Girolamo De Simone
STORIA ESTETICA DEL PLAGIO MUSICALE
La ‘contaminazione’, naturalmente, è
sempre esistita. È scritto in alcune
storie della musica, ed è deducibile anche usando semplicemente la logica, in
relazione alle modalità stesse della composizione musicale, la quale da un tema
o una cellula sonora di qualsiasi tipo (tratta anche da altri autori) fa
scaturire un intero brano. Da quando tuttavia l’ ‘imbastardimento’ della
produzione musicale è diventato un fatto compiuto, e tutti i media parlano di
contaminazione, si sono creati due partiti. Da un lato quelli che la propugnano
ad ogni pie’ sospinto anche quando non di ‘contaminazione’ si può parlare, ma
di semplice accostamento confusionale di stili; dall’altro quanti si atteggiano
ad algidi difensori della purezza e denigrano un corso musicale che a loro
dispetto percorre trasversalmente tutti i generi. Per questi ultimi, la
contaminazione è esistita da sempre, quindi non ci sarebbe da gridare al
miracolo oggi; si tratterebbe di un fenomeno alla moda, da minimizzare, usato
dall’industria culturale a meri fini commerciali e quindi da portare ad
esaurimento dopo averlo spolpato per bene. Lo confondono con il lavoro di quei
musicisti colti (come ad esempio Bartòk) che in passato hanno rivalutato le
tradizioni folcloriche dei loro paesi. Non distinguono, quindi, tra popular
e popolare, e sfiorano anzi il populismo.
Date queste premesse potrà allora
risultare utile rintracciare il tema conduttore del fenomeno del plagio
all’interno della storia della musica, dimostrando che, effettivamente, la
deriva della contaminazione si è affacciata con forza nel corso dei secoli e
nel lavoro di musicisti anche importanti. Ma contestualmente ribadendo l’idea
che oggi sta accadendo qualcosa di nuovo e di profondamente diverso. Qualcosa
che marcia al passo con la globalizzazione dell’economia e che può essere usato
bene o male, così come era già avvenuto quando ci si accorse della
‘riproducibilità’ tecnologica delle opere d’arte (Benjamin). Queste nuove modalità di produzione di opere
possono essere rivolte al mero discorso economico (e quindi da stigmatizzare,
come ci insegna Ignacio Ramonet) o tendere a qualcosa di più, al melting-pot,
alla proliferazione di linguaggi capaci di arricchire tutti attraverso la
differenza di ciascuno: l’altra faccia della musica globale.
Il plagio e le estetiche nuove che ne
derivano non sono altro che uno strumento di contaminazione, uno strumento
ricco di implicazioni giuridiche, politiche e filosofiche. Il plagio artistico
consiste nella veicolazione gratuita di idee e atmosfere musicali: non si
tratta della mera copia, naturalmente. La diffusione di uno ‘stile’, infatti,
non ha nulla a che vedere con una copia, e pertanto evita di pagare qualsiasi
pedaggio. Dal punto di vista filosofico, attraverso la gratuità dell’offerta,
il plagio artistico consente di sfuggire alla logica dello scambio, con la
prassi del dono unilaterale gratuito. Io do una cosa a te, e basta: tu nemmeno
sai chi sia a dartela, si tratta di un contributo alla storia del progresso
comunitario.
Questa visione, che a tutta prima appare
utopistica, oggi diventa pratica comune. Le idee circolano da sole, senza
pregiudizio d’autore. Esse vengono sentite come proprie da ciascuno, ed anzi il
fenomeno sembra ormai innescare un problema opposto, quello della conservazione
della memoria storica. Vale a dire, almeno, della conservazione del nome di
quanti abbiano introdotto innovazioni o nuove idee, esattamente come accade nel
campo informatico per i software
open source.
Origini
del fenomeno
Già l’uso di modi ispirati a quelli greci
è in qualche modo da considerarsi una sorta di grosso plagio stilistico. In
realtà, mentre comunemente (ed erroneamente) si ritiene che la civiltà musicale
abbia seguito un percorso lineare, genericamente ‘progressista’, e cioè di
maggior complessità delle forme o di evoluzione gerarchica delle stesse (cioè
dall’elementare allo strutturato, dal facile al difficile, e così via), proprio
l’uso medioevale della modalità smentisce clamorosamente questo assunto. Nella
Grecia antica, infatti, i modi potevano assumere forme anche assai più
complesse: per esempio oltre ad essere diatonici (antenati delle nostre scale
moderne), potevano diventare cromatici e addirittura enarmonici, utilizzando
quindi rapporti tra suoni che noi occidentali abbiamo completamente dimenticato
(eccettuato naturalmente i lavori microtonali contemporanei di qualche
interesse, quelli di Harry Partch, Lou Harrison, Lamonte Young, John Cage...).
Prima dell’epurazione fatta da San
Gregorio Magno, che ‘ripulisce’ i canti da più antiche e suadenti effusività
orientali, il canto liturgico medioevale conosceva una estrema libertà
geografica: da quello monodico basato su otto modi di derivazione bizantina, a
quello ‘occidentale’, che presentava differenti tipologie, tra le quali anche
quella mozarabica. In tempi di barricate come quelli presenti non farebbe male
ricordare il contributo offerto dalla cultura araba alla musica occidentale.
Durante il Rinascimento, mentre in
Germania Lutero rinnovava le fonti dei canti liturgici ed in Francia Calvino
proibiva di usare la musica se non nelle sue espressioni più sobrie (vale a
dire con melodie cantate all’unisono), in Spagna accadeva qualcosa di molto
interessante. Si creava una sorta di melting-pot, di crogiolo capace di
raccogliere elementi franco-fiamminghi ed italiani, e fin qui nulla di strano,
perché i fiamminghi avevano rivoluzionato le forme vocali (anche con ardite
composizioni: il Deo Gratias di
Okeghem arriva fino a 36 voci!) e l’Italia aveva perfezionato l’arte
strumentale. Ma il bello era che in
Spagna questi elementi si fondevano con stilemi gotici, celti, baschi, arabi e
berberi. Bernard Champigneulle, nella sua piccola e provocatoria Storia della musica spiega la
commistione con gli arabi: istallati in
Andalusia fino all’inizio del Rinascimento, essi avevano segnato nel profondo
la civiltà spagnola. La straordinaria presenza di elementi tanto variegati
fanno della cultura spagnola rinascimentale un meraviglioso precedente di
commistioni e... plagi d’inestimabile valore artistico.
In Spagna pomposi oratori sostituiscono i
villancicos d’ispirazione etnica
locale. In Germania, Inghilterra, Fiandre ci si ispira alla scuola di
Versailles, ma rifacendola alla maniera italiana: sono quelli che Couperin
chiama i ‘gusti fusi’. Keiser ad Amburgo fa seguire in una stessa opera testi
in francese, italiano e tedesco, a seconda dell’atmosfera della musica o della
forma prescelta.
Il grande Georg Friederich Händel compone
ispirandosi alle forme napoletane, ma ha la tecnica degli organisti tedeschi ed
uno spirito tipicamente... inglese, specie nei brani di circostanza che lo
fanno affermare in Inghilterra. Händel dichiarava tranquillamente di prendere
spunto da temi di Stradella e Keiser. Ma gli addebitano prestiti da... ventinove compositori! Nel solo Israele in Egitto compaiono ben
diciassette ‘citazioni’.
