza dell' Impromptus, la capacità di apparire conseguenziali anche utilizzando stilemi diversi (e non stili: quello di Schuller è certamente unitario nei risultati), la sensazione di ascoltare una grande omogeneità di scrittura nonostante una dichiarata dicotomia tra i mezzi utilizzati, pur se  un tantino cedevole verso l'aristocratico allineamento del bebop alle intuizioni colte, la dicono lunga sulla apparente marginalità di questo compositore.

Girolamo De Simone

 

 

 

THE AMERICAN VOCALIST

Spirituals and folk Himns, 1850-1870

The Boston Camerata, Joel Cohen. Erato, 2292-45818-2. 59'25". Note (Ing. Fr. Ted.).

Distribuzione: Warner Classics

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Emmanuel Church, Boston. 11/1991. M. Guest (Dir. art.), D. Griesinger (I. del s.). Eccessiva spazializzazione delle sonorità nei brani monodici. Effetto chiesa talora ridondante.

Interpretazione: MEDIOCRE

La Camerata di Boston diretta da Joel Cohen propone in questo disco spirituals ed inni folk americani dal 1850 al 1870, tratti essenzialmente da due fonti. La prima è  una raccolta intitolata The American  Vocalist  del 1849, riscoperta soltanto nel 1986, dalla quale è tratta la maggior parte delle melodie riportate nel CD in esame. La seconda  è costituita da un libro contenente brani per una o più parti, dal titolo The Revivalist ,  pubblicato a New York nel lontano 1868.  Ciò che potrebbe costituire motivo d'interesse per i melomani del genere è sicuramente il fatto che si tratta di "spirituals" del Nord degli Stati Uniti, completamente diversi da quelli cui  siamo abituati, e difatti collegati con una tradizione 'vittoriana'  d'ispirazione bianca. Ma il problema è che nulla, nella confezione esterna del disco, suggerisce tale contenuto. Difatti, titolo e sottotitolo (The American Vocalist. Spirituals and folk Himns  )  non forniscono elementi per discriminare il "canto religioso d'ispirazione nera", cioè quel che comunemente si ritiene essere lo spiritual, da questa produzione bianca, popolare fin che si vuole, ma che si pone a metà strada tra la musica per vocalisti dilettanti da congregazione (con una segnatura apposita che  favorisce la lettura) e l'ispirazione colta. E anche l'immagine di copertina induce ad associazioni di matrice coloniale, e potrebbe portare fuori pista l'acquirente.

Infine, fuor di metafora: se dal punto di vista storico questa registrazione riesce a colmare un vuoto realmente esistente, l'ascolto dice veramente poco, e si riesce a segnalare soltanto che l' esecuzione si colloca nell'ambito della tradizione vocale di scuola inglese, in genere non professionale ma di decoroso dilettantismo, ed è piuttosto noiosa e 'déja  vu'. 

Girolamo De Simone

 

 

 

WALLINGFORD RIEGGER

Romanza, Dance Rhythms, Music for Orchestra, Concerto for piano and woodwind quintet, Music for Brass choir, Moviment for two trumpets, Trombone and piano, Nonet for brass, Symphony No. 3 op. 42.

Orchestra dell' Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonini, The oslo Philarmonic Orchestra, New Art Wind Quintet, Wingreen, Barnett, Eastman-Rochester Symphony Orchestra, Hansen. CRI CD 572. 74'14".  Note (Ing.)

Distribuzione: ????????????

Giudizio tecnico:

OTTIMO. ADD. Stereo. Incisioni storiche con date e luoghi di registrazioni diverse per ogni brano. L'incipit  è tuttavia inspiegabilmente tagliato, forse per eliminare qualche rumore estraneo.

Interpretazione: BUONA

Wallingford Riegger, nato in Georgia e poi adottato da New York, fu solo in tarda età riconosciuto come degno compagno di Ives e Cowell, fondatore tra gli altri della "Pan-American Association of Composers".  Il disco propone alcuni dei lavori per grande orchestra, e ci consente di fissare l'attenzione sull'uso delle tessiture, e la freschezza dell'ispirazione anche in presenza di grandi forme: lo sviluppo è originale, mai noioso, e la riconoscibilità ripone, col senno di poi, cioè attraverso la sensibilità contemporanea che non discrimina tra produzioni differenti, questa musica nel caldo nido di quella che ben figurerebbe per un uso cinematografico (e difatti, una parte della sua produzione è dedicata alla danza).  Qui e lì s'ode naturalmente una eccedenza dei mezzi impiegati, e l'allontanamento costantemente ricercato dai rimasugli della musica neoclassica, talvolta può essere ripescato nei cedimenti ad impasti sonori impressionistici, come capita in "Music for Orchestra". La componente sperimentale (modernista per riprodurre una etichetta consueta)  e tuttavia gradevole, si percepisce invece nelle suggestioni timbriche di "Music for brass Choir". La lunga e suggestiva "Terza Sinfonia" chiude il cd, e ci parla anche in questo caso di un uso coerente e vario delle tecniche compositive, dallo stesso Riegger così elencate: musica non dissonante, impressionistica, parzialmente dissonante e dissonante.

Girolamo De Simone

 

 

 

BERNSTEIN, KIRCHNER, GERSHWIN, IVES

Clarinet Sonata (trascrizione per viloncello di Yo-Yo- Ma); Triptych; Three Preludes (trascrizione di Heifetz); Trio.

Yo-Yo Ma, Lynn Chang, Jeffrey Kahane, Gilbert Kalish, Ronan Lefkowitz. Sony classical SK 53126. 64'53". Note (Ing. Ted. Fr. Ita.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.

Giudizio Tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, Boston, 15-19/1992; Massachutts, 7-8/1991. S. Epstein (Prod.). E. Fitton (I. del s.).  Ottimo equilibrio tra i diversi strumenti. E' registrato con la nuova tecnica ad alta definizione "20-bit", con grande analiticità del suono.

Interpretazione: OTTIMA

Yo-Yo Ma, il violoncellista d'origine cinese  nato  a Parigi e cresciuto in America, ha avuto la bella idea di riunire in un disco che si potrebbe definire quasi "affettivo" le opere di compositori americani che hanno influenzato la sua formazione musicale. Già il titolo "Made in America"  la dice lunga sulla volontà di segnalare una sorta di ancestrale bisogno d'appartenenza, di lasciare un segno sulle sorti e la storia musicale del luogo d'adozione.  I compositori prescelti da Yo-Yo Ma sono, infatti, Bernstein e Kirchner, ma l'intervento creativo, sotto forma di trascrizione, agisce poi anche sui Tre Preludi  di Gershwin. Il disco è  chiuso dal Trio  for violin, Cello and Piano  di Charles Ives, in cui Yo-Yo Ma suona insieme a due frequentatori dell'Università di Boston, il pianista Gilbert Kalisch ed il violinista Ronan Lefkowitz.  Ciò rende tutta l'operazione unica ed originale, perché i brani, ad eccezione di quello di Ives, sono trascrizioni inedite o vere e proprie reinvenzioni.  L'interazione  con la vita culturale dei corsi tenuti ad Harvard da Kirchner si manifesta apertamente con la richiesta di una trascrizione di un brano  originariamente pensato per violino, primo del Trittico  presentato nel disco. Anche la Clarinet Sonata  

 è una trascrizione "autorizzata" da Bernstein, che lanciò Yo-Yo Ma attraverso una trasmissione televisiva seguita in tutta  America. La scelta meno felice resta quella dei Preludi  di Gershwin, arrangiati da Heifetz e riadattati dal nostro; qui una vena formale di stampo classico rovina, nel tentativo di rendere eguali  i due strumenti, la freschezza della scrittura originaria. Restando alle reinvenzioni, continueremo così ad apprezzare quelle del New Art Ensemble, dei Colin Muset e, perché no?, di Dave Grusin.

Girolamo De Simone

 

 

TAAFFE ZWILICH / CORY

Chamber Symphony. String Quartet. Sonata for violin and piano. Profiles. Apertures. Designs.

Boston Musica Viva. New York String Quartet. Zwilich-Gemmell. Blustine, Finckel, Karis. Arioso Trio. CRI CD621. 72'08". Note (Ingl.). Distribuzione: ??????????

Giudizio tecnico: DISCRETO. ADD. Stereo. Luoghi e date differenti per ciascun brano.  Pianoforte leggermente imbottigliato nei lavori della Zwilich. Notevoli disparità di qualità nelle registrazioni dei brani di Elanor Cory. In Designs, nei fortissimi sono presenti notevoli distorsioni

Interpretazione: BUONA

MACBRIDE

Three Dances. Chartres.

The Aurora String Quartet. Supové. CRI CD640. 65'57". Note (Ingl.). Distribuzione:???????

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Portola Valley, 10/1991. Harvard University, Cambridge, 7/1992. Buona resa degli archi, anche se negli acuti permane la sensazione di una certa freddezza di suono. Il pianoforte è un po' sordo, il suono privo di spazialità.

Interpretazione: OTTIMA

La CRI presenta in un disco unico una scelta delle opere di Ellen Taaffe Zwilich e di Eleanor Cory, entrambe poco note in Italia.

La Zwillich è stata la prima donna a vincere il Pulitzer, grazie alla sua prima Sinfonia, commissionata dall'"American Composers Orchestra", poi diretta anche da Gunther Schuller. Dopo aver studiato piano, tromba e violino per diversi anni fu attiva come violinista presso l'"American Symphony Orchestra", sotto la direzione di Stokowski. Avvicinatasi alla composizione, frequentò Elliott Carter e Roger Sessions, e lo stesso Boulez non disdegnò di consacrare la sua abilità come compositrice. Tuttavia, la sua musica mantiene una costante e matura vocazione al lirismo, e la struttura non la fa da padrona, il linguaggio non è mai troppo serrato, ed il clima è più vicino ad un caldo atonalismo che alla rigidità seriale. Insomma, ci pare comunque ben affermata una forte connotazione di senso, specie nella Chamber Symphony, qui eseguita con grande dolcezza dal "Boston Musica Viva" sotto la direzione di Richard Pittman. Questa riconoscibilità viene un po' attenuata, invece, nel secondo tempo dello String Quartet , non certo a causa dell'esecuzione ugualmente misurata ed attenta del "New York String Quartet", quanto proprio per ragioni formali.

Eleanor Cory è stata allieva di Meyer Kupferman, docente del Sarah Lawrence College, compositore autodidatta non alieno alle incursioni nella musica jazz, ed estremamente prolifico senza discriminare tra generi ed opportunità diverse, non escluse la musica da cinema e da serial televisivo. La Cory ha poi ultimato la sua preparazione con Charles Wuorinen e Chou Wen-Chung, raggiungendo l'apice della carriera tra il 1985 e il 1989, come presidente dell'"American Composers Alliance".

Il disco comprende tre brani: Profiles del 1986, Apertures del 1984, Designes del 1979. Alcuni momenti ispirati ci sembrano presenti nel secondo movimento dei Profiles, nel bell'amalgama tra clarinetto, violoncello e pianoforte. Lo stile è dodecafonico, a maglie larghe. Apertures, per pianoforte solo, brano di una decina di minuti, sostiene ancora le ragioni di una musica atonale, talora dodecafonica, con tentativi di effetti coloristici alla Messiaen, e citazioni di progressioni jazz (sono la cosa migliore dei tre brani) L'interpretazione di Aleck Karis è sentita, e fa perdonare alcune ingenuità scritturali della Cory.

Bello l'incipit del violino in  Designs, eseguito dall'  "Arioso Trio" con Benjamin Hudson, Judith Davidoff e Harold Lewin, ed ispirato ad una ricerca  delle soluzioni colte ispirate al jazz. Ma la mescolanza la fa da padrona, anche per esplicita ammissione della compositrice, e talora prevale il gusto impressionistico, talaltra l'affermazione apodittica dell'espressionismo. Di romantico, eccettuata forse l'interpretazione, non s'è trovato però veramente nulla.

Il lavoro di David Macbride è acuto ed interessante, sempre teso alla ricerca espressiva di un contenuto musicale piuttosto che alle formalizzazioni asettiche e un po' decadenti che caratterizzano quanti sono alla ricerca disperata di una struttura da esporre piuttosto che di un messaggio estetico da comunicare. Il disco della CRI che qui si presenta è il primo lavoro discografico del compositore, per la verità quasi sconosciuto in Italia, e poco noto anche nell'ambiente accademico dei compositori americani. Ciò non toglie che l'introspezione della sua Chartres per pianoforte, e la ricerca circolare di linee interconnesse tra i quattro archi in Three Dances  ci fanno ben pensare che di questo musicista poco più che quarantacinquenne si sentirà ancora parlare.

Girolamo De Simone

 

 

BERGSMA/ BLOCH/ DIAMOND/ LEES

Chameleon Variations/ Prologue, Capriccio and Epilogue/ The World of Paul Klee/ Suite Symphonique. Symphony for Trombone and Orchestra.

Portland Youth Philharmonic, Avshalomov. CRI CD 634. 73'11". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio tecnico:

BUONO. ADD. Stereo. Luoghi e date di registrazione non indicati (eccettuato Bloch: 27-28 febbraio 1976). Si avverte una differenza di registri tra le registrazioni di Bloch e le rimanenti.

Interpretazione: OTTIMA

LENNON

Voices. Ballade Belliss'. Echolalia. Seven translations. Distances within me.

Kronos Quartet, Continuum, Rosenfeld, Forger, Moriarty.. CRI CD 599. 48'50". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio Tecnico:

OTTIMO-BUONO. ADD-DDD. Stereo. San Francisco 9/74 (Voices), Michigan State University 21/3/91. NYC, 6/90 (i rimanenti). Eccesso di spazializzazione in Ballade Bellis'.

Interpretazione: ECCEZIONALE (Kronos). BUONA (Continuum).

LADERMAN/ TRIMBLE

Pentimento/ Symphony No 3 "The Tricentennial".

Albany Symphony Orchestra, Hegyi.. CRI CD 555. 47'75". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio Tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. New York 12/10/86. Nel brano di Laderman alcuni strumenti, tra i quali il pianoforte, sono quasi non udibili.

Interpretazione: BUONA

CARTER

Orchestral Songs. Complete Choral Music.

Rees, The Gregg Smith Singers, Adirondack Chamber Orchestra.. CRI CD 648. 76'38". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio tecnico:

OTTIMO. ADD. Stereo. Date e luoghi differenti per ciascun brano. Ben dettagliata la voce solistica. Ottimo trattamento del coro. Sonorità ben curate.

Interpretazione: OTTIMA

Come è ormai noto ai lettori di "CD Classica", la CRI è tra le principali case discografiche americane dedite alla diffusione della musica contemporanea. Fondata nel lontano 1954 da Otto Luening e dagli scomparsi Douglas Moore e Oliver Daniel, ha pubblicato più di cinquecento dischi per oltre trecento compositori, cavalcando le  aspirazioni delle diverse generazioni , e creando un  archivio sonoro di mole impressionante. Il meglio di questa raccolta  viene progressivamente riversato su cd, affiancato naturalmente  dalle nuove proposte.

Il primo disco in analisi raccoglie brani di William Bergsma, Benjamin Lees, David Diamond ed Ernest Bloch, eseguiti dalla Portland Youth Philarmonic diretta da Jacob Avshalomov.

Bergsma, allievo di Bernard Rogers ed Howard Hanson, docente per anni alla Juillard ed infine direttore della School of Music di Washington, emerse intorno ai trentacinque anni con l'opera in tre atti The Wife of Martin Guerre. Il brano che offre l'incipit a questo cd, le Chameleon Variations , dà la sensazione di una profonda assimilazione dei moduli europei, ma anche dell'eccentricità (ricerca attorno a moduli più vari) della lezione stravinskijana. Le variazioni vengono intese come una sorta di metafora di una piccola sinfonia, con le prime tre che sostituiscono l'Allegro, la quarta e quinta il movimento lento, ed infine la sesta e settima che rappresentano lo Scherzo. Senza alcuna interruzione, un Finale chiude dodici minuti di gradevole espansione immaginativa.

Anche il Prologo, Capriccio and Epilogue di Benjamin Lees strizza l'occhio a certi ostinati stravinskijani con vocazione barbarica, anche se la scrittura risente di un eccesso di costruttivismo intellettualistico, che smorza un po' la vena melodica allusa invece da Bergsma. Autore molto eseguito, anche per l'uso 'democratico' dell'orchestra (concede ad ognuno il suo, e non crea scontenti tra le file), filosofo della diversità ("Io prospero nella diversità"), effettivamente in questo brano gode sia dell'espansione lirica che promana talora dall'uso di semplici armonie, sia dell'esplosione controllata di strutture complesse. The World of Paul Klee di David Diamond, allievo di Rogers, di Sessions ma anche della Boulanger ci cala immediatamente in un universo di sfumature e di sensibilità discorsiva e melodica di grande pregio. Anche in questo caso referenti di scuola europea, soprattutto nel modo di orchestrare che ci pare aver ben assimilato e masticato tanto Ravel, non mancano: ma la carica introspettiva è tale da farci notare che i fiati della Portland orchestra non sempre appaiono in sintonia con un progetto di tale intimità compositiva. La corposa Suite Symphonique  e la Symphony for Trombone and Orchestra  di Ernest Bloch chiudono il disco, forse con un passo indietro nel tempo, ma pur sempre nel segno della gradevolezza d'ascolto,  in direzione di una ricerca mistica, interiore, vitale.

Il secondo disco di cui ci occupiamo è interamente dedicato a John Anthony Lennon, allievo di William Bolcom, vincitore di numerosi premi internazionali di composizione e docente alla University of Tennesee. Le sue musiche sono perlopiù stampate, ed ha inciso sia per la CRI che per la Bridge Records, anche se non può certo dirsi notissimo in Italia.  Il disco presenta brani scritti tra il 1979 ed il 1988, ma affida il brano d'apertura al Kronos Quartet, che ci pare distaccare di più d'un'oncia il "Continuum", specie nell'insieme che vede Mia Wu al violino e Cheryl Seltzer al piano. La loro esecuzione di Ballade Belliss', pur restando dignitosa, non raggiunge l'amalgama e l'uniformità che contraddistingue la formazione di David Harrington. Anche Echolalia, prolungandosi per oltre cinque minuti in ghirigori flautistici ci fa sollevare tanto di cappello al virtuosismo di Jayn Rosenfeld (beninteso, senza stupire più di tanto), lasciando tuttavia irrisolta la perplessità sulle ragioni compositive e scritturali. Più graziose, perché finalmente aforistiche, le Seven Translations, per soprano ed accompagnamento.

Ben rappresentato su disco, meno su cd, il prolifico Ezra Laderman. Newyorkese di nascita, autore di oltre 12O opere per vari organici, attento anche alle produzioni teatrali ed oggetto dell'attenzione di diverse grandi formazioni, che nel tempo gli hanno commissionato più di un lavoro. E' il caso di Pentimento, scritto per la Albany Symphony Orchestra in occasione delle celebrazioni per il tricentenario dell'Albania.  Lo stile di Laderman, spesso cromatico, moderatamente lirico, ed effusivo per moduli di simpatie (Mozart, Shostakovich, Wagner e Bartok sono "incapsulati" nei suoi lavori), sulla lunga distanza lascia un po' irrisolta la tensione tra citazioni e permutazioni strutturali, tra esplosioni dinamiche e lunghi tramestii discorsivi. Lungo il tragitto, anche il cromatismo lirico può stancare e risultare macchinoso.

Il cd contiene anche la terza Sinfonia The Tricentennial di Lester Trimble, scritta a sua volta nella ricorrenza  del tricentenario Albanese. Quella di Trimble è una produzione che si avvale di apporti multipli, dalla lontana formazione con Nikolai Lopatnikoff fino agli studi parigini con Milhaud, Honegger e Nadia Boulanger, non escludendo la parentesi con Aaron Copland. Alla sua produzione si deve almeno riconoscere una intuizione di fondo, vicina all'assemblamento cinematografico di spezzoni diversi: la ratio di questo procedimento , ed il modo emozionante ed uniforme di  proporre una pluralità di influenze lungo un'unica composizione costituiscono la parte migliore della Sinfonia. La lunghezza degli incisi, al di là della bravura del "montaggio", non sfrutta fino in fondo la carica eversiva di quell'intuizione, cosa che pare invece concretizzata dalle attuali avanguardie americane. Di Trimble la CRI ha già pubblicato Closing Piece (SD 159), Symphony in Two Movements (SD 187), ed altro.

Bello e vario il cd antologico dedicato alla produzione vocale di Elliott Carter, che sicuramente ha seguito la sua inclinazione in salita, secondo l'auspicio di Boulez. Chi ha conosciuto il compositore americano ricorda certamente lo scintillio dei suoi occhi nel parlare dell'Italia, e dei compositori italiani che egli frequentò ed ammirò, evidentemente in un periodo fondamentale della crescita musicale, da Luigi Dallapiccola a Goffredo Petrassi, cui dedicò un Riconoscenza per  Goffredo Petrassi  (Fonit Cetra, New Worlds Records). Ancora ad una ispirazione italiana  è dovuta la graziosa Tarantella, che resta uno dei brani umoristici più riusciti di Carter, peraltro già ampiamente inciso (Carillon 118, GSS 103).  Nel disco trovano spazio anche la versione orchestrale di Voyage, i Three Poems of Robert Frost (incisi anche per la Unicorn RHS 353 e per la Hargail HN-708). C'è The Harmony of Morning del 1944 per coro femminile e orchestra da camera, ma manca l'inedito The  Difference , sempre del '44, per soprano, baritono e pianoforte, che però non è un "Orchestral Song".  Mentre Syringa, per mezzo soprano, baritono e orchestra da camera, forse avrebbe potuto essere incluso, per completezza, nel bel compact.

Soddisfano le aspettative la soprano Rosalind Rees, che non perde la dolcezza espositiva anche negli anfratti più insidiosi, il direttore Gregg Smith, e la Adirondack Chamber Orchestra, che segue sia la solista che il coro femminile con discrezione e puntualità.

Girolamo De Simone

 

 

BRYARS

Incipit Vita Nova. Glorious Hill. Four Elements. Sub Rosa.

James, String Trio / The Hilliard Ensemble / Large Chamber Ensemble / Gavin Bryars Ensemble. ECM 1533. 56'37". Note (Ingl.). Distribuzione: Giucar Record, Bologna. Harmony Music, Firenze.

Giudizio Tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Propstei St. Gerold (Incipit Vita Nova) CTS Studios, London (Four Elements, Sub Rosa). Date non indicate. Specie le sonorità create per l'Ensemble di Bryars appaiono particolarmente brillanti, perforanti ma rotonde.

Interpretazione: ECCEZIONALE, OTTIMA

Terzo disco di Gavin Bryars per la ECM, dopo Three Viennese Dances (ECM 1323, 1987) e After The Requiem  (ECM 1424, 1991): lavoro bellissimo, di grande suggestione, più vicino al paesaggismo descrittivo del secondo periodo che agli esperimenti parzialmente aleatori del primo (The Sinking Of The Titanic, Obsucre 1, 1974).  Di recente, anche gli Icebreaker hanno inciso un brano di Bryars per l'etichetta Argo (443 212-2), che viene recensito in questo stesso numero di CD Classica, e al quale si rimanda.

L'Incipit , title-track, è affidato alla voce del controtenore David James ed al trio d'archi Dreyer, Lachner, Firth, che dà il via con un suono lungo ed in crescendo ad un brano di grande intensità lirica, melanconico e misterioso anche per la tessitura impiegata, quasi una citazione della Threnodia  di  Eugenio Fels. Il testo, naturalmente, è mutuato dalla Vita Nova di Dante, che per la verità c'entra soltanto per il fatto che la nascitura di due amici di Bryars venne così battezzata: "Vita", per l'appunto (ma Nomina sunt consequentia rerum.....). Glorious Hill è del 1988, scritto su commissione dello Hilliard Ensemble, sfruttando alcune delle ricorrenze care ai cultori dell'omofonia cromatica: i due tenori vengono utilizzati in modo straordinariamente espressivo, consegnando una vena d'intimismo e mistero alla composizione.

Il terzo brano, quello che occupa buona parte del compact con i suoi ventotto minuti e trentasei secondi (è eseguito con buon respiro dal Large Chamber Ensemble) resta il più minimale di quelli qui presentati, ricordando un po' il macchinismo di Steve Reich (Electric Counterpoint, Fast, in Different Trains, ed altro). E' stato scritto nel 1990 su commissione della compagnia di danza di Lucinda Childs, ed è quindi pensato per consentire ad otto ballerini di muoversi ed alternarsi sulla scena. Strutturalmente, appare suddiviso in quattro sezioni, ancora una volta intitolate secondo lo schema alchemico "Water, Earth, Air, Fire", ma non è uno dei brani più ispirati del nostro se non per l'ingresso, ancora una volta, del controtenore, voce che sembra galvanizzare la creatività e l'istintiva predisposizione alla melodicità ancestrale tipica del compositore inglese.

Sub Rosa  richiama le atmosfere rilassate e rassicuranti di Brian Eno, non senza citare almeno in un paio di punti cruciali alcune aperture armoniche tipicamente ravelliane (del secondo movimento del Concerto in sol per pianoforte e orchestra, per la precisione). Scritto nel 1986 su suggestione dell'album In Line  di Bill Frisell, il primo pubblicato per l' ECM (1241, 1985), modifica e trascrive in modo radicale   Throughout, diventando una sorta di "commento e parafrasi" di quel brano. L'ammirazione di Bryars per il chitarrista allievo di Jim Hall, è bene ricordarlo, culminò nel 1991 nella  collaborazione per After the Requiem . L'esecuzione, tra le migliori del compact, è affidata all'Ensemble  guidato da Bryars, con Alexander Balanescu al violino, Roger Heaton al clarinetto, Martin Allen al vibrafono e John White al pianoforte.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

HERSCH / OLDHAM / DEBLASIO / GANNON / HAMPTON

Tango Bittersweet / Concerto for Piano / God Is Our Righteousness / Triad-O-Rama / Variations on "Amazing Grace".

Hersch, Friedlander, Obson, Kansans City Symphony, McGlaughlin. Goluses, Huff, Member of the Aspen Wind Quintet, Stacy, Huff. CATALYST 09026 61979 2. 66'54". Note (Ingl.). Distribuzione: ???????

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Date e luoghi e registrazione diversi per ogni brano. Non eguale accuratezza contraddistingue le varie incisioni.

Interpretazione: BUONA

Un disco "dedicato a quelli che amiamo". Fred Hersch, Kevin Oldham, Chris DeBlasio, Lee Gannon, Calvin Hampton: cinque compositori che hanno in comune più di un progetto. Si tratta infatti di musicisti ammalati di AIDS, dei quali due non hanno fatto in tempo a vedere la realizzazione del compact. L'operazione è stata voluta dalla CATALIST per finanziare Classical Action, un movimento a favore dei malati di AIDS: campeggia in copertina il simbolo forte della solidarietà: il fiocco rosso attorcigliato e appuntato sopra uno sbiadito ma pulsante foglio pentagrammato. E un fantasma arancione, su uno sfondo ocra: i colori della dissipazione.

Ma non mi pare possibile leggere questo lavoro soltanto all'insegna della solidarietà, perché esso parla e decanta anche di qualità, ingegno, sensibilità musicale. Non eguali per ciascuno dei compositori, naturalmente, ma possibili sicuramente per il brano d'apertura, che in qualche misura dà il titolo al compact: Tango Bittersweet  di Hersch, un autore newyorkese che ha pubblicato qualcuno dei suoi lavori per la EMI. Lo stesso autore al pianoforte, ed Erik Friedlander al violoncello dipanano una melanconica tessitura che dimostra di non trascurare il linguaggio jazz o quello più disimpegnato (e più attuale) della new-age colta. Più americaneggianti le lunghe variazioni su Amazing grace  di Calvin Hampton: interessanti sia per l'esecuzione di Thomas Stacy e Harry Huff, sia per i timbri inediti dovuti all'accostamento inusuale di organo e corno inglese. Un po' delude Triad-O-Rama, vuoi per l'esecuzione che per la natura stessa del brano, mentre sempre per ragioni timbriche risulta intrigante l'accostamento tra chitarra classica ed organo in God Is Our Righteousness di DeBlasio. Molto sottovalutato dagli esecutori, ed anzi un po' maltrattato, il Concerto per pianoforte di Kevin Oldham, dove  è parsa chiarissima la scanzione metronomica e assolutamente inesistente il respiro agogico.

Girolamo De Simone

 

 

 

GORDON / ANDRIESSEN / BRYARS / LE GASSICK / LANG

Yo Shakespeare / de Snelheid / The Archangel Trip / Evol / Slow Movement

Icebreaker. Argo  443 214-2. 74'37". Note (Ingl. Fr. Ted.Ita.). Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.

Giudizio tecnico:  OTTIMO.  DDD. Stereo. Studio. Abbey Road. 10-12/12/1993. Il timbro è incisivo, ma non sempre rispondente alla straordinaria effusività per la quale l'ensemble è noto. Una maggiore apertura e forzatura dei suoni sarebbe stata auspicabile

Interpetazione: OTTIMA

Questo disco corrisponde alla descrizione degli Icebreakers: "rompighiaccio" che spesso frantumano con l'insistenza,  l'intransigenza ed il volume delle loro esecuzioni ogni confine precedentemente tracciato (dagli altri o da essi stessi): va da sé che un simile progetto sarebbe stato irrealizzabile, ed anzi proprio impensabile, qualche anno fa, quando si era inspiegabilmente convinti del dogma della saturazione dei linguaggi, e delle frottole ivi connesse: morte dell'arte, entropia musicale, decadentismo, e via di seguito con variazioni sul tema "ormai nulla più avanza".

Naturalmente, l' Icebreaker è costretto a guardare in ogni direzione  per poter realizzare questo incessante cammino verso il costantemente oltre, perché l' "andare verso" è spesso un "andare via da se stessi": è così che il percorso seguito appare radicale ma aforistico, non tanto per la brevità  delle composizioni, ma per l'affermazione (magari prolungata) di idee diverse e nuove che si dirigono per ogni dove. A singole idee marcatamente ed apoditticamente estese lungo ciascun brano, corrisponde uno sviluppo fortemente conseguenziale, in modo tale da assegnare grande varietà all'insieme delle esecuzioni possibili ma contemporaneamente enorme coerenza e logica (un puntiglio tipicamente inglese) a ciascun pezzo considerato isolatamente. E' così che un gruppo famoso per i "forte" assordanti si produce per ventitré minuti e quaranta secondi in un lungo vibrato tra piano e mezzoforte: lo Slow Movement di David Lang (s'è già recensito su queste pagine il primo compact monografico dell'americano: Emergency Music, CRI CD 625). E' così che produce in proprio gli arrangiamenti da  altri organici: è il caso di de Sbelheid dell'olandese Louis Andriessen, trascritto, da radicale a radicale, da James Poke. E' così, inoltre, che compone per sé i propri pezzi. Ma qui Damian le Gassick delude (Evol),  perché la radicalità di scambiare frasi velocissime per ciascun componente rompighiaccio alla fine rompe anche le scatole a chi si aspetta una variazione, giunta finalmente ben oltre i sette minuti dei 7'58" complessivi con un assolo di violino. Ma al di là dei motti di spirito, la formazione dà ottimi spunti per distanziarci dalle sorti della grande musica colta: magari attraverso gli elettricismi di Yo Shakespeare  di Michael Gordon o le suggestioni minimal-jazz di Gavin Bryars, l'unico autore qui presentato per il fluire discorsivo di The Arcangel Trip, e non certo per una sola intuizione geniale portata agli estremi.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

JARRETT

Elegy for Violin and String Orchestra. Adagio for Oboe and String Orchestra. Sonata for Violin and Piano. Bridge of Light for Viola and Orchestra.

Jarrett, Makarski, Butler, McCarty, Crawford, The Fairfield Orchestra. ECM 1450. 69'32". Note (Ingl.). Distribuzione: Giucar Record, Bologna. Harmony Music, Firenze.

Giudizio Tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. State University of New York, Marzo 1993. Smagliante suono degli archi solisti. Cura ed attenzione nel timbro del pianoforte.

Interpretazione: ECCEZIONALE (Jarrett, Makarski) / BUONA

Keith Jarrett non smette di sorprendere. Dopo le lunghe improvvisazioni dal vivo (memorabili quelle di Colonia, e più di recente quelle giapponesi, tra cui la seconda di Osaka, ECM 1100), gli storici e classici standards con Gary Peacock e Jack DeJohnette (ECM 1255 e 1289), i tributi ai grandi jazzisti del passato (ECM 1420/21), e le atmosfere mistiche e straordinariamente raccolte di Spheres  (ECM 1302) dove riproduce con l'organo sonorità tali da far precisare ai tecnici che nessun artificio è stato posto in essere, eccolo arrivare alla "composizione" di stampo classico. Alla composizione con le forme, per intenderci.  Qualche cedimento in tal senso s'era già registrato con l'incisione del Clavicembalo ben temperato  (al piano) e poi con l'arduo cimento delle Goldberg  (al clavicembalo). Già in quelle sedi meravigliava una precisazione del Nostro: vivissima la preoccupazione di essenzialità e non interventismo sul testo bachiano, tanto da far parlare molti dei nostri recensori di un' esecuzione 'scolastica' in eccesso, e pochi dei restanti di un'interpretazione davvero godibile proprio per questa ragione. Certo è che, a chi avesse buone orecchie, non era sfuggita una notevole accuratezza di registrazione, soprattutto nei timbri e nella spazialità concessa all' incisione. Una certa delusione, comunque, serpeggiava nell'aere non tanto per quel che Jarrett aveva fatto, ma per quel che avrebbe potuto fare, da genio della tastiera qual è. 

Una notazione simile potrebbe essergli mossa oggi, recensendo questo disco peraltro godibilissimo, ed essenziale per chi segue ogni punto e virgola di Keith: perché distinguere a compartimenti stagni gli stili, comprimendoli e compattandoli in limiti angusti?  Se non si fosse trattato di Jarrett, e se non venisse fuori una quande propensione al lirismo melodico, nemmeno si sarebbe preso in considerazione un simile lavoro. Sa troppo di tritoni proibiti e di quinte ed ottave cancellate con la matita blu dall'insegnante di composizione.  E se certo non ci fa stare peggio il sapere che il Nostro è capace anche di cimentarsi con le Grandi Forme come se fosse appena uscito da una angusta aula, ci fa stare invece piuttosto male immaginare la grandiosa opera di cui sarebbe stato capace se la sfida non fosse consistita nell'anelito a dimostrare una preparazione ineccepibile in qualsiasi campo. Del resto, Jarrett si aspettava fin dal primo momento simili appunti, perché precisa, in dieci-righe-dieci, che "molti di questi pezzi sono nati dal desiderio di contemplazione piuttosto che da quello di dimostrare qualcosa di unico; non ho cercato di essere 'geniale' in questi pezzi, né di essere un compositore. Ho solo cercato di scoprire i motivi dello smarrimento: un certo stato di resa nello sviluppo dell'armonia dell'universo, che esiste con o senza di noi".

Per fortuna, al di là di ogni costellazione, il disco contiene una perla: la Sonata per violino e piano  del 1984, dove con grande lirismo vien fuori il talento di Michelle Makarski e l'istinto jazzistico del migliore Jarrett.

Girolamo De Simone

 

 

 

NYMAN

The Piano Concerto. MGV.

Royal Liverpool Philarmonic Orchestra. Michael Nyman Band & Orchestra. Argo 443 382-2. 59'03". Note (Ingl. Ted. Fr. Ita.). Distribuzione: Polygram Dischi, Milano.

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Philarmonic Hall, Liverpool, 6-7 Gennaio 1994. Pienezza dell'orchestra, definizione del pianoforte, ottimale resa degli ensemble acustici.

Interpretazione: ECCEZIONALE

Dopo il successo di Lezioni di Piano, il film di Jane Campion, la notorietà di Nyman si è estesa alle terze pagine dei quotidiani, ed agli inserti  dei settimanali non specializzati. Il successo si è aggiunto ai precedenti,  legati alle musiche  scritte per i film di Peter Greenway (chi può dimenticare l'effetto strabiliante de  I Misteri del Giardino di Compton House ? ) ed ha evidentemente spinto il compositore  ad organizzare i materiali per la verità un po' eterogenei della sua suite cinematografica in un insieme apparentemente più organico, intitolato The Piano Concerto.  Ovvero: non tanto un Concerto per pianoforte, in senso tradizionale, quanto un Concerto sulle note del film The Piano: Lezioni di Piano, per l'appunto. Il gioco, però, conduce Nyman a concepire un lavoro sicuramente più  complesso, e che tuttavia non si presenta necessariamente come una "estensione" del precedente.  Tentiamo di illustrarne le ragioni. Primo: il disco che raccoglie la colonna sonora originale (La lecon de Piano, Virgin Records 077778 826824) dura 57'28", ma nessun brano supera i 5'50". Il Concerto di cui si parla dura molto di meno, e cioè 32'28", e tuttavia pare quasi che l'attenzione, esaurita la fase critica dell'ascolto comparato (teso cioè a cogliere le differenze tra il vecchio e il nuovo), fatichi ad essere tenuta desta. Secondo: di fatto è come se si entrasse nello studio del compositore, e si prendesse visione delle varie pagine  da lui scritte: un appunto qui, un altro lì, un'idea cestinata, un'altra abbozzata. Il confronto tra i due testi rende palese l'abilità sotterranea di ciascun autore nel collegare frammenti talvolta eterogenei seguendo una nozione di sviluppo lineare.  E qui sta il nesso critico da noi rilevato: un disco riesce meglio se è formato da tracks brevi, magari all'insegna della varietà. Inoltre, se il lavoro si riferisce ad un film, esso ha una fortissima valenza evocativa, il che conferisce qualcosa in più alla musica, e non è assolutamente una diminutio (contrariamente a quanto affermava Umberto Eco). Laddove si va ad operare una sutura, a rimpolpare la scrittura piana e comunicativa, ad alterare (anche se potenziandole) le enfasi emozionali del lavoro,  si ottiene un prodotto che soltanto in apparenza è più organico. Questa "apparenza" è quella della linearità del concerto classico, che fa sembrare (ora sì) decadente e ovvia la riproposta di sonorità appartenute, restando in questo genere, ad uno Chopin (un po' rimaneggiato), o ad un Rachmaninov (meno accurato e motivato). La scelta, lo si è ormai compreso, è ancora una volta tra un linguaggio apparentemente organico e lineare ma superato, ed un altro che tenga conto della nostra attuale capacità di attenzione e fruizione. 

Tutto ciò non implica naturalmente una sottovalutazione del lavoro, che mi pare comunque bello ed espressivo, grazie anche al piglio energico della solista Kathryn Stott ed alla direzione dello stesso Nyman, anche se qualche magagna nella fusione tra orchestra e pianoforte c'è sembrato di registrarla.

Il compact, assolutamente imperdibile per la rete di connessioni che porta ala luce, contiene anche lo spiritoso e gradevole MGV, cioè Musique à Grande Vitesse, scritto per l'inaugurazione del TGV-Nord, ed eseguito da quella Michael Nyman Band & Orchestra che sta girando l'Europa, e che ha spopolato anche in Italia.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

 

PARTCH

The Bewitched. Castor and Pollux. The Letter. Windsong. And on the seventh day petals fell in Petaluma.

Olson. Chorus of Lost Musicians. University of Illinois Ensemble. Garvey / Gate 5 Ensemble of Sausalito / Partch, B & B Johnston, Pippin, Harry Partch Instrumental Ensemble / Partch / Gate 5.   CRI CD 7OOO. 76'20". Note (Ingl.).  Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio Tecnico: MEDIOCRE. Mono. AAD. Date e luoghi di registrazione non indicati. Trattandosi di registrazioni-documento spesso i volumi sono alterati, 'sforando' nei forti o attenuandosi all'improvviso.

Interpretazione: OTTIMA

SHIELDS

Apocalypse (an electronic opera)

Shields, Willson, Matus. CRI CD 647. 67'58". Note (Ingl.). Testi (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio Tecnico: BUONO. Stereo. ADD. Studio, NYC. Lo stacco tra un brano e l'altro non sempre è effettuato con pulizia.

Interpretazione: MEDIOCRE

DRUCKMAN / BABBITT / GIDEON / MONOD / WRIGHT / GERBER.

Shake off your heavy trance. The faery beam upon you / Three Cultivated Choruses / The Havitable Earth / Cantus Contra Cantum IV / Madrigals / Une Saison en Enfer. Death, be not Proud. Corinna's going a-maying.

Schubert, New Calliope Singers. CRI CD 638. 54'41". Note (Ingl.).  Testi (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio Tecnico:  OTTIMO. Stereo. DDD. Auditorium of the American Academy and institute of Arts and Letters, NYC, Giugno 1990.Gli impasti vocali sono resi al meglio, con pulizia e dovizia di particolari.

Interpretazione: OTTIMA

LEWIS

Destini. Osservazioni II. Atto. Moto. Concerto for string Orchestra, Trumpets, Keyboard and Harp.

R. Hall Lewis, The Philharmonia Orchestra, Premru, Wallace, Miller, Stokes, Mason, Herbert, Reeves. CRI CD 569. 75'37". Note (Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

Giudizio Tecnico: BUONO. Stereo. DDD. Date e luoghi diversi per ciascuna registrazione. Qualche distorsione nei 'forte', e non completa discrezione negli ammassi strumentali.

Interpretazione: BUONA

Il Compact dedicato ad Harry Partch raccoglie perlopiù brani già editi da altri o dalla stessa CRI (è il caso di The Bewitched, di cui è qui riprodotta la sola scena finale, ma di cui esiste una versione integrale in due LP, CRI 304), ed è appetibile nonostante alcune sfasature tecniche di riproduzione, tipiche peraltro delle AAD.

La musica di Partch è incantatoria ai limiti dell'ossessivo, come nella scena 10 di The Bewitched, lavoro del '55 scritto per  la Fondazione Fromm, o come in Castor and Pollux, dove i ritmi incalzanti, arcaici ed ipnotici, ci riportano ad un passato magico di cui s'è persa conoscenza, o ad un improbabile futuro di ripetuta barbarie. Gli stratagemma tecnici di Partch ci sono tutti, dall'uso del "Chromelodeon" a quello delle chitarre 'preparate' o degli strumenti esotici frammisti a quelli tradizionali, sempre impiegati ai limiti delle possibilità, alla ricerca di intervalli microtonali, il tutto amplificato con l'intervento delle "cloud-chamber bowls".  Ma bisogna riconoscere che una vena incantatoria particolare è presente soprattutto in The Letter, dove lo stesso Partch interviene con voce narrante (sono disponibili sul mercato anche Barstow  e i due Studi, Bridge BCD 9041, già recensito su queste pagine), e in Windsong, musica da film veramente rispondente alla più volte ribadita trinità estetica del californiano: magia del suono, beatitudine visuale, ritualità.

Il compact successivo è un antologico dedicato alla Shields, ed è di  quelli in cui difficilmente il giudizio sull'idea complessiva del progetto (la qualità della composizione) può prescindere da quello sull'interpretazione presentata: un'opera elettronica come Apocacalypse  è sicuramente un oggetto estetico compiuto in sé, e si dubita che possa essere facilmente 'segnata' e poi  'riprodotta' da altri, dato anche il particolare non trascurabile legato al superamento dei timbri usati, ed alle modifiche della voce effettuate in studio. Ciò premesso, come apparirà già dal 'mediocre' attribuito al progetto complessivo più che alla semplice esecuzione, il disco è un pastiche in grado di illustrare la differenza che passa tra una fusione organica di materiali ed una semplice successione degli stessi; i timbri usati sono datati (o meglio, databili, il che è molto peggio), la parola subisce deformazioni scontate, ed il testo mantiene una prevalenza discorsiva spesso sconnessa dalla musica. Frammenti minimali o indiani vengono immessi nel calderone in modo non sempre gradevole (se la gradevolezza non dovesse essere un parametro utilizzabile potremmo chiamare in ballo la logica, la conseguenzialità, l'adeguamento di un mezzo ad un fine qualsiasi). Insomma sfugge il senso possibile, e si può soltanto alludere ad altro lavoro del genere che ci pare meglio riuscito: il Brise-Glace di Luc Ferrari e Colette Fellous che vinse il Prix Italia nel 1987.

