Girolamo De Simone

JINGLE-MAKER ARTISTA IPERMEDIALE

 

 

 

            Il musicista da spot è un esempio eclatante di erosione del mito dell’intellettuale. Lo jingle è in tutta evidenza una merce, diventa solo in un momento successivo qualcosa di molto rassomigliante al mito, perché circola in ogni casa trasportato dal video, ma anche  canticchiato, appena sussurrato dalle massaie, dai loro bambini teledipendenti. O sponda di riposo per le orecchie dei tassisti.

            Quando Alberto Abruzzese, anche in occasione della presentazione di “Rapporti Mondadori”, lamenta il ruolo critico dei custodi del sapere, il loro strabismo nel guardare alle nuove tecnologie, sollecita e solletica l’indagine sulle soggettività nomadi, magari cittadine, certamente ancora mascherate e sommerse. Non ci sarebbe che prendere coscienza dell’emergenza di questi nuovi soggetti, per ampliare le consapevolezze estetiche apparentemente arenate sui trascorsi francofortesi, e ora a ridosso dei francesi Baudrillard e Nancy. Però non sarebbe male ricordare che è soprattutto il soggetto europeo a subire lo spaesamento per la trasvalutazione del linguaggio. E che l’Altro (rosso, giallo, nero, per citare Nancy)  ci dà l’opportunità di riconsiderare le opzioni, il menu, della nuova informatizzazione. Il suo ‘ritardo’ ci fa modificare lo screen, e temere che le dinamiche di libertà predisposte per uscire dal ‘sistema potere’ possano rivelarsi ancora una volta come terribili ed efficienti strumenti di controllo. L’accusa rivolta agli intellettuali, ed anzi ai «cultori delle forme postmoderne» che si occupano di tutto ciò che è deriva (anche consumistica), rende la stessa deriva “trasgressiva”, come la definisce Abruzzese. Ma ciò non vuol dire che ignori i conflitti col sociale, indagando proprio le nuove forme soggettive tra estetica e cultura.

            Il soggetto europeo/statunitense è soggetto ad azioni di disturbo, viene dopo la lingua, i suoi semi sono nell’anteriorità della storia e del linguaggio. Ma è ancora Heidegger che parla, e  solo di uno dei soggetti possibili. Non si può auspicare che riferendosi alle avanguardie si dia già per scontato tutto il ragionamento sullo scontro sociale? Ad esempio, proprio lo jingle-maker non fa che affiancarsi al cibernauta, perché quando si adatta camaleonticamente a rifare Springsteen, nell’ottica mobile dell’estetica del plagio, predispone materiali eccellenti per il viaggiatore ipermediale. La portata dei nuovi scenari, offerta al cliente/fruitore in forma di spot, e corredata da jingle accattivanti, dovrebbe già essere in grado di parlarci anche della cancellazione della rappresentanza politica (cosa accadrà quando in rete ciascuno potrà virtualmente alzare la mano per votare?), dell’abbattimento del diritto d’autore, dell’affievolimento della proprietà per ciò che concerne l’opera d’ingegno. Cosa altro sono Franco Godi, Riccardo Cimino, Lele Marchitelli, se non figure nomadi, artisti veramente ipermediali, abitanti volatili dello schermo? Si occupano di prodotti commerciali, e costruiscono musiche su spot. Lo jingle presuppone l’industria, ma questo è sufficiente  per innalzare barricate attorno a suoni che vogliono essere funzionali? La musica d’arredamento non fa che abitare uno spazio, predisponendolo a transiti occasionali, e anche gli ascolti che derivano dagli schermi multimediali restano a pieno titolo oggetti estetici. Oggetti duttili, visto che presto sarà facile e agile modificarsi gli hit su cd-Rom o su Internet seguendo gusto e capricci personali.