Il grande codificatore delle prassi del
sistema temperato (che solo apparentemente è un passo avanti nella storia della
musica, contrariamente a quel che ritenne Schönberg), Johann Sebastian Bach,
trascrive concerti barocchi di Marcello, Vivaldi, Johann Ernst; scrive corali
su temi luterani, riscrive se stesso adattando numerosi brani a differenti
strumenti. Ispirato dalla celebre Piango,
gemo, sospiro e peno, di Vivaldi, Bach ne trae un Andante per il Concerto
in si minore BWV 979 (trascritto da autore ‘sconosciuto’), e vi si ispirerà nel
fugato del Preludio Fantasia BWV 922,
quello poi trascritto dal pianista Egon Petri per la Busoni-Ausgabe. E così
via: dai tre concerti per organo da Vivaldi (BWV 593,594,596) alla fuga per
organo tratta da Legrenzi (BWV 574), Bach dimostra ben più che una passeggera
infatuazione per la musica veneziana. Quest’ultima viene fagocitata, trascritta,
completamente cambiata, oppure usata come modello sotterraneo. L’organista e
musicologo Albert Schweitzer, in una biografia, rileva la presenza e
l’importanza delle melodie luterane in tutta la produzione corale ed
organistica bachiana (molte melodie usate da Lutero e Johann Walther erano poi
a loro volta di origini medioevali). Evidentemente, non si trovava scandaloso
servirsi di temi celebri, come se si trattasse di ‘citazioni’ implicite, di
materiali sonori già assimilati, da riutilizzare proprio come fa l’artigiano
quando assembla strutture eterogenee. Non a caso in alcune trascrizioni i nomi
degli autori originali non vengono citati (o forse non giungono fino a noi...)
come ad esempio nel già menzionato Concerto
in si minore BWV 979, o come in alcune pagine del Clavier-Büchlein. Certo è che il codificatore del sistema musicale
occidentale non si è sottratto al fascino del plagio artistico, così come altri
grandi musicisti a lui contemporanei.
Il grande Mozart, amato dagli dei e
filmicamente odiato da Salieri per il suo genio, si divertì a copiare temi di
altri compositori. Nella Ouverture
del Flauto magico vi sono temi di
Cimarosa e di Clementi, considerato il “padre della musica pianistica”. Mozart,
come ricorda Luciano Chailly, «ebbe molte accuse di plagio per ‘prestiti’ da
Gluck, Haydn, Paisiello, J. Christian Bach, Sarti, ed altri». Giovanni Carlo
Ballola scrisse che «se Mozart fosse vissuto ai nostri tempi, avrebbe dovuto
passare molto tempo, per i suoi plagi, in un’aula di Pretura». Chailly riferisce
che Clementi, ristampando una Sonata,
dovette segnalarvi in calce con comprensibile stato d’animo il celebre «plagio
di Mozart».
L’Ottocento
Nell’Ottocento, con l’imperversare di
trascrizioni, parafrasi, adattamenti e facilitazioni per fanciulle, la pratica
della citazione dilaga e si esplicita. Nasce contestualmente l’idea di
‘repertorio’ e si consolida quella di ‘autore’. Così, Wagner si sente in dovere
di avvertire Liszt di aver ‘preso in prestito’ un tema che compare nella Walkiria, riconoscendo all’altro un
diritto di proprietà su qualcosa di immateriale. Questo momento, benché fosse
stato anticipato dalla denuncia di Clementi del plagio subito da Mozart, è di
fondamentale importanza: il ‘pregiudizio d’autore’ (v. oltre) e cioè la
sensazione di sentirsi legittimi proprietari dell’opera creativa, era ormai
assimilato, e sarebbe stato rimesso in discussione solo nel Novecento, da Igor
Stravinskij. Fino a quel momento, l’opera era considerata come un oggetto
artigianale, e gli stessi artisti venivano trattati come artigiani. Non a caso
Beethoven fu tra i primi ad avere la consapevolezza del valore economico delle
sue composizioni, pur non restando a sua volta immune da ricadute nel plagio.
E’ possibile, come caso limite, ricostruire il tema della famosa Pastorale assemblando alcuni incisi mozartiani (Sonate K 332 e 135; Fuga
della Fantasia K 394). Ma la sintesi di quel tema, come segnala Tito Aprea in
un suo celebre libro sul plagio, compare addirittura in Bach, nella Cantata
“Dio tu guardi la Fede”, e si tratta di un caso limite, che può
illustrare quanto fosse profonda nei musicisti l’introiezione del lavoro e
delle opere dei loro predecessori e contemporanei. La nozione di ‘proprietà’
sull’opera e del rischio che altri possa in malafede appropriarsi di idee
musicali considerate ‘originali’ e quindi ‘proprie’, è talmente già consolidato
in Beethoven da fargli confessare ad Eleonora Breuning «...non avrei scritto in
questo modo una cosa simile, ma ho notato che, quando improvvisavo la sera,
c’era sempre qualcuno a Vienna che il giorno seguente trascriveva molte mie
trovate e se ne faceva bello. Siccome ho previsto che presto saranno pubblicate
cose simili mi sono deciso di prevenirle» (citato da Tito Aprea). Assieme alla
nascita del concetto d’autore, si moltiplicano i casi di plagio. Donizetti
viene accusato di plagio stilistico da alcuni critici, ed altri così lo
difendono: [...] vogliamo spendere poche parole sul conto di taluni critici di
professione che in qualsivoglia classico lavoro trovano sempre a ridire. Vi è
chi sostiene incontrarsi nelle musiche di Donizetti talune cantilene che ad
altre somigliano. Senza dir di tante sue teatrali produzioni, questi Zoili
invidiosi potran sentire la Lucia, nella quale son tanti nuovi pensieri che
lungo sarebbe ad enumerarli: e se vi à qualche cosa che a loro modo di vedere
senta di reminiscenza, ciò nasce dal perché essi confondono ciò che può dirsi
plagio musicale con lo stile del compositore. Ogni maestro di musica à il suo
stile come ànno la lor maniera di dipingere i pittori («I curiosi», Napoli 15
ottobre 1835, citato in Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti
nella stampa coeva, a cura di Annalisa Bini e Jeremy Commons 1652 pp.,
Skira, 1997).
Molteplici i plagi artistici: Wagner
attinge da Schubert, Mendelssohn, Beethoven, Brahms, e perfino da una messa
gregoriana. Brahms a sua volta prende da Beethoven, Verdi, Dittersdorf. Lo
stesso Liszt, avvertito da Wagner del
già citato plagio del tema della Walkiria,
gli risponde con filosofia: “Hai fatto bene: così avrà almeno la possibilità di
essere ascoltato da qualcuno...”.