Ottima invece la prestazione del New Calliope Singers, ensemble diretto da Peter Schubert, che presenta un vasto collage di brani, da quelli brevissimi di Jacob Druckman, allievo di Persichetti e Copland (vere perle vocali) al più lungo e tripartito The Habitable Earth  di Miriam Gideon, nipote d'arte ma allieva di Roger Sessions. Il cd include anche brani dei non notissimi Steven Gerber e Maurice Wright e, naturalmente, rende omaggio a Milton Babbitt con Three Cultivated Choruses.

Il cd monografico dedicato a Robert Hall Lewis (si è già recensito su queste pagine il CRI CD 596 con Nuances II "Whale Lament" , il concerto per orchestra da camera e la seconda Sinfonia) comprende le conversioni digitali di Destini, Atto, Moto  e  Concerto  , lavori scritti dopo il 1980, e soltanto le Osservazioni II del 1978. Lo stile risente fortemente delle chiusure seriali, anche se ricerca una linea originale nella frantumazione del discorso in entità continue e discrete. Ma dispiace leggere, durante lo scorrimento dei brani, una continuità linguistica fortemente accentuata, non sempre arrendevole al silenzio, o all'uso di strutture che non siano ispirate alla sola complessità multistrumentale. Piuttosto, va segnalata la capacità di creare impasti timbrici inediti, ma che da soli non sembrano bastare alla creazione di un percorso completamente originale.

Girolamo De Simone

 

 

 

VOLANS

String Quartet No. 2 "Hunting: Gathering". String Quartet No. 3 "The Songlines.

Balanescu Quartet. Argo 440 687-2. 57'19". Note (Ingl. Ted. Fr. Ita.). Distribuzione: Polygram Dischi, Milano.

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Kleinzaal, Concertgebouw, Amsterdam, Aprile 1993. Compattezza di suoni, amalgama sempre gradevole, nessuna sfilacciatura nei pianissimi.

Interpretazione: ECCEZIONALE

Il Balanescu Quartet vede e rilancia, confermandosi la formazione emergente per eccellenza nel panorama dei gruppi d'insieme che portano avanti un progetto estetico lungimirante e a tutto campo, senza artificiosi sbarramenti di visuale. E soprattutto avendo ben compreso una cosa fondamentale: che la musica moderna deve "essere accessibile", il che non significa abdicare alla complessità o evitare il caos, ma semplicemente intuire la radice profonda del caos, che non può escludere una (im)probabile organizzazione dei materiali, ed una comunicazione con il pubblico aperta alla comprensione di ciò che si sta facendo. Difatti, ascoltando il Balanescu eseguire questi brani di Kevin Volans, una sensazione di reale contemporaneità ci assale, vuoi per il linguaggio che finalmente trasuda di una sana extraterritorialità (Volans è nato in Sudafrica, ma ha studiato a Colonia con Kagel, ed è stato assistente di Stockhausen: ma per carità non ci si fermi a queste indicazione per cercare di individuare il suo 'genere'), vuoi per il modo disinibito di eseguire le frasi, di certo merito dell'originale e insofferente Alex Balanescu. Una chiave di lettura può darla il confronto con l'esecuzione di Hunting: Gathering offerta dal Kronos Quartet (Elektra Nonesuch 7559-79253-2): un suono più fermo, tagliente, gelido e denaturato, un suono che va oltre sé stesso per arrivare ad un immaginario scenografico di serietà e apoditticità. Non così in questa interpretazione del Balanescu: maggiore interiorità e curvatura delle frasi, maggiore attenzione alla componente multietnica (quasi world-music), che davvero si coglie per la prima volta, minore interesse per la 'purezza', e di più per il 'senso', la direzione dell'interpretazione. Insomma, Gould contra Nyiregyhazi, per usare una metafora pianistica. Anche le durate sembrano confermare questa ipotesi: 21'14" del Kronos contro i quasi 24' del Balanescu. 

Ma un'altra ragione dovrebbe spingere a possedere questo disco, ed è la possibilità di ascoltare di seguito anche il terzo quartetto d'archi di Volans, il No. 3 "The Songlines", dove ancor più presente appare la lezione minimale; ma attenzione: si parla sempre di un minimalismo europeo, che non riesce a rinunciare ad una forte dose di individualità, e di complessità. Il Balanescu, infine, certo fa di tutto per potenziare anche le stirpi e l'emergenza delle diverse nazionalità.

Girolamo De Simone

 

 

 

ZAPPA / HALLE / JOHNSTON / STRAYHORN / NUROCK / YAMADA HENDRIX

"Smart Went Crazy".

Meridian Arts Ensemble. Channel Crossings CCS 4192. 72'30". Note (Ingl. Ted. Fr. ). Distribuzione: Bottega Discantica, Milano.

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Raphaelpleinkerk,  Amsterdam, Marzo 1993. Pieni i bassi di tuba e trombone. soltanto i "Tutti" ci sembrano leggermente affogati.

Interpretazione: OTTIMA

In questo bel disco, il Meridian Arts Ensemble propone una silloge di brani provenienti dalle più disparate direzioni, mescolando i generi come ormai fanno molti tra i più illuminati interpreti anche di provenienza 'colta'. Ad esempio, un brano che sta diventando "classico" per queste veicolazioni inedite da una sponda all'altra (ma le sponde possibili sono davvero tante) è Puple Haze di Jimi Hendrix, cavallo di battaglia dei concerti dal vivo del  Kronos Quartet (e inciso su NONESUCH 7559279111-2). In questa aggressiva versione, il brano dura intorno ai tre minuti, e la strada seguita è quella della simulazione delle distorsioni  della  chitarra elettrica. Va anche detto, per onestà, che dal vivo l'effetto è di gran lunga più dirompente, come capita ad ogni concerto rock che si rispetti. La versione del Meridian è più lunga (5'42"), e meno incisiva, perché non attua una reale con/fusione, semplicemente adeguando la trascrizione al genere diverso. Prova ne sia l'immediatamente successiva track, un Traditional  afrocubano arrangiato da Chu Melendez e Jon Nelson, anch'esso ottimo, ma "nel suo genere". Questo vale anche per gli arrangiamenti da Zappa, un po' laboriosi e concettuali, e quindi leggermente depotenziati rispetto agli originali.  Un esperimento interessante è quello di Lush Life, uno dei celebri standards di Billy Strayhorn, il pianista alter ego di Duke Ellington, autore fra l'altro di molti dei capolavori portati al successo dalla band di Ellington (Take The A Train, C Jam Blues ).

L'Ensemble ci pare più a suo agio nei lavori maggiormente sperimentali, come nella title-track Smart Went Crazy  di Kirk Nurock, un brano scritto nel '92 che alterna lunghi suoni modulati alla Scelsi ad esplosioni schizofreniche di sequenze semicasuali. Non si completerebbe questa nota senza segnalare l'adeguatezza dei brani del trentaduenne Norman Yamada, quasi tutti inferiori ai 2', scritti apposta per questa formazione anomala, che resta sicuramente da seguire nei suoi sviluppi futuri.

Girolamo De Simone

 

 

COPLAND

Works for piano. Vol. II.

Tichman. Wergo WER 6212-2. 64'45". Note (Ingl. Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Studio. Munchen. Aprile-Maggio 1992. Talvolta il timbro è eccessivamente ovattato. Il basso è un po' sordo.  Registro centrale carente.

 

Interpretazione: BUONA

In questo compact Nina Tichman, pianista vincitrice di numerosi concorsi internazionali, completa il ciclo dedicato a Copland, avendo già inciso le Variazioni del 1930, i quattro blues, la Sonata del 1941, lo Scherzo umoristico The cat and the Mouse, più altri brani minori. La Piano Fantasy, commissionata nel '55 e portata a compimento tra il '57 e il '58 la fa da padrona nel cd in esame, occupando 32'35" dei 65' complessivi, ed anche esecutivamente parlando sembra monopolizzare la cura e l'attenzione della Tichman, che esplode in peregrinazioni percussive (peccato il suono dei bassi risulti un po' sordo, forse colpa dello strumento più che dei tecnici) laddove il ritmo incalza o allude ad atmosfere frequentate da Copland in gioventù, e sosta e sospende le locuzioni discorsive quando invece per andamenti rassicuranti la scrittura diventa più  meditativa ed introspettiva.  La cura e predilezione che Copland assegnò al pianoforte traspare però non soltanto  dallo sviluppo assegnato alla Piano Fantasy, ma anche dalla preoccupazione espressiva che caratterizza i brani più brevi compresi nel compact. Questo vale per le miniature infantili del '36 come per Midday Thoughts del '44, che anticipa in modo chiaro luoghi e risonanze poi riprese da tanta buona new age (e non casualmente Satie pare quasi citato espressamente). Più modernista la Proclamation for piano, che infatti passa quasi senza segno lasciare. The Young Pioneers e Sunday Afternoon Music  ci lasciano intravedere una Tichman più attenta alle percussioni colte (Poulenc, Stravinskij, Milhaud) che alle sottolineature jazz. Troppo Debussy in Sunday Afternoon Music   e troppo Gershwin in Sentimental Melody, ma si tratta del Gershwin dei  pianisti colti che simulano il sincopato nel timore/tremore di non suddividere bene. Insomma, lo si è compreso: se alcune dinamiche inarcate come parafulmini contorti possiamo percepirle nella Piano Fantasy, non le ritroviamo in Night Thoughts, dove un tema sarebbe pur proponibile con più convinzione all'interno dei clusters ripetuti.  Tutto ciò sembra riproporre l'annoso problema delle integrali, con annessi e connessi: mancanza di convinzione, eccesso di lavoro, o semplicemente una maggiore predisposizione per grandi forme che divagano?

Girolamo De Simone

 

 

GLASS (Louis)

Symphonies: No. 5, "Svastika". No. 6 "Skjoldungeaet".

Marchbank. National Symphony Orchestra of the S.A.B.C. Marco Polo 8.223486. 68'26". Note (Ingl.). Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Studio, 11 e 22 Gennaio 1993.  Suono sufficientemente pastoso, ma eccessivamente uniforme nei volumi.

 

Interpretazione: OTTIMA

Louis Glass non è parente né avo di Philip Glass: è un compositore nato nel 1864 in Danimarca, originariamente solista di violoncello e pianoforte, poi dedicatosi alla scrittura per il sopraggiungere di una paralisi. Il suo lavoro è stato in parte oscurato dall'emergenza di figure come Carl Nielsen (da non confondere con Hans) e Niels Gade, solitamente accostate, doppia diade, a quella del finlandese Sibelius e del norvegese Grieg. Eppure il suo lavoro sinfonico, qui presentato in un compact che mi risulta unica monografia a lui dedicata, mi pare di tutto rispetto, anche se meno aderente alle caratteristiche che in genere conferiamo, vuoi per comodità, vuoi per eccesso di semplificazione, alla musica 'nordica': colore, ritmi di danza, fovolistica ironia. No: Glass fa sul serio, è affermativo, lineare, convinto nello sviluppo discorsivo delle frasi, e conferisce ai suoi lavori una profonda unitarietà grazie anche ad un uso non strabordante dell'orchestra.

Il compact contiene due Sinfonie: la quinta,  "Svastica", Op. 57, e l'ultima "Skjoldungeaet", op. 60.

Da entrambe fanno capolino echi tardoromantici, ma anche suggestioni mahleriane (ma forse è la National Symphony Orchestra of the South African Broadcasting Corporation che accentua l' adagio conferendogli un carattere di grande espressività intimistica), ed impasti debussiani.  Entrambe scritte a programma, i quattro movimenti della prima si ispirano ed intitolano al "Lavoro quotidiano", "Riposo", "Tramonto", "Alba" (l'alba ispira un bel po' di compositori); la seconda è invece allusiva della ricca mitologia danese, mai indulgendo ad un mero descrittivismo, anche se probabilmente leggermente ridondante nel "Maestoso" e di certo meno intimistica nell' "Adagio" e nel "Sostenuto Allegro heroìque".

Un disco godibile, consigliabile a chi ama annullarsi nell'ascolto con occhi socchiusi, ritemprandosi da diuturni travagli.

Girolamo De Simone

 

 

 

SCHUMANN / MAHLER / BRAHMS / BACH

Piano Sonata No. 2 Op. 22. Symphonische Etuden, Op. 13. Symphonische Etuden, Op. post. Symphonische Etuden Op. 13. Toccata Op. 7 / Symphony No. 1 in Re, Scherzo (arr. Kazakevich) / Intermezzo Op. 116 No 4 e No. 5 / Das Wohltemperirte Klavier, I, 8.

Kazakevich. Conifer Classics 75605 51227 2. 76'54"; 24'00". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. All Saints' Church. Maggio-Luglio 1993.  Non sempre lucidamente bilanciati i volumi.

 

RACHMANINOV / BRAHMS / BACH / HONEGGER / BERG

Piano Sonata No. 2 / Intermezzo Op. 116 No. 4 e 5, Op. 117 No. 2, Op. 118 n. 6 / Das Wohltemperirte Klavier, I, 8 / Prélude, arioso et fughetta sur le nom BACH / Piano Sonata Op. 1.

Kazakevich. Conifer Classics 75605 51235 2. 63'10". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. All Saints' Church. Maggio-Luglio 1993. Preciso e netto la ricerca timbrica in Rachmaninov. Buona resa dinamica in Bach.

 

Interpretazione: BUONA / MEDIOCRE

Il russo Kazakevich non ha fatto in tempo a pubblicare i primi dischi che già s'è visto affibbiare l'etichetta di 'romantico', la quale nel bene e nel male riesce a conquistrare ai dischi degli 'emergenti' una fetta dell'asfittico mercato discografico. Così i due dischi (anche se in realtà si tratta di due compact e mezzo, perché insieme al cd monografico dedicato a Schumann compare un mini di 24' che ripropone gli stessi brani di Bach e Brahms presenti nel disco compilativo, con un'addizionale trascrizione inedita di cui si dirà più oltre) vanno ad aggiungersi alle già cospicue incisioni schumanniane di Argerich, Arrau, Kempff, Horowitz (per la Sonata) e di Arrau Ashkenazy Backhaus Brendel Cortot Kempff Kissin Perahia Perlemuter Pogorelich Pollini Richter Rubinstein...... (per gli Studi). L'elenco è, come si immaginerà, parziale e sommario, ma non manca di una certa carica provocatoria: sommeremo Kazakevich ai "grandi" o ai "piccoli"?  Chi scrive predilige le versioni di Richter e Cortot, e ritiene che gli elementi di novità (interpretativa) presentati nel disco schumanniano siano ben pochi, perché dopo diversi ascolti non si vien sedotti né dalla carica "romantica", né strabiliati da scelte di tempo o tecnicismi mirabolanti.

Per quanto riguarda invece il compact dedicato a Rachmaninov, Brahms, Bach, Honegger e Berg, pur non mancando riferimenti ad altre esecuzioni eccelse (per la Sonata di Berg, tra i vari Barenboim, Bratke, Bruins, Cherkassky, Demidenko, Douglas, Dunki, Maisenberg, Pollini continuiamo ad amare la versione su disco di  Alfred Brendel , 11'18",  e per amore d'eccentricità quella di Gould, 13'06", mentre questa di Kazakevich resta nella media degli 11'51", e un po' forzata e melodrammatica nella caratura interpretativa)  ci  ha colpito per precisione ed incisività  la seconda Sonata Op. 36 di Rachmaninov.  Fonte di vera meraviglia resta soltanto il Preludio e Fuga in mi bemolle minore del primo libro del Clavicembalo, in cui una fuga sofisticatissima ed ai limiti dell'udibile sorprende per introspezione ed accuratezza nella presentazione delle varie entrate del tema. Sulla versione pianistica dello Scherzo di Mahler si rileva una non particolare vocazione alla trascrizione, per l'assenza di citazioni dai moduli tipici di quest'arte, sia nella scrittura che nell'esecuzione.

Girolamo De Simone

 

 

PECK / SWEELINCK / GENZMER / FLORIO / MOZART / FRANCAIX / BARROLL.

Drastic Measures / Fantasia / Zweites Quartett / Quartette / Zwolf Variationene in C K 265 / Petit Quatuor pour saxophones / The Piggly-Wiggle.

New Century Saxophone Quartet. Channel Classics Crossing CCS 5994.  63'00". Note (Ingl.  Fr. Ted.). Distribuzione: Bottega Discantica, Milano.

 

Giudizio Tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Studio. Renswoude. 2/1993. Buona omogeneità degli insieme, non eccezionale ricerca di timbri inediti.

 

Interpretazione: BUONA

Ascoltando questo cd è sorto spontaneo un'accostamento ad un disco di Werner Bartschi (ECM 1377 839 659-2); similitudine non tanto rivolta al genere quanto alla  modalità compilativa. Il quartetto di sassofoni formato da Michael Stephenson al soprano, James Boatman all'alto, Stephen Pollock al tenore e Brad Hubbard al baritono, accosta brani come Drastic Measures  di Russell Peck, inizialmente evocativo (Poco adagio, molto espressivo), ma poi subito cadenzato e burlesco nelle citazioni funky (Allegro) alla Fantasia  di Sweelinck, allievo di Zarlino, in cui prevale una pacata imitazione della vocalità nella conduzione delle parti solistiche. Il contrasto non è limitato alle prime due tracce, ma si allarga al quartetto di Harald Genzmer, allievo di Hindemith e specialista nella scrittura per sassofono, contrapposto idealmente ad una trascrizione (di Boatman) delle Variazioni K 265  su "Ah, vous dirai-je Maman" di Mozart. Molti gruppi , tra i più noti il Balanescu ed il Kronos Quartet, tra i meno noti gli Icebreakers, il New art Ensemble, il Colin Muset,  stanno procedendo con chiarezza d'idee notevolissima in un'unica direzione, così semplificabile: primo, caratterizzarsi anche con trascrizioni proprie, egualmente da brani rari o celebri; secondo, accostare tra loro queste trascrizioni senza esserne eccessivamente turbati; terzo comandamento, il più importante, mescolare generi diversi, in modo che il disco possa "funzionare" all'ascolto.  Ciò che è in gioco, oltre alla vendibilità del prodotto, è anche l'adeguamento al sentire contemporaneo, che vuole oggi restare aperto alla multimedialità della comunicazione, alla fusione tra le reti, preparando forse una interattività già tentata (e pare con esiti positivi) da qualche star del rock (in fin dei conti, l'accostamento tra brani 'rilassanti' d'autore e produzioni nuove era lanciato diversi anni fa da un'etichetta new age).  A parte tutto questo, il New Century Saxophone Quartet, pur adeguandosi nelle scelte di compilazione alle novità vincenti di questi anni, sembra mancare della giusta carica eversiva, perché il bel suono che fa vincere i concorsi (il cd è inserito nella Winning Artist Series, che raccoglie i vincitori dei migliori concorsi internazionali) spesso manca del "sound"  necessario a conquistare il pubblico o a meravigliare la critica.

Girolamo De Simone

 

 

HARBISON / SESSIONS

Oboe Concerto. Symphony No. 2 / Symphony No 2

Bennett. Blomstedt. San Francisco Symphony. Decca 443 376-2. 69'49". Note (Ingl. Fr. Ted. Ita.). Distribuzione: Polygram Dischi, Milano.

 

Giudizio Tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Davies Symphony Hall, S. Francisco, 27/5/1993. Buona spazializzazione dell'orchestra. Discreto trattamento delle sonorità degli ottoni in Sessions. Bello ma un po' esile il timbro dell'oboe in Harbison.

 

Interpretazione: BUONA / OTTIMA (Bennett)

Questo disco raccoglie tre opere date in prima esecuzione assoluta dall'Orchestra sinfonica di San Francisco: l' Oboe Concerto  e la Symphony No. 2 di John Harbison, e la Seconda Sinfonia di Roger Sessions.

Aggressivo l'incipit del Concerto per oboe di John Harbison, allievo di Sessions, subito disciolto in frasi talora melanconiche, suadenti e forse neoclassiche, certo non prive di accenni all'opera di Stravinskij, e non immuni da una certa disposizione barocca. Un interesse per il jazz si manifesta nella cura per l'orchestrazione, simile, per espicita ammissione dell'autore, a quella di maestri come Ellington, Henderson, Redmond. Infatti il solista William Bennett, primo oboe dell'Orchestra Sinfonica di San Francisco, non manca di colorire l'esecuzione con riferimenti e sporcature di "swing apocalittico", sicuramente nello spirito della scrittura di Harbison, che da giovane girava con un gruppo jazz.  Collante tra le diverse vocazioni ci sembra la predisposizione allo svolgimento lirico delle frasi, peraltro discontinue nello sviluppo e quindi anche piacevolmente varie; dispiace un po' vedere risolto lo swing dell'orchestra nel solito modo colto: esagerando gli accenti delle sincopi, laddove la vera scrittura sincopata è soltanto un modo per conferire una pulsazione al "battere", un impulso propulsivo, che dà movimento. Bennett di certo possiede questo sapere prospettico: ma la direzione di Herbert Blomstedt riesce a darne conto?

Meno interessante la Seconda Sinfonia, un po' ridondante e ripiegata su sé stessa per il gusto dell'impiego massiccio di masse strumentali. I quattro movimenti si susseguono senza interruzione, e assumono i titoli descrittivi di Alba (non la Parietti), Luce (non l'Angela), Crepuscolo, Buio. Passi l'andamento di "Luminoso" per l'alba, di "Brioso" per la luce del giorno, di "Inesorabile" per il buio. Ma  "Lambente" per il crepuscolo...!

I modelli di riferimento per l'uso dell'orchestra sono questa volta Tippett e Sibelius, anche se la scrittura, nel suo momento migliore (proprio il crepuscolo), evoca piuttosto Debussy e le sue atmosfere.

La Seconda Sinfonia di Roger Sessions fu scritta tra il 1944 e il 1946, prima della conversione al serialismo (ma Sessions non raggiunse mai l'asfittica rigidità  del suo allievo Milton Babbit), negli anni in cui completava la Seconda Sonata per pianoforte  (di cui si è recensita su CD classica una esecuzione di Peter Lawson, Virgin Classics 7 59316 2) e The trial of Lucullus, opera in un atto su libretto di Brecht. La seconda sinfonia può "essere considerata con ragionevole accuratezza nella tonalità di re minore", per dirla con l'autore. E' in quattro movimenti, con un Adagio dedicato a Franklin Roosvelt, morto proprio nel 1945. La scrittura è un formidabile agglomerato di ribollenti ed intricate idee contrastanti, che certo non consente un ascolto rilassato, anche se una certa godibilità può residuarsi  anche dalla costatazione di intrecci lungo strutture complesse.

Girolamo De Simone

 

 

"WHERE THE SUN WILL NEVER GO DOWN"

Spirituals and tradizional Gospel Music.

Jennings. Chanticleer. Chanticleer Records. 57'29". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione:????????????

 

Giudizio tecnico:

MEDIOCRE. DDD. Stereo. Luoghi e date di registrazione non indicati. La copia in visione è danneggiata, perché 'salta' in più punti. A parte questo, non pare ci sia una grande ricerca timbrica nel contraddistinguere le voci.

 

Interpretazione: BUONA

Ancora un disco di Spirituals, come se le formazioni corali tentassero di mettersi sul mercato facendosi qualche sconto nella ricerca di repertori più connessi con i territori,  più vicini all'appartenenza di stirpi e dominazioni. Recentemente, proprio su queste pagine, avevamo recensito "The american Vocalist" (ERATO, 2292-45818-2), Spiritual e folk Himns eseguiti dalla Camerata di Boston diretta da Joel Cohen, ed il successivo "An American Christmas" (ERATO 4509-92874-2), sempre con la stessa formazione. Era poi stata la volta di "Christmas in Early America", con il Columbus Consort diretto da Joseph Pettit (Channel Classics CCS 5693). Già in quelle sedi on si era mancato di indicare le carenze di questo tipo di operazioni, molto distanti dalle esecuzioni di gruppi provenienti dal basso,  privi dell'aspirazione aberrante di iscrivere questa produzione nell'alveo del repertorio classico, che, come sostenevamo, è operazione "dark", nel senso di tombale, funerea, mortifera. Non che ci si riponesse nelle pieghe della filologia, che per fortuna ha un suo ambito naturale  in ben più ponderose discettazioni.  Joseph Jennings ha tentato, con Chanticleer, di effettuare un'operazione di questo tipo: prendere materiali appartenenti alla migliore tradizione degli Spirituals e dei Gospel, e poi trascriverli, talora assecondando talaltra forzando il naturale ambito vocale a cui era abituata la formazione. Ma trascrivere non è già contaminare? Che senso ha, oggi, "trascrivere" senza "aggiungere", ricreare, frantumare, mescolare, rendere altro da sé in un gioco incrociato di riferimenti, citazioni, allusioni multiple e prospettiche?

Ciò premesso, l'aspetto puramente vocale va salvato, per onestà critica ed intellettuale: c'è grande cura sia nella conduzione degli insiemi che nell'emergere delle voci soliste, ed in alcuni Gospel si registra anche una certa atmosfera, che forse riproduce (falsifica quindi, perché non attualizza) quella originale. 

Perché allora non fare qualche incursione in territori banditi? Per esempio ascoltando dal vivo alcuni gruppi della Louisiana: "The Might Chariots", e "The Johnson Extension"; oppure "The Famous Zion Harmonizers", per poi riparlare di Gospel, purezza vocale, reinvenzioni, improvvisazioni, collegamento con territori realmente vissuti e abitati...

Girolamo De Simone

 

 

BEASER

The seven deadly sins. Chorale Variations. Piano Concerto

Opalach, Mia Paul, American Composers Orchestra, Russel Davies. Argo 440 337-2. Note (Ingl.). Testi. Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Luoghi e date di registrazione non indicati.

Se la resa timbrica della voce non sembra ottimale (dove sono gli armonici?) quella del timbro pianistico ci pare sufficientemente riuscita, e l'orchestrale molto buona.

 

Interpretazione: BUONA-OTTIMA (Russel Davies)

Certamente Robert Beaser non si muove nel rigido territorio dell'ortodossia dodecafonica. E questo è spiegabile in parte con l'età (è nato nel '54), in parte con le frequentazioni (ha studiato, fra gli altri, con Earle Brown), collocandolo fra quei compositori che tentano di uscire dai confini dell'accademia, anche quando quest'ultima prolifera da un'intuizione rivoluzionaria. Beaser non manca di notare come il metodo per comporre con i dodici suoni sia stato adottato da molti compositori americani, che magari venivano in Europa per apprenderlo meglio. A noi pare che l'America abbia conosciuto un unico filone di ortodossia seriale, e pochi cani sciolti, ma che la maggior parte delle correnti abbia spaziato in lungo e in largo offrendo, forse,  una  possibilità di uscita dal sistema che il vecchio continente nemmeno si era sognata. La molteplicità delle etnie, la velocità del progresso tecnologico (era naturalmente velocità di adattamento degli user-friendly), l'emergenza di un genere egemone ma marginalizzato, portarono prima ad immaginare una terza via, e poi ad attuarla di fatto, come sta accadendo con la giovane generazione americana a cui più volte s'è fatto cenno su queste pagine.  Fatta questa premessa, tuttavia, va precisato che la derivazione accademica di Beaser è ancora percepibile, ad esempio, nel "buon uso" dell'orchestrazione (il buon uso è immaginabile, perciò prevedibile), e nell'abuso della variazione come principio di sviluppo di un'opera. Insomma, le stesse caratteristiche che possono far vincere un Prix de Rome potrebbero far annoiare l'ascoltatore. Ma la vena melodica sembra genuina, come anche l'aggressività espressiva dei pattern .  Nel Piano Concerto preoccupa un po' il ritorno di un virtuosismo eccedente, ma l'autore spiega i riferimenti alla tradizione romantica, e  autorizza una certa vena ironica dell'esecuzione. Peccato che questa ironia sia percepibile più nell'esecuzione dell'orchestra che nelle intenzioni della pianista Pamela Mia Paul (e poi c'è troppo Prokofiev con striature di Bartok, e poco Gershwin e Bernstein, come era invece nelle intenzioni di Beaser).  L'"American Composers Orchestra" è una formazione specializzata, fondata nel '75 da Dennis Russel Davies e dal compositore Francis Thorne, e ha tenuto centinaia di prime assolute o di prime americane: la loro abilità è percepibile senza riserve.

Girolamo De Simone

 

 

HINDEMITH

Mathis der Maler

Protscka, Hermann, von Halem, Winkler, Stamm, Kruse, Hielscer, Reb, Cogram, Hass, Rossmanith, Schmiege, Albrecht. Wergo, WER 6255-2 , 54'42";  57'00"; 54'19" (tre compact). Note (Ingl. ted.), Testi. Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Studio Stolberger, Bonn, 1994.Buona spazialità delle voci, ottimo bilanciamento tra voci ed orchestra.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

 

PENDERECKI

Musica da camera

The Silesian String Quartet, Kulka, Malicki, Romanski, Esztenyi, Paciorkiwicz, Monighetti, Romanski. Wergo, WER 6258. 67'51". Note (Ted. Ingl.).  Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, Bonn. Giugno-luglio 1993. Veramente ottimale la resa delle dinamiche e dei coloriti in situazioni di estremizzazione delle capacità strumentali di produzione del suono.

 

Interpretazione: BUONA-OTTIMA

 

            La Wergo presenta due prime registrazioni mondiali, l'opera Mathis der Maler   di Hindemith, che si colloca nella Edition Paul Hindemith (la collezione comprende anche Cardillac, Sancta Susanna, Das Nusch-Nuschi, Neues vom Tage ), e la produzione da camera di Krzysztof Penderecki (solo le Miniaturen 1-3 per clarinetto e pianoforte sono anche in un compact EMI 567-749 711-2 con Meyer e Kontarsky, e Per Slava,  sempre nell'esecuzione di Ivan Monighetti, appare in Helikon Heidelberg CM 278 1059).

Con Hindemith si procede velocemente verso l'integrale. L'opera  Mattia il pittore , ispirata alla figura del pittore medievale Mathis Grunewald, è forse tra le più significative, sia per il messaggio profondamente unitario che propone, sia  per il significato politico, di opposizione al nazionalsocialismo, che fu le fu assegnato dopo la prima rappresentazione mondiale allo Stadtttheater di Zurigo, nel 1938. Un senso quasi di reazione viene generalmente associato dalla critica alla riscoperta di nessi polifonici e contrappuntistici bachiani, e l'opera in effetti si collocò come uno spartiacque tra il politonalismo estremizzato della prima maniera ed il mistico monadismo sistemico, prevalentemente tonale, della seconda. Il parametro di riferimento, che consente di parlare di "reazione" è naturalmente Schoenberg, il cui sistema non smetteva di tentare i più geniali compositori. Hindemith, tra i pochi, ricercò una strada che fosse più discontinua rispetto alla linearità dell'estremo sviluppo cromatico, certamente conseguenziale, rappresentata dalla dodecafonia e dal serialismo, e questa è una delle ragioni per le quali la sua produzione non appare  terribilmente datata.  L'incisione di cui qui si parla (ma esistono anche due cd con una selezione, DG 431 741-2), è molto curata, il cast è di ottimo livello, l'insieme è certamente fresco e tutta l'esecuzione scorre in modo omogeneo. Ma non viene da gridare al miracolo per la direzione di Albrecht, e un po' di furore in più non sarebbe guastato. Forse non farebbe male  calarsi nella carica eversiva che questa musica ancora oggi potrebbe regalare, specie dimenticando i riferimenti ad una 'arretratezza' (reazione) del metodo compositivo, oppure, nel migliore dei casi ad una  diversità (mal)tollerata.

            Stando a quello che ci racconta Norman Lebrecht nel suo divertentissimo Il mito del maestro  (i grandi direttori d'orchestra e le loro lotte per il potere), forse noto alla maggioranza dei lettori di cd classica, sembrerebbe finita l'era dei direttori compositori. Gli ultimi due, Bernstein e Boulez, dovendo dividere il loro tempo tra prove, tournee, incisioni, battaglie per mantenere la loro posizione (artistica ed economica), faticarono non poco a continuare il lavoro compositivo.  Sembrerebbe, invece, che esistano parecchi compositori direttori, anche se le loro orchestre sono poi spesso delle band  predisposte appositamente per le esigenze creative del momento: quelle di Nyman, di Glass, di Bryars hanno percorso in lungo e largo i festivals estivi d'Italia e non.  Penderecki, dal canto suo, non fa eccezione alla regola, perché dirige sempre più spesso le sue composizioni orchestrali, usando però ancora compagini più o meno classiche. E proprio l'occasione di un suo recente concerto ci ha dato modo di registrare alcune sconcertanti affermazioni: primo, la musica come arte astratta non dovrebbe contenere messaggi politici; secondo, le sue composizioni se le dirige da sé perché lui solo sa cosa farne. Terzo, non si scrive per comunicare e non è lecito nemmeno un passo in direzione del gradimento del pubblico. A parte la naturale eccitazione che condisce le conferenze stampa (e porta ad esagerare per essere più incisivi: la sua Threnodia  per le vittime di Hiroshima o il Dies Irae per l'olocasto di Auschwitz muovono soltanto da moti interiori, o piuttosto i deliqui dell'anima assurgono spontaneamente a gesto politico?), l'estrema energia verbale di Penderecki coincide generalmente con la forza propulsiva dei suoi lavori.

Il  Penderecki che suona Penderecki è testimoniato da una delle sue composizioni più recenti.   la Sinfonietta,  scritta dal compositore polacco nel '92  ed eseguita a Varsavia ed all' Expo di Siviglia. Comincia con accordi sferzanti e ripetuti, immediatamente contrastanti con gli assolo  della viola,  del violoncello e del violino, che entra virtuosisticamente con profusione di doppi suoni.  Particelle tematiche di poche note passano poi da un lato all'altro dell'orchestra d'archi, creando un effetto 'elettronico' di emissione sonora (quanta musica elettronica distribuisce in questo modo le frasi in amplificatori disposti circolarmente?).  Cambi di tempo improvvisi cedono  il passo alla viola solista, strumento privilegiato della Sinfonietta, e  ancora l'orchestra riprende un frammento da quella esposizione e lo galvanizza fino alle estreme conseguenze: l'esplosione verso gli acuti conclusa dal violoncello ai limiti delle possibilità di estensione. Infine un dialogo di pizzicati tra violoncelli e contrabbassi conduce all'ostinato e al vorticoso, rutilante gioco conclusivo.

La scrittura orchestrale, qui vicina forse a Bartok, altrove accostata invece all'opera di Xenakis per il vorticare di clusters, diventa aforistica nei lavori per quartetto d'archi, e specie nel primo dà il via ad un uso esteso delle possibilità di produzione del suono degli archi. Virtuosismo, aggressività, effetti percussivi, glissandi (come non usarne dopo la mirabile descrizione nel Faust manniano?),  misti naturalmente all'uso di serie permutate, rendono questa musica estremamente specialistica, più tesa a documentare l'iter compositivo dell'autore che a testimoniare l'acquisizione di una consapevolezza estetica attuale o attualizzabile. Ciò vuol dire che bisogna aspettare la breve Sonata per violino e pianoforte per cominciare a respirare un po' di gradevolezza, e l'avvento dei brani solistici per cogliere un po' d'introspezione.Tra gli esecutori, Romanski delude un po', mentre convince appieno Monighetti. Quanto smalto nel The Silesian String Quartet !

Girolamo De Simone

 

 

TAN DUN

Nine songs, ritual opera.

Nine songs Ensemble and Chorus, Tan Dun. CRI 603. 70'33". Note (Ingl.). Testi. Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Luogo non indicato. 12-21 maggio 1989. Tenuto conto della straordinarietà del lavoro si rileva un'eccezionale resa di strumenti non convenzionali, ed una ottimale riproduzione della voce.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Ecco un lavoro che sfugge alle abituali e facili classificazioni. Si tratta di Nine Songs di Tan Dun, ispirati ad altrettanti componimenti poetici di Qu Yuan, antico poeta rituale cinese. Una precisazione va fatta subito: si tratta di musica scritta per il teatro, con il corredo di danzatori ed attori, e questo è immediatamente evidente, perché la concentrazione interiore delle interruzioni sonore al silenzio dell'azione teatrale rimanda necessariamente ad un movimento altro dalla musica. Qualcosa che accade in un luogo diverso da quello temporale, capace di astrarre attraverso lenti o accelerati/esasperati movimenti del corpo. Qui, spazio e tempo alludono a reciproche, intime, minuscole connessioni, tali da trarre quasi in trance ipnotica l'ascoltatore. Può essere contento Tan Dun, il quale per comporre questa musica  ha sentito la necessità di astrarsi dalle  occupazioni quotidiane, e dagli affetti: così è riuscito a trasmettere la magia dei rituali sciamanici e la malia dei riti magici e misterici del suo paese. E lo ha fatto senza riprodurre una musica soltanto folclorica, o meramente popolare, dal momento che i diagrammi scritturali da lui usati, pur suggerendo le antiche calligrafie cinesi, sono in realtà il risultato di studi semiografici sulla voce, sulle percussioni, sulle intensità collegate alle velocità.

Il risultato è un uso della voce molto legato al lavoro sul pitch, in grado di raggiungere acuti in glissato e di ricadere attraverso una padronanza tecnica, sia di scrittura che di esecuzione, assolutamente originale, ed unica a questi livelli.  Collegherei, per concludere, questo disco  ai Canti del Capricorno di Giacinto Scelsi, interpretati da Michiko Hirayama (Wergo 60127-50): i due lavori sono complementari, e risvegliano sopite zone dell'anima, a patto d'essere disposti all'abdicazione e al rapimento. Anche Evento, una operina  di Gabriele Montagano purtroppo inedita, raggiunge una simile profondità di ricerca nell'uso della voce.

Girolamo De Simone

 

 

STANFORD / HOWELLS

Sacred Music

The Cambridge Singers. Rutter, Marshall. Collegium Records COLCD 118. 74'05". Note (Ingl.). Testi. Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. Mancante di indicazioni. Stereo. Ely Cathedral. Febbraio 1992. Registrazione con buon amalgama vocale, talora non precisissima nei dettagli.

 

Interpretazione: OTTIMA

Bello, raccolto, omogeneo ed imperdibile per gli amanti del genere, questo compact dedicato alla produzione religiosa di Charles Villiers Stanford e di Herbert Howells. Il primo, irlandese di nascita, si trasferì presto a Londra compiendovi gli studi musicali (se si eccettua una parentesi berlinese con Kiel). Divenuto prima organista e poi professore al Royal College of Music, ricoprì pian piano moltissimi incarichi in punti nodali della formazione e produzione musicale britannica, divenendo un vero e proprio caposcuola (viene definito da John Rutter come il "padre spirituale" di Vaughan, Williams, Holst, Bridge, Butterworth, Bliss ...), ed un infaticabile promotore di iniziative vòlte alla rinascita del teatro musicale, o alla rielaborazione del ricco patrimonio folclorico irlandese. Il suo stile è ancorato agli stilemi del tardoromanticismo (nasceva nel secolo scorso e moriva nel 1924), pur vivificato dall'influenza popolare, e nobilitato dalla scrittura di opere dedicate alla produzione sacra anglicana. Il compact in esame raccoglie due brevi Magnificat  (il primo con la voce solista di Caroline Ashton); due Anthems: "O for a closer Walk" ed "I heard a voice from heaven" col soprano solo Karen Kerslake; il breve "When Mary thro' the garden went", il terzo numero dell'Op. 127, ispirata a Mary Coleridge (ma la Mary del titolo è naturalmente Maria Maddalena). L'inno "Te Deum" è il brano più lungo tra i prescelti in questa piccola selezione dal mare magnum della musica sacra (e dall'oceano di quella vocale) composta da Stanford.

Herbert Norman Howells, meno noto e prolifico di Stanford, fu suo allievo al Royal College of Music di Londra, restandovi poi come insegnante di composizione. Pur se di una generazione successiva, il suo linguaggio resta ancorato (se non per qualche maggiore arditezza nelle modulazioni) alle radici nazionalistiche e tradizionali della sua patria. S'è dedicato nel tempo alla produzione corale e sacra senza però trascurare  altre forme e specie. Il disco presenta, di cospicuo, il Requiem, con la Kerslake, Frances Jellard e Andrew Gant come solisti. E' il brano più lungo di un compact che riesce a restare omogeneo nonostante i brani dei due compositori vengano alternati, e non presentati in modo antologico. Omogenea sembra essere anche la prestazione del "The Cambridge Singers" diretto da John Rutter ed accompagnato dal versatile Wayne Marshall all'organo.

Girolamo De Simone

 

 

 

ASIA

Symphony No. 3. Symphony No. 2.

The Phoenix Symphony, Sedares. New World Records 80447-2. 67'08". Note (Ingl.). Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. Presa del suono non indicata. Symphony Hall, Phoenix, 1993. Suono un po' 'vecchio' ma onesto.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

 

Chissà perché dai libretti d'accompagnamento di compact di compositori, specie americani, emerge sempre la preoccupazione di mantenere un proprio linguaggio 'originale' nonostante la preparazione accademica, o nonostante la formazione jazz, o nonostante gli studi in Europa. Pare quasi che la soggettività americana debba sempre dipendere da un 'nonostante', come se il luogo comune del successo, della personalità, dell'emergenza da luoghi oscuri fino alle solari affermazioni di grazia e riconoscimento universale non appartengano a un passato con fin troppi debiti verso la modernità. Che naturalmente non è affato più quella della crisi, o quella della sperimentazione. Daniel Asia non fa eccezione: la sua formazione accademica si sente, eccome! Già la scelta dell'orchestra  mette tout court alla berlina un contemporaneo. Che noia sentire sempre gli stessi amalgama: già inserire una chitarra elettrica o un basso al raddoppio basterebbe a vivificare un'opera per orchestra. Inoltre, una concezione troppo lineare, a meno che non si rivolga allo stravolgimento del linguaggio quale noi lo conosciamo, non può che risultare interdetta, e superata dalla nuova e più consapevole generazione di talenti americani, ai quali già più volte s'è fatto cenno sulle pagine di CD classica. Anche il discorso sul superamento della dodecafonia, e sulla ricerca di un incontro col pubblico, non può certo più passare per le stradine di campagna della mera tonalità, o della restaurazione di qualcosa che c'era, e che non può che apparire deformato per avere ancora qualche legittimità. Le due Sinfonie  (c'è anche la forma, con tanto di qualifica e numero d'opus!) sono onestissimi lavori che cercano di dire qualcosa che superi la formazione dodecafonica, ma che ci sembrano fallire nell'intento. Poi il disco può anche essere consumato, e riempire il posto vuoto nei nostri scaffali, magari quello lasciato libero dalle opere sperimentali: è già un passo avanti.

Girolamo De Simone

 

 

 

PAVONE

Song for (septet).

Pavone e band. New World Records 80452-2. 50'24". Note (Ing.)

Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Luogo di registrazione non indicato. 1994. Registrazione ben bilanciata, suoni vividi del contrabbasso.

 

Interpretazione: BUONA

 

 

BARON

RAIsed pleasure dot.

Baron, Eskelin, Swell. New World Records 80449. 77'08". Senza note.

Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Studio, NYC, 1993. Suoni un po' ovattati, una maggior ruvidezza sarebbe gradita nelle esplosioni di sassofono e sax tenore.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

File under jazz presenta per CounterCurrents della New World Records due compact dedicati a Mario Pavone ed a Joey Baron. Il primo è un monografico di Joey Baron, con  percussioni essenziali, rarefatti colpi di bacchette ad intervalli binari, e una radicalità non priva di interesse speculativo quando subentrano Ellery Eskelin al sassofono tenore e Steve Swell al trombone. L'ensemble è povero ma le idee sono certamente in progress, anche quando il richiamo esplicito sembra essere rivolto alle origini afroamericane. In Boss Hog,  su un bit poverissimo di spazzola si estendono  dialoghi solipsistici degli ottoni, raramente intrecciati in linee polifoniche, ed anzi uniti nel tema finale esposto in raddoppio. La placida e contemplativa stasi cessa in lunghe peregrinazioni free nel lapidario Hello! Hello! Hello!, e si condensa in meditate frasi all'unisono in I've Been Holding It All My Life, sviluppate su nodi similari in Stand Up. Quest'ultimo brano ci pare il più riuscito del cd, perché lo sviluppo segue linee significanti ed originali allo stesso tempo, offrendo una rara prova di concentrazione, poi espansione, interiore del suono; a pochi, nel jazz, è dato di utilizzare in questo modo anche il silenzio, la pausa. Unleasing The Dobermans annoia un po' per il retrivo ritmo della batteria, ed anche per i giochini del sax già molto ascoltati. Non manca una manciata di Brasile, offerta attraverso una lente deformante alla Fellini, come se fosse una delle registrazioni di Gerard Kremer.

Il secondo compact in esame vede impegnato il bassista Mario Pavone, assieme a Marty Ehrlich (alto sassofono e clarinetti), Thomas Chapin (flauto), Peter McEachern (trombone), Bill Ware (vibrafono), Peter Madsen (piano) e Steve Johns (drums). I riferimenti attuali di Pavone sono dichiarati: da Stinson e Grimes a Charlie Haden, Fred Hopkins ed il grande Mingus. Song for (septet) arriva dopo diversi dischi, e soprattutto dopo Sharpville, Shodo (per Alacra) e Toulon Days (per la stessa World Records) che lo vedono impegnato come leader.  L'incipit dei Songs  vede prevalere Madsen con un lungo assolo a tecnica mista, e subito qualifica il cd come godibile, anche se già sentito; la tecnica di Bill Ware appare notevole, ma troppo discorsivo e sconnesso col precedente solismo glissato e clusterizzato del pianoforte. Il trombone scorazza in 3 M Blues, mentre in Dance Off, dopo un'introduzione di basso e trombone, e il ponte  affidato al vibrafono, si sviluppa una melodia che chiama gli altri della band all'entrata progressiva. Molto gradevole il rincorrersi ravvicinato di alto e corno in Song for M, sottolineato dall'ingresso volitivo del pianoforte. In più di un assolo, così, mi pare emergente la personalità di Peter Madsen, per nulla imbrigliata dalla necessità di rientrare nel settetto.

Girolamo De Simone

 

 

 

BEATLES

Classical Mystery Tour.

Trio Rococo. RCA Victor 74321 22488 2. 52'27". Senza note. Distribuzione: RCA, Roma

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Studio. Focus Recording Copenhagen. Marzo 1994. Squisito il bilanciamento tra gli strumenti. Ottimi impasti sonori.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

BEATLES

Beatles Go Baroque.

Breiner and Chamber Orchestra. Naxos Int'l 8.990050. 56'44". Senza note. Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Moyzes Hall of the Slovak Philarmonic, Bratislava. Febbraio e marzo 1992. Qualche strumento che emerge in assoli dall'orchestra non appare sempre col dovuto rilievo, ma forse è una scelta estetica che simuli le sonorità di un 'reale' concerto grosso.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

I due dischi presentano una gustosa silloge di trascrizioni delle più celebri canzoni dei Beatles: si tratta di un esperimento già tentato da John Bayless, che da anni ripropone questi brani nello stile di Bach.

Per la RCA, l Trio Rococo, formato da Niels Eje all'oboe, Inge Mulvad al violoncello e Berit Spaelling all'arpa, s'inventa divertenti e rilassanti arrangiamenti, dove l'intento della trascrizione appare evidente, perché la linearità melodica viene conservata senza troppi problemi. Prevale, cioè, l'adattamento (a questa particolare formazione) e la continuità (discorsiva) di ciascuna song. I brani si susseguono così con bella opportunità da Eleanor Rigby, Yesterday, Here Comes Sun, Because,  fino a Michelle, And I Love Her (per arpa sola: molto brava la Spaelling, che crea sempre un tessuto connettivo interessante), e I am the walrus  (per violoncelli: ma data l'inesistenza di note di copertina non si capisce se si tratti di sovrapposizione di tracce o di compresenza di più esecutori). La presenza di glissati rielaborati rende quest'ultimo tra i più arditi del compact.

Il cd Naxos, con Peter Breiner e la sua orchestra da camera, sembra andare più in là del Trio Rococo, riproponendo gli standard nella forma del Concerto Grosso. Naturalmente, l'espressione "forma" va intesa qui con una certa elasticità: qui e là spunteranno sincopati jazz che tradiscono volutamente l'origine di Breiner come pianista di quel genere. Può risultare interessante la suddivisione dei brani all'interno dei quattro concerti: ad esempio, quello "nello stile di Bach" comprende A Hard Day's Night, Girl, And I Love Her, Paperback Writer, Help  (solista al violino Juraj Cizmarovic). Quello "nello stile di Haendel", She Loves You, Lady Madonna, Fool on the Hill, Honey Pie, Penny Lane (solista al violoncello Juraj Alexander).

Ultima considerazione/domanda: che stia nascendo una Beatles music?

Girolamo De Simone

 

 

 

FLOYD

Susannah.

Studer, Ramey, Orchestre de l'opera de Lyon, Nagano. Virgin Classic (2 cd) 7 243 54503924. 41'24", 53'13". Note e testi (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: EMI italiana, Varese.

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Studio, Opera de Lyon. 1993,1994. Buon dettaglio delle voci. Amalgama orchestrale molto cutato.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

 

Carlisle Floyd è un allievo di Ernest Bacon (si perfezionò poi al pianoforte con Sidney e Rudolf Firkusny) noto soprattutto per la produzione operistica, lavori con un linguaggio che si fa beffe  di  atonalismo e  modernità, adagiandosi comodamente nel sito neoromantico (espresso, tra l'altro, in epoche non sospette). Susannah è la prima e la più nota di queste opere, scritta nel 1955 e rappresentata al New York City Opera nel '56, con un tale successo di pubblico da essere dopo pochi anni esportata all'esposizione di Bruxelles. Seguirono Wuttering Heights (del '56) e Of Mice and Men (del '69), certo non all'altezza dell'apodittica serenità di questo lavoro giovanile (fu composto a soli ventun anni). Il testo, raccolto dal libro di Daniele, possiede una trama non complessa, come ci si aspetterebbe da un lavoro scritto nei mitici anni Cinquanta; i personaggi sono caratterizzati in modo esemplare, con transfert facili e identificazioni a portata di mano. L'ambientazione non è esente da elementi biografici, perché situa l'opera nel Sud degli Stati Uniti, raccontando con semplicità ipocrisie e rigidità dei piccoli paesi della Caroline del Sud. La musica ancora ci parla dell'America, senza disdegnare l'arte della citazione colta. L'Overture, di appena tre minuti, catapulta immediatamente nello stile comunicativo ed espressivo di Floyd, grazie anche ad agogiche e crescendo rispettati da Kent Nagano e dall'Orchestra dell'Opera di Lione. It's a hot night for dancing  cita apertamente Bach, trasformando il barocco in scherzo gioioso. Tanta America nel duetto tra Sam (Jerry Hadley) e Susannah (Cheryl Studer), con la prevalenza della commedia musicale, e non senza citazioni dai primordi del blues, nella sua ricezione bianca.    Momenti forti e drammatici non mancano, come ad esempio nel finale della terza scena That crick oughta be right about here, dove ad un tratto emerge un pizzico di oscurità in un lavoro complessivamente solare. Ultima notazione sulla meravigliosa veste grafica del cofanetto, corredato di un libretto voluminoso ma completo.

Girolamo De Simone

 

 

FLOYD

Susannah.

Studer, Ramey, Orchestre de l'opera de Lyon, Nagano. Virgin Classic (2 cd) 7 243 54503924. 41'24", 53'13". Note e testi (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: EMI italiana, Varese.

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Studio, Opera de Lyon. 1993,1994. Buon dettaglio delle voci. Amalgama orchestrale molto cutato.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

 

Carlisle Floyd è un allievo di Ernest Bacon (si perfezionò poi al pianoforte con Sidney e Rudolf Firkusny) noto soprattutto per la produzione operistica, lavori con un linguaggio che si fa beffe  di  atonalismo e  modernità, adagiandosi comodamente nel sito neoromantico (espresso, tra l'altro, in epoche non sospette). Susannah è la prima e la più nota di queste opere, scritta nel 1955 e rappresentata al New York City Opera nel '56, con un tale successo di pubblico da essere dopo pochi anni esportata all'esposizione di Bruxelles. Seguirono Wuttering Heights (del '56) e Of Mice and Men (del '69), certo non all'altezza dell'apodittica serenità di questo lavoro giovanile (fu composto a soli ventun anni). Il testo, raccolto dal libro di Daniele, possiede una trama non complessa, come ci si aspetterebbe da un lavoro scritto nei mitici anni Cinquanta; i personaggi sono caratterizzati in modo esemplare, con transfert facili e identificazioni a portata di mano. L'ambientazione non è esente da elementi biografici, perché situa l'opera nel Sud degli Stati Uniti, raccontando con semplicità ipocrisie e rigidità dei piccoli paesi della Caroline del Sud. La musica ancora ci parla dell'America, senza disdegnare l'arte della citazione colta. L'Overture, di appena tre minuti, catapulta immediatamente nello stile comunicativo ed espressivo di Floyd, grazie anche ad agogiche e crescendo rispettati da Kent Nagano e dall'Orchestra dell'Opera di Lione. It's a hot night for dancing  cita apertamente Bach, trasformando il barocco in scherzo gioioso. Tanta America nel duetto tra Sam (Jerry Hadley) e Susannah (Cheryl Studer), con la prevalenza della commedia musicale, e non senza citazioni dai primordi del blues, nella sua ricezione bianca.    Momenti forti e drammatici non mancano, come ad esempio nel finale della terza scena That crick oughta be right about here, dove ad un tratto emerge un pizzico di oscurità in un lavoro complessivamente solare. Ultima notazione sulla meravigliosa veste grafica del cofanetto, corredato di un libretto voluminoso ma completo.

Girolamo De Simone

 

 

 

PEROSI

Transitus Animae. Messa da Requiem.

Cossotto, Angelicum di Milano, Coro Polifonico di Milano, Bertola, Caracciolo, Zambelli, Togni, Chigioni, Coro della Cappella dell3immacolata di Bergamo, Berruti, Corbetta.

Sarx Records SXAM 2003-2. 68'28".Note (Ita. Ingl.). Distributore: ???????????

 

Giudizio Tecnico

OTTIMO. ADD. Stereo. Milano, Angelicum, 1963 (Transitus Animae), Studio, 1965 (Messa).  Maggiore atmosfera nella registrazione all'Angelicum. Meno calda, con eccesso di riverbero effetto chiesa in quella da studio.

 

Interpretazione: OTTIMA / BUONA

 

Come è noto, Lorenzo Perosi svolse la sua attività come organista e compositore dalla fine del secolo scorso fino alla prima metà  dell'attuale, ricoprendo importanti cariche a Montecassino, Imola, Venezia, e assumendo infine quella di direttore della Cappella Sistina fino alla morte, avvenuta a Roma nel 1956. Le sue scritture, perciò, almeno storicamente, attraversano tutte le vicende della crisi del linguaggio, tutte le peripezie della tonalità e del suo superamento. Sarebbe ingiusto affermare che non c'è traccia di tutto questo nei brani presenti nel cd in esame, perché fermamente crediamo che la contemporaneità di un artista sia data dalla sua sola presenza in seno agli eventi che percorrono la sua epoca; ma esistono, sono rintracciabili, nicchie di sentimento, di rarefazione, di ovattamento? anfratti infrastratici che filtrino i linguaggi consentendo una tale straordinaria e completa sincerità e linearità di discorso? Nel caso di Perosi, e specie nell'anomalo oratorio per mezzo soprano, coro e orchestra Transitus Animae, tale esemplare trasparenza mi pare evidente, e non contestabile. Non sopraggiunge per nulla un moto di protesta per il canto che giunge da nicchie di religiosa bellezza, e con questa incredibile e apodittica affermazione di senso. Del resto, la sola egida di "musica religiosa" non conferisce per ciò solo la stessa potenza ai brani di Part o di Gorescki, certo più consapevoli del "dopo", del già accaduto (come rialzarsi dopo una caduta, appunto). Nessun inciampo per Lorenzo Perosi, che può modulare arditamente o giocare con semplici progressioni, in modo sempre conseguenziale e coerente. Non può mancare, infine, una parola per gli esecutori (si ricordi che si tratta di registrazioni del '63 e '65): piace il solismo di Fiorenza Cossotto, ma convince tantissimo anche il coro polifonico di Milano diretto da Giulio Bertola. Un po' anatocistica, come sempre, la direzione di Franco Caracciolo, che per fortuna non eccede in rigore. La Messa da Requiem, un po' più rigorosa, piace di meno nella pur efficace esecuzione di Francesco Zambelli, Alessandro Togni e Rino Chigioni, col coro della Cappella dell'Immacolata di Begamo un po' meno omogeneo del precedente, e con la direzione di Egidio Corbetta.

Girolamo De Simone

 

 

 

TWINING

Shaman.

Bielawa, Twining, Johnson, Purnhagen, Stewart. Catalyst  09026 61981 2. 66'46". Note (Ingl.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico:

ECCEZIONALE.  DDD. Stereo. Studio. NYC, 1993. Straordinaria la strumentalità delle voci, realizzata con eccellenti missaggi.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

MARTLAND

Patrol.

The Steve Marland Band, Marland, The Smith String Quartet. Catalyst  09026 62670 2. 57'37". Note (Ingl.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO.  DDD. Stereo. Studio. Inghilterra, Marzo 1993.  Belle sonorità, mai incapsulate, ed anzi ben spazializzate.

 

Interpretazione: BUONA

 

 

MACMILLAN

Busqueda. Visitatio Sepulchri.

Scottish Chamber Orchestra, Bolton, MacMillan. Catalyst  09026 62669 2. 69'09". Note (Ingl.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Studio. Scozia. 1993. Il suono dell' orchestra risulta un po' imbottigliato. Le sonorità quelle dell'avanguardia storica già ampiamente digerita.

 

Interpretazione: BUONA

 

World music, lunghi bassi della Mongolia, accenti Africani, letteratura rinascimentale. Queste ed altre cose troverete nel compact della Catalyst dal titolo evocativo Shaman, dedicato ai brani di Toby Twining. Si tratta di composizioni a cappella, dagli influssi abbastanza riconoscibili, e tuttavia originali perché sommano uno o più elementi tradizionali ad invenzioni vocali provenienti dalla fase della sperimentazione. Hymn, eseguito con l'aiuto del basso Peter Stewart che riempie i segmenti ritmici lasciati in sospeso dal baritono, si contraddistingue per un inizio di marca rinascimentale, tipo mottetto isoritmico; ma ecco che subito si è spiazzati dall'ingresso di voci che oscillano su un tono alla maniera dei monaci tibetani, e dall'ingresso di una melodia decisamente new age. Richi Richi Rubel si contraddistingue per la presenza di una voce che simula il piatto sfregato dalla spazzola, altre due in funzione accordale o sincopata, ed una quarta che esegue difficili arpeggi di derivazione minimale. Munu Munu   ricorda placide distese sonore realizzate con la voce e con il pitch che la deforma alla fine dell'emissione. Molto di africano nel suggestivo Sanctus, uno dei brani più riusciti del compact. La forma ABA è rappresentata dall'uso di stilemi africani, mongolici, e di nuovo africani. Una coda mixata con traccia aggiuntiva chiude in bellezza riesponendo il tema. Più prescindibile Between Stars, mentre eccezionalmente 'contemporaneo', nel senso migliore del termine, Hee°oo°oom°ha°, sempre con l'aiuto di Stewart. Una voce femminile vibra per siti solitari, su un tessuto armonico che procede per infinitesime permutazioni.

Steve Martland scrive una musica che ricorda straordinariamente quella di Mertens per il Ventre dell'architetto, il film di Greenaway che i fortunati non avranno perso (e se l'hanno fatto ne esiste una versione su nastro disponibile sul mercato). Ciò accade specialmente in Dance 1, commissionata insieme alle altre tre con le quali forma ovviamente Danceworks, dal London Contemporary Dance Theatre. Minimalismo europeo, quindi, e ancora vivo e vegeto, a dispetto di chi lo vuole agonizzante sul selciato. Lo stesso Glass pare si sia stufato di sentirsi chiamare 'minimalista': oggi si ritiene un operista, ed in effetti lo sviluppo melodico lo rende un po' più leggero, e quando ingrana la vena giusta anche più seducente (spiace non essere nostalgici dei primi dischi; la nostalgia deprime ancor più dell'umor nero). Non si capisce il motivo per cui dovrebbe interessare Principia, un brano di tre minuti dove il gioco pare essere quello di proporre una specie di rock minimale, con batteria, suoni sintetici, e tutto il corredo insieme. Patrol, il brano più lungo, è forse anche il più riuscito, anche se stanca un po', e l'incipit degli archi ricorda Gorescki.

James MacMillan, dal canto suo, sarà pure uno dei più passionali compositori britannici, come lo definiscono le note di copertina, ma a noi non pare usi i notevoli e pregiati strumenti compositivi di cui dispone per sortire esiti che non appaiano già in tanta altra musica, specie di matrice americana (si sente un po' di Barber nelle lunghe modulazioni). Belle idee sicuramente sia in Visitatio Sepulchri che in Bùsqueda. Ma non strappiamoci i capelli dalla gioia.

Girolamo De Simone

 

 

 

LIGETI / KURTàG / ORBàN / SZERVàNSZKY

Six Bagattelles. Ten Pieces / Wind Quintet Op. 2 / Wind Quintet /Wind Quintet No. 1.

Philharmonisches Blaeserquintett Berlin. Bis CD 662. 64'40". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico:

MEDIOCRE. DDD. Stereo. Studio Swedisch Broadcasting Corporation, Svezia, Gennaio 1994. Registrazione leggermente piatta, e senza particolare cura timbrica dei singoli strumenti.

 

Interpretazione: BUONA

 

Il Berlin Philharmonic Wind Quintet, con Michael Hasel al flauto, Andreas Wittmann all'oboe, Walter Seyfarth al clarinetto, Fergus McWillian al corno ed Henning Trog al fagotto, ci presenta un prescindibilissimo disco dedicato alla produzione di Ligeti, Kurtàg, Orbàn e Szervànszky. Si tratta, in particolare, del primo Quintetto  per fiati, del '53, di Szervànszky, delle Six Bagatelles di Ligeti (sempre del '53) cui seguono i Dieci Pezzi (1968), e del secondo Quintetto di Gyorgy Kurtàg. Il disco è chiuso dal Wind Quintet di Gyorgy Orbàn. Non che il gruppo suoni male: anzi, il suono è ricercatissimo, le atmosfere sono ben dipinte, nessuna sforatura m'è riuscito percepire. E tuttavia, fatta eccezione per i brani di Ligeti, di cui si dirà oltre, la forma sembra soffocare questa produzione, e dà impronta di sé anche nell'esecuzione del Berlin Wind Quintet. Un esempio valga per tutti: nel primo dei Dieci Pezzi di Ligeti, a una nota che va a spasso da esecutore ad esecutore se ne sovrappone altra a distanza di semitono: è il classico stratagemma utilizzato da Scelsi (al quale Ligeti ammise di dovere molto) per ottenere un suono "mobile", o leggermente distorto. Quello  stesso raggiunto con facilità dai monaci tibetani, o dai pastori mongoli: suoni che mutano impercettibilmente, suoni in movimento,  profondi come l' universo. Un semitono, se si ha questa consapevolezza, non può restare in Ligeti un semplice semitono. E le volatine del quinto e del sesto pezzo non sono che cadenze su quei suoni lunghi, giammai peregrinazioni futili alla maniera degli sperimentali puri. Certo, altrove il gruppo sembra intuire giusto, come ad esempio nell'ottavo dei Dieci Pezzi, dove da un impasto timbrico eccezionale si procede ad un crescendo improvviso, e poi allo spegnimento. Molto interessante anche l'esecuzione del brano di Orbàn, compositore che guarda alla musica cirstense (e che perciò è facile accostare a Nino Rota, come si fa nelle note di copertina), nell'ottica però di una musica da film che consenta una migliore comunicazione col pubblico. L' ultima osservazione va rivolta al tipo di registrazione: pochi armonici in libertà; un suono più aperto e timbricamente caratterizzato avrebbe consentito una veicolazione più attuale e convincente.

Girolamo De Simone

 

 

TRADITIONAL

Séga ravanne mauricien. Séga tambour de l'Ile Rodrigues

Zenfan ti Riviere, L'oiseau Tetu, Cardinal Jaune, Gaspard. Ocora C 580060. 50'58". Note (Fr., Ingl., Ted.).  Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. ADD. Stereo. Maurice, Rodrigues. 1981. Non tutti i brani presentano la stessa qualità.

 

Interpretazione: BUONA

Varie sono le etimologie del termine séga, e vengono riportate con bella accuratezza nel libretto d'accompagnamento al cd in esame: deriva dalla danza del serpente sanscrita, da un motto africano, da un adattamento dal francese (malgasche e poi sé gasse e poi séga) o da altro ancora? Non si sa. Di certo "séga" indica il genere musicale prevalente delle isole Mauritius, Rodrigues e delle Seychelles, e sicuramente ha origine in danze rituali collegate con la schiavitù, e con i rituali di alcool, morte  e sesso del diciannovesimo secolo. Cosa sia rimasto di quelle antiche nenie e danze, subito decisamente e rigorosamente proibite (potere-sapere della musica; essa va addomesticata ed imbrigliata, perché potrebbe ricordare alle menti in schiavitù che esistono luoghi volatili come aliti di vento) viene precisato anche dall'estensore delle note esplicative: forme imbastardite come la versione edulcorata dal costume urbano, o come la séga turistica, e pochi cantori tipici (a proposito, Ocora presenta altri due titoli affini in catalogo: Hommage à Ti Frère, C 560019; e Musiques oubliées des Iles, C 559055, un viaggio alle musiche dimenticate delle Seychelles). Il compact offre una panoramica su diversi gruppi e tecniche del genere. Il primo è lo "Zenfan ti Rivière", che si iscrive nella sèga ravanne mauricien, perché usa un tamburo suonato con ambedue le mani chiamato appunto 'ravanne'. I brani presentati, sia esclusivamente strumentali che cantati, sono estremamente ripetitivi, ipnotici e quasi sabbatici, come del resto vuole l'origine della séga. L'appel è solo strumentale, con percussioni piane che non osano disturbare troppo col levare, ma proseguono in modo piuttosto lineare. Tangalé, Charani e Ena dix sono nenie portate all'esasperazione, ed infine quasi gridate, dal testo ripetitivo e descrittivo delle occupazioni quotidiane, con tanto d'elenco di piccoli e grandi dispiaceri. Il secondo gruppo è "L'Oiseau Tetu", appartenente al genere della sega Tambour delle Rodrigues. Presenta una silloge di canti più controllati con percussioni. Anche in questo caso si tratta di musica molto ripetitiva, che pur interessando i cultori del genere potrebbe risultare stancante e noiosa per gli altri. Il compact si chiude con il gruppo "Cardinal Jaune" e con due romanze in francese interpretate da Lorenza Gaspard, assolutamente imperdibili.

Girolamo De Simone

 

 

 

GHULAM MUSTAFA KHAN

Raga Bilaskhani Todi. Raga Puriya. Raga Pilu

Mustafa Khan ed ensemble. Nimbus Records NI 5409. 74'32". Note (Ingl.).  Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Monmouth, 12 Novembre 1992. Sovente la voce sfora. Gli altri strumenti sono tenuti troppo in sottofondo.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

 

Non si lasciano amare facilmente le lunghe peregrinazioni raga di Ghulam Mustafa Khan. Questo per almeno due motivi: la prevalenza del parlato; la scarsa sintonia con gli strumentisti accompagnatori. Vediamo meglio: perché prevalenza del parlato? gli occidentali faticano a stare dietro a giochini eccessivamente lunghi: i ventidue (ventidue) minuti di Charan gahe ki rakho laj ed i ventidue (ventidue) di Eh piya gunevanta stancano chi è abituato a fruizioni che non superano i quattro minuti, o chi è uso a recepire messaggi televisivi (non solo pubblicitari) di trenta secondi. Ma questo può essere un parametro di giudizio? Sicuramente lo è: se voglio ascoltare musica indiana devo entrarci profondamente dentro, essere cioè catturato dalla magia incantatoria delle microvariazioni raga che ogni artista riesce ad inserire nelle sue performances. Non che il nostro ne sia incapace: quando calma l'eccesso virtuosistico (che qui consiste in lunghi abbellimenti del parlato), come nel conclusivo Ghir ke aayi badaria hai Raam, ecco rifiorire la malia dell'India, o di quel che un occidentale può volere dall'India. Una voce finalmente suadente,  che canta senza urlare, che  conquista l'attenzione al microscopico, che ci dice qualcosa di una cultura dell'attenzione, della dolcezza, della gentilezza. Si guardino fotografie dell'India, se non ci si è andati: gesti delicati, riprodotti da donne di quattro generazioni. Drappeggi sempre identici, autobus sgangherati ma lindi. Strade bianchissime. Mille divinità che guardano da ogni angolo. Anche lotte sociali (e che lotte), ma una cultura vincente, quella della non violenza, che ha insegnato qualcosa al mondo intero. Massimalizzo, certamente. Ma esiste una differenza tra quello che la world music etnica può dire al mondo e quello che al mondo interessa recepire e far suo, senza per questo discriminare? E' rude la vocalità di quest'artista un po' panciuto, ancorché dai lineamenti nobili come quelli di ogni indiano: sfora spesso e volentieri, e non c'è tecnica di registrazione che possa occultare le impennate vocali; fa troppi giri vacui; non tiene in nessun conto né l'harmonium di Mashkoor Hussain Khan né la tabla di Ghulam Sultan Nalzi. Quest'ultima, che potrebbe offrire ben altre suggestioni, c'è tanto per esserci, perché è sempre sullo sfondo, in modo assolutamente inessenziale. E campeggia una affermazione della personalità troppo palese per parlarci dell'India, a dispetto della fama di cantore, delle nobili origini, dell'appartenenza ad una grande famiglia (etnia nell'etnia) di musicisti.

Girolamo De Simone

 

 

 

TRADITIONAL

Our Hope

The Male Choir of the Cantor Art Academy. ?????????? (nome in ebraico) MK 427132. 623212. Note (Ingl.).  Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Mosca. 1992. Benché con un effetto lontananza eccessivo, coro nell'insieme e solisti assai ben bilanciati.

 

Interpretazione: OTTIMA

Il cd in esame riunisce folk-songs e traditional russi ed ebraici eseguiti dal Male Choir Cantor Art Academy, una formazione che riunisce voci di professionisti e di semplici amatori. Va detto subito che si tratta di una raccolta variegata, e tuttavia non priva di quel fascino segreto che permea un po' tutte le musiche russe, e più d'una traccia suggerisce agli appassionati della filmografia russa (e polacca) situazioni e scene un po' immaginate e un po' realmente viste, magari al cineforum dei padri gesuiti (sono sempre i padri gesuiti ad organizzare cineforum...). Un disco evocativo, certamente, perché la vocalità spontanea rappresentata qui è ben lontana, ad esempio, da quella degli amatori inglesi, o dalla  pacchiana imitazione italiana. Altra stranezza, il fatto che almeno nella prima track, il pensiero corra alle esecuzioni di sequenze; ed in effetti si tratta di Shalom Aleychem, un traditional usato nella cerimonia ebraica del sabato. La sensazione si rafforza con Boruch Kel Elyoyn, con la stessa matrice. In Kadsheynu, tenore e basso s'alternano con l'accompagnamento del coro, in un lirismo solo apparentemente ed inizialmente occidentale: ecco subito il "fervore ebraico" venire allo scoperto.  Un inno, invece, abbastanza consueto, quello composto da Louis Lewandowski, Ma Towu. Certo virtuosistico Sim Shalom, con giochi ritmici di classe, ed un fascino particolare dei singoli cantori, con assoli vibranti e  pieni di piccole appoggiature di parlato. Molto espressivo, ancorché sovente monodico, Moydim Anachnu Loch, dove un cantore intona frasi liriche alternate all'intervento molto ritmato del coro, in un gioco di botta e risposta di rara intima concentrazione. Complessivamente un disco dal 'colore' molto accentuato, davvero godibile, specie in serate silenziose e solitarie.

Girolamo De Simone

 

 

KANTé (MAMADOU)

Les Tambours du Mali

Kanté, Diarra, Camara, Diakité. Playa Sound PS 65132. 59'47". Note (Fr.  Ingl.).  Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico:

BUONO. DDD. Stereo. Data e luogo di registrazione non indicati. La resa delle percussioni non è malvagia. Tuttavia secca molto, all'ascolto, il fatto che il suono venga staccato alla fine di ogni pezzo senza concedere nessuna risonanza naturale ai tamburi.

 

Interpretazione: OTTIMA

Il Mali è quel ch'è rimasto di un paese che comprendeva originariamente Gambia, Senegal e Guinea,  con i quali condivide tuttora notevoli radici musicali. Attualmente confina con l'Algeria, il Niger, la Burkina Faso, oltre che con Senegal e Guinea. Dal Ghana ha importato parte della musica popolare da ballo (una highlife ballata in paese anglofoni, come precisano Stapleton e May nel loro atlante sonoro), fondendola con attente contaminazioni latino-americane. Un bel calderone, come si può notare. Se poi a questo si aggiunge la forte politicizzazione, con messaggi a difesa della rivoluzione socialista, o del nazionalismo, o della più bieca chiusura a tutto quello che fosse 'occidentale' (a volte si stenta ad immaginare come proprio l'Africa, che più ha dovuto soffrire per la ghettizzazione americana ed europea, sia piena di ghetti interni, tra etnie che evitano accuratamente di confondere,  facendo di tutto per preservare la propria la purezza biologica), si può comprendere come la musica, anche quella percussiva presentata in questo bel compact della Playa Sound, sia contraddittoria. Dove però 'contraddizione' si dà come sinonimo di densità, potenza espressiva, eterogeneità e capacità di lancinanti spinte eversive. Non si tratta di semplici sofismi: basta ascoltare come il battere venga accuratamente evitato, e la sensazione di movimento affidata alla djembé (è un tamburo d'origine mandinga) prevalga sulla linearità privilegiata da altri gruppi di percussioni africane. Anche qui i griots sono onnipresenti, e lo testimonia la presenza di danze rituali mandinga come la Sandia, che può tradursi come "buon anno" in Bambara. Altre danze, esclusivamente percussive, sono la N'gri, della regione di Sigasso, Sounou, e Sarakole, danze del raccolto, ed altre tipiche espressioni della regione di Kayes.  Due sole improvvisazioni, chiamate simpaticamente 'creazioni' di Mamadou Kanté, ed un adattamento, le Sigui da una danza wassoulou.

Girolamo De Simone

 

 

 

CHASALOW

Winding Up. Fast Forward. Over the Edge. The Fury of Rainstorms. Hanging in the balance. The Furies. First Quartet for string quartet.

Speculum Musicae String Quartet, Schneider, Knoles, Spencer, Schadeberg, Sherry. New World 80440-2. 61'11". Note (Ingl.). Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

BUONO-OTTIMO . DDD. Studio, date e luoghi di registrazione diversi per ciascun brano.Non sempre omologate le diversità tra le registrazioni.

 

Interpretazione: OTTIMA (Schadeberg) MEDIOCRE

 

 

THORNE / SESSIONS

Piano Concerto No 3 / Concerto for Piano and Orchestra.

Oppens, Taub, The Westchester Philarmonic, Dunkel. New World 80443-2. 44'36". Note (Ingl.).Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, Purchase College, 1-2/1994. La registrazione resta ottimale, il pianoforte vien fuori bene, ma i timbri potevano essere migliorati.

 

Interpretazione: OTTIMA (Oppens) BUONA (Taub)

 

 

 

ROREM

Piano Concerto for left hand and Orchestra. Eleven studies for eleven players.

Graffman, The Symphony Orchestra of the Curtis Institute of Music, Previn. New World 80445-2. 61'58". Note (Ingl.).Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

DDD. Stereo. Academy of Music, The Curtis Institute of Music, Philadelphia, 1993.Curata la timbrica del pianoforte.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

 

FENNELLY

In wildness is the preservation of the World.

Polish Radio National Symphony Orchestra, Suben, Symphony Orchestra of the Czechoslovak Radio of Prague, Fisher, The Audubon Quartet, Cobb, Fennelly. New World 80448-2. 70'56". Note  (Ingl.).Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico:

OTTIMO. DDD. Stereo. Date e luoghi di registrazioni diversi per ogni brano.Percepibili le ambientazioni diffrenti, ma nel complesso ben valutabili.

 

Interpretazione: BUONA

 

 

            Eric Chasalow è stato allievo di Mario Davidovsky alla Columbia University, dove Davidovsky era associato all'Electronic Music Center. Ma se il maestro era riuscito a personalizzare un genere già di per sé sufficientemente asettico, anche se alleggerito da un uso misto di elettronica, sintetizzazioni e strumenti comuni, l'allievo risulta non particolarmente originale, ed anzi abbastanza ipocondriaco e ripetitivo: dà malinconia già Winding Up per corno, con buona pace di Bruno Schneider, che deve aver faticato non poco per eseguirlo (ma quale differenza con l'introspezione dei Quattro pezzi per corno solo di Scelsi, eseguiti mirabilmente da Guido Corti!). Ancora più asettico, Fast Forward, per tape e percussioni: quasi sette minuti di inesorabili cascatelle ritmiche e timbriche. Efficace invece, anche per la brevità aforistica, The Fury of Rainstorms, per tape ma con un uso quasi allucinatorio della voce di Christine Schandeberg: per un attimo l'attenzione si desta, salvo subito placarsi con Hanging in the Balance: ancora ripetitivo, ed indagatorio delle possibilità infinitesime dei bits.  Il sogno, ci pare, è sempre il medesimo: realizzare a casa propria, magari con semplice tecnologia MIDI, quei brani poco eseguibili o ineseguibili con mezzi tradizionali. L'assunto filosofico è discutibile, per ragioni che sarebbe troppo lungo indagare ed indicare. Si accennerà soltanto che, se da un lato la MIDI music viene maltrattata dai cultori della elettronica e della computer music, considerata come sorella minore (e magari deficiente) per il fatto che pochezza d'idee estetiche ed imperizia nel mezzo di fatto sottoutilizzano il personal ed il suo software, dall'altro una schiera di musicisti "colti" se ne servono soltanto per trasferire le loro costruzioni sul video, e sentirle finalmente eseguite. Non sempre si pensa che: 1- la larga interfaccia utente della MIDI consentirebbe una veicolarità diretta, senza intermediazioni dell'interprete, e renderebbe più vicino quel villaggio globale virtuale (di compositori?) del quale tanto si ciancia; 2- la tecnologia MIDI, ed anche i più elementari programmi di sequencer, consentirebbero un approccio radicalmente diverso al modo stesso di comporre (ampliamento del pensiero musicale). Ma qui siamo già troppo oltre. Per concludere il discorso su Chasalow, si aggiungerebbe che in generale sembrano funzionare meglio i brani realmente eseguiti in giro (la vecchia sala da concerto...), e cioè The Furies , sempre con la voce della Schadeberg, ed il primo Quartetto. Nulla ci fa però gridare al miracolo, e il disco è quasi da riciclare.

            Il secondo, breve  compact in esame  raccoglie due concerti per pianoforte e orchestra, il terzo di Francis Thorne e l'unico di Roger Sessions. Come già accennato altrove (di Sessions sono state recensite di recente su CD Classica la seconda Sinfonia , con la San Francisco Symphony, Decca 443 376-2, e la Seconda Sonata per pianoforte, in una esecuzione di Peter Lawson, Virgin Classics 7 59316 2), Sessions si mantiene al limite del linguaggio dodecafonico, per fortuna accentuando l'aspetto espressivo e personale, e senza esagerare con le lunghe ripetizioni e variazioni seriali: così, il suo linguaggio resta abbastanza gradevole, e specie in questo concerto si concede anche a variabili umoristiche, ed a sfoghi virtuosistici di tutto godimento, dei quali Ursula Oppens risulta attenta rilevatrice. Se però il rapporto con Schoenberg (tutta la produzione teorica di Sessions si confronta con il grande padre tedesco esiliato nella terra promessa) viene risolto in modo originale dalla complessa personalità del grande caposcuola della musica americana, spesso la tangente viennese bacchetta violentemente i  numerosi allievi di quella stessa scuola.  Il Terzo Concerto di Thorn, allievo di Hindemith, Diamond e Donovan, risente  di una forzosa adesione ai moduli più tipicamente europei (la discendenza tra Sessions e Thorn, nato nel '22, è assicurata proprio dall'intermediazione di Diamond). Eppure, la connessione con il patrimonio americano, e la frequentazione del jazz come esecutore avrebbero potuto lasciare segni maggiori anche in questo concerto.

            Ned Rorem ha una vena fresca ed originale, il suo stile si avvicina a quello degli americani estrosi, da Copland a Bernstein, con qualche ammiccamento a Satie e Poulenc. Nel bel Concerto per mano sinistra ed orchestra, naturalmente, gli accenni vengono rivolti a Ravel, sia per le armonie che per le espressive frammentazioni tematiche che talora intercalano l'intervento dei fiati in crescendo. Un impressionismo molto romantico, come accade a molti epigoni di Ravel, ma certamente  di grande effetto, perché il gioco è scoperto: si sta lavorando a doppia trama. Curiosa la divisione dei tre tempi in altrettante scenette: Opening Passacaglia, Tarantella, Conversation, Hymn, Duet (con il violoncello), Vignette, Medley (inutile dire che si tratta di una sorta di riassunto tematico dell'intera opera),  Closing Passacaglia. Le due Passacaglie sono i momenti stilisticamente più 'veri', meno basati sulla citazione, perché la variazione è intesa come gioco sulle altezze. Bisogna dire un gran bene sia di Gary Graffman, in grado di interpretare, finalmente, i rallentati ed i crescendo con un pianismo che abbia cognizione di causa e un minimo di grinta. In molti luoghi vien fuori anche la personalità di Previn, più raffinata, ma coerente e consapevole del gioco. Meno entusiasmante gli Undici Studi per Undici Suonatori, un po' più speculativo, ma comunque originale, e da ascoltare.

            L'ultimo compact in esame raccoglie diversi brani di Brian Fennelly, compositore newyorkese allievo, tra gli altri, di George Perle e Donald Martino (sempre la New World ha in catalogo un compact di Martirano e Martino, con Mass ed i Seven Pious Pieces, New World Records 9322-80210-2, già recensito su queste pagine). On civil Disobbidience è una breve composizione a carattere descrittivo, di stile misto, ed un po' ridondante nonostante gli appena 10'54" di durata. Più introspettivo, con linee di maggiore sviluppo, In Wildness is the preservation of the world, che dà anche il titolo al disco. Non felicissimi, per il cedimento ai linguaggi meramente sperimentali, il Quartetto d'archi, in due movimenti, e la Sonata per pianoforte, eseguita da un agguerrito John Cobb, ma troppo ligia  agli standard della musica per questo strumento, anche se organizzata formalmente secondo un complesso schema di variazione speculare tra un movimento e l'altro. Respiriamo nuovamente soltanto all'Empirical rag nella versione per pianoforte, con lo stesso compositore alla tastiera: è impressionante come questo brano richiami quelli analoghi di Bix Beiderbecke.

Girolamo De Simone

 

 

CAGE

In a Landscape. Music for Marcel Duchamp. Souvenir. A Valentine Out of Season. Suite for Toy Piano. Bacchanale. Prelude for Meditation. Dream.

Drury.  Catalyst 09026 61980 2. 59'22". Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. NYC. 1993-1994. Bel trattamento timbrico del pianoforte, anche preparato.

 

Interpretazione: OTTIMA.

 

RAUTAVAARA

Cantus Articus. String Quartet No. 4. Symphony No. 5.

Leipzig Radio Symphony Orchestra, Pommer, Sirius String Quartet.  Catalyst 09026 62671 2. 70'59". Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. NYC. 1994, tranne Symphony, 1989-90.  Effetti pieni e soddisfacenti specie nella sovrapposizione tra uccelli e orchestra nella title track.

 

Interpretazione: OTTIMA.

 

Due bei dischi della Catalyst, in tendenza con gli altri già recensiti su queste pagine per quanto riguarda la grafica splendida delle copertine e dei compact: l'oggetto disco come piccola opera d'arte in sé appare tema affascinante, forse da trattare come capitolo per estetiche del futuro. Due dischi, tuttavia, molto più interessanti dei precedenti, perché la musica di entrambi è godibile e di indubbio interesse intrinseco. Cominciamo da Rautavaara: è un compositore finlandese formatosi  negli Stati Uniti con Vincent Persichetti alla Juilliard, e poi con Sessions e Copland a Tanglewood. La sua musica riesce con difficoltà ad essere classificata, e già questo la dice lunga, e bene, sull'intensità d'emozione che è possibile recepire all'ascolto, al di là di riferimenti stilistici oggi quasi sempre possibili. Di bella fattura  il Quartetto, eseguito in modo serio, concentrato ed efficace dal Sirius: una giovane formazione già nota anche in Italia per la sua partecipazione a qualche rassegna. Ma convince appieno, sia per l'idea che per l'intensità impressionistica, il Cantus Articus, che sovrappone stridii d'uccelli a maree debussiane.

Il compact dedicato a Cage merita un "ottimo" sia per la scelta dei brani, della loro sequenza intendo, sia per l'interpretazione, effettivamente cageana, che ne dà Stephen Drury (anche al pianoforte preparato). La title-track mi fa stabilire una linea continuativa d'interpretazione tra certi girotondi di Satie, il Cage modale, e l'opera di Einaudi.

Girolamo De Simone

 

 

GORECKI

Miserere. Amen. Euntes ibant et flebbant. Wislo Moja, Wislo Szara Szeroka Woda.

Lira Chambers Chorus, Ding.  Elektra Nonesuch 7559-79348-2. 61'25". Note (Ingl. Fr. Ted. ). Testi. Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. St. Mary of the Angels Churc, Chicago. 25-27/4/1994. Ben curate le dinamiche.

 

Interpretazione: OTTIMA.

 

 

REICH

Tehillim. Three Movements.

Schoenberg Ensemble, De Leeuw, London Symphony Orchestra, Tilson Thomas.  Elektra Nonesuch 7559-79295-2. 45'12". Note (Ingl. Fr. Ted. ). Testi. Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Wisseloord Studios, Hilversum. 30 e 31/8/93. Abbey Road Studios, London. 10 /2/1992. Non sempre ben bilanciato il rapporto voci-strumenti-percussioni.

 

Interpretazione: BUONA.

 

 

A confronto, nelle due novità Nonesuch, opposte concezioni per intendere la modernità. Tutti i brani raccolti nei compact in esame sono stati scritti tra il '75 e l' '86, con l'eccezione dei 4'30" di Wislo Moja, Wislo Szara . Ma la nostra attenzione critica si focalizzerà soprattutto tra il Miserere  Gorecki e Tehillim di Steve Reich, entrambi terminati nel 1981, ed entrambi basati sull'uso della voce, anche se Reich aggiunge percussioni e strumenti, il che non  è poco. Ma stilisticamente il paragone regge: nello stesso anno sono state partorite due opere profondamente divergenti. Eppure esiste una differenza: a Gorecki è legato un fenomeno di 'consumo' musicale senza precedenti; i suoi dischi precedenti hanno superato le più lusinghiere previsioni, sforando quota trecentomila. Questo ha portato importanti etichette a programmare l'incisione di tutti i suoi lavori, che di volta in volta raccolgono il plauso della critica e soprattutto il favore del pubblico, che si affolla alle casse dei negozi musicali. Mi riesce difficile pensare, invece, che Reich possa raggiungere simili vette: ma non ho i dati alla mano per poterlo dimostrare. Sta di fatto che il fenomeno Gorecki deve avere una spiegazione: come mai opere sempre considerate come di 'difficile' digestione, hanno poi tanto successo? La risposta potrebbe avere qualche parentela con la straordinaria diffusione di un doppio compact di gregoriano, un altro fenomeno sul quale interrogarsi. Probabilmente il macchinismo un po' forzoso di Tehillim può fornire una risposta. C'è ritmo, bellezza e particolarità delle voci impiegate, bella intuizione di alcuni 'inediti' accorpamenti. Ma quel che potrebbe essere detto in tre minuti al massimo si protrae per trenta minuti e ventisette secondi. Non abbiamo tanto tempo a disposizione. Il Miserere, invece, 'racconta' qualcosa nei suoi 32'39": c'è una forma? ebbene sì, ma c'è anche un senso, una direzione, un percorso; e  tutto quel che accade non si esaurisce in una semplice intuizione che costituisca una 'novità'. C'è un contenuto ed una qualità. Per questa ragione troviamo il tempo per ascoltarlo, per goderne. E la pecunia per acquistarlo. Girolamo De Simone

 

TRADITIONAL

Inde du Sud. L'art de la vina.