Il
Novecento
Puccini ‘prende’ da Rachmaninov (un tema
di Turandot del 1926, tratto dall’Elegia del 1892...), Rachmaninov da
Chopin. Puccini a sua volta, nella Tosca,
si ispira al celebre Capriccio sulla
partenza del fratello dilettissimo di Bach ed alle Images di Debussy. Ma in cambio cede qualcosa dal Tabarro alle Fontane di Roma di Ottorino Respighi. Anche Cilea prende da Debussy, e Debussy da
Schumann, Prokofiev acquisisce un tema dal Trovatore
di Verdi, e così via, in un gioco intrecciato di citazioni espresse, occulte,
inconsce o consapevoli e colpevoli... fino a Berg, che nel Wozzeck non potendo plagiare un tema perché usa il sistema
dodecafonico copia... un ritmo: precisamente quello della Pastorale di Beethoven. Tantissimi i casi di plagio o similitudine
nella storia dell’Opera lirica,talora con riguardo ai libretti. Il musicologo
Antonio Cassi Ramelli ne cita molteplici casi in un suo importante lavoro del
1973: «i cosiddetti plagi (...) sono in verità ancora meno percepibili in campo
musicale e perseguibili di quelli letterari. Che Verdi abbia ripreso l’avvio
della romanza del baritono pel Ballo in
maschera, Boito quello del tenore del suo Mefistofele, Giordano quello della
“donna russa che è femmina due volte”, molti si confidano ancor oggi strizzando
astutamente l’occhio destro e scuotendo il capo, mentre molti arricciano il
capo, non si sa perché, quando risentono gli squilli dell’inno americano nella Butterfly o la nenia dei battellieri del
Volga ripresa in Siberia. Osiamo almeno sperare (...) che nessuno ricordi che
lo spunto dell’intermezzo dell’Amico
Fritz proviene da un notturno del Martucci e che nella Moldava di Smetana riappare la nostra collaudatissima Fenesta ca lucive.».
Più ci avviciniamo alla contemporaneità,
più gli autori presentano elementi che confluiscono nella attuale modalità del
plagio artistico. Nel Novecento, quelli che maggiormente hanno contribuito a
dar corso a questa acquisizione sono stati Erik Satie, che prende in giro le Sonatine di Clementi con piglio ironico
e spregiudicata abilità permutatoria, ed Igor Stravinskij, che fa della
citazione la sua principale arma, a dispetto di Adorno che lo considerò
inautentico con scarna preveggenza. Stravinskij era grado di sorprendere
sistematicamente pubblico e critica con inaspettati prestiti stilistici, sia in
direzione dei suoi contemporanei che verso il periodo classico ed il
Settecento. In Pulcinella, ad
esempio, si ispira a Pergolesi, ne ricrea le atmosfere a modo suo, e lo
dichiara esplicitamente, affermando contestualmente la legittimità
dell’operazione. In Colloqui con S.
confessa: «Pulcinella fu la mia
scoperta del passato, l’epifania attraverso la quale tutto il mio lavoro
ulteriore divenne possibile. Fu uno sguardo all’indietro naturalmente, - la
prima di molte avventure amorose in quella direzione - ma fu anche uno sguardo
allo specchio. A quell’epoca nessun critico lo capì, e io fui attaccato di
conseguenza per essere un pasticheur
(...). Per tutta quella gente la mia risposta fu ed è ancora la stessa: Voi
‘rispettate’, io amo». Anche Massimo Mila riferisce di questa
caratteristica. Tanto che chiude il suo
Compagno Strawinsky con la seguente
riflessione: «anche la sorprendente piroetta finale, con la graduale
conversione o piuttosto convergenza di S. verso il metodo di composizione
dodecafonica, non è il recupero d’un contatto smarrito con l’avanguardia ma si
inscrive sotto lo stesso segno di parodia creatrice che è il contrassegno del
costume contemporaneo». Mila
attribuisce a S. una vera e propria «tecnica dell’appropriazione» verso «ogni
fenomeno di natura musicale». E lo
stesso Stravinskij noterà, in Poetica della musica, che «una vera
tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che
anima e informa di sé il presente. In tal senso è vero il paradosso che tutto
ciò che non è tradizione è plagio...».
La
musica concreta
Pietro Grossi raccontava che negli anni
Sessanta molti compositori sperimentavano tecniche analogiche di ‘collage’
sonoro e di ‘montaggio’ di materiali provenienti da fonti estremamente
eterogenee. Quasi tutta la musica concreta fu costruita in questo modo;
inventata da Pierre Schaeffer che firmò, assieme a Pierre Henry, diverse opere
di musica concreta fin dagli anni Cinquanta, la definizione ‘musica concreta’
risale però all’anno precedente, forse addirittura al 1948. Grossi fu tra i
primi italiani ad utilizzarne le tecniche con piena consapevolezza estetica -
cioè immaginandone bene le conseguenze e(ste)tiche - (tecniche che anticipano
quelle dei Dj odierni), ad insegnarle come caposcuola, mettendo il suo studio a
disposizione dell’Istituzione statale. Tra gli altri italiani, anche il
compositore Vittorio Gelmetti lavorò al suo studio negli anni Sessanta
utilizzando tecniche simili, realizzando per la Rai (DSE) un ciclo di
trasmissioni chiamato “Tutto è musica” e scrivendo diverse colonne sonore
utilizzando la tecnica del ‘montaggio’. Altri antesignani furono Varèse,
Gerhard, Davies, e quasi tutti gli autori di musica concreta.
Oltre a molteplici innovazioni e primati
(l’uso del calcolo algoritmico nella musica elettronica), Pietro Grossi dette notevole impulso, forte delle sue
prassi, ad una visione etico-politica della produzione musicale partendo
dall’acquisizione che la musica non fosse né dovesse essere ricollegata ad un
concetto stringente di ‘proprietà’: realizzò un pezzo e lo intitolò Collage per dichiararne esplicitamente
la ‘fabbricazione’ attraverso tecniche di assemblaggio, e cioè fondendo e
sovrapponendo, alla fine radicalmente alterando, molti lavori di altri
compositori elettronici. Ripeteva il motto “Tutto per tutti infaticato...”, di
Renato Famea, ritenendo che fosse ridicolo nell’epoca della tecnologia, o, se
si vuole, nell’epoca della riproducibilità tecnologica, perdere tempo con
faticose operazioni ripetitive. Diceva che «non si può paragonare il modo di
vivere prima della scoperta dell’energia a vapore con quello successivo: non si
possono fare paragoni, però ha vinto lo strumento a vapore. Vince perché è più
potente, non perché più bello o migliore. Vince la potenza. E se l’uomo si
accorge che può ottenere tutto subito senza fare fatica si domanda per quale
ragione non debba seguire la strada più comoda»: una osservazione politica,
dedicare energia ad un impiego esclusivamente creativo, senza perder tempo con
questioni meccaniche.
Le prassi
compositive di Grossi, la sua produzione artistica (la cosiddetta “home-art”),
gli statement estetici, sempre
mutevoli e divulgati in copie uniche, naturalmente celano una più alta idealità
presente nel suo lavoro, e legata al filo rosso Kant-Weininger, di rispetto per
l’uomo, distinzione tra il dominio sugli oggetti da un lato e l’invadenza della
proprietà dall’altro. Celano ancora il desiderio dell’anonimato a favore del
lavoro di gruppo svolto nello studio elettronico, e la necessità di
ridimensionare la funzione della proprietà privata sull’opera artistica e
intellettuale, perché non c’è possesso sulle buone idee. Grossi risulta, così, uno
di quei rari musicisti in grado di leggere trasversalmente le pratiche del fare
motivandole con profonde certezze teoriche, etiche, estetiche. Un personaggio
non ancora sufficientemente noto, ma che fu in grado di opporre una concreta
resistenza politica, anche se emersa in modo saltuario e frammentato,
attraverso le sue conoscenze tecnologiche. Si deve a pionieri come Grossi se
l’uso del mezzo elettronico si è via via ‘addomesticato’, se oggi ci pare
normale che il ‘computer’ possa avere molteplici usi ‘domestici’, e possa
essere uno strumento che ci fa ‘risparmiare tempo’ quando nel comporre si
improvvisa su tastiere collegate via Midi al calcolatore, che scrive
scrupolosamente traccia su traccia, facendoci riascoltare il tutto con la
freschezza di suoni campionati (rendering
audio). Grandi pionieri quelli come lui, Teresa Rampazzi ed Enore Zaffiri,
che hanno introdotto nelle scuole di musica queste tecniche, i primi
sintetizzatori, i primi calcolatori. Non è un caso che sarebbe stato poi il
mondo della musica ‘pop’ a massificarne l’uso.