Raga Shri. Raga Vachaspathi.

E.S. Shastry. Ocora Radio France C 580062. 43'39". Note (Ingl. Fr. Ted. ). Distribuzione: ????????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. 1975. Privo di altre notizie.  Efficace resa di molti effetti "non convenzionali" della vina.

 

Interpretazione: OTTIMA.

 

 

TRADITIONAL

Ouzbékistan

Monajat, Tanavar, Girya, Sham u saharlanda, Kim avval kim ilgari, Tanavar, Chargah, Ushshaq, Saqiname-i Bayat, Dasht-i nava, Aylading. Dogah-Hosany.

Monajat Yultchieva.  Ocora Radio France C 560060. 76'15". Note (Ingl. Fr. Ted. ). Testi. Distribuzione: ????????????????

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. 1994.  Privo di altre notizie. Ottimo lo spessore timbrico della voce, ben riprodotto.

 

Interpretazione: OTTIMA.

 

 I due compact che qui si presentano appartengono alla collezione Ocora Radio France, che ha il pregio di fornire un dettagliatissimo lavoro di ricerca intrecciato. I libretti sono completi di testi, loro traduzioni, e di efficacissime note informative, anche se non ancora redatte in italiano: ma questa è prassi comune. Il primo raccoglie raga dell'India del Sud, carnatica, che si differenzia da quella del Nord, detta indostana, perché quest'ultima è ricca di influenze musulmane. Il compact raccoglie quattro pezzi, accoppiati a due a due: un raga Shri, non nella sua forma originale, più un Kirtnam, sorta di tema con variazione; e un raga Vachaspathi, dove le note principali sono do-re-mi e sol-la-sib, anch'esso seguito da una variazione molto ritmica. L'esecutore, che sempre fa suo il raga, mi sembra al meglio soprattutto nel primo, interpretatissimo raga, e non mi pare renda tanto quando nel finale diventa ritmico in eccesso.

Il secondo compact è interamente dedicato ad una stella del maqam, Monajat Yultchieva, che presenta una serie di languide ma bellissime canzoni dell'Usbechistan, paese dell'Asia Centrale vicinissimo all'India (ne è separato soltanto da una stretta fascia di terra), al Pakistan, all'Afghanistan e all'Iran. La particolarissima voce di questa cantante è famosa per l'estensione, soprattutto nelle zone alte ( chiamate  awj), che riesce a coprire senza alterare i testi o sforzare la voce. La musica dell'Usbechistan si differenzia da quella dell'India e del Medio Oriente per il fatto di possedere un minor spazio improvvisativo: l'esecutore trova un giusto mezzo tra una personalità che deve restare "non imitativa", e le regole interne della composizione. Nonostante ciò, la sua capacità è di crearsi una riconoscibilità atraverso lo stile.

Girolamo De Simone

 

 

TRADITIONAL

"The music of Lorestan, Iran"

Sangin Se-pa, Se-pa, Do-pa, 'Ashayeri, Shane-shaki, Savar-Bazi.

Shahmirza Moradi, Reza Moradi. Nimbus Records  NI 5397. 77'44". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????????

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD.  Privo di notizie.  Generale appiattimento delle sonorità.

 

Interpretazione: DISCRETA.

Questo compact presenta una selezione delle musiche del Lorestan, una provincia situata a Sud-Ovest dell'Iran. Si tratta di lunghi pezzi eseguiti da Shahmirza Moradi, virtuoso di zorna, o zurna (ci sono almeno una decina di varianti del nome, in base alle diverse zone in cui lo strumento è presente), accompagnato dalle percussioni di Reza Moradi, per restare in famiglia, come è lì usuale. La zurna è una sorta di cialamello a doppia ancia, dal suono simile a quello di un oboe, formato da un solo pezzo di legno, lungo circa quaranta centimetri,  allargato a trombetta, con sette od otto fori. Le sue possibilità sono alquanto limitate, e per questo motivo si può facilmente intuire che un disco interamente dedicato alle performance su melodie di maqam sia un po' ripetitivo, anche per il fatto che la musica di queste zone, avendo una natura soprattutto cerimoniale, epica o guerresca, predilige ritmi di accompagnamento piuttosto semplici (anche se l'aggettivo non ha, nelle intenzioni di chi scrive, una connotazione qualitativa), e ha una lunghezza eccessiva, tra i dieci e i venti minuti a brano. Il tutto resta abbastanza ipnotico, e bisogna dire che minuscole variazioni infratoniche rendono comunque appetitoso il timbro e l'esecuzione di Moradi.

Girolamo De Simone

 

 

 

VAILLANT / TESI / TROVESI / SAUVAIGO / AVENEL

"Colline"

MAIENCA DANSA / IL FUNAMBOLO / PROMENADE / LI BARQUETAS DE SANT JOAN / TARANTELLA ROUGE ET NOIRE / ROMANCE (VAIL.) MAZURCAZIONE (TESI).

Tesi, Vaillant, Trovesi. Silex Y225048. 50'03". Senza note. Testi. Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: BUONO.  DDD.  Studio GAM , Belgio, Giugno 1994.  Suoni puliti, timbri netti e ben definiti.

 

Interpretazione: OTTIMA

Ci siamo occupati di Riccardo Tesi e Patrick Vaillant recensendo i due dischi della Silex Véranda e Anita Anita (Y 225002, Y 225037). Le songs mescolavano brani originali di Tesi e arrangiamenti da traditional, e noi non ci esimevamo dall'auspicare maggiori interventi soltanto strumentali, cosa che accade in questo disco frizzante e divertente, come è nello stile del gruppo. "Mormorii di colline nomadi", recita la frase-programma stampata sul disco: ed in effetti vi si conferma la vocazione un po' errante, sempre più coraggiosa, di Riccardo Tesi, che firma la maggior parte delle composizioni. Ma, come si sarà letto nel sommarietto, anche Trovesi e Vaillant trovano ampio spazio, e l'amalgama è ben costruito. Bene funzionano le accoppiate tra l'accordéon diatonico di Tesi e la mandola e mandolino di Vaillant, ai quali si aggiungono il clarinetto ed il sax di Trovesi. Gradevoli gli interventi del contrabbasso di Jean-Jacques Avenel, un po' scontata invece la batteria di Joel Allouch.  La malinconia argentina, mista alla tradizione provenzale, ed alla loro derivazione da balera, sono egualmente vive. Mi disturba soltanto un certo sperimentalismo di risulta che ogni tanto fa capolino senza ragione (troppo, ad esempio, in Promenade), e gli stacchetti desituazionisti stili new-age (ovviamente non danno fastidio in sé, ma sono troppo riconoscibili ed isolati). Ma comprerei lo stesso il disco.

Girolamo De Simone

 

 

 

BERIO / SCELSI / TAKEMITSU / STOCKHAUSEN / JOLAS

"The Solitary Saxophone"

In Freundschaft (St.) / Sequenza VIIb (Ber.) / Maknongan. Ixor (Sce.) / Episode Quatrième ( Jo.) / Tre pezzi (Sce.) / Sequenza IXb (Ber.) / Distance (Tak.).

Delangle. BIS-CD-640. 69'51". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO.  DDD.  Furuby Church, Sweden, 1-5 luglio 1994 Straordinario lavoro di rifinitura dei timbri, in grado di seguire le rarefazioni del solista.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Bisonga dire che il sassofonista Claude Delange, in forza all'Ensemble InterContemporain di Boulez ed anche "forza maggiore del mondo del sassofono in Francia", ha fatto una scelta di brani varia solo in apparenza, ma poi risultante all'ascolto molto omogenea e ragionata, anche nella discontinuità che le sequenze di Berio e In Freundschaft di Stockhausen forniscono a tutta la compilation. La sequenza VIIb, scritta da Berio per Holliger, è poi stata trascritta apposta per Delange, e nel libretto d'accompagnamento al compact si può leggere una interessante intervista-colloquio tra i due. Peccato che il lavoro, pur se giocato sulla comparsa/scomparsa di una nota ripetuta si risolva in uno dei soliti giochini d'esplorazione delle possibilità strumentali, e non scateni la stessa fascinazione misterica dei brani di Scelsi. Tra questi ultimi, un intero universo anche interpretativo sembra scatenare il concentratissimo Delange specie nei Tre pezzi , dove giustificati ammiccamenti, da un lato alla musica araba, dall'altro a quella orientale, ci parlano degli ascolti di world che il bravo sassofonista deve aver ben digerito tra una tournee con la Filarmonica di Berlino ed una capatina al Conservatorio di Parigi. Tuttavia, l'accenno alla world che si fa nel (copioso) libretto d'accompagnamento non riesce a trovarci d'accordo: la world sarebbe "musica popolare in fusione con la musica etnica", salvo poi rettificare che "due distinzioni sono possibili: l'una riferita al materiale, cioè all'impiego di gamme non occidentali, e l'altro riferite a un contesto musicale esteriore, come ad esempio l'idea di fare musica per il mondo intero". Ma come! l'idea di fare musica che parli a tutto il mondo è "esterna" all'impiego dei materiali? Inoltre, ad entrambe le accezioni si fanno risalire le diverse composizioni presenti nel disco, che risulterebbe, così, un lavoro sulla world! Allora, se quel che conta sono le influenze che le musiche del mondo hanno avuto sui compositori colti, quanti maestri del passato potrebbero definirsi profeti della world, cosa che riesce difficile da accettare. Così, si spera che il disco venga comprato e goduto per quel che è: una panoramica su musica scritta da compositori colti, qualcuno molto più illuminato di altri, eseguita in modo eccezionale da un grande interprete.

Girolamo De Simone 

 

 

 

FRANKEL

Symphonies 1 & 5. May Day Overture op. 22.

Queensland Symphony Orchestra Brisbane. W. A. Albert. CPO 999 240 - 2. 53'24". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO.  DDD.  Privo di notizie.

 

Interpretazione: DISCRETA

Benjamin Frankel, nato a Londra nel 1906, è poco noto come compositore, anche se chissà quante volte avremo udito musiche sue accompagnare film noti ("Tempesta sul Nilo", "La fine dell'avventura"). Dopo aver studiato in Germania, conobbe anni difficili, e suonò non solo come pianista ma anche come violinista, arrangiando brani di hot jazz, e diventando infine richiestissimo come direttore degli shows tenuti ai quartieri del West Ends di Londra. Nel 1933 la sua prima importante esecuzione "seria", ad un concerto tenuto presso il suo atelier, e l'emergenza delle sue ragioni di etniche, che lo portarono a considerare, per un certo periodo di tempo, l'opportunità di definirsi "compositore ebreo" come necessità esistenziale e riferimenti formali. Dal '34 scrive musica da film: le sue partiture ammontano ad un centinaio. Doveva poi pagare con lo scetticismo altrui il fatto d'essersi "contaminato" con la musica cosiddetta leggera. Approdò nel '46 alla Guildhall School of Music di Londra, dedicandosi con maggior cura alla sua produzione "complessa". Poi accade secondo noi l'irreparabile: perché nel '57 Frankel emigra in Svizzera, apprende il metodo di Schoenberg studiandolo assieme al suo amico Hans Keller, e tra il '62 e il '72 scrive le sinfonie, tra cui la prima e la quinta qui presentate. Evidentemente la voglia di crearsi una 'presentabilità' e di darsi uno statuto di 'musicista colto' rendono insopportabilmente pesante la sua scrittura: per averne una prova, si ascolti l'overture "May Day", del 1948, che chiude il disco: nove minuti di libertà.

Girolamo De Simone

 

 

CRUMB

Gnomic Variations. Processional. Ancient Voices of Children

Fuat Kent, Bourbeau, Schaaf, Ensemble New Art. WWE 31876. 54'25". Note (Ingl. Fr. Ted.).Testi.  Distribuzione: ????????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD.  Musikhochschule Munchen, Settembre-Ottobre 1992. Sufficientemente netti anche i suoni non convenzionali del pianoforte.

 

Interpretazione: DISCRETA

Di George Crumb ci siamo già occupati in uno dei numeri scorsi di CD classica, a proposito di Black Angels,  Thirteen Images from the Dark Land  (Nonesuch 7559-79242-2). Quello che abbiamo tra le mani, invece, è un monografico della serie "Col legno" che racchiude uno dei lavori fondamentali del compositore statunitense: le Ancient Voices of Children, scritto nel  '70 e composto di otto brani su testo di Garcìa Lorca, di cui due puramente strumentali, e cinque vocali. E' soprattutto su questi che si poggia l'attenzione, dal momento che vi trovano posto sia l'impiego di mezzi estremamente virtuosistici e sperimentali, sia la pratica della citazione deformata. Numerosi elementi interetnici arricchiscono, pertanto, un brano pensato per essere anche 'rappresentato', con elementi scenici come l'entrata a sorpresa di un giovane (boy, garzon) che canta come un soprano (nel disco è effettivamente una donna). Molto deludenti, invece, i due brani pianistici, specialmente le Gnomic Variations del 1981, che ho trovato prolisse e ripetitive (19'21"). Un bell'incipit m'è parso non reso con la dovuta sensibilità (che oggi finalmente tutti possediamo) dal pianista Fuat Kent, soprattutto per quel che riguarda le dinamiche. Più sopportabile Processional, che esiste curiosamente in due versioni: una senza effetti speciali (gli interventi all'esterno della tastiera), l'altra con questi ultimi.

Girolamo De Simone

 

           

 

 

RAIFF / VANDEN BOSCH / BEDEUR

On line. Lo"o"st Waltz. Sand glass. Ma non troppo. The words to say. Estepona. First tooth. Song for Mia. Lucky. Time goes too fast.

Raiff Trio, Farmer, Loos. Pavane ADW 7268. 54'37". Senza note. Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. Studio DES, Brussels, Gennaio 1992. Registrazione volutamente ovattata, dai toni intimi e discreti.

 

Interpretazione: BUONA

"On Line" raccoglie brani composti prevalentemente da Guy Raiff, eccettuato Sand Glass del batterista Luc Vanden Bosch e Lucky del contrabbassista José Bedeur. L'atmosfera della title-track è aggressiva e misterica, le sonorità abbastanza elettriche, senza mai eccedere in sforature dinamiche. Un lungo assolo del contrabbasso si intercala a quello della chitarra elettrica di Raiff, che quando non girovaga per la tastiera crea atmosfere lunghe con accordi tenuti. Il tutto resta sempre abbastanza comunicativo e 'ad effetto'. La seconda traccia, Lo"o"st Waltz  sembra evocare alcune atmosfere evansiane, almeno nell'accompagnamento e nell'armonizzazione di Charles Loos. Lo sviluppo resta piuttosto comune, ed il pezzo è complessivamente gradevole, anche se le frasi sono un po' prevedibili, specialmente nei crescendo e nelle rarefazioni discorsive delle frasi affidate al piano. Le atmosfere e gli accordi alla Miles Davis versione elettrica pervadono invece Sand glass, con qualche effetto al vetro di troppo, e qualche ingenuità nella eccessiva fluidità solo accordale di certi passi. Bello il suono un po' roco della tromba di Art Farmer in Ma non troppo, finché gli è possibile emetterlo senza manipolazioni e riverberi, che fanno un po' retro, un po' escursus vacuo già sentito. The words to say it concede molto al tessuto soft della batteria, ma dona grande scorrevolezza da standard a questo brano, forse sovrapponibile a qualche altra melodia di successo; delude, tuttavia, l'incapacità di sviluppo e di espansione strumentale delle linee tematiche: subito subentra l'invenzione solistica, forse senza aver portato a compimento le (belle) tracce già lanciate. La forma ABCA mi pare troppo riconoscibile. Lucky è un bel giochino di corsa canonica, il cui misterioso incipit viene però un po' rovinato dall'eccessiva razionalità dell'esposizione, e dalla non proprio sincrona esecuzione dei solisti. Mi pare debole anche l'armonizzazione della melodia conclusiva Time goes too fast, che non avrei usato per chiudere il compact. Comunque, complessivamente, 'On Line' resta un compact di qualità, una bella prova di mestiere per il Guy Raiff Trio, e un jazz d'atmosfera godibile. Ma nulla per cui scappellarsi oltre misura.

Girolamo De Simone

 

 

 

CLEMENCIC

Kabbala

Clemencic Consort, Clemencic. Col legno WW ICD 31861. Libretto d'accompagnamento, testi (Ted. Ingl. Ita. Fr.). Distribuzione: ????????

 

Giudizio tecnico:  BUONO.  DDD. Stereo. Chiesa di San Francesco, Cividale del Friuli. 29 luglio 1992. Buona spazializzazione, bella resa delle voci. Forse l'amalgama con l'orchestra poteva essere più bilanciato.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

La collana "col legno", specializzata in musica scritta dopo il 1950, ci propone Kabbala, un oratorio di René Clemencic. Artista versatile, ma a modo suo conseguenziale e completo, il Nostro è noto come direttore di un ensemble di musica antica, il Clemencic Consort, ma anche come musicologo, scrittore, compositore. A latere della sua attività squisitamente musicale, ha curato gli studi filosofici, e la passione per gli incunaboli, per opere e sculture particolari. Ha mani affusolate, e un volto che esprime profondità, spessore e un velo di dolorosa consapevolezza, proprio come la musica che scrive. La sua frase "cerco di usare suoni e complessi sonori come segni e cifre di esperienze e avvenimenti interiori" la dice lunga sulla capacità di esprimere effettivamente "l'immediatezza magica del suono e del gesto sonoro" in opere decisamente non convenzionali, perché fondate su un linguaggio originale, che scuote certe fibre del nostro sentire, usando probabilmente suoni arcaici arrivati da recondite profondità immaginative. La sua scuola lo collega ad allievi ed amici di Schoenberg, Ratz, Polnauer; studia dodecafonia con Johannes Schwieger. Ma quando usa queste tecniche, perlopiù con funzione di raccordo tra intuizioni sublimi, essa appaiono decontestualizzate. Prevale, a nostro avviso, l'arcaicità davvero moderna di segni sconvolgenti. Che assumono il senso di segni dei tempi in Kabbala, un oratorio estremamente coerente, il cui progetto è infatti quello di un cammino che è "il ritorno cosciente all'origine; nessuna regressione, ma piuttosto un ritorno in avanti". Ed è così che il compositore, partendo dagli antichi suoni delle lettere ebraiche, è arrivato quasi da solo "al materiale primordiale di questo oratorio; anziché inventarlo l'ho largamente trovato". Nella piena consapevolezza dei principi cabalistici, del "mondo unico" e globale, nella fusione delle sottili reti e trame che collegano l'esistenza di ciascuno a quella dell'universo intero.

Girolamo De Simone

 

 

 

SUMERA

Symphony No. 1; No. 2; No. 3.

Malmo Symphony Orchestra, Paavo Jarvi. Bis CD 660. 76'53". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisc, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Malmo Concet Hall, Sweden. 1993-94. Bel suono orchestrale.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

SUMERA

Musica tenera. Piano Concerto. Symphony No. 4.

Malmo Symphony Orchestra, Paavo Jarvi. Randalu. Bis CD 690. 55'07". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisc, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Malmo Concet Hall, Sweden. 1994. Bel suono orchestrale, buona definizione del timbro pianistico (ma non è un timbro tagliente, stile ECM)

 

Interpretazione: OTTIMA

 

Lepo Sumera non è un compositore conosciutissimo in Italia, nonostante i corsi tenuti a Darmstadt (ma non credo ai Ferienkurse, perché la cosa non risulta) e nonostante egli abbia ricoperto il ruolo di Ministro per la cultura in Estonia per ben cinque anni. La vocazione di questo autore è principalmente sinfonica, e va detto subito che il suo sinfonismo è 'di misura', e cioè che l'impiego dei mezzi orchestrali è sempre proporzionato alle idee compositive da esprimere. Questa capacità di adeguamento fa sì che le sue sinfonie da un lato raccolgano, come grandi operazioni di sintesi, temi e lavori presenti anche in precedenti lavori, e dall'altro siano, nonostante l'autocitazione parziale, estremamente coerenti e dall'ascolto mai regressivo. Usare l'orchestra, oggi, è cosa complessa e ardua, per i problemi estetici ai quali più volte su queste pagine s'è fatto cenno, e principalmente per la naturale prolissità delle forme, per la difficoltà di tradurre le differenze (e l'immediatezza) attraverso le tecniche di registrazione, per gli  impasti sovente troppo omogenei, e così via. Ma in queste esecuzioni c'è una cura particolare anche nella resa timbrica e dinamica degli insiemi, il che rende entrambi i dischi piccole gemme da ascoltare più volte. Oltre alle quattro sinfonie, basate su uno stile che l'autore definisce 'modale' (e che talvolta confina col tonale, ma la cosa non dispiace affatto), la coppia presenta Musica tenera, un brano di una decina di minuti, una sorta di arabesque per orchestra, e il bellissimo Piano Concerto, con Kalle Randulu solista che fa bella mostra una tecnica digitale notevole, di carattere e  piglio in grado di imporre certe atmosfere aggressive all'orchestra, specialmente nell' "Incantando, Feroce".

Girolamo De Simone

 

 

 

BACH (arr. Swingle Singers)

Bach Hits Back, a new a cappella tribute.

The Swingle Singers.  Virgin Classics 7243 5 45049 2 1. 53'31". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana ???????????.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, 1991.  Le voci vengono "strumentalizzate": gioco di parole per rendere una effettività, la presenza di un tecnico audio anche dal vivo.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

Per i non amanti del jazz, occorre dire che gli "Swingle Singers" furono un gruppo famoso per il virtuosismo vocale, nato nel '62 per impulso dell'americano Ward Swingle, ex membro dei "Blue stars" e dei "Double Six", con cantori francesi tra cui spiccava Christiane Legrand. Il loro primo disco fu proprio dedicato a Bach, e perfino Berio scrisse per loro un pezzo. Gli Swingle si sciolsero negli anni settanta, ma il fondatore, dopo essersi trasferito a Londra, formò gli "Swingle II". Nel 1984  Ward si ritira, ma il gruppo continua a vivere e a crescere, tenendo centinaia di concerti in tutto il mondo. Il disco che ci occupa ripete, con stile ed esecuzione differenti, l'originale successo iniziale. Fin qui la storia. Rispetto al commento, invece, occorrerà essere piuttosto rigorosi. Chi scrive, infatti, ha avuto modo di ascoltare dal vivo la nuova formazione, restando già allora deluso per la freddezza esecutiva, soprattutto agogica, e quindi, in sostanza, ritmica. Si ritiene, inoltre, che esistano anche caratteristiche vocali che fanno la differenza, dal momento che proprio lo "swing" pare assente dalle performance e dai virtuosismi vocali riprodotti anche nel compact. Mancando lo swing, allora, avremmo potuto seguire almeno le linee essenziali delle frasi bachiane, con alzati e fraseggi tipici di tutto un genere, quello della trascrizione da quel grande, che ha riempito ponderose compilazioni (si cita qui quella, credo ancora inedita,  di Arthur Schanz). Insomma, a chi giova risentire questi brani, laddove il sound generale dei primi interpreti, e di tutta una genia di imitatori, si dimostrava così efficace e completo? Solo alcuni degli arrangiamenti di Ward Swingle sono stati mantenuti, tutti gli altri sono di Ben Parry e Jonathan Rathbone, e non ci sembrano allo stesso livello.

Girolamo De Simone

 

 

LENNON & McCARTNEY

Eleanor Rigby. Here, there and Everywhere. Ticket to Ride. Fool on the Hill. She's Leaving Home. Penny Lane. Lucy in the Sky with Diamonds. A Hard Day's Night. Michelle. Hey Jude. Yesterday. You've Got to Hide Your Love Away. The Long and Winding Road.

Barrueco, London Simphony Orchestra, Lubbock.  EMI 7243 5 55228 2 5. 45'26". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Bergamo.

 

Giudizio tecnico: BUONO.  DDD. Stereo. Air Studios, London, 1994. Buon bilanciamento tra chitarra e tutti orchestrale. Suono pieno dell'orchestra.

 

Interpretazione: DISCRETA

Manuel Barrueco è considerato una stella di prima grandezza nel firmamento dei chitarristi classici. Pur non utilizzando appieno le intuizioni di Abel Carlevaro (autore della Serie Didactica para guitarra in quattro quaderni, dove affronta i problemi relativi ai salti in modo da evitare il fastidioso ronzio dello scivolamento della sinistra sulla tastiera), e lasciando qualche rumorino negli spostamenti, la sua tecnica è assolutamente prodigiosa, e di altissimo livello. Non staremo a piantare la solita grana del virtuosismo che uccide la musica, ma sposteremo il discorso su un altro piano, più vicino al commento di questo disco. Come ai lettori di CD classica è già noto, si sta verificando un curioso fenomeno, che funziona commercialmente (almeno da qualche anno a questa parte): la nascita e la proliferazione, di una Beatles music. Il fenomeno ha coinvolto John Bayless, che ancora gira per i festival con le sue bellissime e creative reinvenzioni. Recentemente, inoltre, forse complici la scoperta e la pubblicazione di alcuni inediti del mitico gruppo, ci erano capitati tra le mani due dischi, l'uno del Trio Rococo (oboe, violoncello e arpa) e l'altro di Peter Breiner e la sua orchestra, con arrangiamenti nello stile del concerto grosso (!!). Entrambi ci avevano affascinato perché comunque creativi nell'applicazione dell'idea di trascrizione e reinvenzione. Dal punto i vista compositivo, anche il compact di Barrueco è impeccabile: alcuni degli arrangiamenti per chitarra e orchestra sono mutuati proprio da Bayless, altri sono del genialoide Leo Brouwer, ed altri nientedimeno che di Toru Takemitsu (e sono forse i più intensi). Due songs sono trascritte da Jeremy Lubbock.  Quello che non va, invece, è proprio la freddezza esecutiva: come si fa a proporre un'operazione frivola (beneficamente frivola) come questa con la pesantezza di un'esecuzione da repertorio, e l'apoditticità dei classici? Se già non riusciamo a sopportare l'indifferenza dei virtuosi nell'esecuzione di opere di repertorio, come la si potrà lodare nelle canzoni dei Beatles?

Girolamo De Simone

 

 

 

ADAMS / GLASS / REICH / HEATH

Shaker Loops / Facades.  Company / Eight Lines / The Frontier

London Chamber Orchestra.  Virgin 7243 5 61121 2 4. 68'01". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese???????.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. All Saints Church, Petersham. Marzo 1990. Suono pulito e ben dettagliato.

 

Interpretazione: OTTIMA

Le opere di Glass, innanzitutto. Si tratta di Facade, originariamente scritta per Koyaanisqatsi, di Reggio, quel capolavoro sul macchinismo metropolitano che così bene si fonde alla ripetitività del minimalismo. La musica accompagnava una scena in cui compariva un montaggio dei grattacieli di Wall Street, ma successivamente si decise di tagliarla. Si tratta di un brano fortemente evocativo, che compare anche in un disco Sony già recensito su queste pagine, nella versione del Philip Glass Ensemble (nella discografia  di Glass compare anche una versione per la Angel, con Wilson al flauto, che non conosco) ed è di quelli miliari di Glass. L'altro pezzo, Company , è un lavoro pensato per il teatro, e trae il suo stesso titolo da un romanzo di Samuel Beckett (sua prima esecuzione data nell'inverno dell''84 al Public theatre de New York). Anche questo brano compare in una compilation del Kronos Quartet, ovviamente in altra versione e con ben altro climax (Elektra Nonesuch 79111-2, 1986). Il pezzo di Reich, pur sempre aggressivo e macchinico, appare un po' smussato dall'esecuzione orchestrale, ma la cosa non gli nuoce. Vera rivelazione di questo compact, tutavia, è il brano di apertura, il più lungo della raccolta, Shaker Loops, di John Adams, clarinettista e direttore d'orchestra, in forza al conservatorio di San Francisco. Raramente ho sentito musica minimale così espressiva, e anche quelle rare volte era di matrice europea. Questo viene solitamente rimproverato ad Adams, ma a me pare che non sia così importante restare all'interno dei confini di un genere, specie laddove supplisca l'espressività e la comunicabilità di un brano. Il brano del flautista Dave Heath, sorta di bis ad effetto, è sicuramente aggressivo, e vuole avvicinarsi alle sonorità rock, anche per l'uso frequente dei glissati. Le trovate restano, tuttavia, un po' scontate.

Girolamo De Simone

 

MACMILLAN / BOLCOM / COPLAND / SCHNITTKE / DRESHER

Kiss on Wood / Second Sonata for violin and piano / Nocturne / Sonata No. 1 / Double Ikat - Part 2

Bachmann, Klibonoff. Catalyst 09026 62668 2. 66'39". Note (Ingl.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Clinton Studios, NYC, 1Febbraio e Marzo 1994. Ottima resa delle dinamiche

 

Interpretazione: OTTIMA

Considerando il bel viso di questa violinista si sarebbe tentati, istintivamente, di sottovalutarne le capacità. E invece, ascoltando il disco Catalyst, che si allinea agli altri per l'accuratezza della grafica (e recentemente anche per l'originalità delle proposte) si inverte rapidamente il (pre)giudizio, semmai interrogandosi su come mai vengano distribuiti i talenti, se tanta sensibilità musicale corrisponde ad una immagine tanto veicolabile secondo gli standards della migliore industria discografica. La Bachmann, vincitrice di vari concorsi, si attesta come specialista in musica americana, riuscendo a raccogliere importanti dediche e prime esecuzioni di compositori viventi. E' accompagnata al piano da Jon Klibonoff, che non dispiace affatto al pianoforte,  soprattutto per la misura. Voglio segnalare un momento forte della  carriera di Klibonoff, e cioè la collaborazione con Glenn Gould come solista della Hamilton (Ontario) Philarmonic Orchestra. Il disco presenta una raccolta di opere piuttosto varie, alcune anche godibili dal punto di vista degli ascolti "deboli" (ma si badi alle virgolette): tra questi certamente il quarto movimento della seconda Sonata per violino e piano del poliedrico William Bolcom, dal titolo esplicativo di "In memoria di Joe Venuti". Anche il Notturno di Copland non delude, e il duo non getta alle ortiche l'occasione lirica che gli si presenta. Bello lo sforzo interpretativo offerto da Kiss on Wood, un brano di MacMillan, compositore di cui s'è già parlato su queste pagine a proposito di un monografico che includeva Busqueda e Visitatio sepulchri. S'era invocata allora una grande padronanza tecnica,  lamentando però esiti compositivi un po' eterogenei. Questo brano, tuttavia, mi pare più motivato di altri. Il disco contiene anche la Sonata No 1 di Schnittke, che trovo macchinosa, ed il lirico ed atmosferico Double Ikat di Paul Dresher, che chiude giustamente il disco: se  si perdona la provocazione, ecco finalmente un autore dei giorni nostri.

Girolamo De Simone

 

 

 

TRADITIONAL

Chanukah (arr. Lenzon)

Lenzon, Moscow Ensemble of Jevish Music. MK 427133. 63'29". Note (Ingl. ). Distribuzione: ??????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Mosca, 1993. Timbri, impasti e spazializzazioni un po' arcaiche, ma funzionali al tipo di disco.

 

Interpretazione: DISCRETA

"Chanukah" è una festività religiosa ebraica che si protrae per otto giorni, celebrata tradizionalmente con canti, danze, coinvolgimento di fanciulli in giochi canori. Il disco che si presenta è appunto una silloge di brani appartenenti alla tradizione ebraica, folk e religiosa, generalmente associate a "Chanukah", e in grado, come dice Victor Lenzon di comunicare l'atmosfera religiosa ed il simbolismo generale della festività-Festival. Lenzon è direttore musicale della registrazione, del Mitzwa Ensemble, autore degli arrangiamenti. Inoltre suona il piano e accompagna al clavicembalo il baritono Boris Finkelstein, cantore della sinagoga di San Pietroburgo, dalla scura voce russa un po' melanconica, capace di sfruttare i microtoni e le piccole appoggiature tipiche di questo stile .  Altri solisti sono Alexander Gurevich al clarinetto, Alexander Bronweiber al violino, e il tenore Leonid Bomstein. Il coro dei giovani di S. Pietroburgo è diretto da David Zapolsky, e pare possedere un bel vivaio di voci  soliste in grado di reggere il confronto ed il passo con quelle più vissute del tenore e del baritono.  L'atmosfera complessiva del compact riesce sicuramente a trasmettere il messaggio (il programma) che i loro ideatori s'erano proposti: il risultato, tuttavia, resta un po' confuso, perché un gran numero di tracce si susseguono nei 63'30" di durata complessiva, presentando formazioni ed atmosfere sovente molto diverse e variabili. Questo, se trasmette la vena mistica e malinconica di un popolo, e la profonda nobiltà del suo sentire, nuoce un po' all'oggetto disco (al disco come oggetto d'arte da fruire in pieno godimento).

Girolamo De Simone

 

 

MULLER-SIEMENS

Die Menschen

Trauboth, Larsen, Jalbert, Steinberger, Macdonald, Unger, Danner, Eger, Overmann, Pia, Jones, Renard, Holland, Scheder, Diakov, Stossinger, McGrath, Mydtskov, Stache, Hardegger.  Wergo (2 cds) WER 6253-2. 38'41". 49'56". Note (Ted. Ingl. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico:  MEDIOCRE. DDD. Stereo. Theater Basel, Live-Mitschnitt der Vorstellungen vom 14 und 16 /2/1993. Si ha la precisa sensazione di non omogenee prese del suono; spesso i cantanti sono coperti; le masse orchestrali sono talvolta confuse.

 

Interpretazione: DISCRETA

Detlev Muller Siemens, di cui Wergo pubblica in cofanetto l'opera Die Menschen (Gli Uomini), è un giovane compositore, classe 1957, vincitore di numerosi concorsi internazionali, meticolosamente elencati nella notizia biografica che in genere accompagna i cds, allievo di importanti numi dello sperimentalismo di questo secolo (tra cui Ligeti, e Messiaen) e infine vincitore di un "professorato di composizione" alla Musik Akademie. Notevoli le sue frequentazioni darmstadtiane: un Trio eseguito nel '74, anno nel quale risulta anche vincitore del Kranichsteiner Musikpreis, un Notturno nel '76. L'etichetta che gli venne affibbiata, assieme ad Hans-Jurgen von Bose, Hans-Christian von Dadelsen, Rihm, Schweinitz e Trojahn, fu quella di Neue Einfachheit, ovvero di "Nuova Semplicità" (la mia fonte è l'insostituibile storia di Darmstadt scritta da Antonio Trudu), per il tentativo perseguito, ma non efficacemente portato a termine, di conquistare nuovo pubblico. La nuova semplicità fece presto a diventare "neo-romanticismo", portando al successo l'opera di Wolfgang Rihm. Ma torniamo al nostro compact: Die Menschen (1989/90) si ispira ad un testo di Walter Hasenclever, che ha affascinato Muller Siemens per l'alternanza dialettica "luce/oscurità". Ma nel programma del compositore c'è l'intento deliberato di affrancare i personaggi dal mero espressionismo, per denudarne l'aspetto crudemente realistico, o come dice egli stesso, per eliminare ogni forma di "significazione". La musica, come spesso accade per lavori pensati per essere arricchiti dalla scena, è un po' deludente, non presenta caratteri di particolare riconoscibilità dell'autore, e se non perpetua il crisma della novità (per nostra fortuna), non riesce nemmeno particolarmente comunicativa o memorabile per la bellezza di qualche trovata tecnica. La cosa che mi vien da pensare è che anche ai concorsi di composizione si vinca per la capacità di "stare nel mezzo", cioè di non scontentare nessuno. Tranne naturalmente chi volesse emozioni.

Girolamo De Simone

 

 

HILDEGARD VON BINGEN / SOUTHER

Vision

Souther, Van Evera, Fritz.  Angel 724355524621. 56'04". Note e testi (Ingl.). Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DAD. Stereo. St. Andreas Church, St. Walburga Monastery, England. Privo di data. Ottima spazializzazione, bel timbro delle voci.

 

Interpretazione: OTTIMA

Il compact in esame raccoglie opere della mistica tedesca Ildegarda di Bingen, nata alla fine del mille e cento e vissuta fino al 1179. Monaca benedettina, divenne badessa e fondò un proprio convento. E' nota come poetessa (le sue visioni influenzarono diversi papi ed imperatori), ma anche come autrice di un trattato medico. Ultimo ma non ultimo, compose anche una serie di brani d'ispirazione sacra, fra cui responsori, inni, sequenze, antifone e un kyrie. Importante la sacra rappresentazione Ordo virtutem.  Vision, titolo appropriato del cd, si basa sui testi (riportati integralmente nel libretto accluso, ma non in italiano, come al solito), e su temi originali della Santa, naturalmente armonizzati e modificati secondo le esigenze compositive di Richard Souther. In generale, c'è in primo piano la voce di due vocaliste eccezionali, Emily Van Evera e Sorella Germaine Fritz, con un effetto ambient in parte naturale (la registrazione è stata effettuata in una cripta), in parte ottenuto grazie al sottofondo spesso intrigante e curato degli accompagnamenti sintetici o campionati. Il risultato è uniforme, di qualità medio-alta, e la sensazione all'ascolto è delocalizzante, sia dal punto di vista storico-temporale che da quello della collocazione spirituale: è ancora musica mistica, oppure anche un po' demonica? Certo è musica gotica: va verso il cielo e verso le fondamenta, come ci insegna Fulcanelli in un libro famoso e misterioso. 

Girolamo De Simone

 

 

SCHNITTKE

Symphony No. 2 'St. Florian'

Bellini, Eliasson, Ernman, Borelius, Mikaeli Chamber Choir, Eby, Royal Stockholm Philarmonic Orchestra, Lysell, Segerstam.Bis CD-667. 59'31". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisc, Milano.

 

Giudizio tecnico:  DISCRETO. DDD. Stereo. Stockholm Concert Hall, Sweden. Febbraio 1994. Sonorità un po' soffocate.

 

Interpretazione: BUONA

 

GUBAIDOLINA

Silenzio. De Profundis. Et Expecto. In Erwartung

Draugsvoll, Moller, Brendstrup, Raschèr Saxophone Quartet, Kroumata Percussion  Ensemble. Bis CD-710. 69'02". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisc, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Luoghi e date di registrazione differenti. Bella resa delle dinamiche degli archi.

 

Interpretazione: DISCRETA/BUONA

La Bis presenta due monografici dedicati, rispettivamente ad Alfred Schnittke e a Sofia Gubaidulina. Nel primo c'è la seconda Sinfonia, St. Florian , chiamata così per le suggestioni provate durante una visita alla tomba di Bruckner. Avendola trovata già chiusa, Schnittke s'avventurò nella chiesa barocca vicina, restando sorpreso dal canto che proveniva da qualche luogo nascosto alla vista; una sorte di "messa invisibile" suggestiva e spiritualmente significante. Fu così che, al momento della commissione della Sinfonia, pensò ad una struttura su due livelli: uno più profondo, su corale, l'altro in evidenza, con l'orchestra e la vera e propria sinfonia che si fa spazio tra le voci del coro e dei solisti. L'armonia di riferimento, inoltre, è sempre ispirata alla forma della croce, forma visiva, naturalmente, ma pur sempre risultante dall'incontro e sviluppo di due accordi. Questo conferisce una certa pacata sobrietà alla scrittura, che si dipana con conseguenzialità per circa un'ora, a cavallo di sei movimenti, ispirati alle sezioni della messa,  quella messa invisibile che l'aveva impressionato. Un bel lavoro, anche se bisogna dire che non mi pare che in questo genere Schnittke sortisca gli stessi risultati di Gorecki, e ancor meno quelli di Part.

Del compact dedicato alla Gubaidolina, devo purtroppo confessare di sopportare soltanto il primo brano, Silenzio, perché mi pare essere il meno crudemente sperimentale, il più denso ed introspettivo. La personalissima compositrice russa mi pare generalmente sopravvalutata, ed i suoi lavori sono discontinui: ad alcune idee eccezionali seguono sviluppi di pari valore. Altre volte, invece, la bella personalità cede il passo all'assenza di idee, e la scrittura diventa meno accurata, di maniera. Ma, ripeto, Silenzio, che affianca Geir Draugsvoll al violino di Arne Balk Moller e al violoncello di Heinrik Brendstrup, occupa i primi venti minuti del compact, e forse anche da solo può giustificarne l'acquisto.

Girolamo De Simone

 

 

MACMILLAN

Seven Last Words from the Cross . Cantos Sagrados

London Chamber Orchestra. MacMillan, Polyphony, Layton, Bowers-Broadbent. Catalyst 09026 68125 2. 68'01". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. St John-Hackney, London. Settembre 1994. Bilanciamento tra coro e strumenti non sempre ottimale.

 

Interpretazione: DISCRETA / BUONA

 

JONES / SAMUELS / LANSKY / SHABALALA / COLTRANE / ALDRIDGE / MANGIONE / MACKEY

Legal Highs / Wood Dance / Hop / Nansi Imali / Naima / Combo Platter / Feels so Good / Feels so Baaad

Marimolin. Catalyst 09026 62667 2. 64'41". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, NYC. Febbraio/aprile 1994. Belle e chiari dinamiche e timbri.

 

Interpretazione: OTTIMA

Di MacMillan ci siamo già occupati su queste pagine, sempre per due dischi Catalyst. Nel primo, un monografico, si presentavano  Busqueda  e Visitatio Sepulchri, e si notava come la scrittura, ancorché fresca e sufficientemente 'passionale', secondo una definizione che del britannico viene data, non ci sembrava poi tanto strabiliante, anche se delle idee originali affioravano qui e là. Queste impressioni venivano superate all'ascolto del secondo compact (una compilation di vari compositori che includeva anche pezzi di Bolcom, Copland, Schnittke e Dresher) laddove Kiss on Wood c'era parso più motivato, anche se mai straordinario quanto Double Ikat di Paul Dresher, il più attuale autore a quel disco consegnato. Anche queste Seven Last Words from the Cross , del '93, per coro e orchestra d'archi, ci sembrano discontinue, e un po' pretestuose, certamente non memorabili. Qualcosa in più dicono, forse, i Cantos Sagrados del 1989, per coro e organo. L'incipit mi ricorda stranamente la musica di Orff.

Marimolin è un minuscolo ensemble costituito da violino e marimba: Sharan Leventhal e Nancy Zeltsman, alla loro prima, straordinaria, prova discografica. Il genere è difficile da inquadrare, e proprio per questo è di quelli che più si fanno amare. Recita la copertina: "Come definire la musica di quest'album?", ed in effetti, le due 'marimolizzano' tutti i brani eseguiti, talvolta con l'ausilio di altri strumenti. Di certo, le influenze jazz non si contano, ma anche quelle sudafricane, e non solo nel brano di Joseph Sabalala. Dal minimalismo alla sperimentale noiosa, dal coolswing all'avanguardia seriosa, una bella panoramica non esente da grande gusto esecutivo. Girolamo De Simone

 

ORFF / KEETMAN

Musica poetica, Orff Schulwerk

Tolzer Knabenchor, Kammerchor der Staatlichen Hochschule fur Music, Stuttgarter Sprechchor, Schieri, Schmidt-Gaden, Mende, Godela Orff-Buchtemann, Orff. RCA Victor 09026 68031 2 (cofanetto di sei compact) Oltre sei ore di musica. Note ( Ted. Ingl.). Distribuzione: RCA-BMG, Roma

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Date e luoghi di registrazioni variabili per ciascun compact (dal 1963 al 1971); in questa compilazione:1994. Poca spazializzazione, eccessiva freddezza digitale.