Dalla
Hausmusik alla Mouse musique
La ‘House music’ (che poi è un
filone che affonda la sua ratio nella
romantica Hausmusik o musica domestica) ha avuto larga diffusione negli
anni Ottanta. Costruita con tecniche di campionamento restò prevalentemente
musica da ballo o da discoteca (Michel Chion). Precedette, quindi, la
cosiddetta ‘Mouse musique’, riferita principalmente al fenomeno
commerciale dei St. Germain, che rappresenta una evoluzione del concetto di
campionamento, perché viene creata attraverso colpi di mouse ed appositi software
di gestione congiunta di file wave e
Midi.
Anche per i campionamenti si pone il
problema del plagio: quando i suoni o i break ritmici restano riconoscibili
essi necessiterebbero di una liberatoria dell’autore. Per questo, in tempi
recenti, si è pensato di risolvere il problema commissionando sound-pool
liberi da copyright, royalty-free.
Oggi in qualsiasi messaggeria attrezzata si trovano cd-rom con campioni già
pronti, intere librerie di suoni o di groove
di batteria pronti ad essere messi in loop per essere utilizzati in molteplici
applicazioni domestiche.
Quando la tecnica si diffuse negli anni
Ottanta grazie al proliferare sul mercato di campionatori molto economici, essa
si impose in ambito hip hop, estendendosi in breve anche ad altri generi
musicali, dalla break music (dove per ‘break’ si intende ‘blocco
ritmico’), al funk. Tra jazz e funk si
è mosso il pianista Wayne Horvitz, che ha lavorato sia con Zorn che con
Marclay. Per Horvitz si parla più che di una ‘scomposizione’ di brani, di
‘ricomposizione’ di suoni eterogenei. Ha fondato il gruppo dei President.
Marclay è più vicino al mondo dei Dj, i quali sempre con più creatività
utilizzano e mixano utilizzando appositi programmi o mixer digitali che
consentono lo scratch anche con i
moderni compact disc. Ricadute della tecnica del campionamento avvengono oggi
in molteplici generi, fino alla jungle.
La pervasività di queste tecniche nelle
musiche di consumo è oggi un dato innegabile, dimostrato dalla presenza di
musicisti ‘campionatori’ in quasi tutti i generi musicali, da Tom Jenkinson
(drill’n’bass), Nigel Casey (house), Michael Reinboth (jazz), a Marco Passarani
(tecno), Johnny Halk (braindance), fino ad arrivare a Moby (di provenienza
tecno, usa però stilemi blues, ambient, un vero melting pot) ed a
Ludovic Navarre alias St. Germain (lounge jazz, sorta di jazz da camera). Un
altro esempio è dato dai romani Gabin, diventati celebri per aver ricreato in
modo geniale Doo Uap, Doo Uap, Doo Uap, da un originale di Ellington, e per
questo considerati come i St. Germain italiani.
Non si può dar conto facilmente di quello
che accade oggi, se non compilando un ponderoso elenco telefonico. Molti autori
usano la citazione volontaria, o portano agli estremi l’espediente della
trascrizione, reinventando o sporcando intenzionalmente con interventi estranei
i brani del passato. In mente vengono subito le modalità compositive di Zorn,
che accosta frammenti in un velocissimo gioco di rinvio concettuale, le
operazioni di Garbarek, le allusioni dei neoromantici, le rivisitazioni dei
brani di Hildegard Von Bingen.
Una vera svolta è rappresentata proprio
da John Zorn, che scrive colonne sonore per cartoni animati (repentini
cambiamenti tra rumori e musichette pensate ad
hoc), ad esempio con Roadrunner,
e lavora con il già citato Dj Christian Marclay, il quale utilizza il missaggio
tra brani differenti in modo libero, e lo contamina con suoni e rumori
estranei. Le due cose fanno nascere in Zorn l’idea di inanellare citazioni
velocissime (Zorn le chiama “sketch”, v. il paragrafo sulle tecniche),
in cui i frammenti originari sono quasi irriconoscibili, e dei quali non viene
più dichiarata la paternità originaria. Tra un pattern e l’altro, il sassofonista
propone ‘insert’ strumentali tecnicamente all’avanguardia. Il risultato
è un universo polimorfo, una evoluzione delle intuizioni usate da John Cage in
quei brani per radio e performer o per radio e televisione considerati
scandalosi al loro apparire (si ricordi che all’elemento della casualità
rispondeva l’utilizzazione di frammenti musicali trattati in modo oggettivo,
benché prodotti da una semplice radio a modulazione di frequenza). Il filo
rosso che è forse possibile tracciare parte da Satie (per le componenti
dell’ironia e della musica d’ambiente) e Stravinskij (per la consapevolezza
estetica del rifacimento stilistico), attraversa John Cage (indeterminatezza
non solo dell’esecuzione ma anche dei materiali prodotti dalla fonte: alea
controllata per l’esecutore, vera e propria indeterminatezza per le fonti) ed i
tanti sperimentatori elettronici; arriva a John Zorn, ed ai musicisti che
utilizzano campionamenti. Ognuno di questi passaggi è stato a suo modo
rivoluzionario, e tuttavia in grado di conciliare l’innovazione e la creatività
con la memoria e la conoscenza di quanto già avvenuto in sistemi contigui o
(geograficamente) lontani, sempre nel presupposto della ‘contaminazione’. Sarà
appena il caso di ricordare ancora una volta che questa nozione, oggi abusata,
è stata fortemente osteggiata e combattuta dai sostenitori della novità
dell’arte, della purezza, della ‘grandezza’ della musica colta o occidentale.
Non bisognava essere visionari o veggenti per scorgere all’orizzonte quello che
sarebbe accaduto nel mondo della cultura e della letteratura, e che oggi si
stringe come un cappio attorno all’anelito della globalizzazione culturale. Il
cappio è quello che separa artificialmente le culture, le religioni, erigendo
nuovi muri e steccati attorno all’idea di un occidente pieno di progresso al
quale si opporrebbe una cultura araba, islamica, da mettere alla gogna. Due
concezioni opposte, dalle quali discendono alternativamente tolleranza oppure
autoritarismo.
E invece la ‘contaminazione’ sopravvive,
nella vecchia come nella recente musica concreta, che utilizza frammenti spuri
provenienti da ogni dove (ad esempio lo fanno Andrea De Luca e Lorenzo Brusci);
è ancora rintracciabile nelle molteplici utilizzazioni di musiche colte da
parte di compositori jazz o anche semplicemente ad opera di jingle-makers (si
pensi a Rava che si rivolge a Puccini, ed alle tante rivisitazioni di musica da
spot); è individuabile in un corposo campionario di musiche di
provenienza leggera da parte di interpreti classici, da Cardini che rilegge
Bindi a Bayless che in “Bach meets the Beatles” rifà celebri brani del gruppo
anglossassone, o Peter Breiner che ne riscrive le composizioni nello .....
stile del concerto grosso di Bach, Händel e Vivaldi! Ancora contaminazione e
gran calderone citazionistico è quello del bravo Daniele Sepe (che talora
eccede in enfasi bandistica quanto eccelle in impegno politico), e del gruppo
Le Loup Garou, che fonde con grinta stilemi provenienti da disparati angoli del
globo. E per ascoltare gli esiti migliori di musicisti collocati in ogni punto
della geografia polimorfa disegnata dalle musiche contemporanee (senza
esclusione del rock), si ascolti “Caged/Uncaged” della storica etichetta Cramps
Records: Arto Lindsay, John Cale, David Byrne, Lou Reed, Elliott Sharp, David
Weinstein & Shelly Hirsc (firmano insieme una bella divagazione sul
capolavoro Cheap Imitation di Cage),
Amy Denio e naturalmente John Zorn ed Eugene Chadbourne. Ancora è infinita la
world music che mescola, contamina, plagia. Una quantità di autori e brani solo
indicativa di quanto accade nella contemporaneità, a significare la
molteplicità di assimilazione e attecchimento di tecniche, prassi, concetti
mutuati dall’estetica del plagio. In tempi recenti, poi, le musiche ‘di
frontiera’ (la cosiddetta Border music) hanno assimilato nel profondo le
modalità compositive usate in stili e generi differenti, appropriandosene in
modo originale, e facendone altro, qualcosa in grado di ri/suonare in modo
indeterminato, nuovo, globale.
Alla contemporaneità della
contaminazione, più o meno inconsapevolmente, appartengono, come si è
detto, le brevissime citazioni degli spot,
i rifacimenti, i plagi musicali della musica leggera, i brani sottratti al
diritto d’autore e modificati per essere immessi in rete (tagli nella frequenza
di campionamento, e tagli operati dall’algoritmo usato dal formato Mp3 e dalle
sue evoluzioni), ma anche brani e frammenti liberi da copyright
(chiamati via via loops osoundpool) immessi sul mercato dalle
ditte che vendono software utilizzabili per creare pagine Web, video
promozionali, o musiche di consumo (vedere i cataloghi di campioni diffusi da
Sonic Foundry per il noto software “Acid”; da Magix, che dispongono
anche di immagini ‘free’ utili per costruirsi video con tasselli
‘prefabbricati’, etc. etc.). Molteplici tecniche sono state inventate,
perfezionate, messe a disposizione di tutti, in un primo tempo solo con intenti
commerciali. Questa ‘mercificazione’ ha invece sortito un effetto inaspettato:
la divulgazione capillare, la massificazione, una sorta di popolarizzazione
della creatività. Una creatività ‘a basso costo’, vale a dire ottenibile con
pochissima spesa, benché talvolta di buona qualità. Tutto ciò ha fatto in modo
che anche un metalmeccanico potesse essere prodotto dall’etichetta di Zorn, con
risultati sorprendenti!
L’esposizione delle tecniche parte dalla
‘variazione’ e della ‘trascrizione’, fondative di ogni musica, ma superate
nella loro applicazione accademica) e arriva a quelle tipiche del nostro secolo,
patrimonio collettivo il cui debito va indirizzato alla straordinaria
capillarità dei nuovi media elettronici.
Variazione
Uno dei più esaurienti studiosi di forme
musicali, Andrè Hodeir, dedica ampio spazio alla variazione: «Come l’uomo, pur
così vario nella sua struttura e nei suoi comportamenti nasce da una sola
cellula, l’opera deve svilupparsi a partire da un elemento unico. Tutta l’arte
di chi crea consiste nel ricavare da questa cellula iniziale il massimo della
varietà: è ciò che si sforza di fare la tecnica della ‘variazione’, una delle
forme più pure della musica occidentale». Aggiungendo, tuttavia, che: «secondo
la prospettiva in cui la si considera, la variazione può essere una forma o un
procedimento, o entrambi. Variare un tema significa trasformarlo senza
alterarne l’essenziale, sia ornandolo, sia trasducendolo, sia dando preminenza
ai disegni secondari che l’accompagnano» (Andrè Hodeir, Les formes de la musique). Indicazione più vicina allo studio delle
tecniche compositive è fornita dall’inventore della dodecafonia: «Il termine
‘variazione’ ha diversi significati. La variazione crea le forme-motivo per la
costruzione dei temi, produce contrasto nelle sezioni mediane e varietà nelle
ripetizioni; ma nel tema con variazioni essa è il principio strutturale
dell’intero pezzo» (Arnold Schönberg, Fundamentals
of Musical Compositions, London 1967).
La ‘variazione’ si configura quindi come
una delle più antiche tecniche usate per costruire un brano musicale. Nella
tradizione musicale ‘colta’, al fianco all’invenzione del tema, valore molto
sentito in un periodo successivo, da sempre ha contato il momento dello
sviluppo, dell’organizzazione dei materiali, dell’invenzione ‘variata’ di
cellule magari non originali o non troppo originali. Per questa ragione, come
rileva Tito Aprea, moltissimi incisi tematici restano identici a cavallo di
epoche e di stili (e, naturalmente, di generi): alcuni salti d’altezze, alcune
direzioni dei temi obbligate da un prevedibile e raccomandato ‘buon andamento’
del basso che supporta le armonie, sono stati considerati come un patrimonio
comune, come l’abc del linguaggio musicale, del quale tutti potevano servirsi a
patto di sorprendere poi l’ascoltatore con inaspettate formule ‘variate’. La
medesima forma del ‘tema con variazioni’, addirittura, è poi diventata un
modello di scrittura, laddove certe varianti ritmiche, o modalità di divisione
e spezzettamento del tema, o procedimenti come dilatazione e concentrazione
venivano riutilizzati per richiamare alla memoria dell’ascoltatore le opere
precedenti, o quelle dei grandi compositori contemporanei, come se l’intento
fosse stato non solo quello di innovare, ma anche quello di riallacciarsi
implicitamente ad un linguaggio e ad una tradizione. L’arte dell’implicito
citare varia molto tra i differenti compositori, e non è detto che i più
‘grandi’ siano stati anche quelli più innovativi e radicali. E quasi tutti,
inevitabilmente, hanno fatto ricorso alla variazione, spesso su temi popolari o
di altri compositori.