 

Interpretazione: BUONA

 Un cofanetto di sei dischi e un cospicuo libretto contenente tutti i testi e le analisi (ma in tedesco e inglese, quindi non si pensi nemmeno lontanamente di trarne troppi benefici), con il metodo concepito nel 1930 da Carl Orff per educare una gioventù che sarebbe poi andata ad affollare le trincee e gli obitori dell'esercito nazista. L'opera fu ideata insieme a Gunild Keetman, quando per diversi anni Orff lavorò alla scuola di danza Gunter, e fu poi pubblicata in cinque volumi a cavallo tra il 1950 e il '54. Si tratta di un metodo progressivo di apprendimento della musica, basato sull'intuizione del legame esistente tra ritmicità del parlato e canto. Si avvale, inoltre, della progressione d'apprendimento intervallare, soprattutto modale, abbinata al ritmo del movimento della danza e a quello di glockenspiele, xilofoni e varie altre percussioni. Prevede, inoltre, davvero bella intuizione, la possibilità di una certa improvvisazione dei bambini.

Ascoltando i sei compact,  se si resiste all'assillo delle numerose cantilene e filastrocche (magari prendendo il respiro nei brani strumentali e per coro), si coglie una morbosa attenzione per l'infanzia, per la trasformazione ed educazione dei bambini,  tipica della cultura tedesca e che traspare in modo non casuale anche da Germania Anno Zero, il film che Rossellini dedicò proprio al problema dell'educazione in quel paese. Una certa intolleranza, rigidità, disaffezione per gli aspetti più giocosi  traspare anche dall'ordinata, selettiva, per carità anche efficace e corretta, serie di esercizi e pezzettini dello Schulwerk. Grande precisione nell'esecuzione da parte del Kammerchor der Staatlichen Hochschule fur Music, del Tolzer Knabenchor e dello Stuttgarter Sprechchor (i direttori sono Frits Schieri, Serhard Schmidt-Gaden ed Heinz Mende), grande commozione per le vocette, ma per carità che non escano mai dal tempo, che siano sempre ben intonate, infiorettate, irregimentate in un ordine che è stato definito già in tempi lontani volutamente inconsapevole della nozione di 'crisi', di 'entropia', per essere invece informato alla volontaria chiusura in zone melodiche circoscritte. Chi scrive non fa certo vangelo di quanto scritto da Adorno a proposito della musica giovanilistica, ma bisogna pur dire che qualcuna delle osservazioni del filosofo/musicista, da tedesco a tedesco, potessero essere valide.  Il rischio, tuttavia, che parte della critica ha corso nel confrontarsi con la potenza della modalità di Orff, è stato certamente quello di cadere in una ideologia all'incontrario, incapace di vedere che il musicista, facendo un passo indietro, anticipava alla grande un ritorno alla modalità che s'è poi puntualmente verificato. Inoltre  è innegabile che molte opere, e diverse delle canzonette qui presentate, hanno in effetti una forza, una potenza, una chiarezza indiscutibili. La cosa sicura è che il caso Orff è ben lungi dall'essere inquadrato dalla critica, e proprio per questo merita grande attenzione del pubblico.

Girolamo De Simone

 

 

 

PEYRETTI

Les Souvenirs Oublies

Gazzolo, Gasdia, Melos Art Ensemble. Emi, 7243 5 55329 2 3. 59'55". Note ( Ita. Ingl.). Testi (Ita). Distribuzione: Emi italiana, Varese

 

Giudizio tecnico: MEDIOCRE. DDD. Stereo. Scuola di Alto Perfezionamento musicale di Saluzzo, Giugno 1994. Per il commento vedi recensione.

 

Interpretazione: DISCRETA

Di certo con un bel cast, ecco il disco realizzato dal Melos Art Ensemble su musiche di Alberto Peyretti. Si tratta di "cinque testimonianze valdostane di origine diversa, ma di chiara ispirazione locale", poi articolate in sette tracce divise tra gli interventi musicali e la narrazione delle fiabe. La voce calda e densa è quella di Nando Gazzolo, la cui presa è però troppo vicina e pulita per propiziare la fusione con l'ensemble. La musica entra ed esce dal racconto sottolineandolo in modo descrittivo, del tipo: "E riprese a raccontare mentre i lupi ululavano alle stelle e nel vento della notte aleggiava un canto di fanciulla", ed ecco entrare la Cecilia Gasdia che marca la narrazione. La scrittura mi pare piuttosto legata, di tipo impressionistico, ma anche la registrazione non aiuta a creare troppe magie, dal momento che i piani assegnati agli strumenti, anche nella loro relazione con le voci, sono chiaramente frutto di scelte non funzionali: il pianoforte è palesemente in lontananza, e già s'è detto dell'eccessivo rilievo dato al narratore ed alla voce. Nel complesso, un progetto che trovo difficile da valutare con il criterio della semplice recensione discografica; potrebbe più agilmente essere destinato al teatro, e funzionare a meraviglia.

Girolamo De Simone

 

 

A.A.V.V.

Music and Memory (antologia)

Antologia di vari gruppi, Cohen. Erato 4509-91777-2. 71'02". Note e testi ( Fr. Ingl. Ted.). Distribuzione: Warner classics, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Date e luoghi di registrazione diversi per gruppi di brani. Buon lavoro nell'equiparare la qualità tra le differenti registrazioni

 

Interpretazione: BUONA

Questo "Musica e memoria" è un antologico dedicato a Joel Cohen, di cui ci siamo occupati su queste pagine a proposito di due monografici: "The American Vocalist" e "An American Christmas". Il compact raccoglie il meglio del direttore americano, dalla versione medievale del Tristano e Isotta, ai canti dei Trovatori del dodicesimo secolo, passando anche per i dischi che abbiamo già citato, ed alle cui recensioni rimandiamo. Alcuni brani sono davvero notevoli,come The Great Day, uno dei più antichi testi della tradizione occidentale, o come il Salmo In Exitu Israel, che ci precipita in atmosfere religiose e mistiche di lontanissima fattura. In Altas Undas il provenzale Raimbault de Vaquerais adatta e trasforma una melodia portoghese ancora più antica, di certo suggestiva. Altri brani, come Le Lai du Chèvrefeuille o Yseult dans sa chambre  narrano le vicende d'amore tra il musicista di talento Tristano, e la bella Isotta, che scrive lettere nella sua stanza. Interessante anche la versione di Bacche bene veniens estratta dal celebre manoscritto dei Carmina Burana.

Girolamo De Simone

 

 

TALGORN

Vinum et Sanguinem

Camerata de Bourgogne, Estourelle, Piquemal, Heraud. Pierre Verany PV79013. 67'39". Note e testi ( Fr. Ingl. ). Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Espace Grevin de Lion, dicembre 1993. Buona fusione tra gli insiemi e i solisti.

 

Interpretazione: BUONA

Frederic Talgorn è più noto come autore di musica per film e d'occasione, come nel caso del "Giovane Indiana Jones", e del "Percorso della fiamma" per i giochi olimpici d'inverno del '92. Ha però un catalogo che comprende opere per orchestra, come la Petite Suite dans les ideés, scritta su commissione di Radio France, da camera (un Trio con piano, le Variations Cellulaires per flauto, arpa e trio d'archi), e per strumento solista: un concerto per tromba, ed una Elegy per contrabasso ed archi. Il compact  ci propone Vinum et sanguinem, un'ode a San Vincenzo eseguita dalla Camerata di Borgogna, solisti Catherine Estourelle, Michel Piquemal ed Andre Hèraud, col coro "De la Sainte Vincent" diretto da Roger Toulet.  Si tratta di una cantata in tre parti per narratore, soprano e baritono soli, coro misto, ensemble strumentale ed organo, su testo latino (per il canto) e francese (per la narrazione). Il titolo è ispirato ad una delle feste consacrate, nella regione della Borgogna, al vino: la "Sainte Vincent Tournante", anche se non è chiara la relazione esistente tra il vino e il santo (un'ipotesisuggerita dall'autore è quella etimologica: Saint Vincent come "Vin/Sang", e si pensi alla pronuncia francese). Talgorn ha costruito l'opera centrandola su tre figure chiave della Bibbia, che in qualche modo si incontrano col simbolismo del Vino (si consulti anche Guenon, in proposito): Noe, Melchisedec, e Gesù,  alle quali viene dedicata la sezione centrale (altro simbolismo: a ciascuno dei tre vengono affidati quattro numeri di traccia, o quattro sottosezioni: si ricordi che il numero magico per eccellenza è il sette, e non il tre, per ragioni qui troppo lunghe da spiegare). Un Preludio, che presenta i materiali in nuce, ed un Inno al Santo chiudono un compact denso e mistico, di cui sento di censurare soltanto l'eccessiva enfasi declamatoria del narratore, e la scelta della lingua madre del compositore per staccare questa parte dal resto dell'Inno.

Girolamo De Simone

 

 

 

TRADITIONAL

Palais Royal de Yogyakarta. 2. La musique instrumentale

Ocora Radio France C 560068. 65'58". Note ( Fr. Ingl. Ted.). Distribuzione: ???????????????.

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Java 1971-73. Bella evanescenza degli amalgami percussivi

 

Interpretazione: BUONA

 

 

TRADITIONAL

Chamanes et Lamas

Ocora Radio France C 560059. 69'50". Note ( Fr. Ingl. Ted.). Distribuzione: ???????????????.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. ADD. Stereo. Luoghi non precisati, 1991-93. Ottima presa strumentale; un po' in lontananza le voci degli sciamani

 

Interpretazione: OTTIMA

Questi due dischi  di Ocora Radio France (Harmonia Mundi) sono dedicati rispettivamente alla musica strumentale dell'isola di Giava (appartiene all' arcipelago dell'Indonesia, ed è vicina allo stretto di Bali) ed alle pratiche misteriche degli sciamani e  buddiste dei lama della Mongolia. Cominciamo da quest'ultimo, dal momento che ci è parsa di estremo interesse la ricostruzione dei due aspetti portanti tentata dai curatori (in realizzazione di un progetto dell'Unesco). La prima traccia occupa diciannove minuti, ma riesce ad ipnotizzare l'ascoltatore,  per la bellezza e varietà del ritmo,  per la nenia cantata dallo sciamano,  per i suoni imitativi dei versi di animali magici, e le risate propiziatorie. La registrazione è dell'agosto del '92, lo sciamano ha la bella età di ottantuno anni (Darqad), e tutta la famiglia è presente, in piena notte, al rituale: ma non si pensi di ascoltare qualcosa di realmente magico, dal momento che si tratta soltanto dell'augurio di buon viaggio fatto alla spedizione di occidentali. Anche il secondo sciamano è piuttosto anziano, ha settant'anni (Buriat) ed effettua un rituale magico-medicamentoso: sono altri diciannove minuti un po' più lenti, molto ritminici, anche se si tratta, in sostanza, più che di musica, di una nenia accompagnata. Meraviglioso, poi, musicalmente parlando, l'incipit dell'Ufficio del "Tchogtchin Qural" del monastero dell'Erdeni Zuu: da qui si può partire per capire la musica di Giacinto Scelsi. Belli anche i suoni e le voci delle invocazioni ai protettori (quarta traccia) Mahakala, Dharmarajaia, Lhamo, al monastero di Gandan: veramente emozionanti nelle micromodulazioni che effettuano glissati di tutto il coro. Consiglio il disco non solo agli esperti di musica etnica, ma anche a quelli che amano la contemporanea espressiva. Più deludente, invece,  il compact dedicato a Giava, perché un po' ripetitivo e molto percussivo, anche se in grado di farci respirare l'aria di quell'arcipelago. Da rilevare anche la capacità di accelerazioni e ritardandi corali molto precisi e d'effetto.

Girolamo De Simone

 

 

TRADITIONAL

Chants des Peoples of Russia

Chant du Monde CMT 274978. 66'05". Note ( Fr. Ingl.). Distribuzione: ???????????????.

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Luoghi differenti da traccia a traccia, date non precisate. Un po' fastidioso l'effetto ambient.

 

Interpretazione: BUONA

Il compact presenta canti registrati in differenti regioni della Russia, soprattutto in villaggi. Si susseguono, così, il villaggio Sousemka della Regione di Briansk, il villaggio Jivotovo di quella di Tula, il Kevrola (Arkhangelsk), lo Yuva (Sverdlovsk), della regione Tartara, del villaggio Besstrachny (Krasnodar), e infine lo Zavgorodnéié (Kharkov). Le tipologie presentate vanno da canti d'origine religiosa a canti nuziali d'origine folklorica,  di buon viaggio o d'addio, lamentazioni per cerimonie funebri, canti di danza. La prima sezione (tracce 1-5) presenta perlopiù brani monodici, molto simili tra loro; la seconda (tracce 6-10), con un fastidioso effetto ambiente, che però suggerisce la lontananza tra le voci soliste che si richiamano a distanza, e sottolinea l'entrata del tutti, è interessante soprattutto per la somiglianza che ho rilevato tra la nona traccia, Une araignée rampe sur le coquelicot, ed un canto d'origine finlandese chiamato Golbma Irkki. La terza sezione (tracce 11-18), si basano su un sistema di stretto contrappunto tra due fasce melodiche affidate a due sezioni corali, voci giovani e acute e più scure o di anziane, con una solista che fa 'disturbo' attraverso piccole variazioni e abbellimenti. Interessanti anche le altre sezioni, anche se, nel complesso, il disco stanca ad un ascolto prolungato.

Girolamo De Simone

 

 

TRADITIONAL

Cantari la nunta, Musique de noces en Valachie (Romania)

Auvidis B 6799. 63'12". Note ( Fr. Ingl.). Distribuzione: ???????????????.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Luoghi differenti da traccia a traccia, date non precisate. I suoni sono un po' imbottigliati.

 

Interpretazione: DISCRETA

Il compact raccoglie soprattutto musica per taraf, ensemble strumentale o vocale e strumentale a composizione variabile. Molte ballate, canzoni d'amore e melodie di danza, come illustra Speranta Radulescu, hanno trovato proprio in questa formazione un luogo di sviluppo insuperato. E' musica in cui trova spazio soprattutto il violino, con innumerevoli variazioni e interpolazioni al canto, ma spesso c'è il piccolo timpano o  tambal, che crea un curioso sottofondo che noi definiremmo 'stonato', o parzialmente intonato. C'è inoltre il contrabbasso, la fisarmonica, e talvolta un secondo violino. Le influenze orientali (sciite e tartare) si sentono, e non poco, ma anche quelle bizantine e turche. L'atmosfera complessiva è quella della settimana di festeggiamenti prevista per le cerimonie nuziali rumene. Un compact da consigliare soltanto ai cultori specializzati nel genere, perché è ripetitivo e poco digeribile.

Girolamo De Simone

 

 

 

BLITZSTEIN

Symphony "The Airborne". Dusty Sun.

Bernstein, NYC Symphony Orchestra, RCA Victor Chorale, Shaw. RCA Victor 09026 62568. 59'00". Note (Ingl. Ted. Fr.). Testi. Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. ADD. Mono. Lotos Club, NYC. 30 ottobre 1946 (The Airborne). RCA Studio, NYC. 27 novembre 1946 (Dusty Sun). Per considerazioni tecniche approfondite si rimanda al testo della recensione.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

Nel ciclo dedicato  agli anni giovanili di Bernstein, che ha già visto apparire altri due compact (il primo con la Piano Sonata di Copland e alcuni brani dello stesso Bernstein, il secondo con Un americano a Parigi di Gershwin, il concerto in Sol di Ravel ed altro), la RCA presenta ora la sinfonia-opera-cantata di Marc Blitzstein, con Bernstein sul podio della New York City Symphony Orchestra, affiancato dalla RCA Victor Chorale diretta da Robert Shaw (anche nella funzione di 'narratore', o 'monitor'). Il disco è un documento di grande interesse storico, e ripropone un lavoro scritto durante la guerra ma rappresentato soltanto dopo la sua conclusione. Lo stile è quello del teatro musicale, e benché Blitzstein abbia studiato a Parigi con l'immancabile Boulanger e a Berlino con Schoenberg, il brano si presta ad attualizzazioni notevoli, e non casualmente fu ripreso anche da Orson Welles. Come non è un caso che il secondo brano (una chicca finale, che vede Bernstein al pianoforte accompagnare il baritono Walter Scheff) sia un canto estratto da Native Land, un film documentario. L'ascolto è gradevole, quindi, e il compact dovrebbe piacere a chi adora  la commedia musicale.

Il compact è un riversamento dal 78 giri (Disc-to-digital). Come è noto, in fase di rimasterizzazione, il sistema digitale consente una 'ripulitura' efficace dei rumori di fondo e dei picchi, più una serie complessa di espedienti utili a riprodurre soltanto i suoni 'puri'. La scelta, peraltro giustificata e gradita, di conservare intatta la piena frequenza della registrazione originale evitando metodi troppo radicali consente di ascoltare un suono effettivamente più fedele dal punto di vista filologico. Tuttavia, naturalmente, certe distorsioni nei fortissimi, e un certo appiattimento generale, ripropongono una delle questioni sorte all'inizio dell'era del compact, quando ci si divise in cultori del fruscio e amanti della freddezza riproduttiva. Sappiamo oggi quale delle estetiche ha vinto, e non rimpiangiamo nulla (anche per il fatto che, volendo, di vecchi dischi sugli scaffali ne abbiamo un bel po'), ma non si può non interrogarsi sulla reale consistenza di una 'filologia' spesso costruita a tavolino.

Girolamo De Simone

 

 

COPLAND

Grohg. Prelude for chamber orchestra. Hear Ye! Hear Ye!

The Cleveland Orchestra, London Sinfonietta, Knussen. Argo 443 203-2. 68'27". Note (Ita. Fr. Ted. Ingl.). Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Severance Hall, Cleveland, Ohio. 3 maggio 1993. Suoni un po' incapsulati, con pochi armonici in libertà.

 

Interpretazione: BUONA

 

Grohg è la prima opera orchestrata da Copland, scritta su invito della Boulanger che aveva intuito le doti descrittive e la predisposizione al balletto del nostro (seguiranno Billy the Kind, Rodeo, Appalachian Spring...). L'opera ha genesi certa ma vita difficile, dal momento che l'originale del '24 ed una revisione del '32 andarono presto smarrite, dopo una sola esecuzione per pianoforte a quattro mani (tra parentesi: risulta difficile comprendere come possa avere influenzato i "cliché dei compositori di Hollywood" se è stata poi eseguita per la prima volta al festival di Aldeburgh nel 1992: la solita preclusione per la musica da film, o la  distinzione post-neo-idealista tra opera pura e mista?). Il compact presenta anche in prima assoluta Hear Ye! Hear Ye!, nella quale erano confluiti alcuni dei materiali utilizzati per Grohg e poi dispersi.

Anche Il breve Prelude nasce da più scritture successive,  pensato per Nadia Boulanger e quindi strutturato in modo da piacerle. Più precisamente, si tratta di una rielaborazione della Sinfonia per organo e orchestra del 1924, eseguita per la prima volta dalla New York Symphony orchestra sotto la direzione di Walter Damrosch. Joseph Machlis riporta il seguente giudizio espresso dal direttore subito dopo la prima: "se un giovane di ventitré anni può scrivere una sinfonia come questa, fra cinque anni sarà pronto a commettere un omicidio". Ma questa battuta non tragga in errore il fruitore: il Preludio è senz'altro opera accessibile, e fin troppo francese per i gusti di chi è abituato ad ascolti trasgressivi, ed alle particolari commistioni della musica americana, talora così underground, talaltra così miserevolmente europeizzante. L'esecuzione della London Sinfonietta è particolarmente vivace, più vivida, meno preoccupata e 'professionale' (in senso peggiorativo, ovviamente) di quella della Cleveland Orchestra.

Girolamo De Simone

 

 

 

HUSA

Music for Prague 1968. Reflections. Fresque.

Slovak Radio Symphony Orchestra, Kolman. SMarco Polo 8.223640. 54'57". Note (Ingl.). Distribuzione: ??????????.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Concert Hall of the Radio in Bratislava, novembre 1993 e febbraio 1994. Eccellente lavoro nella resa dei crescendo, che mai sforano per eccesso.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

Karel Husa, nato a Praga nel 1921, fu professore alla Cornell University, già allievo di Nadia Boulanger ed Arthur Honegger per la composizione e di Eugène Bigot, Jean Fournet e André Cluytens per la direzione d'orchestra. Il suo stile compositivo dimostra la competenza e la conoscenza profonda dell'orchestra, con masse strumentali che si muovono con pienezza (ma non ridondanza) e colori utilizzati all'estremo  delle possibilità orchestrali con crescendo e decrescendo per piccoli segmenti. Temi (e ritmi) evidentemente riferibili ad una matrice popolare vengono manipolati ben oltre tale origine, specie in Fresque dove il riferimento corre obbligatoriamente ad Honegger. L'interpretazione di Barry Kolman e della Slovak Radio Symphony Orchestra è d'alto livello, per passionalità e concentrazione: nel Moderato della seconda Sinfonia, Reflections, è esemplare  l'attenzione per le sfumature, come notevole resta il contrasto col molto allegro del secondo movimento, risolto più in senso ritmico-ossessivo che melodico. Che suono pieno e denso, poi, nel finale! si sente finalmente l'amore degli orchestrali, ed evidentemente del direttore, per un professionismo non aberrante, non consuetudinario, vivo e teso alla vera sperimentazione. L'atteggiamento mentale di questi veri interpreti è simile a quello dei maestri di un tempo, ma quell'atteggiamento produce una ventata di fresca vitalità e convinzione sul terreno della contemporanea 'colta'. Il disco è chiuso da Music for Prague 1968, un brano che si ispira ai procedimenti seriali, anche se non ne fa vangelo.

Girolamo De Simone

 

 

KOGOJ

Andante. Preludij. Portret. Sette Pezzi. Piano (vol. primo e secondo).

Crtomir Siskovic, Arciuli. Stradivarius STR 33342. 61'03". Note (Ita. Ingl.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Sala dei Congressi, Ortisei, Bolzano. 17-19/6/1994. Eccessivo effetto ambiente nei brani per pianoforte solo.

 

Interpretazione: BUONA

 

Marij Kogoj è autore non proprio conosciutissimo, nato a Trieste alla fine del secolo scorso e scomparso nel 1956 dopo mille peripezie, lunghi vagabondaggi ed una inasorabile malattia nervosa che lo porterà al silenzio e alla morte. Il compact in esame raccoglie l'opera completa per violino e pianoforte, da un Andante tardoromantico e a tratti berghiano ai Sette pezzi, vere miniature aforistiche, passando per il Preludio ed uno struggente "ritratto",  perlopiù tonale, ma struggente ed introspettivo, come dovette essere la natura dello sfortunato compositore. L'esecuzione di questi pezzi sceglie appropriatamente la strada della concentrazione sulle mezze tinte, senza cercare inutili virtuosismi o effetti da recital, e privilegiando tocco e suono. Crtomir Siskovic ed Emanuele Arciuli sicuramente colgono le peculiarità di un linguaggio originale, non privo di citazioni (di certo non consapevoli, ma simili a riferimenti per ascolti ed amori concettuali), e nel complesso unitario. Bene fa Arciuli, pianista noto per l'altro disco Stradivarius dedicato a Ferruccio Busoni e per l'attività critica ed esecutiva relativa ai Paralipomènes à la Divina Commedia di Liszt, di rilevare nelle note di copertina la singolarità delle chiuse dei brani di Kogoj: sovente inaspettati troncamenti, anticipi di follia o decostruzione della compiutezza dei linguaggi.

Il compact è reso più ricco dalla presenza di Piano, una raccolta di brani per pianoforte solo, ma non una suite organica. Infatti i singoli pezzi sono slegati per lunghezza, espressività, riferimenti. Tale discontinuità è compensata dalla bellezza aforistica, e ancora berghiana,  di Skica.

Girolamo De Simone

 

 

 

LAMBERT

The Rio Grande. Concerto. Horoscope.

Stott, Jones, BBC Singers, BBC Concert Orchestra. Argo 436 118-2. 69'07". Note (Ita. Fr. Ingl.). Testi. Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Walthamstow Assembly Hall. Giugno 1991. Una maggiore ricerca timbrica sarebbe possibile nella resa del pianoforte, il quale, specie nel Concerto, risulta talora in secondo piano.

 

Interpretazione: OTTIMA (Stott). BUONA

 

Versatile uomo di cultura e musicista poliforme, Constant Lambert fu il primo inglese ad avere l'onore di una commissione da Diaghilev (e mi ricorda per questo il nostro Rieti). Noto, e spesso citato, come acuto osservatore della realtà musicale degli anni Trenta, non fu autore prolifico, tant'è che il disco che qui si presenta sembra raccogliere circa metà della sua produzione, dando così modo di valutare sia la vocazione per il balletto (con Horoscope, una suite tratta dall'omonimo balletto, la cui partitura andò dispersa) che la capacità di trattare parola e versi, con l'armonica lirica The Rio Grande di Sacheverell Sitwell. Ma già in questo brano, che ha una singolare orchestrazione, Lambert  mostra una predilezione per il pianoforte, che zampilla energia e si comporta un po' da solista richiamando su di sé  l'attenzione dell'ascoltatore. Di certo viene fuori l'allusione al jazz, quello umoristico e bianco, ma non alla Giuffre, perché l'atmosfera complessiva pare piuttosto vicina ad un uso leggero e spregiudicato (citare Gershwin sarebbe fin troppo ovvio). Ambedue i caratteri, la predilezione per il pianoforte e l'amore per il jazz vengono fuori in modo completamente diverso, certo per il programma di costruire un brano con un forma precisa, e pur sempre diviso in tre movimenti (Overture, Interméde e Finale). Scompare qui l'energia di The Rio Grande, e l'articolazione del linguaggio segue modi e forme più vicine allo sviluppo 'colto' e 'classico'. Se questo costituisca un bene o un male per le sorti future del Concerto giudichi il lettore: certo a noi pare che i pastiche di musicisti jazz che si avvicinano al classico siano egualmente deludenti degli esperimenti apparentementi progressisti (lo erano all'epoca di Lambert)  tentati da musicisti d'area 'colta'. E sicuramente i pasticci devono essere pasticci, e non si può gustare una meringa come se fosse un'acciuga.

Girolamo De Simone

 

 

REVUELTAS

Homenaje a Federico Garcia Lorca. Sensemaya. Ocho X Radio. Toccata. Alcancìas. La noche de los Mayas.

New Philharmonic  Orchestra, Mata, London Sinfonietta, Atherton, Orquesta Sinfònica de Jalapa, Herrera de la Fuente. 69'31". Note (Ingl. Sp.). Distribuzione: ???????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Date e luoghi di registrazione diversi per ciascun brano. Non sempre soddisfacenti gli amalgami fra differenti strumenti e tracce.

 

Interpretazione: BUONA

 

 

MORAN

The Dracula  Diary.

Houston Grand Opera, Holmquist. 71'25". Note (Ingl.). Testi. Distribuzione: ???????????????

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Cullen Theater, Houston. 21 e 22 marzo 1994. Bel gioco di timbri differenziati emergenti nelle diverse tracks.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

Un gusto un po' macabro informa questi due dischi della Catalyst, un'"antologico dedicato a Revueltas dal tenebroso titolo Notte dei Maya, con scheletri visibili in trasparenza sulla copertina e un teschio in bella evidenza sulla superficie argentata del compact. Il secondo propone l'opera in un atto di Robert Moran Il diario di Dracula e, come si può immaginare, ha in copertina una croce tombale con il viso al negativo, stampato in rosso, di una delle malcapitate interpreti femminili, Laura Knoop. Stessa croce stampigliata sul disco. Come se non bastasse, i compact compaiono in una serie che raccoglie "Memento Bittersweet" , "Visitatio Sepulchri" ed "Of Eternal Light"! Ma veniamo al dunque: nel monografico per Revueltas, la New Philharmonia sembra arrancare un po' nelle velocità lanciate da Eduardo Mata nei primi due minuti di Homenaj a Federico Garcìa Lorca, quelli vicini alla politonalità sudamericana di Milhaud. I riferimenti incrociati si perdono in decine di nomi, qualora si continui nel gioco comparativo: si va da Strawinsky  per Sensemaya a Prokofiev per La noche de los Mayas fino all' umor popolar-folclorico (senza mai citare espressamente melodie messicane) di Ocho X Radio, per la verità presto decostruito in semplici giochi a due voci alla Poulenc. Qui, anche la London Sinfonietta non pare al meglio di sé nel concretizzare la repentina energia necessaria  a questi brani. Comunque il disco merita l'acquisto, sia per l'esiguità di contributi analoghi, sia per la bellezza propulsiva e la vitalità che comunque la musica riesce ad emanare.

Nato a Denver, nel Colorado, ma presto allievo di Hans Erich Apostel a Vienna per la dodecafonia, e poi di Milhaud e Berio al Mills College di San Francisco, Robert Moran presto fonda il San Francisco New Music Ensemble, e raccoglie le prime importanti commissioni. Catalyst, in particolare, dimostra interesse per il compositore, commissionandogli un'opera su testi di Cage. Il progetto che qui lo vede impegnato è quello di un'opera sui vampiri, con un libretto di James Skofield, rappresentata recentissimamente, in prima mondiale, al Lillie and Roy Cullen Theater in Texas, credo sempre con lo stesso cast (Laura Knoop, James Maddalena, Ray Very, Jill Grove...) e con la direzione di Ward Holmquist.  Il tessuto musicale è originale, anche se personalmente soffro della mancanza dell'elemento scenico, e gli stili utilizzati sono vari e mai seriosi, anche se riesce difficile immaginare dei vampiri che cantano così bene e in modo tanto 'lirico'.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

TRADITIONAL

Anthologie de la musique Bulgare vol. 3

Groupe vocal féminin, Daneva, Marinova, Mindova, Atanasov, Peytchev, Vasiliev.  Le chant du Monde CMT 274977. 71'36". Note (Ingl. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Diversi luoghi di registrazione, molti non indicati, 1976-1981.  Qualità disomogenea delle registrazioni. Le voci sembrano sempre un po' appiattite timbricamente.

 

Interpretazione: DISCRETA

 

Questo compact è il terzo dedicato ad una panoramica sull'eterogenea musica balcanica, che raccoglie una decina di lingue, senza calcolare i dialetti. La Tracia, in particolare, è tra le zone più ricche di canti folclorici, anche per la presenza della danza come naturale momento aggregante delle parti più depresse e meno ricche della popolazione.

Qui non v'è traccia, come suggerisce Herman Vuylsteke, dei ritmi irregolari che caratterizzano altra musica bulgara, e ciò apparirebbe motivato dal fatto che l'occupazione ottomana delle zone cittadine avrebbe interessato ben poco quelle rurali, che rappresenterebbero, in tal modo, la parte più "ancestrale", e quindi originale e tradizionalmente più pura di quella zona. Le stesse danze sui carboni ardenti risulterebbero pertanto una reminescenza di più antiche usanze, collegate ai culti orgiastici precristiani.

Così, il compact presenta inizialmente una serie di canti di costume del villaggio di Krepost, arrangiati da Haskovo, che personalmente ritengo poco interessanti. Alla settima traccia, però, il villaggio di riferimento diventa quello di Dobritch, e a voci soliste si aggiungono ensemble strumentali locali. Imitazioni degli strumenti a fiato possono ascoltarsi nelle ornamentazioni dei solisti. Il compact non mantiene sempre lo stesso livello di interesse, e lo consiglierei solo a chi è particolarmente coinvolto dalla ricostruzione etnica delle diverse tradizioni musicali.

Girolamo De Simone

 

 

CAGE

The 25-Year Retrospective Concert of the Music of John Cage (3 CDs). Six Short Inventions for Seven Instruments. First Construction in Metal. Imaginary Landscape No. 1. The Wonderful Widow of Eighteen Springs. She is Asleep. Sonatas and Interludes. Music for Carillon No. 1. Williams Mix. Concert for Piano and Orchestra.

A. Ajemian, M. Ajemian, Allan, Brockway, Broiles, E. Brown, P. Brown, Butterfield, J. Cage, X. Cage, Carmen, Cohen, Colgrass, Cunningham, Dennison, Fisch, Gromko, Jansen, Kaufman, Lolya, Martin, Price, Rehark, Rosenberg, Schwartzberg, Smith, Taiko, Tudor. Wergo 6247-2 286 247-2. 39'20". 28'35". 37'04". Note (Ingl. Ted.). Distribuzione: Florence International.

 

Giudizio tecnico: BUONO. AAD. Mono. Town Hall, NY, 15-5-1958. Trattasi di registrazione live mono, con i pregi (di documentazione storica) e i difetti (soprattutto di appiattimento delle sonorità) che ciò comporta.

 

Interpretazione: OTTIMA / BUONA

 

La Wergo presenta un bel cofanetto dedicato a John Cage, con la registrazione del concerto di New York, alla Town Hall, del 15 Maggio del 1958. Come può rilevarsi anche soltanto dando un'occhiata agli interpreti coinvolti nel progetto di quella storica retrospettiva, i tre compact rappresentano una ghiotta occasione, non tanto per la conoscenza della musica, o della particolare interpretazione che fu data dei brani più o meno aleatori di Cage in quella circostanza (risate, proteste ed applausi compresi), ma per verificare quali fossero gli standard esecutivi nel confrontarsi sia con la prima produzione, dalle Sei invenzioni per sette strumenti del '34, sia con quella  intermedia del  Concerto per pianoforte e orchestra, la quale come è noto già metteva a frutto circa otto anni di esperimenti sull'alea, secondo la massima "opera affinché nulla di ciò che si indica all'esecutore produca qualcosa di già previsto". Alla eccezionale riproposta documentale si affianca, naturalmente, la particolare riuscita di alcuni brani, come ad esempio di Imaginary Landscape No1 del '39, dove la mano di Cage nel manovrare frequenze e microfoni si nota proprio nella capacità di micromodulare  le altezze e le intensità, e di manomettere la simmetria del tempo, subito diventato ondulazione, respiro conseguenziale ma irregolare. Più speculativi gli interventi al piano dello stesso Cage, che soltanto in seguito risolverà il complesso rapporto con lo strumento secondo l'ottica di una estetica consapevole e creativa, piuttosto che meramente distruttiva. Non ci si può esimere, infine, dal segnalare le esecuzioni di David Tudor, interprete privilegiato e storico di Cage, non mancando provocatoriamente di segnalare come si stia pian piano creando una storia delle esecuzioni (con tanto di filologica riproduzione delle pagine della edizione originale) anche per musica così volatile.

Girolamo De Simone

 

 

COPLAND

The Complete Music for Solo Piano

Smit. Sony Classical SM2K 66 345. 59'18". 58'17". Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. ADD, DDD. Stereo. NYC. 1978, 1993. In tutte le registrazioni vengono rispettate corposità e pienezza del timbro pianistico.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE.

 

Leo Smit non è un pianista qualsiasi. A quattordici anni aveva lavorato con Dimitri Kabalevski, Isabella Vagerova, Nicolas Nabokov. A quindici lavorava come pianista per l'American Ballet Caravan al fianco di George Balanchine e Igor Stravinskij, in opere come Apollon Musagète, Baiser de la fée e Jeu de cartes. Ha incrociato il suo percorso con Bernstein, Copland, Stokowski, Hindemith, e con numerosissimi altri artisti di rilievo, risultando dedicatario di opere, primo esecutore, direttore, trascrittore. Un lavoro da musicista, insomma, più che da mero pianista. Non a caso, Leo Smit è conosciuto anche come compositore, ed è ben rappresentato su disco con Copernicus, At the Corner of the Sky e con i suoi Canti di meraviglia per coro maschile. Una simile parentesi di vita non può che produrre effetti mirabolanti in opere come quelle di Copland, di cui Smit offre l'integrale: piccoli brani ma anche lavori monumentali, e sia la consapevolezza della forma che il gusto dell'aforisma sono presenti nell'interpretazione. Le melodie vengono "cantate" con gioia; i blues ed i molteplici riferimenti alla cultura jazz vengono recepiti con energia e consapevolezza delle pratiche di questo genere. Il tutto con un'energia sempre presente, ed apparentemente inesauribile. L'approccio particolare al mondo della musica viene anche reso dialogico da Leo Smit in un omaggio a Copland pubblicato nel libretto d'accompagnamento: "Il mondo antico comprende 142 specie di cucù. In America del Nord non ce ne sono che due: il coccyzus erythropthalmus Ives ed il coccyzus americanus Copland". Il cucù Copland non eviterà d'esplorare il nido ancestrale d'Europa, ma tornerà alla terra natale per elevarsi  alto nell'aria, e cogliere il vero spirito americano.

Girolamo De Simone

 

 

VARèSE / IVES

Amériques. Symphony No 4, The Unanswered Question.

The Cleveland Orchestra, Jahja Ling, The Cleveland Chorus, Morrell, Von Dohnànyi. Decca 443 172-2. 60'52". Note (Ingl. Fr. Ted. Ita.). Distribuzione: PolyGram Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Severance Hall, Cleveland, Ohio, 1992-1994. Mentre gli amalgama orchestrali sono ben riprodotti, il suono delle sirene avrebbe meritato un trattamento particolare in entrata.

 

Interpretazione: BUONA.

 

Riuscì davvero Varèse a riprodurre con l'orchestra i glissati metropolitani delle sirene? Gli bastò inserirne qualcuna nel corpus di una grande orchestra per emulare il "significato" profondo che possiede lo stridio lacerante di una sirena notturna all'interno di una città? Riescono a cogliere gli interpreti di oggi il mistero (fabbrica, ambulanza, polizia) che quel suono poteva evocare (normalità del lavoro, eccezionalità di un incidente, delitto o ferimento) nell'ascoltatore sensibile, esteticamente sollecitato?  Varèse dovette subire l'incomprensione del pubblico per questo suo sentire ante litteram: la comprensione del mistero un po' decadente e un po' progressista della promessa della civiltà industrializzata occidentale. Quella promessa è ancor oggi irrisolta, in bilico tra le possibilità di un futuro virtuale (e il gioco si incrocia sul senso ancora metà fasullo e  metà concreto di questa parola) ipertecnologicizzato oppure dalla nuova barbarie,  in agguato dietro i cips dei computer. Non è un caso che il silenzio di Varèse si sia poi protratto fino all'avvento del nastro, che consentiva uno sviluppo conseguenziale al suo modo di trattare l'orchestra, e dava luogo concreto ad un immaginario urlo metropolitano, all'irrisolta questione dei nuovi mondi sollevata da Amériques.

La maestosa quarta Sinfonia di Ives segue nel compact in esame, accomunata al precedente brano di Varèse dal medesimo destino di incomprensione e di insuccesso: davvero esistono autori che parlarono prima di altri un linguaggio del domani, che intuirono la mescolanza dei generi e dei temi musicali possibili a darsi in una musica che soltanto da qualche decennio si è affacciata sul panorama internazionale, conquistando finalmente il successo che merita. Un'opera straordinariamente attuale proprio per la confusione che veniva prima additata a difetto del lavoro del geniale imprenditore/compositore americano.

Il compact è chiuso da Unanswered Question, domanda irrisolta sul destino dell'uomo, che richiama a più vicine memorie, ad un Quaesivi et non inveni angoscioso e vicino al nostro sentire contemporaneo.

Girolamo De Simone

 

 

A.A.V.V.

Kongerei. Lacrymosa. Mugam Sayagi. Quartet No. 4. A Cool Wind is Blowing. K'Vakarat. Night Prayers.

Kronos Quartet. Throat Singers of Tuva. Dawn Upshaw. Djivan Gasparian. Alexandrovich. Elektra Nonesuch 7559-79346. 78'54". Note (Ingl.). Distribuzione: Nuova Carish, Milano.

 

Giudizio tecnico: ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Skywalker Sound, Marin County, California. The American Academy of Arts and Letters, New York, Mechanicus Hall, Worcester, Massachusetts. 1992-94. Straordinario lavoro sia per definizione dei suoni che per il trattamento delle voci. Meravigliosi crescendo, credo ottenuti anche con mezzi tecnici.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE.

 

Questo disco dei Kronos abdica felicemente al presupposto dell'avanguardia per l'avanguardia, che rendeva i precedenti lavori  troppo speculativi, ed intellettuali in eccesso. La strada imboccata è quella delle collaborazioni con altri interpreti (già nel compact dedicato a Bill Evans c'erano Eddie Gomez e Jim Hall), ed evidentemente si tratta di una scelta vincente sia per l'oggettiva qualità di quest'ultimi, sia perché si ha il coraggio di rompere la logica stringente (e un po' oppressiva) della scrittura per quartetto. Per quanto l'uso di "effetti speciali" avesse caratterizzato sin dall'esordio questa formazione (dal vivo e in sala di registrazione), e non si fossero lesinate sovrapposizioni su nastro ed uso del computer, riuscendo così a creare strutture 'aperte' per un genere tanto nobile quanto inflazionato come quello del quartetto d'archi, era inevitabile che il passo successivo sarebbe stato quello dell'apertura ad incroci con altre culture anche attraverso il lavoro d'insieme. Ed è proprio quello che avviene in Night Prayers, fin dalla prima traccia, Kongerei, che propone un Traditional arrangiato nel 1993 da Mackey con la presenza delle tre voci eccezionali dei Throat Singers of Tuva. Si tratta di un canto d'emigranti, il popolo dei Tuva giunto in Mongolia dalla Siberia: la profondità gutturale delle emissioni richiama atmosfere imperdibili, da monastero zen o canti di pastori.

Molto bella anche la voce della soprano Dawn Upshaw, caratterizzata timbricamente, e puntuale nell'intonazione infratonica: non ci si aspetti però il soprano-strumento tradizionale. Sorprende l'emergenza del violoncello in Mugam Sayagi, della compositrice azera Franghiz Ali-Zadeh, con uso di strumenti tradizionali e impiego degli archi alla maniera orientale (l'incipit e la chiusa piaceranno agli amatori di Scelsi). Complessivamente, tutto il disco è godibile, perfino il quartetto della Gubaidulina, insolitamente espressiva.

Girolamo De Simone

 

 

SCHUMAN / HANSON / THOMSON / GERSHWIN / SESSION / IVES / MENNIN / PISTON / COPLAND

String Quartet No. 3 / Quartet in one Movement, op. 23 / String Quartet No. 2 / Lullaby for String Quartet / String Quartet No. 2 / Scherzo for 2 violins, viola and cello / String Quartet No. 2 / String Quartet No. 5 / Two Pieces for String Quartet.

The Kohon Quartet. Vox Box 11 59192. 75'46". 77'20". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????.

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Date e luoghi di registrazione non indicati. Scelte timbriche ben operate.

Interpretazione: OTTIMA.

 

 

THOMSON / HANSON / ROREM / MACDOWELL / SCHUMAN

Louisiana Story / Symphony No 6 / Symphony No 3 /Suite No. 2 op. 48 "Indian Suite" / Symphony No 7.

Westphalian Symphony Orchestra, Landau, Westchester Symphony Orchestra, Utah Symphony Orchestra, Abravanel. Vox Box 11 60212. 62'56". 57'42". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????.

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Date e luoghi di registrazione non indicati. Non sempre il livello di resa delle sonorità orchestrali è omogeneo.

Interpretazione: BUONA.

 

La Vox Box presenta il terzo volume degli Unknown String Quartets, ed una silloge di brani per orchestra, più noti, di compositori americani.