Trascrizione
Anche la nozione di trascrizione ha
diverse accezioni. La più interessante, ai fini di questo studio, è quella di
‘cambio di destinazione strumentale’. Attraverso la trascrizione, un brano
composto originariamente per un determinato strumento viene trasformato ed
adattato alle necessità di uno strumento differente, in modo più o meno fedele
all’originale e assecondando problemi come l’estensione, il timbro, la
possibilità di fraseggio dello strumento originario e di quello di
destinazione. Esistono trascrizioni ‘da concerto’ (compositori come Liszt e
Busoni amplificano in modo creativo l’originale con raddoppi, riempimento di
armonie, etc.: si pensi all’amplissimo catalogo delle trascrizioni da
concerto); e trascrizioni che diventano vere e proprie ‘reinvenzioni’: in tal
caso musicisti come Rendano, Siloti, Petri sviluppano creativamente arpeggi
appena enunciati, o completano linee di basso con temi inventati da loro. Il
nuovo brano, spesso, pur mantenendo nella corretta sequenza i nomi del
compositore e del trascrittore (ad esempio: Bach-Siloti), è quasi sempre
stilisticamente più vicino al musicista trascrittore mostrando chiaramente
quanto nella musica classica sia stato (e sia) molto comune sentire come
propria l’idea musicale di un altro compositore.
Collage
La tecnica del ‘taglia e cuci’, già
ampiamente abusata nella sua versione ‘manuale’, è oggi di facilissima
attuazione grazie alla omonima modalità presente in qualsiasi calcolatore. Essa
consente di ‘selezionare’ l’area di un testo o di una composizione codificata
in formato Midi, oppure una qualsiasi porzione audio di un brano digitalizzato,
e di servirsene in qualsiasi contesto. Usando appositi programmi, inventati
inizialmente con finalità didattiche, è possibile fondere dati audio e Midi con
testi ed immagini, visualizzando e ascoltando ogni frammento come se si
trattasse di un ‘mattoncino’ o di una tessera di un puzzle, ricomponendo un
contesto originale di proprio gradimento. E’ facilmente immaginabile che con
tali software qualsiasi persona, anche se non musicista, può permettersi
di ‘creare’, a vari livelli, opere più o meno inedite. Come nota un attento
osservatore dei nuovi fenomeni musicali, Gino Castaldo, «esiste anche, ed è in vertiginosa espansione, una tendenza al
mescolamento, al riciclaggio continuo e instancabile dell’esistente, che rende
ardua ogni precisa distinzione sulla indipendenza dell’atto creativo dal
rapporto con quanto è già stato creato».
È importante precisare che la tecnica del
‘collage’ fu utilizzata, in versioni molto meno edulcorate, da quasi tutti i
compositori del filone della musica concreta. Naturalmente questi antesignani
delle odierne tecnologie realizzavano e trattavano le porzioni audio in modo
molto più sofisticato, ancorché distaccato dai desiderata del pubblico.
Scratching
I primi ad usare la tecnica dello scratch furono Hindemith e Toch nel
1930! Utilizzarono, naturalmente, vecchi dischi in vinile, e non la chiamarono
in questo modo (Cfr Aa. Vv., Konsequenz, n. 3-4). Lo scratching è stato definito da Michel Chion
come quella tecnica che consente di utilizzare «dischi di vinile e piatti di
grammofoni alla stregua di strumenti: si controlla il movimento del disco
manualmente e si creano così ‘tracciati’ sonori simili a zebrature, come tracce
pungenti» (M. Chion, Musica, media e
tecnologie, p. 119). Sarà utile aggiungere che oggi è possibile fare scratching anche al computer a partire
da formati compressi come Mp3, oppure utilizzando normali i compact disc con
uno speciale mixer inventato apposta per le discoteche ed i Dj.
Sketching
Zorn nelle sue composizioni usa il
termine ‘sketch’, ad esempio per
qualificare il suo brano Roadrunner
(Ed. Theatre of Musical Optics). Il
termine definisce la prassi di far susseguire velocissimi frammenti audio
(‘schizzi’, appunto). Non tutte le composizioni di Zorn sono costruite così, ma
lo sono quelle che utilizzano le tecniche del montaggio (che lui desume dal
cinema). In sostanza, quella di Zorn è l’estetica del collage. In un suo
articolo sul cinema illustra la tecnica del montaggio cinematografico che
probabilmente è la stessa usata per costruire i suoi pezzi , visto che tra gli
esempi riportati nell’articolo compaiono gli stessi rettangolini presenti nelle
sue partiture. Per Zorn: «il montaggio crea una serie di problemi (...) dove la
materia dell’esperimento è costituita dal tempo. Spesso il montatore non ha
materiale sufficiente per creare un flusso continuo ed è costretto a scegliere
altrove immagini per conservare l’illusione del tempo che passa a un ritmo
regolare». E ancora: «all’aumento di velocità segue la riduzione della capacità
di attenzione. Se in precedenza sembravano indispensabili blocchi di
informazione di un minuto, ora bastano dieci secondi». Come si vede, la
velocità, il cambiamento, il flusso
delle informazioni tra continuo e discontinuo hanno un ruolo centrale nell’uso
della tecnica dell’assemblaggio.
Sampling
Secondo Pamela Samuelson «le tecniche di
campionamento digitale permettono di ‘tagliare’ una registrazione sonora in
parti, le quali possono essere rimescolate e combinate con altre provenienti da
diverse registrazioni, producendo una nuova registrazione che non è più
riconoscibile come derivata dagli originali». Purtroppo, però, talvolta la cosa
non è così semplice, perché alcuni originali vengono dichiarati, magari a scopo
pubblicitario, e riconosciuti dagli attentissimi produttori e dalle major
discografiche...
Il sampling,
o campionamento, è una tecnica che può effettivamente consentire, grazie
all’uso dell’elettronica, la ‘cattura’ di qualsiasi suono da tracks di cd
preesistenti, la sua trasformazione in
un dato numerico visibile al computer, un evento digitale che può essere
utilizzato a piacimento, trattato, alterato, rivisitato fino a renderlo
irriconoscibile. I primi ‘campionatori’ erano macchine costose ed ingombranti,
che tuttavia permettevano di registrare i suoni, inserirli nella macchina e
modificarli nei loro parametri fondamentali (altezza, timbro, intensità,
durata). Il sistema del campionamento si diffuse alle tastiere, anche di tipo economico.
Oggi, finalmente, si può lavorare sul campionamento con computer di basso
costo, ma i risultati, la riconoscibilità dei campioni, la banalità o
l’originalità del risultato finale dipendono esclusivamente dalla creatività e
dall’abilità degli operatori.
Clearing
Il Tribunale Distrettuale
degli Stati Uniti emette il primo verdetto inerente al campionamento musicale
nel dicembre 1991, vietando al rapper Biz Markie di utilizzare nella canzone Alone Again inserita nell’album Need a Haircut (1991) alcune parti
campionate tratte dalla omonima Alone
Again (Naturally) di Gilbert O’Sullivan, un cantante noto negli anni
Settanta. L’album fu ritirato dal commercio, e ripubblicato privo di Alone Again. Il caso ebbe una notevole
risonanza anche per il fatto che dopo due anni Biz Markie diede al suo nuovo
lavoro il titolo provocatorio di All
Samples Creared. Da questo titolo nasce la pratica del ‘clearing’, che consiste nel dichiarare
ai legittimi detentori dei diritti d’autore tutti i campionamenti prelevati dai
loro brani (‘rubati’ dai compact disc grazie alle tecniche digitali oggi in
uso) versando un corrispettivo in cambio del loro utilizzo.
Wall of noise
E’ una raffinata tecnica del
collage sonoro, migliorata da Hank Schocklee, produttore dei Public Enemy (Sandro
Ludovico, “Campionare, l’arte di attingere ai suoni”).