E' di una semplicità disarmante, e quindi affascinante, la Lousiana Story (specialmente la Pastorale) di Virgil Thomson, scritta originariamente per un film documentario sui Cajuns, un gruppo di madrelingua francese residente nella Louisiana: la musica risale al 1948 e dimostra che Philip Glass ha in comune con Thomson qualcosa in più del fatto d'essere stato allievo della Boulanger: ascoltare per credere. Più classicheggiante il secondo quartetto, scritto nel 1932, benché il progetto di formare una struttura in continua modulazione ciclica appaia sicuramente riuscito.

Howard Hanson, nato nel 1896 e scomparso nel 1981, si muove dalla matrice romantica ("Abbraccio il romanticismo con fervore, convinto che troverà in questo paese una nuova crescita"), e le sue opere sinfoniche sono notevoli soprattutto per l'architettura. La Sesta Sinfonia, non conosciuta quanto la Nordica, la Romantica, ed il Requiem, è tra le preferite dall'autore proprio per questa profonda unità formale. Anche il quartetto in un movimento, interpretato con giusta introspezione dal Kohon Quartet, è ben strutturato, ma richiama Franck e Rachmaninov senza la medesima felicità tematica, e Stravinskij senza la necessaria poliritmia.

Di Ned Rorem si è recentissimamente recensito il Piano Concerto per sola mano sinistra ed orchestra, dove ci si entusiasmava per l'estro, la freschezza e la progettualità del compositore. Questi caratteri restano inalterati nella terza Sinfonia, specie nell'Allegro molto vivace e nel conclusivo Allegro molto, anche se nella scrittura per orchestra Rorem tende ad appesantire la scrittura.

Edward MacDowell (1861-1908) è stato tra i fondatori della musica americana, e per questo motivo viene sovente ricordato, anche se non altrettanto spesso eseguito, nonostante la sua vocazione tardoromantica. Nella           Indian Suite raccoglie temi e melodie degli Iroquois, Chippewa, Iowa e Kiowa, ma il suo sinfonismo è pesante, arcaico, teso alla ricerca di una legittimazione. Una nota: il suo secondo concerto per pianoforte fu dedicato alla grande Teresa Carreño, e da lei fatto conoscere in Europa nel 1890.

Schuman, scomparso recentemente (1992), ha scritto non pochi lavori per orchestra, molti dei quali su commissione, e perciò eseguiti abbastanza frequentemente. Schuman teneva in modo particolare soprattutto alle ultime tre sinfonie, e quindi anche alla Settima, scritta nel 1960 e qui proposta nell'esecuzione della Westphalian Symphony Orchestra diretta da Landau. Si tratta di un sinfonismo di grandi dimensioni, apodittico e serioso, perlopiù tonale (ma il male non è qui di certo), gestito anche bene tecnicamente, ma forse noioso, perché si ha la sensazione che non accada nulla di straordinario. Soltanto il terzo movimento, Cantabile intensamente, ha momenti di lucidità introspettiva. Pure il terzo quartetto non lascia nulla di memorabile.

Segnaliamo, infine, che nel doppio dedicato ai quartetti trovano posto anche una simpatica Lullaby di Gershwin, e lo Scherzo di Ives interpretato anche dal Kronos.

Girolamo De Simone

 

 

TRADITIONAL

Thai Classical Music

The Prasit Thawon Ensemble. Nimbus Records,  NI 5412. 67'30". Note (Ingl.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio, St. Giles, Cripplegate, 9 luglio 1993. Il particolare timbro dei differenti strumenti è riprodotto con buona fedeltà.

 

Interpretazione: BUONA

 

Il disco in esame raccoglie quattro brani di musica sacra tailandese suonati dal Prasit Thawon Ensemble. Nel primo, Homrong Sornthong, il compositore, Luang Pradit Pairoh, si ispira  al modello di Sathukarn, un lungo pezzo di musica sacra, dal quale seleziona e sutura frammenti in modo da creare una differente organizzazione tematica. Ciò avviene attraverso l'uso di molteplici accordature tra gli strumenti, a differenza del sistema tradizionale che ne prevede una soltanto. In Homrong  è presente l'organico più ricco, con oboe, percussioni, xilofoni, cembali e Khong Wong Yai, una sorta di impalcatura circolare che supporta più di un gong. Segue Sumran Dontri Klong, una lunga suite compilata dal Maestro Prasit Thawon (dal quale prende nome l'ensemble) in occasione di un dottorato in musica conferitogli dall'Università dello Srinakharingwirot, alla quale è infatti dedicato. La Suite è stata poi eseguita all'Università di Londra nel luglio del '93. Si tratta di un insieme di brani che si susseguono senza interruzione alcuna, con frequenti cambiamenti di tempo e velocità, secondo lo stile classico tailandese,  assemblando temi originali, spesso sincopati, ad altri appartenenti alla tradizione.

Il terzo pezzo, Sarama, prevede un organico di solo tre persone, con percussioni, cembali e Pi Chawa, uno strumento a fiato d'origine indonesiana dal suono stridente e piuttosto intrusivo e fastidioso. Il che spiega il fatto che Sarama, con le sue incalzanti percussioni, sia usato per accompagnare le fasi della boxe tailandese, famosa per l'uso di colpi di gomito e ginocchiate anche mortali. Il compact è chiuso da Cherd Chin, altro standard della tradizione classica qui presentato in una antica versione del secolo scorso.

Girolamo De Simone

 

 

WAYNE

Symphony No. 5 "Africa"

The State Philarmonic of Brno, Svàrosky. Newport Classic NPD 85569. 46'34". Note (Ingl.). Distribuzione: ????????????.

 

Giudizio tecnico: MEDIOCRE. DDD. Stereo. Studio, Czech Republic, Aprile 1993.  Eccessivo risalto delle percussioni.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

 

 

Questo compact è idealmente dedicato all'aspirazione di libertà, ritmica ed esistenziale, del popolo africano. E' un monografico di Hayden Wayne, compositore e librettista di Africa... a tone poem. Fin qui il progetto: che poi le scelte stilistiche per realizzare il programma funzionino o meno è quantomeno discutibile. Ad esempio, nella danza tribale iniziale, l'unica ritmicità che riesco a rintracciare è un fortissimo colpo simmetrico che sfora e svetta su pulsazioni costanti. Né si rintracciano elementi tematici che suggeriscano la capacità ipermodulante, ed infratonica, delle canzoni africane. Ma tutto sommato, grazie alla gradevolezza di un temino ripetuto, si passa alla seconda traccia speranzosi. Quand'ecco che ci aspettano al varco altri colpi assolutamente ritmici, fortissimi e inspiegabili: scelta estetica o problema di registrazione? Forse si sarà pensato che "africano" dovesse essere sinonimo di "casino con le percussioni", cosa assolutamente indimostrabile ed aberrante, per chi abbia un minimo di dimestichezza con le effettive, variegate, percussioni di quel continente. Che dire se non segnalare che quello che ci era sembrato un pregio, il fatto che si dimostrasse sensibilità per certe problematiche, e si venisse da una esperienza di scrittura di musiche cinematografiche e commerciali (una nuova estetica prende piede in questa direzione), si rivela all'ascolto motivo d'estrema delusione.

Girolamo De Simone

 

 

 

JAN PEERCE SINGS HEBREW MELODIES

A Plea to God. Rozhinkes mit Mandlen. A Shepherd, a Dreamer. Mom-e-le. A Zemerl. A Dudele. Kol Nidrei. Meyerke, Mein Zun. Eili, Eili. Shiroh.

A Cantor for a Sabbath. Peerce, RCA Victor Orchestra. BMG  09026 61687 2. 41'28".  Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. ADD. Stereo. Webster Hall, NYC, Gennaio e febbraio 1960. Nonostante si tratti di registrazioni dei primi anni sessanta, la resa timbrico/armonica della voce è molto bella, grazie alla tecnica del Living Stereo, ampiamente descritta nel libretto esplicativo

 

Interpretazione: OTTIMA

"Hebrew Melodies" ripropone (le registrazioni sono del 1960) su compact alcune melodie ebraiche cantate da Jan Peerce, con l'accompagnamento della RCA Victor Orchestra. Si tratta soprattutto di traditional, cioè di brani evidentemente legati a doppio filo alla tradizione sacra di quel popolo, e tuttavia provenienti o raccolti in luoghi differenti,  di origini remote o più recenti. Si tratta, quindi, di un'antologia, in cui gli arrangiamenti ci consegnano intatta e pulita la linea melodica, con l'orchestra che accompagna e asseconda, come è giusto che sia, il celebre tenore americano, che iscrisse nel suo curriculum anche frequentazioni jazz e leggere, nonché l'interesse per le musiche da film. Così, la scelta degli arrangiamenti è solo in alcuni casi vicina ad una ragione etnica, risultando più spesso funzionale all'esecuzione solistica, sia dove è presente il coro (massimamente, ad esempio, in A Zemerl ), sia dove è invece l'orchestra a sottolineare con frasette cromatiche che simulano i glissati folclorici, le belle permutazioni vocali su un bordone. Troppo simile ai recitativi d'opera la riduzione di Kol Nidrei, e di nuovo filmica e citazionista A Cantor for a Sabbath. A ben vedere, valutando oggi queste incisioni, mi pare grandissima la voce e l'intuito interpretativo di Jan Peerce, ma pessime tutte le trascrizioni, non solo perché datate, dal momento che pasticci simili sono frequenti anche oggi, ma perché tendono ad attenuare le contaminazioni, riportando una melodia evidentemente tradizionale all'interno dei canoni della musica occidentale. Nulla di cui meravigliarsi, visto che l'han fatto anche grandissimi musicisti, e mi sfugge l'esistenza di un genere compiuto in sé che si mantenga puro e non presenti questi caratteri. Ma mi pare che se Peerce dimostra d'essere capace di osare, e di confrontarsi con modalità esecutive di tale difficoltà, avrebbe potuto anche abdicare al pregiudizio della supremazia virtuosistica, e preoccuparsi un po' di più del musicale che gli accadeva attorno. In due parole: perché c'è intuizione etnica nell'esecuzione della linea melodica e non nella trascrizione?  Girolamo De Simone

 

 

 

SUK

A Summer's Tale, op. 29.

Royal Liverpool Philarmonic Orchestra. Pesek. Virgin Classics 7243 5 45057 2 0. 51'56".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese

 

Giudizio tecnico:  BUONO. DDD. Stereo. Philarmonic Hall, Liverpool. Maggio 1994. Resa dei pastelli orchestrali soddisfacente.

 

Interpretazione: BUONA

Più noto come violinista che come compositore, Josef Suk fu allievo di Dvoràk al conservatorio di Praga, dove, dal 1922, divenne a sua volta  docente di composizione. Fu molto legato al maestro, e ne sposò la figlia Otylka, che amò teneramente tanto da restarne sconvolto e profondamente turbato alla morte prematura. Oggi è considerato valido portavoce, con Novàk, della scuola boema, capace nei momenti migliori d'eguagliare l'abilità di Janàcek. La sua scrittura viene collocata a metà strada tra romanticismo e folclore moravo, e se ne segnalano via via le influenze di Dvoràk, le tecniche orchestrali del primo Stravinskij, i colori debussiani. La grande svolta della sua produzione, dapprima essenzialmente strumentale se si eccettua un lavoro per il teatro, avviene con Asrael  (già pubblicata da Virgin Classics, VC 7 59638 2),  nome dell'angelo della morte. Si tratta di una sinfonia di grandi dimensioni, conclusa nel 1905 a cavallo della scomparsa del suocero e della moglie, densa per scrittura e pietra angolare della vicenda umana e musicale di Suk. A quel lavoro seguirono Racconto d'Estate, che occupa il compact in esame, Maturità, Epilogo, e molta produzione da camera. Il Racconto, datato 1907, parzialmente composto in Italia, è una sorta di poema musicale, più vicino ad una suite che ad una sinfonia. Consta di cinque movimenti, di spessore e lunghezza differenti, di cui l'ultimo, Notte,  mi pare raffinatissimo perché estremamente aforistico, e in alcuni momenti impressionistico, per l'uso di tinte orchestrali che sanno di pastello. L'esecuzione della Royal Liverpool Philarmonic Orchestra diretta da Libor Pesek rispetta la pacata riflessività che questa musica emana, non eccedendo nei momenti di maggiore leggerezza della scrittura.

Girolamo De Simone

 

 

ZEMLINSKY

Landliche Tanze op. 1. Balladen. Fantasien uber Gedichte von Richard Dehmel op. 9. Albumblatt. Skizze. Fuge in g-Moll.

Mauser. Virgin Classics 7243 5 45125 2 0. 63'26".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese

 

Giudizio tecnico:  DISCRETO. DDD. Stereo. Studio 3, Bayerischer Rundfunk Dicembre 1993. Il timbro pianistico è un po' sordo.

 

Interpretazione: BUONA

Alexander von Zemlinsky fu suocero e maestro di Schoenberg, il quale confidenzialmente lo chiamava "Alex", come quando annota nel Diario berlinese  "Alex è sembrato molto irritato da una lode indirizzatami da Webern, e ha ritenuto necessario aiutarmi (ad una prova, nda). Ciò m'ha certamente nuociuto nei miei rapporti con l'orchestra".  E ancora: "Alex non è altrettanto gentile. Soprattutto mi lesina, quasi per principio, ogni parola di lode". A saper leggere tra le righe, c'era tra i due un rapporto alquanto conflittuale, anche se mi pare indubbia la stima di Arnold verso chi gli aveva insegnato ad amare, senza discriminazioni, Wagner quanto Brahms. E, tuttavia, di Wagner c'è poco nella produzione pianistica di Zemlinsky, quasi completamente ammucchiata negli ultimi anni del secolo scorso, visto che sia le Danze rustiche che le Ballate risalgono al 1891/92, l'Albumblatt, e lo Skizze al 1895/96 e solo la Fantasia sui versi di Richard Dehmel lambisce il 1900. C'è tanto di Brahms, invece, e mi pare anche non poco di Liszt (i cromatismi della Fantasia, track No 17) nei bellissimi, necessariamente un po' decadenti, brani di questo compositore. Zemlinski fu tanto interessato alla musica contemporanea (fondò a Vienna la celebre Verein fur musikalische Privatauffuhrungen) , di cui fu strenuo difensore, quantolegato alle matrici espressive tardoromantiche. Siegfried Mauser, al piano, mi pare trasmettere molto bene nelle Ballate e nella Fantasie, la concentrazione espressiva, poetica e fortemente programmatica del compositore. Forse sorvola un po' nelle Danze. 

Girolamo De Simone

 

 

 

JAPAN. KABUKI & OTHER TRADITIONAL MUSIC

Echigojishi. Ataka no Matsu. Musume Dojoji. Kanjincho. Shirabe-Sagariha. Atsumori. Hanayagi. Satto.

Ensemble Nipponis. Nonesuch 7559-72084-2. 48'20".  Note (Ingl.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. Presa del suono non indicata. Stereo. American Academy, NYC, Ottobre 1978. Ambientazione di grande impatto.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

ZIMBABWE. THE SOUL OF MBIRA.

Nhemamusasa. Taireva. Nyamaropa. Kuyadya. Mbiriviri. Nhimutim. Nyamaropa. Dangurangu. Kumakudo.

Magaya, Pasipamire, Mude, Mutemasango, Utsvoma, Katvayire, Fatsika, Nyamuda. Nonesuch 7559-72054-2. 44'39".  Note (Ingl.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: DISCRETA. Presa del suono non indicata. Zimbabwe, 1973. Buon amalgama d'insieme, ma complessivamente non ben spazializzato.

 

Interpretazione: BUONA

 

Nonesuch presenta due monografici dedicati rispettivamente al Giappone ed allo Zimbabwe. Il primo propone una serie di composizioni variamente datate, di autori e periodi differenti, soprattutto mutuate dal teatro giapponese del Kabuki, eseguito tradizionalmente soprattutto da donne. Echigojishi è un brano del 1811, composto da Kineya Rokuzaemon. Come gli altri  mutuati dal genere nagauta, prende la stessa formazione usata nel complesso no, ed usa voce, flauto di bambù, gong e percussioni di vario genere e soprattutto lo shamisen, un liuto a tre corde. Il secondo brano, estremamente suggestivo, è del 1769, scritto da Fujita Kichiji. Anche nel terzo, Musume Dojoji di Kineya Yasaburo (è del 1753), la voce è presente, ma viene usata con estrema parsimonia, quasi da sfondo, e rende atmosfere molto ipnotiche. Gli ultimi quattro pezzi, invece, sono prevalentemente strumentali, e più vicini nel tempo,  consentendo all'ensemble Nipponia di offrire una bella prova di concentrazione e abilità nelle impercettibili variazioni degli andamenti. Completamente differente il disco dedicato allo Zimbabwe, certamente più etnico, ma non meno interessante perché dedicato alle performance che i suonatori professionisti di Mbira effettuano in cerimonie religiose o d'altro tipo. La Mbira, di cui esistono infinite specie, è fatta di un numero variabile di linguette metalliche, ordinate in doppia fila (l'inferiore presenta linguette più lunghe), accordata generalmente seguendo una scala pentatonica (ma anche esatonica o eptatonica). Nel compact viene  suonata soprattutto quella con un risuonatore in legno (o semplicemente  una zucca) che fa da cassa armonica.  Quando l'orchestra di mbira risuona al completo l'effetto è interessante, e senza eccezioni di contemporaneità. Girolamo De Simone

 

 

BARBER / COPLAND

Adagio for String. Nocturne. Sure on This Shining Night (from Four Songs op. 13). Knoxville: Summer of 1915 / Quiet City. Eight Poems of Emily Dickinson.

Hendricks, London Symphony Orchestra, Murphy, Pendrill, Tilson Thomas. EMI Classics 7243 5 55358 2 5. 63'17".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Testi. Distribuzione: EMI Italiana, Varese

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio No 1, London, Maggio 1994. Molto belle le dinamiche. Bella resa della pienezza armonica della voce.

 

Interpretazione: OTTIMA

Barbara Hendricks dà bella prova di sé in questo disco che tenta un accostamento, anche ragionato, alle figure dei due compositori americani Copland e  Barber. Altissimo il livello sia nei Poemi da Emily Dickinson che nel Nocturne  e in Sure on This Shining Night.  Entrambi i brani, scritti inizialmente per pianoforte, sono su testi di poeti amati dal compositore ( intendo metaforicamente, vista la nota omosessualità, puntualmente descritta nel libricino d'accompagnamento ): il Notturno, su testo di Frederic Prokosch, fu composto nel 1940; Sure of This Shining Night, su testo di James Agee, nel 1938, subito dopo la stesura di Knoville: Summer of 1915.  Bellissimo soprattutto l'aprirsi della melodia nel Notturno, capace davvero di commuovere. Come si vede dal sommarietto, non solamente brani vocali sono compresi nel disco, anche se in copertina campeggia solitaria una bella immagine della soprano. C'è infatti il celebre Adagio per archi, che come è ormai prassi affianca quasi ogni nuova uscita di Barber. Qui è eseguito con suono denso e corposo, molto pulito come tutto il resto del compact; e tuttavia ciò non ci impedisce di rimpiangere la malinconica e  sfilacciata esecuzione di Cantelli. Primo brano in ordine di esecuzione, poi, prescindendo dalle indicazioni di copertina, è  Quiet City, con la tromba solista di Maurice Murphy che dialoga con il corno inglese di Christine Pendrill, riuscendo ad evitare pesantezze declamatorie. Girolamo De Simone

 

 

GORECKI

Symphony No. 3.

Kilanovic, Szymanowski state Philarmonic Orchestra, Cracow, Kasprzyk. EMI Classics 7243 5 55368 2 2. 56'49".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Testi. Distribuzione: EMI Italiana, Varese

 

Giudizio tecnico: ECCEZIONALE. DDD. Stereo. St. Mary Cathedral, Wroclaw. 5/IX.1993. Un suono mistico, per lontananze e sonorità d'atmosfera. Spicca la voce solista, tuttavia ben mescolata all'avanzare dell'orchestra.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

Questo brano è ormai troppo famoso per poterne parlare ex novo come se niente fosse. Il suo autore si va delineando come una delle più interessanti (e possenti) voci del panorama contemporaneo, anche perché riesce a conciliare le esigenze di puro mercato con l'effettiva densità di contenuto, senso e bellezza del suo 'prodotto'. E la sottolineatura mi pare vada posta proprio sotto la parola "densità", che esiste, e riesce a catturare l'ascoltatore nelle maglie di un discorso capace di sviluppo, musicale e  addirittura  linguistico. Mistico perché capace di rinviare oltre di sé. La versione precedente ha  venduto ben trecentomila copie, e scusate se è poco per un pezzo di musica contemporanea. Di cosa si tratta? E' musica lenta, ma con piccole variazioni di tempo, capace di lunghe onde agogiche, che segnalano l'incedere e la progressione, crescente e poi decrescente, della melodia, affidata a bande tematiche sovrapposte degli  archi nel bellissimo e struggente primo tempo, o alla voce del soprano che procede per piccoli passi diatonici nel secondo. Sprazzi di luce, però, s'aprono ogni tanto, talvolta scanditi da un rintocco di nota isolata affidata al pianoforte (avete presente Ligeti e Scelsi, o i suoni ripetuti che ac/cadono quasi heideggarianamente in Brian Eno? Bene, qui c'è molto di più). Assodato, dunque, che il brano nella sua scrittura è davvero eccezionale, si può parlare dell'esecuzione, visto che lo straordinario successo della versione della London Sinfonietta diretta da David Zinman, con la soprano Dawn Upshaw (Elektra Nonesuch 7559-79282-2), ha forse fatto sì che seguisse a breve termine quella che forma oggetto della presente nota. I tempi, innanzitutto: nella versione di Kasprzyk il primo movimento dura 30'03", contro i 26 e dispari di Zinman, e quattro minuti non sono una bazzecola, specie per un movimento così "fondativo" ; scarti minori per gli altri due tempi, 8'38" contro 9'22" e 17'38" contro 17'05", sempre considerando lo stesso ordine. Ne consegue, immediatamente, che la versione Emi è leggermente più appiattita e un po' più lunga di quella Nonesuch, che mi sembra anche più ardita rispetto alla resa dei timbri. E tuttavia, dal momento che la lentezza non è mai nuociuta a Gorecki, e ne rappresenta anzi la caratteristica a tutta prima più evidente, devo dire che almeno per quanto riguarda il primo movimento trovo egualmente straordinario il lavoro di Kasprzyk, perché fa parlare la scrittura dai lunghi piani sovrapposti depurandola da una connotazione discorsiva forse eccessiva. Una russicità voluta, anche a proposito, che rimanda ad una linea un po' zigzagante, che va da Rachmaninov a Barber per approdare a Gorecki, (non sembri ardito l'accostamento, perché è dimostrabile con partiture alla mano) . Insomma, è più rarefatta e religiosa del bestseller di Zinman. Naturalmente, nonostante i confronti, resta il fatto che mi sentirei profondamente infelice se dovessi accontentarmi di una sola delle due incisioni.  Girolamo De Simone

 

 

 

WEILL / HINDEMITH / TOCH

Concerto for violin and wind orchestra / Septet for Wind / Five Pieces for Wind and Percussion op. 83.

Tetzlaff, Soloists of the Deutsche Kammerphilarmonie. Virgin Classics 7243 5 45056 2 1. 58'08".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Immanuelsikirche Wuppertal-Oberbarmen, Febbraio 1994. Un po' insufficiente il volume di registrazione. Si ha la sensazione di ascoltare da una distanza eccessiva.

 

Interpretazione: DISCRETA

Il timbro degli strumenti a fiato non è che sia sempre caratterizzato, specie  in certe formazioni timorate di Dio, cioè con rispetto reverenziale per la pagina scritta e attenzione focalizzata sul bel suono. E il bel suono c'è di sicuro nei solisti della Deutsche Kammerphilharmonie, ma c'è anche dell' indeterminatezza stilistica nel connotare le diversità anche timbriche tra un brano e l'altro. Usando la funzione random ci si può divertire ad ascoltare i diversi pezzi dei tre compositori come se si trattasse di un unico pot-pourri, per verificare se e quanto si è notato sia effettivamente vero, specie nelle tinte mediane. Fatta questa premessa sull'esecuzione, va almeno accennata la presenza del Concerto  per violino e orchestra di fiati op. 12 di Kurt Weill. Si tratta di un lavoro giovanile, nel quale c'è ben poco dell'ironia e della spregiudicata scrittura dell'Opera da quattro soldi e di Mahagonny, anche se certi elementi tematici qui presenti verranno ripresi e modificati proprio in quelle opere. Vivace, ma un po' penalizzato dall'esecuzione, il Settetto di Hindemith, scritto subito dopo la revisione dei Marienleben, nel 1948 a Milano (ma composto un po' in giro per l'Italia), segnala ancora una volta il dissidio con  Darmatadt : "Le giornate di Darmstadt! ha, ha! E' proprio quello che desidero! Passare per una vecchia ferraglia è un onore. La storia della musica è piena di ferri vecchi, che sono durati molto più dei fumi moderni". Il compact si chiude con i Cinque pezzi per strumenti a fiato e percussione di Ernst Toch, che così definisce la sua musica: "non è atonale, ma si radica nella tonalità, che si manifesta attraverso una forma sinuosa e come sospesa, ma che subisce in modo irrevocabile la forza d'attrazione di un centro di gravità fortemente tonale". Il brano è sufficientemente interessante, ma non troppo originale o caratterizzante.

Girolamo De Simone

 

 

ADAMS

Chamber Symphony. Grand Pianola Music.

Alley, Sutherland, London Sinfonietta, Adams. Elektra Nonesuch 7559-79219-2. 52'55".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. CTS Studios, London. Febbraio 1993. Nel secondo brano i due pianoforti sembrano eccessivamente in sottofondo.

 

Interpretazione: OTTIMA

Non si è fatto in tempo a lodare un brano di John Adams, compositore, clarinettista e direttore d'orchestra in forza al Conservatorio di Sanf Francisco (si trattava di Shaker Loops, situato in un collettaneo che affiancava il nostro a Glass, Reich, Heath, un disco Virgin 7243 5 61121, con la London Chamber Orchestra. In quella occasione scrivevo di aver raramente ascoltato musica minimale cosi espressiva,  e sempre di matrice europea ) ed ecco che ci piomba tra le mani un monografico con la London Sinfonietta che esegue la Chamber Symphony, un ironico brano degno del miglior Nyman (oppure è Nyman ad essere degno del migliore Adams? mah!), se non fosse per la strumentazione utilizzata. Si potrebbe, forse, adattare il pezzo per un Adams Ensemble, con tastiere elettroniche (il loop che conclude  Mongrel Airs si presterebbe, eccome, ad un'operazione tanto spregiudicata!  del resto, le sintetizzazioni sono già previste da Adams), o eseguirlo in una versione per band: la sua ripetitività ritmica, che vuole essere un po' grossier, un po' irritante e sardonica, troverebbe la giusta collocazione. L'altro brano, Grand Pianola Music, è molto, molto carino, anche se il compositore mette le mani avanti, scrivendo di avere ricevuto accoglienze plurime e differenziate a ciascuna esecuzione. L'ispirazione per la composizione è venuta su... una autostrada, vedendo due limousine sfrecciare l'una vicino all'altra. Per quanto l'immagine di un lungo pianoforte nero evochi in me sempre più spesso l'idea di una lucida bara, Adams fortunatamente ha proceduto ad una diversa associazione: due Stenway gran coda, che suonano con una leggera sfasatura l'uno sull'altro, naturalmente su un materiale minimale, per realizzare acusticamente ciò che si verifica con la tecnica dei ritardi sulla banda magnetica di registrazione audionumerica.  Però, anche qui avrei preferito che le voci femminili non entrassero mai: il richiamo a Glass è troppo esplicito, ed è un peccato, vista l'originalità dell'intuizione di partenza.

Girolamo De Simone

 

 

 

HE'S GOT THE WHOLE WORLD IN HIS HANDS.

Spirituals.

Anderson, Rupp, Motley. RCA Victor 09026 61960. 72'44".  Note (Ingl. ). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico: BUONO. ADD. Stereo. Webster Hall, NYC, 1961. Rispettati i timbri più scuri e quelli più acuti della contralto. Buon bilanciamento.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

La Anderson, come è noto, fu eccezionale interprete americana, debuttando intorno agli anni Trenta in Europa, e conquistandosi a fatica, dato il colore della sua pelle, un ruolo di prim'ordine con uno straordinario concerto al Lincoln Memorial, al quale assistettero oltre settantamila persone. Non poche polemiche suscitò il suo debutto nei panni di Ulrica nel Ballo in Maschera, al Metropolitan: prima contralto di colore in quel ruolo e in quel teatro. Nel compact che recensiamo, vengono presentati alcuni spirituals, a parer nostro eseguiti con eccezionale maestria, anche se il timbro della voce risente un po' del peso degli anni. Ma che interprete! Il gioco viene effettuato con una duplice scansione, consentita dall'ampia estensione della Anderson. In He's Got the Wole World in His Hands  si assapora il suono più cupo e profondo, quasi maschile, mentre, ad esempio, in Oh Didn't It Rain, aforistico nell'arrangiamento di Burleight, campeggia una sorta di falsetto (per carità, non proprio falsetto, è chiaro...). Bravi i due accompagnatori, capaci di percepire il vero respiro spiritual della nostra: Franz Rupp e John Motley. Inoltre, visto che una volta tanto vengono elencati anche gli arrangiatori, che in genere lavorano all'oscuro di qualsiasi merito, desidero citarli anche qui. Oltre al maggioritario Hall Johnson, ci sono Hamilton Forrest, Lawrence Brown, Boatner, Burleigh, Florence Prince, Roland Hayes e Rosamund Johnson.

Girolamo De Simone

 

 

KOPPEL / HOLMBOE / KULESHA / CHRISTIANSEN / ARNOLD

"Moonchild's Dream" / Concerto for recorder, String Orchestra, Celeste and Vibraphone op. 122 / Concerto for Recorder and Small Orchestra / Dance Suite op. 29 / Concerto for Recorder and Orchestra op. 133.

Petri, English Chamber Orchestra, Kamu. RCA Victor  09026 62543 2. 77'49".  Note (Ted. Ingl. Fr.). Distribuzione: RCA-BMG Ariola, Roma.

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. The Hit Factory, London. 21-23 Settembre 1992. Il flauto solista stacca nettamente, restando tuttavia ben bilanciato con l'orchestra.

 

Interpretazione: OTTIMA

Michala Petri, specialista di flauto a becco per il repertorio barocco, che in tempi non lontani ha inciso le Sonate di Bach ed Handel con Keith Jarrett (BMG 09026 61274 e RCA RD 60441), si confronta in questo compact con autori contemporanei,  ammettendo esplicitamente che "la loro musica non s'adatta al flauto a becco; al contrario sono io che mi sforzo di adattare il flauto alla loro musica". E difatti la virtuosa sembra dare il meglio di quanto  possibile con quello strumento, per velocità ma soprattutto per nitore di suoni, riuscendo, nel caso delle pagine migliori, ad ottenere una fusione notevole con l'orchestra, e ad acquisire un linguaggio strumentale consapevolmente contemporaneo. Da questo punto di vista, il brano più riuscito mi pare essere quello della title-track, "Moonchild's Dream" di Thomas Koppel (nato il 1944), che ricorda, dopo i 5',  certe atmosfere neoclassiche ravelliane, e non mi pare ignorare il miglior Morricone (quello cinematografico). Giocoso e magico, davvero danese, il concerto di Vagn Holmboe (1909), godibile nei dialoghi tra flauto, celesta, vibrafono (che fanno gruppo a sé) e tra questi e l'orchestra d'archi. Leggero lo stile di Asger lund Christiansen (1927), che fa un po' il verso a certi sfavillii alla Poulenc, con temi brevi, esposizione e sviluppo abbastanza scontati e scolastici, che si susseguono rapidamente con l'orchestra che li accompagna. Ancora neoclassico l'ultimo Concerto, quello di Malcom Arnold (1921), almeno per quel che concerne il secondo movimento, una Giga che potrebbe alludere a suoni cinematografici se fosse intesa con maggiore ironia. Il brano meno riuscito è quello di Gary Kulesha (1927): troppo 'sperimentale' nel senso deteriore del termine: dovremo meravigliarci ancora dei glissati degli archi o degli aggiustamenti microtonali del flauto?

Girolamo De Simone

 

 

CORIGLIANO / SCHWANTNER / FOSS

Troubadours (Variations for Guitar and Orchestra) / From Afar... A Fantasy for Guitar and Orchestra / American Landscapes for Guitar and Orchestra.

Isbin, The Saint Paul Chamber Orchestra, Wolff. Virgin Classics CDC 7243 5 55083 2 4. 66'35".  Note ( Ingl. ). Distribuzione: EMI Italiana, Varese.

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. Orchestra Hall, Minneapolis. Ottobre e Novembre 1994. Effetti orchestrali resi ottimamente. Forse la chitarra vien fuori in modo eccessivo in alcuni punti.

 

Interpretazione: OTTIMA

Dopo averli tenuti a battesimo, ecco le prime registrazioni mondiali della chitarrista Sharon Isbin per i concerti di John Corigliano (prima assoluta nell'ottobre 1993), Joseph Schwantner (prima l'otto gennaio 1988) e Lukas Foss (prima a New York il 29 Novembre 1989).

Il brano d'apertura è Troubadours di Corigliano, e consiste in una serie di variazioni su un tema d'origine provenzale, soltanto 'aggiustato' dal compositore. Corigliano è noto per la sua capacità di volgere a buon esito, sovente attraverso una squisita intuizione melodica, anche le più ardue scritture e acquisizioni tecniche contemporanee; ha quindi tutte le carte in regola per potersi meritare un certo successo di pubblico, che in effetti lo accompagna dal Poem in October (su disco dal '70) fino a The Ghosts of  Versailles per il quale ha ricevuto due Grammy nel 1991, e alla Sinfonia interpretata da Barenboim. Spesso ben cesellati anche i brani pianistici o quelli per voce e pianoforte  (ricordo soltano For Tryon Park, recentemente inciso da Lauren Wagner per Channel Classics 5293). In queste Variazioni per chitarra riesce a miscelare l'ispirazione trovadorica con un polistilismo felice ma un po' discontinuo. Inizio poderoso e virtuosistico per la Fantasia  di Joseph Schwantner (le altre poche incisioni sono un brano And The Mountains Rising Nowhere  per Sony eConsortium I e IV per Fono), sostanzialmente in linea con la maggior parte dell'esiguo repertorio per chitarra ed orchestra, si smarrisce presto in esercizi sperimentali pretestuosi, ai quali s'alternano poderosi rombi dell'orchestra, privi tuttavia di sviluppo. Un brano discontinuo che mette in mostra la bravura della Isbin, ma giusto quella. In chiusura la title-track American Landscapes for Guitar (1989) che richiama inizialmente l'ambient di Brian Eno, ma s'apre a Cage e infine prevede Zorn (naturalmente ne è antesignano con larga approssimazione). Nato come improvvisatore (è tra i fondatori del New Music Ensemble in California e dell'Improvvisation Chamber Ensemble) Lukas Foss (nato nel 1922) scrive brani aleatori come Time Cycle ed Echoi, per dedicarsi ben presto a tecniche miste con nastro magnetico ed al collage di stili. Nato a Berlino, ma  emigrato con la famiglia negli Stati Uniti  all'avvento di Hitler, la sua musica mantiene del ceppo germanico la concentrazione, lo spessore e l'intimismo, ma vi affiorano spessissimo temi ed atmosfere americane. La sua musica è molto gustosa, ma bisogna darle il tempo di respirare. E' sua la seguente perla: "per me, una volta, comporre  significava scrivere la musica che mi piaceva. Ora significa scrivere a tutte lettere una profonda preoccupazione per la nuova musica e per la sua classe". 

Girolamo De Simone

 

 

MAES

Symphony No. 2. Viola Concerto. Ouverture Concertante. Arabesque and Scherzo for Flute and Orchestra.

De Neve, Vanhove. Royal Flanders Philharmonic Orchestra, Oskamp. Marco Polo 8.223741. 55'07".  Note (Ingl.). Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico:  BUONO. DDD. Stereo. Elisabeth Hall in Antewerp. Luglio 1994. Nell'incipit s'ode qualche piccolo rumore ritmico. Per il resto la resa dell'orchestra è abbastanza fedele, ma di tipo tradizionale. Belle le dinamiche.

 

Interpretazione: BUONA

Gli accessi all'opera di Jef Maes non sono certo moltissimi, dal momento che non m'è dato di reperirne altri oltre al compact di cui qui si scrive, comprendente la seconda Sinfonia, suonata per la prima volta il 17 Ottobre 1966, un Concerto per Viola del 1956, l'Ouverture Concertante sul nome di Marcel Baelde (che non è proprio come scrivere sul nome Bach, ma ad ognuno il suo...) e un Arabesque and Scherzo for Flute and Orchestra, di data imprecisata. Si tratta di musica che si potrebbe definire tardoromantica, se non fosse che manca quel tanto di malinconico che s'accompagna ad ogni stile decadente, o neoromantica se non si temesse di fare una terribile confusione con ben altra corrente, portatrice di cose belle e brutte, e soprattutto di grandi polemiche forse appena appena sedate. L'anonimo estensore delle paginette d'accompagnamento del compact parla allora di un "moderno romantico". Con la modernità ci siamo, visto che ormai si ha a che fare col post-moderno e con l'antimoderno, e col romantico pure. Ma la musica non mi pare ancora ben fotografata. E se la si dicesse per intero, e si affermasse che si tratta di un post-romanticismo raffinato, quasi di maniera, molto scolastico anche se tecnicamente ineccepibile? La scrittura orchestrale risulta sempre finemente cesellata, ma non sento nessuna intuizione memorabile, nessuna soluzione audace, nulla di particolarmente memorabile.  Invece un gran bene si può dire sia dei solisti Leo De Neve per la viola e Frank Vanhove per il flauto, sia dell'orchestra, la Royal Flanders Philarmonic Orchestra diretta da Gerard Oskamp.

Girolamo De Simone

 

 

SPIRITUAL

Steal Away to Jesus! Certainly, Lord. Wade in the Water. Ride on King Jesus! Jesus walked this Lonesome Valley. Take my Mother Home. Amazing Grace. Deep River. Calvary Medley. I Been in de Storm. Po' Moner got a Home at Las'. Soon Ah will be Done. On Mah Journey Now, Mount Zion. I want Jesus to Walk with Me. My Lord What a Morning. He's got the Whole World in His Hand.

Conrad, The Convent Avenue Concert Choir, The New England Symphonic Ensemble. Hopkins. Naxos 8.553036. 55'12".  Note ( Ingl. Ted. Fr.). Testi (Ingl.). Distribuzione: ????????

 

Giudizio tecnico:  MEDIOCRE.  DDD. Stereo. Live in Concert, Covent Avenue Baptist Church, Harlem, NYC, e Fisher Hall, Santa Rosa, California. Marzo 1994 e Maggio '94. Il coro e l'orchestra sono un po' distanti.

 

Interpretazione: DISCRETA

Ancora spiritual, questa volta per la collana medioprezzo Naxos, con registrazioni live (fin troppo live) di Barbara Conrad, con coro, orchestra, pianoforte, e chi più ne ha più ne metta. "Immaginate una piccola comunità rurale nera del Sud-Ovest degli Stati Uniti, immaginate una terra rossa e fertile, dei magnifici campi di cotone, di mais e pomodori, immaginate il blu chiaro del cielo e il calore del sole, all'Est del Texas; è là che sono cresciuta, è là che la mia famiglia e i miei amici hanno penato, lungamente e duramente, con fierezza e ostinazione, per istallare quella comunità". E' un po' il luogo comune, già memoria, che lega la storia dell'America a quella delle origini del jazz. Lo spiritual come sfogo tra il canto e la preghiera, il pianto e la fierezza. Ma queste registrazioni sono del 1994, e le considerazioni della Conrad suonano un po' forzate. Gli arrangiamenti orchestrali m'appaiono pacchiani, gli interventi del coro bigotti, e solo gli accompagnamenti pianistici di Patricia Sage originali e liberi.  Le song sono evidentemente forzate, un po' troppo interpretate, e mi chiedo insistentemente perché alcuni acuti mi ricordino quelli della beghina della chiesetta qui vicino. Insomma, al di là delle battute facili, la domanda è questa: si può presentare oggi un testo, qualsiasi testo, e specialmente quelli che non dovrebbero soffrire di angustianti e asfissianti pretese filologiche, senza tentare di attualizzarlo?  Una risposta molto sottile potrebbe essere che in Amazing Grace, o in Deep River  (che restano, per semplicità, anche gradevoli), o nel Calvary Medley, la stessa enfasi recitativa (certo è una interpretazione teatrale, talora affannata) costituisca questa attualizzazione. Il rifiuto come rifugio. Non male come soluzione.

Girolamo De Simone

 

GLASS

La Belle et la Bete.

The Philip Glass Ensemble, Riesman, Felty, Purnhagen, Kuether, Martinez, Neill, Zhou.  Nonesuch     7559 79347 2 (Due CD). 43'01"; 45'40".  Note e testi (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico:  ECCEZIONALE. DDD. Stereo. The Looking Glass Studios, New York. Magnifiche dinamiche. Bella attenzione per i timbri. Sonorità piene. Solo qualche suono sintetico crea un piccolo effetto di 'soffiato', ma è nella natura delle cose.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

 

            Philip Glass ha girato in lungo e largo i festival nostrani col suo ensemble per presentare questa versione de La Belle et la Bete, riuscendo ancora a scatenare polemiche e a provocare diversioni critiche. Così mi pare senz'altro opportuno parlare dello straordinario cofanetto della Nonesuch senza però ignorare, vista la particolarità e complessità dell'operazione, la sua rappresentazione scenica. Parto avvantaggiato perché ho assistito a Napoli, in occasione di un concerto per la Scarlatti, ad una lettura 'autentica', rigorosamente dal vivo, dell'opera.

            La Bella e la Bestia è la seconda parte di una trilogia teatrale dedicata da Glass ai film di Jean Cocteau. Il trittico è articolato in modo da offrire uno spaccato sui modi di 'tradurre' una pellicola in forme artistiche differenti. In Orphée , testa di serie del progetto, Glass è partito dal film per ricreare innanzitutto il libretto di un'opera da camera, e poi la sua visualizzazione scenica, senza però servirsi "dell'immaginario" dipinto nell'originale, come precisa lo stesso autore. Con La Bella e la Bestia il compositore di Baltimora sopprime la colonna sonora originale, proietta il film in sala, esegue la musica dal vivo sincronizzando le voci con i testi che scorrono sotto le immagini mute, e condisce il tutto con alcune trovate scenografiche. Insomma, incrocia film ed Opera. L'ultimo atto della trilogia studierà l'incontro de Les Enfants Terribles  con il Teatro/Danza.

            Come si può vedere, questa traslatura su suggestioni è cosa forse affine, ma certamente differente dalle operazioni precedenti di Philip Glass sia in relazione alla musica da film che a quella per il teatro. Sto dando naturalmente per scontato che non esista più una discriminante di valore sui diversi generi di produzione musicale, e che le distinzioni procedano per insiemi di quantità, e non di qualità; individuare una specie non comporta necessariamente porla in una graduatoria di rispettabilità estetica. E' noto che Glass ha dato il meglio di sé, più che nelle opere iniziali fortemente ed esageratamente speculative (forse rigorose ma noiose, macchiniche ma postindustriali più che postmoderne), in quei brani pensati come colonna sonora di un film (ad esempio, Koyaanisqatsi, e più di recente Anima Mundi , Candyman,  A Brief History of  Time ; talora Glass si riferisce  anche a 1000 Airplanes on the Roof, che però è un melodramma di ispirazione filmica); e a tutti gli estimatori del musicista non sarà sfuggito che molti suoi pezzi vengono 'riciclati' e riutilizzati dai programmisti di mezzo mondo in documentari, servizi televisivi, etc.

            Già in tempi lontani ho ritenuto di scorgere un filo rosso tra certe reiterazioni della migliore "musica d'arredamento" e le intuizioni di fondo di Glass, come se la caratteristica della musica cinematografica fosse da ricercarsi proprio nella capacità di porsi in parentesi durante lo scorrimento delle immagini, e però di richiamarle immediatamente, ed in modo esplosivo, non appena quelle colonne sonore vengano riproposte prive del supporto visuale. Si tratterebbe, cioè, di messa in parentesi per una successiva deflagrante allusività.

            I lavori musicali per il teatro, dal canto loro, hanno accompagnato (quasi) tutte le intuizioni e le evoluzioni dello stile di Philip Glass. Per convincersi di questo basta leggere la sua biografia musicale: l'incontro con Bob Wilson, la conseguente stesura di Einstein on the Beach; la provocazione di Hans de Roo, direttore della Netherlands Opera ("Bene, Philip, molto interessante" - gli disse dopo aver visto l'Einstein - "ma che ne diresti di scrivere ora una vera opera?"), e la scrittura di Satyagraha , nella convinzione di indagare anche la "realtà fisica dei teatri" in cui si trovava a lavorare.

            Il trittico che attualmente occupa l'americano è invece qualcosa di più, perché allunga di una spanna l'indagine sulle forme artistiche affini. Non mi sento però di parlare di vera contaminazione, se non in senso molto lato; l'elemento principale resta quello musicale, ed è per giunta molto omogeneo. E proprio considerando gli esiti "puramente" musicale riterrei che si sta verificando una svolta nel modo di comporre e progettare un lavoro.

            La Bella e la Bestia mantiene della colonna sonora  la capacità evocativa ed allusiva; della produzione teatrale  l'esecuzione dal vivo, davvero complessa e bisognosa di una precisione millimetrica, e la gestualità teatrale che ogni rappresentazione porta con sé. La sintesi di queste  opzioni realizza davvero il progetto ambizioso di Glass, perché la musica effettivamente suggerisce, purché si sia vissuta almeno una volta la suggestione dello spettacolo dal vivo, le atmosfere a metà strada tra inconscio e magia che appartengono al film.

            L' "alchimia dello spirito" di cui parla Glass a proposito de La Bella e la Bestia soffia davvero in quelle immagini un po' sbiadite, ed è evocata anche all'ascolto del disco (una videocassetta è forse più efficace, ma meno aderente all'itinerario logico e compositivo che abbiamo tentato di illustrare). Ma non mi si fraintenda: consiglio, eccome, l'acquisto del cofanetto, perché la musica è bellissima anche da sola; e ritengo ozioso continuare a interrogarsi sullo stato di salute del minimalismo. Quello che conta è la coerenza del percorso individuale e la funzionalità dell'opera. E Glass possiede ancora entrambe.

Girolamo De Simone

 

 

 

PETTERSSON

Symphony No. 2. Symphonic Movement.

BBC Scottisch Symphony Orchestra, Francis. Cpo 999281-2. 57'11".  Note (Ted. Ingl. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Data e luogo di registrazione non indicati. Suono complessivamente un po' pastoso.

 

Interpretazione: BUONA

 

 

WETZ

Symphony No. 1.

Cracow Philarmonic Orchestra, Bader. Cpo 999272-2. 64'42".  Note (Ted. Ingl. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Cracow Philharmonic Hall, 19-14 giugno 1994. Un po' sordi i fortissimi: così si appiattiscono le dinamiche.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

Di Pettersson, compositore nato nell'Uppland e cresciuto nei sobborghi di Stoccolma, la Cpo sta pubblicando la serie completa delle sinfonie (sedici in tutto; esiste poi un frammento della diciassettesima), ma finora ho avuto tra le mani solo una struggente e bellissima versione della sesta nell'interpretazione di Trojahn con la Deutsches Symphonie Orchester di Berlino. Già allora, in sede di recensione, ho segnalato la densità del percorso di ricerca di Petterson, strettamente collegata alle difficoltà oggettive di una sopravvivenza non facile nei sobborghi di una metropoli. La sua opera, definita dallo stesso compositore 'maledetta' come la sua vita, è dunque di un rigore estremo, come sempre accade quando chi scrive non ha, in fondo, nulla da perdere: una lunga e terribile malattia lo porta alla morte nel 1980, poco dopo aver ricevuto la nomina di professore honoris causa.

Il disco comprende una bella esecuzione di Alun Francis della seconda sinfonia, completata nel 1953, e il Movimento Sinfonico  scritto nel 1873: opere che comprendono un ventennio, durante il quale il nostro scrisse dieci sinfonie, certo raffinandosi. Ma non si creda che il linguaggio, per quanto un po' variegato della seconda sinfonia sia sconnesso; una trama sottilissima la percorre, proprio come accade al Movimento Sinfonico, segnato come da sacro furore. Il confronto mostra come non ci sia stata alcuna retromarcia o cambiamento di tendenza nel lavoro di Pettersson: la coesione che lega i suoi brani è affidata ad una fortissima spinta volitiva.

Accoppio deliberatamente a questo disco quello della Cpo dedicato a Richard Wetz: mi sembra abbiano valore per lo stesso motivo. L'opera del tedesco, morto nel '35, è più facilmente etichettabile come 'tardoromantica'; ma profondamente coerente fu il suo procedere di maestro in maestro, controtendenza, in modo antiaccademico. I suoi familiari, in giovane età, gli impedirono di proseguire gli studi musicali, che nonostante tutto compì grazie a un orecchio interno col quale 'sentiva' la sua musica anche al buio di una cameretta. La prima sinfonia, del 1917, si rifà all'opera di Bruckner, ed è molto gradevole.

Girolamo De Simone

 

 

DE BOECK

Symphony in G. Violin Concerto. Dahomeyan Rhapsody

De Neve, Royal Flanders Philharmonic Orchestra, Devreese. Marco Polo 8.223740. Note (Ingl.). Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Elisabeth Hall in Antwerp, Belgio, luglio 1994. Registrazione ben bilanciata, ma con dinamiche contenute.Il violino solista è un po' lontano.

 

Interpretazione: DISCRETA

 

 

LYATOSHYNSKY

Symphonies Nos. 2 and 3

Ukrainian State Symphony Orchestra, Kuchar. Marco Polo 8.223540. Note (Ingl.). Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Concert Studio of Ukrainian Radio, Kiev, 4-7 giugno 1993. Registrazione precisa nei dettagli timbrici, sia nel piano che nel fortissimo.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

 

VICTORY

Ultima Rerum (2 cds)

Kerr, Greevy, Thompson, Opie, RTE Philharmonic Choir, National Chamber Choir, National Symphony Orchestra of Ireland, Pearce. Marco Polo 8.223532. Note (Ingl.). Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. National Concert Hall, Dublin, 12-14 dicembre 1992. Sufficientemente aperte le dinamiche. Un po' lontane e imbottigliate le voci.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

Non mi pare inopportuno accoppiare tre compact della Marco Polo dedicati a tre sinfonisti europei che disegnano una linea cronologica continua. Infatti August De Boeck scompare nel 1937, Boris Lyatoshsynsky nel 1968 e Gerard Victory, l'unico ancora vivente (è nato nel 1921). Il belga De Boeck si forma con Mailly, Dupont, Kufferath, ma importante per la sua evoluzione è l'incontro con Paul Gilson (quest'ultimo, tardoromantico, influenzato anche dai "Cinque" fu vincitore di un Prix de Rome). Il compact presenta i suoi lavori più importanti, vale a dire la Dahomeyan Rhapsody completata nel 1893, la Sinfonia  nel 1896, e infine il Violin Concerto, scritto quasi quarant'anni più tardi. Si tratta di opere in cui non riscontro particolare originalità; ed anzi, trovo la Sinfonia particolarmente leziosa (non so se anche De Boeck abbia vinto il Prix de Rome; ma sono d'accordo con Satie, che riferendosi a Debussy scriveva: "Su questo punto mi trovo in vantaggio rispetto a lui: i Prix de Rome non appesantivano il mio passo").

Lyatoshynsky, considerato il padre della musica contemporanea ucraina, ha scritto cinque sinfonie, due opere, molta musica da camera e per pianoforte. Ha svolto una carriera accademica di tutto rispetto, e questo si sente. La sua musica, benché  abbastanza densa, si ispira inizialmente al modello schumanniano, poi a quello scriabiniano, infine a quello atonale. Dopo il '29 si dedicherà allo studio del folclore ucraino, che difese e rappresentò in opposizione all'ingerenza russa, anche nelle due Sinfonie qui riprodotte (e composte tra il '35 e il '54).

Gerard Victory studiò a Dublino, entrando ben presto nell'organico dell'Abbey Theatre come direttore d'orchestra. Iniziò a collaborare con radio e televisione irlandesi, giungendo nel 1967 alla carica di direttore. Ha scritto una moltitudine di opere, e vista la sua forte presenza mediale è anche ben rappresentato su disco. Ultima Rerum dà il polso della sua produzione e del suo stile: come pochi altri contemporanei usciti dal limbo del mero sperimentalismo, Victory mescola elementi e tradizioni diverse, trovando però un suo linguaggio originale a metà strada tra le fonti medioevali ed il trattamento atonale ed aleatorio. Del compact è bello il cast, ma soprattutto la direzione.

Girolamo De Simone

 

 

SCHNITTKE

Ritual. (K)ein Sommernachtstraum. Passacaglia. "Seid Nuchtern und wachet" (Faust Cantata). Concerto No. 1 for violoncello and Orchestra. Kingende Buchstaben. Four Hymns.  (2 cds)

Malmo Symphony Orchestra, Segerstam, DePreist, Thedéen, The Danish National Radio Symphony Orchestra. BIS CD-437+507. 74'33"; 70'35". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Malmo Concert Hall, Sweden, 1989; Danderyd Grammar School, Sweden, 1990. Sufficientemente aperte le dinamiche. Un po' lontane e imbottigliate le voci.

 

Interpretazione: OTTIMA

Questo cofanetto della BIS è tra quelli da non perdere. Raccoglie, infatti, due compact (437 e 507) con brani che vanno dal 1980 al 1988. Il primo, soprattutto, presenta più d'una first recording, tra cui Ritual, Passacaglia, e la Faust Cantata, di indubbio valore per ricostruire certe costanti dell'opera di Schnittke. Quel che più colpisce di quest'ultima è la facilità con la quale vengono attuate disconnessioni logiche, per le quali si è parlato spesso di "profanazioni culturali", visto che quando c'è una diramazione di senso nel linguaggio di un pezzo, i cultori della forma lanciano alte grida di linciaggio. La forma è un collante che ha oppresso anche dopo certe rivoluzioni: sono state solo selezionate regolette differenti, le quali stabiliscono il quanto e il quale dell'agire compositivo. E la composizione, anche in tempi di deregolation ha mantenuto questa regola ferrea: 'seguire almeno le coordinate che si autoimpone'. Per fortuna, invece, e il successo di Schnittke sembra dimostrarlo, entrate e uscite dall'opera possono essere legittimate proprio dall'inversione di senso e dall'esplosione di mozioni inaspettate. Questo accade, ad esempio, nella Passacaglia del 1980, intorno al nono minuto. Per gli otto precedenti il linguaggio, benché già intrigante, appariva profondamente connesso. Ma all'improvviso tutte le linee si sfibrano, vanno per ogni dove, delocalizzano il nostro ascolto e, perbacco, ci seducono senza indugi. Conosco altri giochini su temi e atmosfere mutuate da Mozart o Schubert, ma nessuna eguaglia (K)ein Sommernachtstraum  nel quale, per dirla con l'autore, avviene una sorta di 'contraffazione' di prima grandezza, e "in forma di rondò". La mia osservazione, naturalmente,  va scriminata e adottata in modo differenziato per  altre composizioni di Schnittke: quello pianistico mi pare macchinoso, e l'altro, preoccupato della struttura, ad esempio nella Sinfonia St. Florian (segue e metaforizza il simbolismo della croce), o nelle Klingende Buchstaben  ('lettere musicali', perché gioca sulle lettere del nome di Alexander Ivashkin) è certo meno eversivo.

Girolamo De Simone

 

 

 

BARBER, BUTTERWORTH, HORDER, IRELAND, MOERAN, ORR, BERKELEY

Poems and Song from "A Shropshire Lad" di A.E. Housman (2 CDs)

Bates, A. Rolfe Johnson, G. Johnson. Hyperion CDA66471/2. 123'29" complessivi. Note e testi (Ingl.). Distribuzione: ???????????? Sound and Music, Lucca???????.

 

Giudizio tecnico: MEDIOCRE. DDD. Stereo. Data e luogo di registrazione non indicati. Brutta riproduzione del timbro pianistico, con insopportabile riverbero.

 

Interpretazione: DISCRETA

Alfred  Edward Housman è un poeta inglese scomparso nel 1936, autore di alcuni libri di successo, tra cui "A Shropshire Lad" (che può tradursi come "Un ragazzo dello Shropshire", del 1896; ma i brani di Lennox Berkeley sono tratti dal successivo "Altre poesie" del 1936), che dà il titolo al compact del quale ci occupiamo. In quest'ultimo le liriche vengono presentate nella lettura/recitazione di Alan Bates o, quando musicate, eseguite dal tenore Anthony Rolfe Johnson  e dal pianista Graham Johnson. Solo che, su sessantasei tracce suddivise in due compact, ben quaranta sono occupate da Bates, e le restanti presentano anche belle interpretazioni, sia per l'accordo che c'è tra i due esecutori che per la qualità della voce di Rolfe Johnson, ma con una resa fonica che definirei alquanto rudimentale, e che fa perdere parecchie sfumature dell'"accompagnamento" pianistico. Resta fondamentale, infine, l'obiezione della prevaricazione del dettato linguistico sul contenuto musicale, con l'inevitabile conseguenza di far evaporare del tutto l'atmosfera e la contiguità tra i brani. Va detto, per completezza, che i due interpreti non sono nuovi a trovate originali, visto che hanno al loro attivo un compact dal titolo "Song to Shakespeare" e un altro che raccoglie centocinquanta anni di musiche composte da musiciste inglesi.

Girolamo De Simone

 

 

AHMED ESSYAD

Le collier des ruses

Nahon.  K617 AFAA  K617051 (Due CD). 89'13" (min. tot.).  Note e testi (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: ???????????????

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. Privo di notizie; forse registrazione live della rappresentazione tenuta dal 22 al 25 settembre nel Teatro Nazionale di Strasburgo. Suono decisamente estroverso, aperto con ottima connotazione timbrica dei differenti strumenti e buona definizione di ciascuno di essi.

 

Interpretazione: BUONA

Ho conosciuto Jean Digne come operatore culturale: a Napoli sommosse parecchi territori contigui con una direzione scoppiettante dell'Istituto Francese. Ora è direttore dell' Association francaise d'Action Artistique, emanazione del ministero degli affari esteri, che sta promuovendo la collezione "Sur Mesure", nella quale c'è questo disco di Essyad. Quali gli intenti dell'operazione? Ce li chiarisce lo stesso Digne: 'Sur Mesure' nasce "sotto il segno dell'incontro, organizzato o fortuito, tra musica e musicisti francesi e stranieri che illustrano la loro complicità o specificità e che, lontani da un sincretismo artificiale, tessono un contrappunto immaginario". Il progetto, dunque, ha un bel respiro, e sembra capace di predisporre contenitori utili ad ospitare qualsiasi 'oggetto' compositivo. Difatti, non vi sono limiti in questo gioco senza frontiere, e anche 'specificità' tradizionali potranno essere pubblicate senza problemi (ma quale consapevolezza reale dell'incontro e confusione tra culture può esserci nei repertori tradizionali?). Il compact del quale ci occupiamo, per fortuna, presenta un'opera da camera intitolata Le Collier des ruses, del compositore marocchino Ahmes Essyad. Ma non ci si aspetti musica etnica (traditional) nel senso più retrivo del termine; ben presto, a ventitre anni, Essyad si trasferisce a Parigi, conosce e diventa allievo prediletto di Max Deutsch, entrando dunque in contatto con le teorie schoenberghiane. Il risultato è una commistione di tecniche, talvolta capaci di tradurre la sensibilità, la poesia, gli stilemi della musica orientale (maqam, dum, tak, etc.), talaltra di riprodurre note tecniche sperimentali. Il punto debole, probabilmente, di questa musica, altrimenti gradevole, è proprio nell'abuso non espressivo di queste ultime.

Girolamo De Simone

 

 

PETTERSSON

Symphony No. 3. Symphony No. 15.

Norrkoping Symphony Orchestra, Segerstam. BIS-CD-680. 70'52".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch Milano

 

Giudizio tecnico:  BUONO. DDD. Stereo.Linkoping Concert Hall, Sweden, 24-25/5/1994 (1-4); 29/5/1993 (5). Buona differenziazione tra le dinamiche.

 

Interpretazione: BUONA

 

PETTERSSON

Violin Concerto No 1. Chamber Works.

Hoelscher, Manderling-Quartett, Banfield, Albert Schweitzer-Quintett. Cpo 999169-2. 60'11".  Note  (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo.Funklaus NalepastraB, 9/93- 12/94. Strumenti solisti ben evidenziati.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

In questi due dischi vengono presentate la terza Sinfonia, la quindicesima dello svedese allievo di Honegger e Leibowitz, insieme a diversa musica da camera. Di lui ci siamo occupati sempre in occasione della serie dedicatagli dalla Cpo, e in particolare di una esecuzione della sesta sinfonia (Trojahn con la Deutsches Symphonie Orchester di Berlino), e del Movimento Sinfonico affiancato alla seconda Sinfonia (con Francis e la BBC Scottisch Symphony Orchestra). In entrambi i casi si segnalavano da un lato l'espressività e densità compositiva di Pettersson  e dall'altra gli ottimi esiti interpretativi, generalmente al di sopra della media,  delle direzioni. Per continuare il discorso (anche se da un punto di vista analitico sarebbe stato preferibile affrontare tutte le sinfonie contemporaneamente) sulla musica orchestrale, va detto che più di vent'anni separano la terza e la quindicesima, qui proposte dalla BIS per la direzione di Leif Segerstam (la stessa casa ha pubblicato la 'St Florian' di Schnittke diretta sempre da Segertram, e già recensita su queste pagine). La sua interpretazione della terza Sinfonia (scritta tra il '54 e il '55) ne rende bene la sostanziale tipicità rispetto alla produzione di Pettersson, ancorché si presenti divisa in quattro tempi. Anche se echi neoclassici ne smussano le asperità dinamiche, la lettura offre un richiamo esplicito a quella "concentrazione" presente anche degli altri lavori per orchestra. La quindicesima Sinfonia (1978), dal canto suo, torna ad essere strutturata in un solo movimento, e sommuove masse orchestrali in modo più ardito: la malattia del compositore, le sue difficoltà di vita, si rispecchiano nel vorticoso susseguirsi di temi. Questo lavoro, scritto su commissione, mi pare però eccessivamente estroverso.

Il Concerto per violino e quartetto d'archi, del 1949, dimostra  la già profonda conoscenza della scrittura per archi, ed anticipa parecchie tecniche specifiche solo in seguito consolidatesi (dall'uso non convenzionale dell'archetto a quello dei glissati). Dal punto di vista dei contenuti, va segnalata la costante presenza di aspre dissonanze, e l'assenza di quei momenti contemplativi, lirici, che distendono invece la scrittura orchestrale. Per fortuna più 'leggere' e divertenti le Quattro improvvisazioni per violino, viola e violoncello, che ci danno modo di respirare prima della densa Fuga . Due brani aforistici, per viola sola e piano (ma quanto è 'legato' il pianista Volker Banfield!), completano il compact: sono quelli più accattivanti, per l'incontrovertibile necessità di ascolti brevi che caratterizza la nostra epoca.

Girolamo De Simone

           

 

 

KRENEK

Chamber Music for Strings

Trio Recherche. Cpo 999167-2. 65'58".  Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Koln, Studio Stollbergen, Lindlar Kulturzenter, Stuttgart, Studio Villa Berg, 4/91- 10/91. Ben dettagliata e definita la linea timbrica dei singoli strumenti; piccole diseguaglianze di ambientazione tra le differenti incisioni.

 

Interpretazione: BUONA

Autore di una gran quantità di musica, e quindi anche di molteplice produzione da camera, Krenek scrisse anche questi tre lavori per trio, l'op. 118 del 1949, la Parvula Corona Musicalis op. 122 del 1950, e lo String Trio in 12 Stations op. 237 (!!!), del 1985. Si tratta di composizioni non molto eseguite, alle quali si aggiungono, nel compact in esame, alcuni pezzi per strumento solo, tre dei quali per violoncello, ed uno per violino. Dei tre interpreti il più maturo mi sembra essere Lucas Fels, capace di offrire una chiave introspettiva a questa musica fortemente intellettualistica sia nella Suite  op. 84, abbastanza lunga ed articolata, sia nel più breve Nachdenklich, uno studio concentrato e rarefatto (dura circa due minuti). Rispetto poi al giudizio critico che ancora è possibile e forse doveroso dare, va detto che la levigatezza formale di Krenek risulta certamente confermata anche in queste opere; il presupposto iniziale, che è quello di un controllo totale della mente sulla materia sonora attraverso l'uso della tecnica dodecafonica, è appena appena mitigato dall'alternanza quasi introspettiva di certi episodi, anche nei più vorticosi lavori per trio. Tuttavia, pur se non mi sembra il caso di parlare di fallimento (pare che una vecchina, rivolgendosi al marito alla prima di un concerto, abbia affermato  "sai caro, in Europa ci devono essere delle condizioni terribili") individuale, perché resta affascinante e seduttivo lo sforzo di una mente in espansione (magari implacabile, integerrima, non disponibile a mediazioni con il pubblico), ci si può forse riferire ad una storicizzazione (che è già un riporre in repertorio, cioè tra larghi faldoni di biblioteca) di questa produzione, che un suo compito ha svolto al di là del bene e del male.

Girolamo De Simone

 

 

 

BIRTWISTLE

Tragoedia. Five Distances. Three Settings of Celan. Secret Theatre.

Ensemble InterContemporain, Boulez, Whittlesey.  Deutsche Grammophon 439 910-2. 65'58".  Note e testi (Ingl. Ted. Fr. Ita.). Distribuzione: PolyGram Dische, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. IRCAM, Parigi, 6/93. Suono pulito, buoni gli impasti. Belle aperture di armonici.

 

Interpretazione: DISCRETA

Interpretazione discreta per un progetto mediocre. Per quel che riguarda Tragoedia: (per quintetto di fiati, arpa e quintetto d'archi, già su disco) cosa può conservare di accattivante, oggi, questa musica evidentemente di tipo speculativo, scritta nel 1965, che già dimostra dalle intenzioni del compositore che, per carità, il titolo non ha alcuna "implicazione di tipo tragico, nel senso ottocentesco del termine", e zac!, prima stangata alla possibilità di confondere il pezzo con contenuti di tipo teatrale, o con rifacimenti romantici ispirati al mondo greco. E tuttavia, di quel mondo si vorrebbe conservare la semplice 'forma', o meglio, la 'formalità': vale a dire l'alessandrinismo, nel senso peggiore del termine. La struttura, da altri evidenziata come pregio del compositore inglese, a me pare soffocante, anche nell'articolazione dei movimenti, evidentemente simmetrica. A di là del rispetto meramente storico che occorre portare a queste opere sperimentali (una qualche funzione l'avranno pure avuta), il loro fallimento estetico mi sembra evidente. Sono prevedibili, e se per i precetti adorniani esse avrebbero dovuto rispecchiare la dialetticità (negativa) del reale, ed essere espressione della fallibilità dell'umano, perché non conciliate, esse sono diventate ancor più scontate e già ascoltate in brevissimo tempo. Il numero e la struttura non ci hanno liberato da alcun potere; e restano un vano scodinzolio che ricerca la legittimità di un linguaggio con regole anche più stringenti e intolleranti. Questa sensazione del "già visto" ci accompagna per tutto il compact, anche se Birtwistle cerca di organizzare il materiale in modo unitario -e non stringatamente gerarchico- nelle composizioni seguenti, e mi riferisco a Three Settings of Celan per soprano e cinque strumenti. Infatti, bisognerebbe definire l'ambito concettuale del termine 'struttura'; qui essa è evidentemente allargata, eppure riesce ad essere ugualmente opprimente. Secret Theatre  prevede che gli esecutori siano seduti "quanto più possibile lontani gli uni dagli altri", per segnalare il rapporto dipendenza/interdipendenza tra gli stessi; per l'estensore delle note di copertina, questa è una musica "che non dà mai l'impressione di essere improvvisata": credo che lo si possa rassicurare, visto che ritengo assai improbabile che in questi brani possano esistere/resistere respiri improvvisativi.

L'interpretazione è certamente altamente professionale: perbacco, si tratta dell' Ensemble Intercontemporain, e di Pierre Boulez. E' proprio come ce la si aspetta: sicuramente precisa, nitida, anche virtuosistica; e magari solo un po' raggelante. Girolamo De Simone

 

 

CANAT DE CHIZY

Tombeau de Gilles de Rais

Philarmonie de Lorraine, Maitrise de Paris, Marco, Ensemble Musicatreize, Hayrabedian, Atkine, Peintre. PIERRE VERANY PV795091. 50'08".  Note e testi (Ingl. Fr.). Distribuzione: ?????????????????.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Studio. Luogo di registrazione non indicato, 1-4/2/1995. Timbri un po' sfilacciati.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

Edith Canat De Chizy è nata a Lione nel 1950, ma vive ed opera a Parigi, lavorando al CNSM con Guy Reibel. Allieva di Ivo Malec e Maurice Ohana, ha vinto una serie di premi, anche discografici, ed è poi approdata alla direzione di un conservatorio. La sua produzione mi appare accademica nel senso meno entusiasmante del termine, e decisamente poco godibile. Dal punto di vista tecnico, c'è ridondanza di stilemi legati all'avanguardia di un ventennio fa, e la cosa non sembra spiegarsi, visto che questo Tombeau è stato scritto su commissione tra il '91 e il '93. L'uso della voce, benché tecnicamente del tipo 'agguerrito ma convenzionale', non mi pare ben concepito né sufficientemente 'legante'; forse ci sarebbe bisogno di seguire molto di più i dicitori, se al loro ingresso vien voglia istintivamente di abbassare il volume. Non sono quindi d'accordo con l'estensore delle note di copertina, eccessivamente elogiativo; e non lo sono nemmeno per quel che riguarda l'intensità espressiva, decisamente prevedibile, o la disposizione armonica: sembra quasi che ormai si sia capaci di sfoggiare solo una dissonanza di seconda. Infine, una notazione sull'articolazione del linguaggio: procede per singulti ed arresti come tanta musica meramente sperimentale. Sovente le idee vengono troncate all'improvviso, magari coi soliti glissandi, o i troncamenti irritanti che ben conosciamo alla musica uscita perdente dall'era della ricerca per la ricerca. Girolamo De Simone

 

 

GLIèRE

The Bronze Horseman. Shakh-Senem Gyul'sara. Heroic March

St Petersburg State Symphony Orchestra, Anichanov.  Marco Polo 8.223675. 55'32".  Note (Ingl.). Distribuzione: ???????????????.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. St. Petersburg Philharmonic Hall, 2-4/1994. Impasti  di buon livello ma  convenzionali.

 

Interpretazione: BUONA

Recentemente leggevo su un settimanale a larga diffusione un giudizio estremamente riduttivo di Reinhold Glière, per un altro compact edito in edizione economica. Naturalmente, come al solito, non condivido né il metodo né la prassi di queste valutazioni. Cosa diavolo dovrebbe scrivere questo musicista nato a Kiev nel 1875 e morto a Mosca nel '56? Certo, eredita la tradizione romantica russa, e alla sua musica bisogna abbandonarsi senza troppe congetture, godendone senza pregiudiziali (come la categoria della 'novità per la novità'). Personalmente, quindi, gradisco sia la Suite The  Bronze Horseman (Medniy vsadnik), che anzi vorrei ancor più romantica nell'esposizione del tema, e soprattutto nelle risposte (qualcuno le definirebbe sdolcinate, ma non lo sono: l'enfasi romantica è sdolcinata solo quando cede il passo alla misura), sia le due ouvertures Shakh-Senem e Gyul'sara. Un po' meno mi convince l'op. 71, la Marcia Eroica. Infine, André Anichanov avrebbe potuto anche essere più spregiudicato. Il discorso è sempre lo stesso, per opere di repertorio: riproporle, può anche andar bene, ma come? Vogliamo gesti consapevoli, gesti di rottura, stare nel mezzo non giova a nessuno.

Girolamo De Simone

 

 

MARTINù / NONO / SCHOENBERG / HARTMANN

Pamàtnik Lidicim / Canti di vita e d'amore / A survivor from Waesaw, op. 46 / Symphonie Nr. 1 "Versuch eines Requiems"

Metrmacher, Bamberger Symphoniker, Leonard, Kallisch, Randle, Samel, Mannerchor der Bamberger Symphoniker.  EMI Classics 7243 5 55424 2 7. 58'36".  Note e testi (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: EMI Italiana, Varese.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Sinfonie an der Regnitz, Bamberg, 5/95. Registrazione leggermente sorda, e insufficiente nelle aperture dinamiche, specie nei fortissimi.

 

Interpretazione: OTTIMA

Quattro autori, due di sicuro richiamo, e diversi solisti importanti sotto la bacchetta di Ingo Metzmacher, seguendo un percorso che si potrebbe definire 'storico', perché contrappunta opere d'opposizione al regime. Il progetto mi ricorda una costatazione di Stefano Petrucciani  riferita proprio all'ambito teorico dal quale promanano le idee politiche che sono a monte della produzione riportata nel bel disco (Adorno e Horkheimer, naturalmente): "se è vero che la ragione richiede autonomia e universalità; se è vero che queste devono valere per la forma di vita umana in generale; se è vero infine che la nostra forma di civiltà non realizza l'autonomia e l'universalità possibili; allora ne consegue che l'interesse all'emancipazione da tutte le forme sociali di dominio e di ingiustizia è un interesse della ragione stessa". Ingo Metzmacher, legato alla EMI in esclusiva, ha con la stessa etichetta realizzato un compact dedicato ad Ives, ricevendo la nomination per il Grammy e diversi altri premi minori. La sua dedizione all'opera di Karl Amadeus Hartmann si manifesta attraverso il progetto di registrare l'integrale delle otto sinfonie, e il primo disco della serie ha già ottenuto notevoli riconoscimenti critici. Anche Nono fa già parte degli interessi del giovane direttore, visto che sempre per la EMI ne ha curato il Prometeo. Metzmacher dirige con energia, concedendo una grandezza e profondità tutta tedesca alle partiture eseguite. La cura del particolare non viene però trascurata, ad esempio nel rivelare piccole tessiture intermedie nella Sinfonia di Hartmann  tra pianoforte e violoncello, o tra archi che intrecciano motivi espressionisti, e così via. Soprattutto in quest'ultimo lavoro, la visione d'insieme non si smarrisce nemmeno per un istante e la ricchezza del linguaggio (benché Hartmann fosse stato allievo anche di Webern) viene ben riprodotta senza disturbare il percorso d'ascolto 'interno'. Ho la sensazione che la sala di registrazione nuoccia a questo interprete, che non ho mai ascoltato dal vivo: sempre la cura del dettaglio in pianissimo fa a pugni con la magniloquenza delle esplosioni sinfoniche. Nei Canti di vita e d'amore resto un po' deluso, forse per quell'esubero sperimentale della pagina stessa.

Girolamo De Simone

 

 

 

WEIR

Chamber Works

Domus, The Schubert Ensemble of London, Tomes, Howard, Casén. Collins 14532. 57'58". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. All Saints Church, London, Febbraio 1995. Suono nitido ed equilibrato.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE.

 

DAVIES

Corpus Christi, with Cat and Mouse. House of Winter. Sea Runes, Lullabye for Lucy. Apple-Basket: Apple-Blossom. One Star, at Last. A Hoy Calendar. Westerlings.

BBC Singer, Joly. Collins 14632. 70'37". Note (Ingl. Ted. Fr.). Testi. Distribuzione: Milano Dischi, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. St Giles' Church, London, Marzo 1995. Timbro un po' pastoso, non sufficientemente nitido.

 

Interpretazione: DISCRETA.

 

Davvero sorprendente il gesto compositivo di Judith Weir, in un disco dedicato alla musica da camera e che tuttavia sembra prediligere gli sfoghi dei tre pianisti impegnati, Susan Tomes, William Howard e Petra Casén. Nel primo brano, The Art of Touching the Keyboard, Howard dà una lettura pienamente consapevole della scrittura modulare ma espressiva e ricca di forti percorsi di senso della Weir. Il titolo non sembrerebbe richiamare, nelle intenzioni dell'autrice, quello pressocché simile di Couperin, tentando tuttavia di riprodurre una vasta serie di campioni per i differenti 'tocchi' pianistici. Per una cernita dei quali occorrerebbe non una recensione ma almeno un libello di quaranta pagine. Sta di fatto che Howard, specie nei violenti fortissimi che concludono il brano (tripartito in rapido-lento-rapido, ma senza soste), dimostra di conoscere e apprezzare il timbro puro sprigionato dai violenti rombi prodotti con la parte bassa della tastiera: un suono espansivo, non intimidito e per nulla 'controllato'. Il secondo brano dell'album, I Broke off a Golden Branch  strizza un occhio a Schubert e l'altro alla musica della Yugoslavia, e precisamente ad una melodia croata citata all'inizio della seconda parte. Qui Howard è molto più misurato, ma sempre bravissimo. Temi e tradizioni britannici o irlandesi si fanno sentire negli altri brani del bel compact. Ad esempio, una allusione alla cornamusa è in The Bagpiper's String Trio, eseguito da DOMUS (trio con pianoforte), tutto composto pensando alla tecnica di quello strumento.

Trovo deludente invece il secondo compact della Collins dedicato a Peter Maxwell Davies, un compositore che ha rivolto gran parte della sua produzione alla musica corale. La sua scrittura è prevalentemente arcaicizzante, talvolta poggiata su un acuto lavoro di ricerca e rielaborazione di manoscritti antichissimi. Una 'manualità  certamente elevata, che tuttavia non sembra sufficiente a renderlo figlio del nostro tempo.

Girolamo De Simone

 

 

CASTELNUOVO-TEDESCO

Opere per chitarra

Samuelli. Rivo Alto (Electa) CRSZ 9407. 68'05". Note (Ita). Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Privo di indicazioni relative a data e luogo di registrazione. Suono nitido e spaziato.

 

Interpretazione: OTTIMA.

Questo disco è dedicato a parte della sconfinata produzione chitarrista di un autore iperprolifico come Mario Castelnuovo-Tedesco. In particolare, include le Variations à Travers les Siecles, gli Appunti , Tonadilla e il Capriccio Diabolico. Il periodo coperto, come si può notare, è vastissimo, visto che comprende opere che spaziano tra il 1932 e il 1968, data in cui il compositore scompare. Le Variazioni davvero sembrano consentire a Castelnuovo-Tedesco di "seguitare a danzare attraverso i secoli", come giustamente indica il curatore del libretto d'accompagnamento Marco Riboni. Un po' più speculativi, forse, gli Appunti, almeno per quanto riguarda quella parte dedicata allo studio degli intervalli ("Sulle corde a vuoto" e la "Melodia senza accompagnamento" restano comunque affascinanti). Trovo seducente, invece, il settore dedicato ai ritmi delle danze dell'Ottocento, e questo forse dovrebbe farci riflettere sulla vera ratio compositiva di questo autore. Gradevolissimi e tecnicamente non facili, nonostante gli aggiustamenti inevitabili nei brani di Castelnuovo-Tedesco, anche gli ultimi due brani, Tonadilla , sul nome di Segovia e Capriccio Diabolico, che già dal nome può essere fatto risalire a Paganini. Renato Samuelli, il giovane chitarrista impegnato nel disco è straordinariamente concentrato, e piace e convince proprio per questa carica introspettiva; pare ignorarci, suonare solo per sé, senza esibizionismo o sbrodolature snobistiche. E regala musica viva, densa.

Girolamo De Simone

 

 

ESTRADA

Chamber Music for String

Arditti String Quartet, Scodanibbio. Auvidis Montaigne MO 782056. 78'35". Note (Fr. Spa. Ingl. Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. Radio France paris, 8-12/VI/94. Qualità timbrica molto curata. Ottima resa delle dinamiche.

 

Interpretazione: OTTIMA (Scodanibbio) - BUONA.

 

 

HARVEY

String Quartets, Lotuses, Scena

Arditti String Quartet, Renggli, Nieuw Ensemble, Spanjaard. Auvidis Montaigne MO 782034. 64'50". Note (Fr. Ingl. Ted.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. Studio. 1-3 BBC, 1993; 5-9, Njmegen, 1994; 4 & 10, London, 1994. Suono un po' freddo e distante (1-3); orchestra da camera  eccessivamente in sottofondo (5-9).

 

Interpretazione: DISCRETA.

 

I due dischi, frutto di una coproduzione Montaigne e Auvidis, sono ospitati nella Arditti Quartet Edition, e seguono  importanti pubblicazioni di monografici dedicati a brani della seconda scuola di Vienna,  ad alcuni radicali ricercatori come Estrada (integrale di trii e quartetti) o Ferneyhough (Sonate, secondo e terzo quartetto), ma anche a 'fuorilinea' come Rihm, Xenakis, Nono. Sempre, o quasi, però, la strada prescelta è quella di una certa oggettività esecutiva che sovente conduce ad un ipertecnicismo privo di calore. I timbri sono abbastanza prevedibili (puliti, raffinati); le dinamiche non sforano frequentemente in eccessi che non siano pastosi e ben confezionati. Questo mi pare abbastanza evidente, ad esempio, nel compact dedicato alla produzione di Jonathan Harvey, allievo prima di Erwin Stein e Hans Keller, e poi di Milton Babbitt. In Scena si alternano sostanzialmente due stati d'animo, quello un po' rarefatto del violino solista e quello movimentato, intricato, di tipo sperimentale, dell'orchestra da camera. Non mi convince nemmeno il primo quartetto, esplicitamente riferito a Giacinto Scelsi, perché vi permane fin troppa enfasi volontaristica. Infatti, vi si riferisce l'ispirazione a Steiner, il celebre antroposofo, la cui speculazione c'entra solo marginalmente con lo zen di Scelsi. Nel compact dedicato a Estrada, pur permanendo le suddette abitudini esecutive del quartetto Arditti, devo dire ogni bene di una portentosa esecuzione di Stefano Scodanibbio in Miqi'nahual. 

Girolamo De Simone

 

 

ABJEAN

Ar Marh Dall. Missa Keltia.

Ensemble Choral du Bout-du-Monde, Les musiciens de An Triskell, Abjean. Arion ARN 64337. 46'40". Note (Fr. Ingl.). Testi. Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).

 

Giudizio tecnico:  DISCRETO. AAD. Stereo. Eglise de Plouguerneau (Nord-Finistère), 1980-1982.  La registrazione presenta gli inconvenienti tipici di un live.

 

Interpretazione: BUONA.

Si tratta di un disco pop. E pertanto ha ben poco da condividere con la classica se non in termini di forma. René Abjean, citato solo una volta nel risvolto di copertina (evidentemente aveva più piacere a figurare come direttore) adotta nei due brani qui presenti la forma di "cantata" e di "messa". Ma i due termini hanno poche implicazioni di tipo colto. Infatti, Ar Marh Dall è una cantata solo perché viene, appunto, "cantata", e la cosa "è priva di analogie di qualunque tipo". E, difatti, s'ispira alla musica folk, tradizionale, rurale, che parla alla gente, ed è forse capace di coinvolgere quest'ultima proprio perché basata su motivi celtici trattati in modo libero, con batteria che risalta più dell'organo, con voci corali e soliste, con bombarde, chitarre ed arpe. Così, Ar Marh Dall risulta composto di una serie di piccoli brani suddivisi in tre parti, sette tracks che contengono però molte songs differenziate. Il risultato è discontinuo, e forse un po' insistente, ma l'operazione è di quelle accattivanti, perché fondata sulla mescolanza delle fonti e la commistione di tecniche che manipolano gli originali. Anche la Missa Keltia mantiene le stesse caratteristiche, anche se la suddivisione in sole quattro sezioni (Gloria, Sanctus, Agnus Dei, Magnificat) le dona un grado di maggiore omogeneità e consistenza.

Girolamo De Simone

 

 

DANIELI

Laudes Mariae

Cori "Orlando di Lasso", "Polifonica 10", della scuola R. Goitre, della scuola "Figlie di Betlem", Ubaldi, Cavedon, Senese, Cremaschi, Reister, Villani, Calindri, Cornaggia, Puppo, Gorrotxategi, Guadagnini, Tiboni.  Sarx Records, SX 005-2. 69'03". Note (Ita. Ingl.). Testi. Distribuzione: ??????????

 

Giudizio tecnico:  BUONO. DDD. Stereo. Chiesa SS Patroni d'Italia Francesco e Caterina, Milano, Giugno 1994. Registrazione non sempre ben bilanciata.

 

Interpretazione: BUONA.

Confesso di aver avuto subito, già prima dell'ascolto, dubbi  sulla formula del compact. Che si presenta in questo modo: diciotto tracce, nelle quali si inseriscono alcuni testi recitati da Ernesto Calindri (che peraltro è anche bravo). Testi tratti da Petrarca e Dante, tutti principianti con la parola "Vergine...". Per carità, nulla in contrario alla tradizione dei Fedeli d'Amore: soltanto ragioni di opportunità formale  mi spingono infatti a ritenere che un espediente utile in una rappresentazione dal vivo non necessariamente funziona poi in un compact, un 'oggetto estetico' che ha regole a sé stanti, e non è un semplice contenitore o supporto audio di qualcosa che risiede altrove. Non so se l'esecuzione dal vivo portata a buon esito ai primi del '94 effettivamente presentasse questi testi come una sorta di espediente per interrompere la successione musicale, e quindi nemmeno posso dire se dal vivo questo alleggerimento della tensione funzionasse. Nel disco, alla prova dei fatti, mi pare di no, perché interrompe una narrazione affascinante, ed una esecuzione di grande qualità. Danieli, benché sia stato allievo di Donatoni, possiede una bella e rarefatta scrittura, espressiva e di  mistico respiro. Si nota anche l'impegno interpretativo, e la cura, dei molti cori impegnati: l'insieme è omogeneo. Ma ogni volta che ascolto il disco programmo l'esclusione dei quattro testi recitati.

Girolamo De Simone

 

 

SCHREKER / BERG

Kammersymphonie. Vorspiel einer GroBen Oper / Drei Orchesterstuecke op. 6

Badische Staatskapelle, Neuhold. Antes BM-CD 31.9043. 63'24". Note (Ted. Fr. Ingl. Ita.). Distribuzione: ?????????

 

Giudizio tecnico:  OTTIMO. DDD. Stereo. Badisches Staatstheater, Dicembre 1994.  Timbri ben curati, mai a danno dell'omogeneità complessiva.

 

Interpretazione: OTTIMA

Anche se la copertina  segue il solito vezzo di anteporre il nome del compositore più 'fortunato', questo compact risulta poi nei fatti sostanzialmente dedicato a Franz Schreker (o Schrecker, visto che la 'c' fu eliminata solo in un secondo momento), e per la precisione a due lavori, una Sinfonia da Camera  per ventitre strumenti solisti, scritta a Vienna nel 1916 e rappresentatavi al Conservatorio l'anno successivo, e il Prologo per una Grande Opera, che tuttavia non sarebbe mai venuta (si tratta del progettato Memnon) a causa della morte sopravvenuta due giorni dopo il 56° compleanno, nel 1934. I due brani occupano complessivamente quasi quarantacinque minuti, mentre solo diciannove  son dedicati al Berg dei Tre pezzi op. 6. La musica e la vita di Schreker vengono inquadrate generalmente come liberty, tardoromantiche, ed è singolare che a questa lettura s'adegui la sua attenzione per una "musica remota" inseguita tutta la vita. E che il titolo dell'ultimo lavoro sembri evocare un'altra, meno musicale 'Grande Opera'. La figura di Schreker viene ricordata più per un episodico rapporto con Schoenberg, e per l'essere stato un valente direttore, che per la magnifica scorrevolezza delle composizioni. Ciononostante, la Kammersymphonie resta un capolavoro di introspezione; il Prologo è tanto trionfale e ironico (nel citare un tema di Ravel) da non sembrare un'opera della scomparsa. Il gesto, la discorsività di Gunter Neuhold si prestano meravigliosamente all'interpretazione di questo direttore/compositore, che non delude nemmeno in Berg.