Campionamento libero
Il gruppo dei De La Soul ha
dedicato uno spazio web dedicato ai campioni utilizzati nei loro dischi,
rispondendo alle faq degli utenti sul loro uso. Altro organismo nato per
contrastare il clearing e contestualmente favorire la libera utilizzazione dei
campioni, è l’associazione no profit “Musicians against copyrighting of
samples”. Uno dei suoi fondatori, il musicista Uwe Schmidt ha messo a
disposizione i suoi campioni allegandoli agli album (1992, Cloned: binary, in edizione limitata) (S. Ludovico).
Internet
Nelle musiche di libera utilizzazione
collegate a software di sviluppo di pagine Web, l’autore vende i brani
al produttore del software una sola volta, il quale ne liberalizza l’uso da parte dell’utente in cambio
dell’acquisto del programma. Assai interessante la casistica relativa alle
banche dati, per le quali si discute di libero utilizzo (e pertanto di
scappatoia dalle maglie del diritto d’autore, v. il paragrafo sul copyleft) da parte dell’ ‘assemblatore’.
Su Internet sembrerebbero implicitamente autorizzati i download di frammenti di bassa qualità audio, laddove l’Autore ne
possa disporre e ne dia cautelativa informativa all’ ente di tutela.
Già da anni esistono programmi in grado
di rilevare casualmente la musica presente in rete consentendo collage sonori
più o meno automatizzati. Si va dall’evento live trasmesso via internet, alle
musichette Midi, dalle siglette dei telefonini
alla cattura dei suoni trasmessi dalle net-radio. Tutte musiche trattate
come veri e propri ‘oggetti sonori’, molto spesso non più riconducibili agli
autori originari.
Metacomposizione
Tecniche di metacomposizione vengono
utilizzate soprattutto in ambito colto. Tra gli autori spiccano il gruppo Timet
ed il suo leader Lorenzo Brusci, che, con complesse motivazioni estetiche ed
uno studio dei flussi sonori tra discreto e continuo, trasformano l’operazione
‘jazz’ di Zorn in sofisticata elaborazione colta (ma queste differenze tra
generi sono solo indicative). Timet pubblica diversi dischi (Restituzioni, La via negativa, Shadows...),
su ognuno dei quali è posta la scritta «Chiunque è libero di manipolare questo
disco. Se potete ammettetelo». La tecnica usata è quella di considerare blocchi
di suono come materiali oggettivi da giustapporre a piacimento. In alcuni
lavori c’è l’elenco dei nomi dei compositori ‘sorgente’, senza però precisare
il titolo del brano dal quale è stato tratto il tassello inserito nella
metacomposizione.
Le tipologie di plagio musicale sono
molteplici: può parlarsi di plagio tipico e atipico, involontario, stilistico e
imitativo, parziale, ritmico, autoriferito, artistico o attenuato, popolare. La
classe tipologica qualificata come plagio artistico o attenuato mira a mostrare
quale sia stata l’evoluzione della nozione dal punto di vista delle tecniche
musicali (negli studi classici di composizione la progressione storica coincide
con la progressione dell’apprendimento e la padronanza delle tecniche compositive).
Ogni categoria, naturalmente, non vuole essere esaustiva, si qualifica come
classe tipologica suscettibile di ulteriori articolazioni, poiché spesso, nella
realtà del caso specifico, ogni classe può mescolarsi o integrarsi con le altre
classi.
E’ necessario ribadire che la nozione
giuridica di plagio musicale va intesa in modo estensivo. Le tipologie
giuridiche, difatti, sconfinano in fenomeno estetico nella misura in cui
nell’evoluzione delle tecniche musicali si va via via facendo strada la
convinzione dell’ineluttabilità del ricorso a temi, ritmi, atmosfere mutuate da
opere di altri compositori. Tale consapevolezza, come si è già accennato nel
delineare il percorso storico della nozione di plagio, assume in ogni epoca
importanti differenze prospettiche, che vanno dal divertito omaggio ai grandi
autori del passato alle furibonde accuse di vero e proprio furto di idee. Dire
che la nozione giuridica sconfina in quella estetica significa che la vecchia
definizione di plagio deve per forza di cosa tener conto delle acquisizioni che
si sono accumulate nel tempo, nella storia delle opere, e nel tenerne conto
deve uscirne ampliata, non nel senso di aggiungere nuove tipologie, ma in
quello costitutivo di modifica della stessa percezione giuridica del termine plagio.
Per queste ragioni, non avrebbe avuto
senso procedere ad un elenco delle tipologie di plagio se non precisando
chiaramente che se da un lato si sta cercando di ‘incasellare’ e definire casi
noti o poco noti, dall’altro si sta cercando di mostrare come sia già insita
nel gesto compositivo, e data quasi per scontata nell’uso pratico delle
tecniche, una modalità di uso dell’altro,
e del rinvio all’altro, in cui appare
legittima l’appropriazione creativa di frammenti altrui. Tali frammenti vengono
considerati dal compositore alla stregua di materiali oggettivi (escludendo
pertanto i casi di malafede).
A questa esigenza di chiarezza risponde
la necessità di ipotizzare tra le classi anche quelle di plagio attenuato,
artistico e popolare, che seguono un criterio di natura estetica più che di
natura giuridica.
Quello che è in gioco, preme
sottolinearlo, non è una mera questione musicologica, ma alcune importanti
acquisizioni etiche: impossibilità di opere che possano considerarsi
completamente ‘pure’; ineluttabilità della contaminazione dei linguaggi;
importanza di questa contaminazione per l’avvicendamento delle forme e
l’arricchimento delle culture. Due visioni del mondo evidentemente opposte:
quella lineare, che respingiamo; quella che declina dalla linea, che
accogliamo, perché non escludente a priori la possibilità di scatti in avanti
dovuti ad una originalità che potrebbe dirsi ‘causata’.
Plagio
tipico
Ipotesi di scuola, definisce la casistica
tipo che può inquadrare il fenomeno dal punto di vista giuridico. Se «una
persona si appropria degli elementi rappresentativi e creativi di un’opera per
introdurli in un’altra opera sotto il proprio nome, ci troviamo in presenza di
un ‘plagio’, cioè di una contraffazione qualificata e aggravata, ossia di una
riproduzione abusiva di un’opera altrui con appropriazione di paternità» (l.
633/1941). Per legge, tuttavia, l’opera simile all’originale, per essere
realmente definita plagio, deve suscitare nell’ascoltatore le stesse emozioni
evocate dall’originale. Assecondando questa definizione, potrebbero sussistere
senza incorrere nel plagio alcuni tipi di utilizzazione di tipo
‘citazionistico’, perché i frammenti usati, ad esempio, negli sketching di Zorn non hanno più nulla in
comune con i brani iniziali.
Plagio
atipico diretto e indiretto
Sono atipici tutti quei casi che non rientrano nella definizione ‘di scuola’.
Con rilievo al profilo della titolarità
del plagio, se un terzo plagia l’opera da una sorgente per conto dell’autore
plagiante che si assumerà la titolarità dell’opera, si ha plagio atipico
diretto. Se un terzo plagia l’opera a nome di un compositore ignaro si ha
invece plagio atipico indiretto (riferito alla figura del compositore ignaro) o
falso d’autore (riferito alla figura del terzo, reale autore del plagio).