Girolamo De Simone

 

 

 

ESA-PEKKA SALONEN

Mimo II. Yta I, II, III. Concerto for Alto Saxophone and Orchestra. Floof.

Finnish Radio Symphony Orchestra, Salonen, Helasvuo, Hakila, Karttunen, Savijoki, Komsi. Finlandia Records 4509-95607-2. 57'10". Note (Ingl. Fr. Ted.). Testi. Distribuzione: ????????????

 

Giudizio tecnico:  MEDIOCRE. ADD/DDD. Stereo. Luoghi differenti per ogni registrazioni. 1989-1993.  Risultati  variegati e differenziati. Suoni spesso imbottigliati; presa del suono sovente difettosa

 

Interpretazione: MEDIOCRE.

Esa-Pekka Salonen è un giovane compositore e direttore d'orchestra, allievo del grande  Rautavaara (si è detto ogni bene su queste pagine di un suo monografico edito da Catalyst). Il frutto di entrambe le professioni, che già da piccolissimo aveva desiderato svolgere, è in questo compact monografico, che però non mi sembra particolarmente accattivante. Come direttore mi pare non malvagio. Ma le sue sequenze per strumento solista sono deludenti,  non originali né gradevoli. Non trovo eccezionalmente bravi nemmeno gli interpreti. Sia Yta I per flauto solo, che Yta II e III per pianoforte e violino saranno pure brani virtuosistici, ma lasciano piuttosto scettico l'ascoltatore: perché mai un compositore di talento scrive ancora musica come questa? Una risposta è nelle date di scrittura: il Concerto per sassofono risale al 1980, Yta è stato elaborato tra l' 82 e l' '86. Floof, per soprano e cinque esecutori, è dell' '88. A parte il fatto che già allora la fase sperimentale si stava esaurendo,  resterebbe la risposta che probabilmente il compact ha il valore di una retrospettiva. Ma la prima track è Mimo II, del 1992, ed è sicuramente il pezzo più consapevole del fatto che dalla fase seconda si sia ormai passati alla terza, alla quarta, alla quinta... e se il brano migliore è stato posto in apertura, non ne consegue che c'è stata una svolta anche nelle consapevolezze di Esa-Pekka Salonen? E allora perché non attendere ancora del tempo prima di lanciarsi in un monografico?

Girolamo De Simone

 

 

SCHREKER

Irrelohe

Singverein der Gesellschaft der Musikfreunde in Wien, Froschauer, Wiener Symphoniker, Gulke. Sony Classical S2K 66 850 (due cd). 68'26", 57'59". Note (Ingl. Ted. Fr. Ita). Testi (Ted. Ingl.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.

 

Giudizio tecnico: ECCEZIONALE. DDD. Stereo. Grober Musikvereinsaal, Vienna, 15 Marzo 1989. Belli i contrasti.

 

Interpretazione: BUONA

Sony Classical propone in cofanetto l'opera di Franz Schreker Irrelohe, che segna una svolta nella produzione di colui che fu definito "l'erede di Wagner" da Paul Bekker. Difatti il lavoro, che è del 1924 e segue a Der ferne Klang (Il suono lontano), Das Spielwerk und die Prinzessin (Il carillon e la principessa), Der Schatzgraber (Il cercatore di tesori), viene generalmente indicato come quello in cui Schreker si allontana dalle modalità proprie del teatro espressionista. Irrelohe deve il suo nome ad una casualità: svegliatosi di soprassalto durante un viaggio in treno, Screker si affaccia al finestrino e vede il nome della stazioncina che ha causato la fermata improvvisa: "Irrloh", che diventa subito  Irrelohe, approssimativamente traducibile come vampa di fuoco, scintillio folle. Lo scintillio è quello degli occhi del protagonista Heinrich (lo stesso nome di Faust), che rappresenta un po' il versante maledetto dell'opera. La quale è, appunto, un lavoro che può essere collocato in ambito postromantico, tenendo conto della complessa vicenda creativa del compositore, e della sua profondissima conoscenza del trattamento dell'orchestra. Tutto ciò vuol dire che il lavoro è molto gradevole, e interessante specialmente nei punti esclusivamente orchestrali.

 Girolamo De Simone

 

 

ZIMMERMANN

Requiem fur einen Junger Dichter

Gielen, Orsanic, Johnson, Rotschopf, Schier, Grund, Jazz Band A. Von Schlippenbach, SWF-Sinfonieorchester Baden-Baden. Sony Classical SK 61995. 64'12". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. SWF Grobes Festspielhaus, Salzburg, Austria, 12 Marzo 1995. Dinamiche rese ottimamente. Bel lavoro anche nel trattamento della voce degli speakers.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

 

TAVENER

The Lamb. Innocence. The Tyger. Annunciation. Two Hymns to the Mother of God. Little Requiem for Father Malachy Lynch. Song for Athene.

Rozario, Titus, Nixon, Neary, Fullbrook, Baker, English Chamber Orchestra, Westminster Abbey Choir, Neary. Sony Classical SK 66613. 66'44". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Sony Classical, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Westminster Abbey 1994-1995. Buona resa timbrica dell'organo, voci solo un po' in lontananza, ma la cosa non disturba.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

I due compact Sony Classical, dedicati entrambi alla musica sacra, con un Requiem fur einen junger Dichter  (per un giovane poeta) composto tra il '67 e il '69 da Bernd Alois Zimmermann e un Littlke Requiem for Father Malachy Lynch (padre Malachia non è un personaggio di Eco ma un priore caro al compositore) scritto da John Tavener nel '72. Sia per l'attenzione al genere, sia -grosso modo- per le date di composizione, è possibile porre i due mondi l'uno affianco all'altro, e trarne qualche interessante spunto. Di formazione presbiteriana, John Tavener ha prodotto una gran quantità di musica sacra, che però si distingue per  originalità, perché tratta la forma tradizionale con interventi decisamenti anticonvenzionali (e un esempio  è proprio il Requiem presentato nel disco).  Se dovessi tradurre in linguaggio lineare questa musica così evocativa non potrei fare meglio che riferirmi ad uno degli autori prediletti di Tavener, vale a dire al poeta visionario William Blake, dal quale prende in prestito i testi per The Lamb e per The Tiger due lavori dell' '82 e  '87. Blake pare al nostro Tavener "limpido e diretto, piuttosto che sinuoso", e un esempio di questo contrappunto indiretto tra lingua e musica gli è parso Songs of Innocence. 

Completamente diversa la produzione di Zimmermann, formatosi a Colonia e conosciuto soprattutto per Die soldaten. Il suo Requiem è estremamente sofisticato dal punto di vista delle tecniche utilizzate. Usa ad esempio ben due speaker (e la cosa non è affatto semplice, perlomeno con un risultato compositivamente omogeneo), un'orchestra jazz (ma c'è ben poco jazz puro, naturalmente), un grand'organo, e ben cinque, dico cinque, cori, che producono inserti a mo' di collage.

Quale dei due autori si può prediligere? si tratta di mondi differenti, ma se avessi con me soltanto pochi denari, comprerei Tavener.

Girolamo De Simone

 

 

 

 

 

PENDERECKI

Complete sacred works for chorus a Cappella 1962-92

Tapiola Chamber Choir, Kuivanen. Finlandia 4509-98999-2. 51'31". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. The Olary Church, Espoo, Finland. Suono nitido, dinamiche un po' statiche.

 

Interpretazione: BUONA

 

 

VASKS / BALAKAUSKAS / NARBUTAITE

Stimmen / Ostrobothnian Symphony / Opus Lugubre

Ostrobothnian Chamber Orchestra, Kangas. Finlandia 4509-97892-2. 65'02". Note (Ingl. Ted. Fr. Fin.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Kokkola Conservatory Hall, Finland, marzo 1994.  Pianissimi poco percepibili.

 

Interpretazione: OTTIMA

 

Nel primo cd Finlandia il Tapiola Chamber Choir diretto da Jula Kuivanen presenta una selezione di opere per coro a cappella di Penderecki scritte nell'arco di un trentennio, tra il '62 e il '92. Il lavoro più antico è lo Stabat Mater del 1962, su testo di Jacopone da Todi. Parrebbe echeggiare profondi bassi tibetani, salvo subito allontanarsi dal suono unico tipico di quella tradizione e produrre distanze tipiche del periodo sperimentale. Il fascino sarebbe assicurato se non si perdesse subito il dettato linguistico, attraverso frammentazioni di senso che non è possibile godere né condividere. Il Miserere, e In pulvere mortis, su testo tratto dalla vulgata, seguono la stessa linea: una esposizione che lascia intravedere un progetto di forte spessore, una capacità di scrittura densa e profonda, ma che poi decide di perdersi in atolli un po' isolati, con troppi virtuosismi tecnici, troppe trovate sperimentali. Il percorso si fa via via più arioso con il progressivo allontanamento dal vangelo dell'avanguardia a tutti i costi, fino a risalire nuovamente la china con opere che sfiorano le consonanze rinascimentali, ma con la consapevolezza di utilizzo propria di chi scrive oggi, in tempi di consolidata consapevolezza postmoderna: le cose più recenti, un Benedicamus Domino e un Benedictus del 1992 sono quelle in cui il discorso compositivo si dipana più felicemente. L'interpretazione del Tapiola è tecnicamente funzionale alle esigenze di Penderecki, e riesce ad assecondarle felicemente in tutto il loro percorso.

Anche il secondo cd Finlandia è dedicato ad opere sinfoniche di compositori baltici dei quali non è affatto facile reperire accessi discografici. Si tratta di Osvaldas Balakauskas, del quale viene presentata l'intricata Ostrobothnian Symphony  (qui le tecniche sperimentali non disturbano fruizione e comunicazione espressiva); Peter Vasks, con la Symphony for string 'Stimmen'; e di Onute Narbutaite, con Opus Lugubre. Bellissima l'interpretazione della Ostrobothnian Chamber Orchestra: un compact che vale la pena possedere. Girolamo De Simone

 

 

 

 

 

GERHARD

Symphonie n. 1 & n. 3

Orchestra sinfonica di Tenerife, Pérez. Auvidis/Valois V 4728. 58'59". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Paraninfo de l'Université de la Laguna, Tenerife. Fortissimi un po' compressi.

 

Interpretazione: DISCRETA

Roberto Gerhard è conosciuto soprattutto per aver 'implementato', per così dire, la sua origine spagnola (è nato a Valls, in Catalogna, nel 1896) con la sua fede dodecafonica. Già questo fa capire che non si tratta di un 'ortodosso': la sua nascita viene ammorbidita da un trasferimento in Inghilterra, appena all'inizio della guerra civile; la sua fede non è rigida al punto da fargli evitare l'utilizzazione di stilemi sufficientemente appassionati o espressivi, o da fargli utilizzare miscellanee con la musica elettronica, come fa proprio nella terza Sinfonia, ospitata nel compact. Va detto subito che l'esecuzione del Collages (il titolo di sinfonia fu successivo) è tecnicamente più che complessa, come sempre accade quando le registrazioni su nastro si mescolano a quelle 'reali'. Tuttavia, lo sviluppo e la tecnica utilizzata per la costruzione del nastro è abbastanza personalizzata, e non intenderei, d'accordo con David Drew, estensore delle note di copertina, questa musica come un prodotto elettroacustico (per bella fortuna di Gerhard), ma come l'utilizzazione saltuaria di una tecnica espressiva. Non si aspetti, tuttavia, l'ascoltatore, il piacere del trasporto rilassato, ma piuttosto quello intellettuale della ricognizione storico-musicale. Girolamo De Simone

 

JON LEIFS

Sinfònìa I, Op. 26

Iceland Symphony Orchestra, Vanska. Bis CD-730. 53'55". Note (Ingl. Ted. Fr.). Distribuzione: Nuova Carisch, Milano.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Hallgrim's Church, Iceland, marzo 1995. Suono leggermente intubato.

 

Interpretazione: DISCRETA

Interpretazione discreta, per una sinfonia dalla scrittura poderosa, significante, spessa. Jon Leifs, nonostante fosse stato messo al bando dal governo nazista, era riuscito ad avere un posticino alla fine di una rassegna. Inizia l'esecuzione, ma ciascuno spettatore si alza, e pian piano si svuota la sala. Restano in venti, e alla fine del pezzo applausi isolati giungono dal teatro semideserto. Dopo l'umiliazione, Leif si sveglia di notte, e pensa di scrivere un'opera grandiosa, come per una sorta di compensazione interiore tra lo smacco subito e la forza creativa emergente. E progetta di rivolgersi ai personaggi delle saghe islandesi, costruendo la sinfonia che è oggetto del compact. Nonostante una esecuzione che mi pare un po' inconsapevole, con la Iceland Symphony Orchestra diretta da Osmo Vanska, il disco è gradevole, e ci parla di un uomo che ha dovuto subire parecchi torti, adeguarsi a qualche compromesso, conoscere più di un insuccesso come compositore. La sua sinfonia, specie nel primo movimento, mi ricorda un po' il timbro e la 'pesantezza' (in senso positivo) della musica di Gorecki. Potrebbe pertanto avere molto più spazio e successo, in un'epoca in cui la conciliazione col passato tende a prevalere. Magari proprio per non dimenticare.

Girolamo De Simone

 

 

 

WILLAN

Missa brevis. Sancti J. Baptistae. Corde Natus. Motets.

The Choirs of the Church of St. Mary Magdalene Toronto, Bell. Virgin Classics 7243 5 45109 2 2. 74'57". Note (Ingl. ). Distribuzione: Emi Italiana, Varese.

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Church of S. Mary Magdalene, Toronto, 1994. Voci troppo impastate e in lontananza.

 

Interpretazione: MEDIOCRE

Virgin Classics presenta in un compact monografico buona parte dell'opera corale di Healey Willan. Dalla data di nascita (1880) si può ben immaginare che Willan non dialoghi e non si preoccupi affatto di quello che in ambito formale stava accadendo nel mondo, e lo si può giustificare. Ma da quella di morte (1968), invece, si dovrebbe desumere che l'assetto e l'andamento impermeabilizzato di questo compositore abbia avuto un che di stupefacente. E' vero che la sua produzione è soprattutto liturgica, che si è trattato di un musicista straordinariamente prolifico (settecento numeri d'opera), che pur essendo inglese ha vissuto a lungo in Canada (e tanti canadesi si sono lamentati della particolare 'sfortuna' di quella terra per quanto riguarda la genialità compositiva). Ma non si riesce a trovare eccitante, forse anche per l'esecuzione, questa musica che pare scritta in secoli lontani. Nonostante Willan sia stato un caposcuola di musica liturgica.

Girolamo De Simone

 

 

HERVIG / HIBBARD / ZIOLEK / PAREDES / ECKERT / LA BARBARA

Off Center / Handwork / Nocturnes / 16 (Speakers) / Movement for Five Instruments / Awakenings.

Head, Wendt, Geary, Ziolek, Ohlsson, Greehoe, Bergquist, Feeney, Ross, Rovine, Fuller, Koenig, Marco, Feeney, Palmer, Gompper e altri. Music & Arts CD 830. 73'14". Note (Ingl. ). Distribuzione: ??????

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD except 4 track: ADD. Stereo. Clapp Recital Hall, The University of Iowa. 1988,1991,1992. Registrazioni eterogenee per presa del suono ed occasione.  

 

Interpretazione: OTTIMA

Interessante questa documentazione sonora di quello che l'Università di Iowa ha proposto negli ultimi anni d'attività. Ricordo al lettore che presso quell'università ha sede il Center for New Music (CNM) fondato nel 1966 come emissione della Rockefeller Foundation. Lì sono passati, per intenderci, Luciano Berio, George Crumb, Charles Dodge, Morton Feldman, Lukas Foss, Salvatore Martirano, Roger Sessions, etc. Si tratta di un modo molto diverso di fare musica contemporanea: in Italia i compositori quasi pagano pur di avere esecuzioni. In America invece ancora esistono commissioni, e spesso i compacts vengono realizzati con munifiche elargizioni. Non parlo di finanziamenti statali, ma di privati!  e di privati che ancora credono alla valenza culturale della musica contemporanea!  ...meraviglie dell'America. Ma al di là della boutade va detto che effettivamente il compact offre una bella panoramica; si va dal concentrato, benché ancora un po' pendente dal lato dello sperimentalismo deteriore, Off Center di Richard Hervig (1991) allo sfavillante Handwork , dove un irreprensibile Garrick Ohlsson esibisce  tecnica e precisione notevoli in un lavoro purtroppo compositivamente prescindibilissimo di  Hibbard. Il cd, dopo altri tre brani recenti (tutti del '91) di Eric Ziolek, Robert Paredes e Michael Eckert, si chiude con Awakenings di Joan La Barbara, un  pezzo per ensemble strumentale che mi pare la cosa migliore qui riprodotta, e che rende inevitabile l'acquisto.

Girolamo De Simone

 

 

MILHAUD

Symphonies 10-12

Radio-Sinfonieorchester Basel, Alun  Francis. Cpo 999 354 - 2. 59'14". Note (Ingl. Ted. Fr. ).  Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Volkshaus Basel, Vienna, Maggio 1995. Elevata cura del suono, che risulta corposo e fedele in tutta la gamma delle dinamiche.

 

Interpretazione: BUONA

Milhaud ha composto la decima e l'undicesima sinfonia, la "Romantica", nel 1960 e la  dodicesima ("Rurale") nel 1962 (anche se alcune fonti la retrodatano allo stesso 1960), in occasione dell'inaugurazione di una sala da concerto all'Università di Davis. Si tratta delle ultime tre sinfonie, se si esclude la Symphonie pour l'Univers Claudelien del '68. Chiudono quindi  un ciclo iniziato nel 1939, con l'avanzato numero d'opera 210.

La musica è più 'convenzionale' e meno dirompente che in altri brani più noti, come ne La Création du monde o Le Boeuf sur le toit  (che Milhaud pare sia arrivato quasi ad odiare negli ultimi anni di vita).

Il repertorio di Alun Francis comprende anche Berio, Stockhausen, e numerosi altri contemporanei. Segnalo, specialmente, l'incisione dell'integrale delle sinfonie di Allan Pettersson, di cui Francis mi pare interprete ideale. Il filtro del contemporaneo arricchisce certamente anche la lettura  delle sinfonie 10-12 di Milhaud,  e degli altri  lavori incisi per la Cpo, tra i quali indico la quinta e sesta sinfonia ( 999 066-2), la settima, ottava e nona (999 166-2),  Les Reves de Jacob, e le serenate Stanford eAspen ( 999 114-2). Tra i pregi della sua interpretazione ci sono l'attenzione per i colori, l'equilibrio tra i differenti episodi, l'unitarietà e consapevolezza del linguaggio. Ma il contraltare di questi pregi è l'eccessiva morbidezza, la prevalenza del momento razionale, un generale appiattimento. E se questo può portare ad esiti felici nella Sinfonia "Romantica", che in tre intensi movimenti ("Intense", "Méditatif" e "Emporté") disegna il versante espressivo di Milhaud, sembra diventare troppo 'pesante' nel quarto movimento, "Lumineux", della Sinfonia "Rurale".

Girolamo De Simone

 

 

MARIACHI JALISCO

Canta a su tìerra

Ensemble Mariachi Jalisco. Arion 64342. 60'17". Note (Mex. Ted. Fr. ). Testi.  Distribuzione: Ducale, Brebbia (Va).

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Studio Gema, Barcellona. Settembre 1995. Sound complessivo molto vicino a rimasterizzazioni d'epoca, ma che conserva intera la nitidezza digitale.

 

Interpretazione: BUONA (ma progetto MEDIOCRE)

Cosa scrivere di questo disco? Si tratta, francamente, di un lavoro spiazzante, perché non saprei collocarlo né nell'area della musica etnica doc (di cui l'etichetta Arion è validissima promotrice), né nell'alveo di quella produzione che oggi si definisce 'globale', e di cui si fanno testimoni etichette come Real World, Narada, Ecm... "Mariachi Jalisco"  è un ensemble di trombe, violini, chitarre, cori, diretto da Gilberto Piedras e Paulino Carrazco, e prende il nome dal complesso strumentale che accompagna il "corrido" degli arrangiamenti. Per quanto riguarda la musica, si tratta di una sorta di revival commercial-turistico che non mi dispiacerebbe ascoltare come sottofondo in un buon ristorante messicano. Gli arrangiamenti e il modo di suonare sono simili a quelli che andavano tanto in voga in Italia alla fine dei malinconici 'Sessanta', e prima dei fulgidi 'Settanta', che avrebbero poi inseminato tanta musica successiva. Un disco che trasmette una certa tristezza, nonostante la bravura dei singoli musicisti.

Girolamo De Simone

 

 

 

PETTERSSON

Symphonies No. 5, No. 16

Rundfunk-Sinfonieorchester Saarbrucken, Alun Francis. Cpo 999 284 - 2. 65'24". Note (Ingl. Ted. Fr. ).  Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Grober Sendesaal des SR, Febbraio-Marzo 1995. Registrazione un po' pastosa.

 

Interpretazione: OTTIMA

Pettersson, il compositore svedese allievo di Honegger e Leibowitz, dovrebbe ormai essere noto ai lettori di Cd classica, perché la Cpo ne sta curando una integrale, e chi scrive ha già recensito parte dell'opera da camera, la seconda sinfonia e il Movimento Sinfonico diretti sempre da Francis. Invece, la terza e quindicesima sinfonia sono state trattate per la direzione di Segerstam (per la Bis). La sedicesima sinfonia, l'ultima compiuta dall'autore (esistono solo frammenti di una diciassettesima), riesce davvero ad essere una sorta di lascito sinfonico, come indica il curatore del librino d'accompagnamento. La sinfonia fu scritta nel 1979 su richiesta del sassofonista americano Frederik Hemke ed è un brano notevolissimo, pieno di scatti ritmici, momenti d'atmosfera, alternanza di episodi e abbinamenti strumentali particolari, restando tuttavia sempre attraversato da una specie di tensione discorsiva, di incessante e progressivo incalzare. E' un lavoro dall'incredible potenza espressiva.  Abbinato alla quinta Sinfonia, la prima a grande struttura, costituisce un programma eccellente per conoscere il meglio della produzione di Pettersson. Nella quinta, quell'ansia dinamica non può dirsi ancora sbocciata nell'incalzare che contraddistingue, invece, la sedicesima e la quindicesima sinfonia. Qui, l'ansia prende forma attraverso la densità e l'espansione delle dinamiche, spesso improvvisamente accese su esplosioni inattese dei fiati e degli archi. Una nota particolare di merito va al il sassofonista John-Edward Kelly, che, ad un confronto problematico ed estremamente dialettico con la partitura, ha migliorato e riscritto alcune sezioni trasponendole all'ottava alta, confortato in ciò dal consiglio di Anders Eliasson, uno dei compositori più attenti ed interessati all'opera dello svedese. Sarà per il fatto di sentirla più 'sua' grazie a questi interventi, o per la potenza quasi innata della scrittura, ma l' interpretazione di Kelly è davvero bella, con esiti  piacevolmente sconcertanti.

Girolamo De Simone

 

 

 

VILLA-LOBOS

Symphony No. 4 "Victoria", "Cello Concerto No. 2, Amazonas.

Simòn Bolìvar Symphony Orchestra of Venezuela. Diemecke, Dìaz. Dorian 90228. 66'06". Note (Ingl. Spa.).  Distribuzione: ??????????????

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Universitdad Central de Venezuela, Caracas, luglio-agosto 1995. Suono corposo e pieno.

 

Interpretazione: OTTIMA

La sinfonia "Victoria" di Villa-Lobos appartiene ad un miniciclo che ne comprende altre tre (terza, quarta e quinta) descrivendo a programma, rispettivamente, avvenimenti di guerra, vittoria e pace. La "Victoria" è stata scritta nel 1919 e risente moltissimo della musica impressionistica francese, in special modo della scrittura per orchestra di Debussy. Si tratta di un lavoro di grandi dimensioni, con un'orchestra che presenta alcune partizioni interne, con il gruppo della fanfarria (trombe, tromboni, corni e tuba) e una piccola banda con altri strumenti a fiato e a percussione. La musica, se nel secondo tempo cita esplicitamente, come s'è detto, la Francia, anche attraverso il tema della "marsigliese", presenta echi tardoromantici nel primo movimento, citazioni d'atmosfera che richiamano Respighi nel terzo, e qui e là effetti grandiosi e monolitici tipici della musica russa. Il movimento più convincente, anche per la pacata conduzione di Enrique Arturo Diemecke (all'esordio per l'etichetta Dorian, ha già realizzato altri dischi per Sony), è il terzo, un Andante fortemente espressivo, con aperture ravelliane. La quarta Sinfonia, come tanta altra musica descrittiva, può piacere moltissimo o scatenare improvvisi moti d'ilarità per certe esagerazioni. Il secondo Concerto per violoncello è invece opera più caratterizzata, sia per la nota predilezione del compositore per quello strumento che per l'implicito richiamo alle "Bachianas brasileiras". Il violoncellista, Abdrés Dìaz, primo premio nell'86 del Concorso Internazionale Naumburg,  solista di tutto rispetto, risulta interprete attentissimo alla qualità del suono, più che ad un deteriore virtuosismo. Assieme a Diemecke sforna un'interpretazione molto accurata,  godibilissima. L'ultimo pezzo del compact, "Amazonas", scritto nel 1917, torna ad essere descrittivo. Dopo averlo composto, Villa-Lobos riferì di "aver perso il pudore e la timidezza di descrivere cose temerarie". Si tratta di un vero e proprio poema sinfonico, composto su un'idea del padre Raùl Villa-Lobos. Una storia indiana, non priva di elementi caratteristici, e musica sinuosa e calda, proprio come ce l'attenderemmo. 

Girolamo De Simone

 

 

NIN-CULMELL / RODRIGO / LIBEROVICI / MILHAUD / RAVEL

Chanson populaires séphardiques / Canciones serdìes / Otto canti in ebraico e in yiddish / Chants populaires hébraiques / Deux mélodies hébraiques, Chants Populaires

Jona, Alessi. Nuova Era 7261. 61'33". Note (Ita. Ingl.).  Distribuzione: Harmony Music, Scadicci (Fi).

 

Giudizio tecnico: BUONO. DDD. Stereo. Villafranca d'Asti, Ottobre 1992. Eccesso di spazialità per il pianoforte.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Un progetto importante. Un disco imperdibile, anche perché in questo periodo c'è grande attenzione per il mondo musicale ebraico, e numerose uscite discografiche che raccolgono materiali originali, opere di contemporanei, musica klezmer, lavori per canto dalla shoa, o, come in questo caso, composizioni di provenienza colta. Ma, come scrive lo stesso Alberto Jona, bravissimo interprete di questo compact, ogni autore, benché avesse una provenienza colta, si è accostato con approccio particolarissimo all'eterogeneità del mondo ebraico, pervenendo a personali riletture. La base comune, assieme ad un modo particolare di concepire la spiritualità e la severità del divino, è "un misto di malinconia, ironia, allegria e tristezza". Parrebbero opposti inconciliabili, e invece la musica ebraica è proprio così, e benché venga raccontata in modo diverso da Ravel, Rodrigo, o da Sergio Liberovici, cui il disco è dedicato, resta sempre riconoscibile, unica eppure molteplice, come unica è la radice di quel grande popolo, capace  di mescolarsi al resto del mondo senza perdere nulla in identità e tradizioni. Accosterei il disco, per questi motivi  e a causa di pure assonanze mistiche, soprattutto a quello di Sarah Gorby (Les Inoubliables chants du Ghetto, Ario, 64081), a quello dell'Ensemble of Jewish Music Mitzwa (MK 427133), o alle melodie ebraiche cantate da Jan Peerce, benché con una riserva sugli arrangiamenti (RCA 09026 616872), tutti già recensiti su queste pagine. E' opportuno ancora segnalare la magnifica lettura di Jona e Alessi di "Una pastora yo amì" di Rodrigo, la rasserenante "Senza Parole" di Liberovici, e naturalmente, le due raffinate melodie ebraiche di Ravel.

Girolamo De Simone

 

Altre segnalazioni

Per cominciare vorrei indicare ai lettori una rosa piuttosto eterogenea di titoli. Il primo è reperibilissimo: si tratta di un disco Ermitage interamente dedicato a Gershwin, uscito pochi giorni fa assieme ad uno speciale di "Symphonia" (il tutto può essere richiesto agli edicolanti più forniti). Il cd comprende alcune chicche particolarmente gustose. C'è innanzitutto "Blue Monday", l'opera jazz in un atto del 1922, su lirics di Buddy De Sylva e con orchestrazioni di Gregg Smith e Edmund Hajera. Siamo nel periodo in cui il nostro è ancora un "songster", un macinatore di canzoni di successo, proprio alla vigilia dello straordinario successo della rapsodia in blu. "Blue Monday" è  stata piuttosto sfortunata: creata come intermezzo di rivista, fu poi rielaborata in forma di oratorio (si fa per dire, naturalmente). Segue il progetto di Paul Whiteman di "mettere in evidenza l'incredibile progresso compiuto dai tempi del jazz disarmonico fino alla musica d'oggi, così melodiosa che -senza una ragione valida- si insiste a chiamare jazz": un programmino niente male... Il compact è completato dalle "Improvvisations" per piano solo trascritte da Wodehouse tra il '26 e il '28 (un passo avanti rispetto alle più conosciute songs rielaborate da Ira Gershwin), e dal reperto storico "Deliciuos" del 1931, con estratti dalle soundtrack originali.

Il secondo compact che merita l'acquisto contiene la splendida musica scritta da Eleni Karaindrou per il film di Theo Angelopoulos "Lo sguardo di Ulisse" ("Ulisses' Gaze", ECM new series 1570, lo si trova da Demos). Temi tradizionali (si tratta di un salmo) si mescolano a variazioni affidate alla viola solista Kim Kashkashian, che davvero evoca atmosfere straordinariamente rarefatte, sospese tra il cielo e la terra, magiche ed allusive come le immagini del film.

 

E' uscito pochi giorni fa nelle edicole assieme alle Monografie della rivista New Age and New Sounds. Si tratta di un compact interamente dedicato ai nuovi pianisti, da Roedelius ad Arturo Stalteri, da Rick Wakeman a Katia Labeque (NSM 015). Se l'acquirente non si fa ingannare dalla collocazione, infatti, si vedrà che molti dei pianisti hanno una provenienza colta o progressive. Roedelius, ad esempio, è stato borsista per la fondazione Alban Berg di Vienna, e il suo "Piano piano" (in Italia distribuito da Materiali Sonori) è un disco sperimentale. Grande attenzione nell'indagare gli andamenti è confermata pure da "Friendly Game", allocato nella compilation, dove dialoga con Capanni e Alesini. Anche Katia Labeque, famosa per un duo classico formato con la sorella, in "Volcano for Hire"  mostra una esuberanza tecnica non ha nulla da spartire con il pianismo molle (magari rilassante) della new age.

Un compact piuttosto raro è invece quello che raccoglie la colonna sonora de "La doppia vita di Veronica" (Sideral 001), il film che ha segnato la svolta francese del regista Kiesloswski, scomparso pochi giorni fa. Il personale è costituito dalla Great Orchestra of Katowice, dal coro di Silesia condotto da Antoni Wit e dalla eccezionale solista Elzbieta Towarnicka. La musica è dello stesso autore che ha firmato quella di "Film blu", Preisner, ed è evocativa in grado eccelso, specie laddove pare richiamare  Arvo Part.

Un classico della colta contemporanea è nella straordinaria raccolta "The University of Iowa, Center for New Music" (Music & Arts CD-830), che comprende brani di Hervig, Hibbard, Ziolek, Paredes, Eckert e soprattutto di Joan La Barbara: un brano che ricorda la musica di Giacinto Scelsi. La compilation ha un valore anche storico perché l'Università di Iowa ospita dal 1966 il CNM, emanazione della Rockefeller Foundation, luogo di passaggio di Berio, Feldman, Sessions e tanti altri.

Ultimo, ma non ultimo nella rosa di compact  godibili è il monografico di Giancarlo Cardini "O quieta e dolce mattina d'ottobre" (Materiali Sonori 90061). Si tratta di una silloge di pezzi raffinati e introspettivi che mostra come Cardini si distacchi dalla noiosa avanguardia sperimentale che ha funestato gli ascolti degli ultimi vent'anni.

Girolamo De Simone

 

GINASTERA

Variaciones Concertantes Op. 23. Glosses on Themes of Pablo Casals Op. 46 e Op. 48.

Ben-Dor, London Symphony Orchestra, Israel Chamber Orchestra. Koch International 3-7149-2. 58'38".  Note (Ingl.). Distribuzione: Florence International, Firenze.

 

Giudizio tecnico:  BUONO. DDD. Stereo. Mann Auditorium, Tel-Aviv, Israel. Luglio 1994. Dettaglio strumentale soddisfacente.

 

Interpretazione: DISCRETA

Come è noto, Alberto Ginastera, nato a Buenos Aires nell'aprile del 1916 e scomparso nel 1983, è stato uno dei migliori compositori argentini. Scrive musica che oscilla tra  citazione di atmosfere folcloriche e ardui esperimenti armonici, politonali ed atonali, con incursioni nello sperimentalismo soprattutto per quel che riguarda timbriche e ritmiche. Esemplari di questa modalità compositiva sono proprio le Glosse op. 48, in cui a cadenze riconoscibilissime, e all'enunciazione di temi piuttosto lineari, fa pendant, o da sfondo, il virtuosismo strumentale degli archi. Il motivo della dedica al compositore e violoncellista Pablo Casals è espresso dallo stesso autore: "Molte cose mi legano a Casals: la sua personalità, le grandi qualità di artista, come abbia messo la ricerca di libertà al centro della sua vita, e la lunga amicizia con mia moglie Aurora, sua devota allieva". Il pezzo è in cinque movimenti, con riferimenti tematici alla Oracio a la verge de Montserrat composta da Casals nel 1959. Si tratta di un lavoro denso, anche lirico in alcuni punti, benché non immune da una certa retorica. Alla quale sembra contribuire anche la direzione di Gisèle Ben-Dor, che punta più sulla grandiosità e sull'eccesso che sull'ironia, la quale invece non risulterebbe spropositata in più di un passaggio. Molto più concentrata l'esecuzione delle Variazioni concertanti Op. 23 del 1953, eseguite per la prima volta nello stesso anno di composizione da Markevitch e dall'Orchestra dell' "Association of the Friends of Music di Buenos Aires". La musica è altamente espressiva, per la presenza di cromatismi, ma anche per gli impasti che riesce a creare. La chitarra vi svolge una funzione non secondaria nella prima sezione, ma lo svolgimento dei temi tradizionali conduce il pezzo a cambi d'atmosfera repentini, resi discretamente dalla Ben-Dor.

Girolamo De Simone

 

 

 

KOLESSA / SKORYK

Symphony No 1 / Hutsul Tryptich. Carpathian Concerto

Odessa Philarmonic Orchestra, Hobart Earle. ASV 3DCA 963. 66'29".  Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: ?????????????

 

Giudizio tecnico: DISCRETO. DDD. Stereo. Odessa.  Luglio 1994. Riproduzione un po' piatta.

 

Interpretazione: DISCRETA

Mykola Kolessa e Myroslav Skoryk sono due compositori ucraini poco noti nel resto del mondo. Il primo, classe 1903, è nato  in Ucraina, dove è stato direttore dell'orchestra di Lviv. Ha poi assunto la carica di direttore dell'Opera di Praga. Ha scritto due sinfonie, una Suite, delle Variazioni sinfoniche, e varia musica da camera. I riferimenti musicali vanno a Bartok e ai compositori francesi della prima metà del ventesimo secolo; in alcuni punti della sua prima Sinfonia, però, è possibile anche retrodatare le influenze. Myroslav Skoryk è nato nel 1938, sempre a Lviv, dove ha conosciuto e studiato con Kolessa. Ha poi incontrato Stankovich, Karabits, Kiva e Zubitski, e ha cominciato a comporre mescolando elementi folclorici con suggestioni neoclassiche. I risultati, purtroppo, ci sembrano piuttosto modesti, come modesta,  precisa e anatocistica, è la direzione di Hobart Earle.

Girolamo De Simone

 

 

 

BACH / DE COURSON / AKENDEGUé / TRADITIONAL

"Lambarena. Bach to Africa"

Calo, Gubitsch, Ateba, Vasconcelos, complessi vocali gabonesi ed occidentali. Celluloid Sony Classical SK 64542. 48'44".  Note (Ingl. Fr. Ted. Ita). Distribuzione: Sony Classical, Milano.

 

Giudizio tecnico: OTTIMO. DDD. Stereo. Parigi. Profondità del suono, emergenza dei vari inserti strumentali etnici, timbri vocali e strumentali eccellenti.

 

Interpretazione: ECCEZIONALE

Questo disco prende il nome di "Lambarena" in omaggio ad Albert Schweitzer, che com' è noto, giunto all'apice della carriera di organista, decise di trasferirsi in Africa Equatoriale, sulle rive del fiume Ogooué a Lambarene, nel Gabon, fondando un ospedale per lebbrosi. Schweitzer utilizzò il denaro che riusciva a racimolare con le sue incisioni bachiane per uno scopo diverso dall'autopromozione, lasciando, nel 1963, poco prima della morte, un villaggio con 350 pazienti e 36 medici. Il senso del sottotitolo, "Bach to Africa" dovrebbe a questo punto essere più chiaro: si tratta di una eccezionale collaborazione multiculturale. Questa volta, su ispirazione di due straordinari musicisti, sono stati gli artisti e i musicisti del Gabon a trasferirsi per cento giorni a Parigi, e ad incidere esempi della musica delle quarantadue etnie principali di quel paese. Naturalmente mescolandole ed intrecciandole con temi di Bach. E' così che Hughes De Courson, compositore e produttore francese che è stato il pilastro occidentale dell'operazione, e Pierre Akendengué, chitarrista ed autore originario del Gabon, hanno ottenuto quattordici tracce sempre sorprendenti, in cui gli elementi di tradizioni così distanti nello spazio e nel tempo combaciano tranquillamente e gradevolmente. Non avrebbe a questo punto molto senso elencare i titoli africani dei ritmi e delle canzoni riprodotti, perché non ci trasferirebbero alcuna conoscenza stratificata nella memoria (basti dire che alcune melodie vengono trattate alla maniera di Bach, altre vengono missate, altre ancora richiamate alla mente con citazioni della distanza e dell'evanescenza). Ma può aver senso, invece, citare i brani di Bach che contribuiscono alla contaminazione, o che la subiscono (in senso benevolo, naturalmente). Si tratta della Cantata BWV 147, dell'incipit della Passione secondo Giovanni, della Giga dalla quarta Suite per violoncello, del celebre preludio della partita per violino BWV 1006, del quattordicesimo preludio della seconda parte del Clavicembralo ben Temperato, della Messa in si minore, dell'Invenzione a tre voci in re maggiore BWV 789, della Cantata BWV 147... e d'altro ancora. Un disco da non perdere, che illustra come il melting pot sia tutt'altro che un'illusione.

Girolamo De Simone

 

 

 

INDIAN CLASSICAL MUSIC

Rag Yaman Kalyan. Rag Gaoti.

Wajahat Khan, Sukhvinder Singh, Rohini Rathore. Hyperìon. 63'34".  Note (Ingl. Fr. Ted.). Distribuzione: Sound and Music, Lucca.

 

Giudizio tecnico: DISCRETA. DDD. Stereo. Purcell Room, London. Maggio 1995. Registrazione discreta nonostante la presenza di alcuni rumori dovuti al live.

 

Interpretazione: OTTIMA

Benché il disco paghi un po' lo scotto dell'incisione live durante un concerto londinese dello scorso anno, mi sento di consigliarlo caldamente sia agli amanti del genere che ai non esperti, perché l'esecuzione di Wajanhat Khan è molto concentrata, parla bene la lingua del suo paese, trasferendo l'intensità e la rarefazione senza impicciare le orecchie con insopportabili virtuosismi. Difatti, anche se le tracce incise sono soltanto due, e di sconfortante lunghezza (quarantuno e ventuno minuti), risultano entrambe più che assimilabili anche per un occidentale, riuscendo a trasferirlo nel mondo magico, fiorito, sacrale, dei raga. Wajanhat Khan è un giovane suonatore di sarod, uno strumento a corde pizzicate dal suono caldo, ed è uno straordinario talento. Viene accompagnato dalla tabla (è un tamburo formato da due corpi separati, il principale suonato con la mano destra ed accordato sulla tonica, e il secondario, o baya, suonato con la sinistra e che svolge funzioni di grancassa) di Sukhvinder Singh, che però svolge interventi discreti, mai offensivi delle delicate tessiture del sarod, e dalla tanpura (è un altro strumento a corda) di Rohini Rathore, che funge da bordone creando un sottofondo di grande atmosfera. I due raga interpretati sono lo Yaman Kalyan, il cui significato letterale è andato perduto, ma che viene suonato prevalentemente di sera. L'atmosfera è evocativa, mistica, devozionale. Il secondo raga è più movimentato, ma non per questo fa smarrire dolcezza e delicatezza d'esecuzione a Wajanhat.

Girolamo De Simone

 

 

"Nyiregyhazi At The Opera" (Vai Audio) è il titolo di un disco del quale si è parlato troppo poco, e soltanto in ambienti per addetti ai lavori. Ervin Nyiregyhazi, infatti, è uno di quei pianisti scomodi che, se li ascolti una volta, poi non puoi più fare a meno di chiederti per quale motivo tutti gli altri sembrano aver ingoiato un metronomo, o abbiano bisogno di mille ore per registrare i preludi di Chopin. Il Nyiregyazi di cui parlo è un vecchio leone, perché nell'Ottanta, alla bella età di settantasette anni, pubblica un disco per la Columbia Records in cui sono raccolte le "parafrasi" d'opera che la International Piano Archives aveva registrato in alcune sedute di due anni prima. Si tratta di Verdi, Wagner, Leoncavallo e Tchaikovsk, nella reinvenzione di Nyiregyhazi.  Allora, alla pubblicazione del disco, i critici gridarono allo scandalo, perché credevano che la Columbia avesse deliberatamente alterato i timbri, espandendo le sonorità poderose di Ervin. Ma non era così: Nyiregyhazi aveva studiato con due mostri sacri: Erno Dohnanyi e Frederic Lamond, e dopo aver debuttato alle Carnegie Hall, e aver ricevuto l'entusiastica qualifica di "reincarnazione di Liszt" era sparito nel nulla, assorbito da matrimoni disastrosi e fallimenti, e afflitto da una patologia autodistruttiva che lo indusse addirittura a vendersi il pianoforte. Quando effettuò le registrazioni che ora appaiono riversate in questo straordinario compact, la I.P.A. dovette prestargli un pianoforte sul quale studiare. E la Columbia aveva dovuto comprimere le  sonorità, non espanderle. Questo compact, quindi, merita di essere acquistato non solo per ascoltare  le parafrasi dal "Trovatore", da "Otello" e "Pagliacci", dal "Lohengrin" e dall' "Eugene Onegin", ma anche per farsi un'idea di come può suonare un pianista che è voluto restare, per tutta la vita, un "fuori margine".

L'altro compact che vorrei segnalare, invece, è recentissimo, e segue il successo di "Officium". Si parla, naturalmente, del fenomeno Garbareck, il sassofonista legato alla ECM di Eicher al quale dobbiamo uno degli esempi meglio riusciti di 'confusione'. In quel disco, infatti, si mescolavano suoni improvvisati dal sax e pezzi dell'alto medioevo, nell'interpretazione magistrale dello Hilliard Ensemble. In "Visible World" (ECM 1585), invece, Jan Garbarek ripete la magia con ingredienti differenti, una diluizione e rarefazione forse meno incisive, ma sempre d'atmosfera.

Girolamo De Simone