Se uno studioso (o l’opinione comune)
attribuisce l’opera ad un compositore che non ne è autore si ha plagio atipico
o errore di attribuzione (la modalità ha rilievo per il fatto che nella pratica
da concerto molte opere continuano ad essere eseguite con la falsa titolarità,
attraverso la dizione ‘attribuita a...”). Se il plagio atipico viene ricondotto
con certezza ad un terzo che volontariamente lo pone in essere a fine di lucro
si è in presenza di una truffa (plagio atipico indiretto è quello del Requiem
di Mozart, nelle parti completate dagli allievi su commissione della moglie, a
danno di un committente il quale a sua volta intendeva assumere la paternità
del Requiem - plagio tipico) o di uno scherzo (celebre in campo artistico il
caso dei falsi Modigliani).
Si ha ancora plagio atipico nel caso in
cui un compositore affidi ad un ghost
writer la propria opera affinché questi la completi a pagamento (celebre e
molto discusso il caso di Giacinto Scelsi, che però consegnava ad alcuni
trascrittori dei supporti magnetici di sue improvvisazioni: il plagio avrà
rilievo solo nel caso in cui possano essere documentate porzioni estese della
composizione non concepite dal committente).
Plagio
involontario
Tipologia squisitamente giuridica che
inquadra il caso di similitudine fortuita o casuale. Apre una serie di problemi
giuridici tra creatori di opera indipendenti
Plagio
stilistico e imitativo
La diffusione di trattati di
orchestrazione e analisi consentono oggi perfino agli studenti dei corsi di
composizione di poter scrivere à la
manière de..., formula usata dagli autori per esplicitare un rifacimento
stilistico. Molti sono gli esempi di plagio di stile, esplicito o implicito, da
Ravel che si rivolge a Couperin, a Debussy che ne La Cathédrale engloutie si appropria della tecnica della
sospensione accordale usata quattro anni prima da Satie in un Corale, fino a Rossini che nel Petite Caprice per pianoforte fa il
verso ad Offenbach, con uno sberleffo aggiuntivo: usa solo indice e mignolo
della mano destra, nel gesto dello scongiuro, perché pare che Offenbach
portasse male...
Il plagio imitativo è ‘esplicito’ nelle
composizioni accademiche; ‘implicito’ nelle composizioni di corrente, ad
esempio in alcune opere della scuola seriale; ‘attivo’ quando l’imitazione stilistica
procede da consapevole volontà di attribuirsi un vantaggio economico o un
vantaggio intangibile; ‘passivo’ se ci si limita a subire l’influenza di un
caposcuola o di un autore che si è molto amato (ad esempio il caso di Sakamoto
che da giovane, dopo aver molto ascoltato e amato il Terzo concerto per
pianoforte e orchestra di Beethoven scrisse un brano di natura didattica del
tutto simile a quello di Beethoven).
Si ha plagio imitativo cinematografico
quando nella musica da film si usano alcuni codici per suscitare reazioni
convenzionali nel pubblico, una specie di codice inconscio: un collage di
queste tipologie è raccolto in un celebre prontuario, l’Allgemeines Handbuch der Filmmusik di Becce-Erdmann-Brav,
pubblicato a Berlino nel 1927. Basta comunque ascoltare la musica da film di un
compositore come Sakamoto per rintracciare decine di citazioni stilistiche o
tematiche. In Little Buddha un tema
simile a quello del Dies irae viene
orchestrato alla maniera della Pavane
pour une enfante défunte di Ravel. Molti ritmi di El mar Mediterrani riportano al Sacre
di Stravinskij o ad opere di Bartòk, e via di seguito...
Il plagio imitativo da spot
ricorre nel caso dello jingle-maker che costruisce musiche per la
pubblicità, e si adatta camaleonticamente a rifare Springsteen e Bach
nell’ottica mobile dell’estetica del plagio..
Plagio
parziale
Può riguardare una successione armonica
inusuale ma identica a quella di un altro autore nella sequenza accordale,
nelle posizioni e nei legami armonici. O solo una parte del tema di una
composizione, intendendo per tema la frase compiuta che identifica il brano di
provenienza. Plagio parziale può essere quello del controsoggetto o tema
secondario o seconda voce della composizione. Infine può essere quello che
riprende la tipicità di un timbro orchestrale, laddove questo sia palesemente
‘rubato’ da un brano preesistente.
Plagio ritmico. Laddove la ritmica sia
identificativa di una composizione, essendo il ritmo la caratteristica
musicale che per prima consente
l’dentificazione del pezzo, quella cioè che dal punto di vista psicoacustico
risulta essere individuata dal fruitore molto prima dell’assorbimento di parti
tematiche, timbriche o armoniche, sarà possibile parlare anche di plagio
ritmico. Esperimento: una famosa mazurca di Chopin suonata con altezze
differenti e resa politonale verrà individuata egualmente da un musicista
esperto. Il famoso tema beethoveniano del destino che bussa alla porta verrà
allo stesso modo riconosciuto da ascoltatori non musicisti anche con altezze
dei suoni alterate. Sembrerebbe sorgere un problema teorico: nei brani di
musica cosiddetta ‘pop’ le ritmiche vengono ripetute o considerate di pubblico
dominio anche grazie alla loro divulgazione in appositi cd ed a programmi che
ne rendono possibile la libera utilizzazione. Tuttavia, laddove un ritmo
risulti riconoscibile per alcune caratteristiche tipiche si parlerà di plagio
ritmico anche in caso di differente velocità di esecuzione? Ragionando per
similitudine, se un ritmo di origine classica (danze e balli) viene usato
tranquillamente senza incorrere in plagio, anche altri ritmi semplici o a
cadenza regolare dovranno considerarsi di patrimonio comune, prescindendo dalla
velocità di esecuzione. Invece, ritmi complessi o irregolari (si pensi ad alcune
composizioni contemporanee o a quelle di Stravinskij) verranno generalmente
ritenuti plagi ritmici, sempre a prescindere dalla loro velocità d’esecuzione.
L’uso e la permutazione ritmica viene generalmente considerata lecita dai
compositori. Gli studi etnomusicologici sul gamelan di Giava e Bali, e più in
generale tutte le polimetrie arcaiche sono stati saccheggiati da quanti ne
hanno tratto cellule da impiegare con procedimenti di inversione,
retrogradazione, aggravamento, etc. In linea di principio non si comprende per
quale ragione il plagio di un ritmo debba essere considerato meno riprovevole
di quello di un tema o di una successione armonica. Per quale ragione, cioè, la
componente ritmica, che pur individua per prima la specificità di un brano,
possa essere considerata più ‘oggettiva’ della componente ‘melodica’ e quindi
trattata come un materiale liberamente utilizzabile...
Autoplagio
o plagio autoriferito
L’autoplagio è una categoria intermedia
tra quelle di derivazione giuridica e quelle di derivazione estetica. Difatti,
un compositore può plagiare se stesso per motivi contingenti - laddove non
riuscendo a soddisfare una commissione si trovi costretto a riproporre un
lavoro precedentemente composto - o per motivi artistici - laddove l’utilizzo
di un tema o di una parte della fonte originaria scaturisca da esigenze
esclusivamente creative. L’autoplagio può consistere in una autocitazione (di
un tema proprio o di parte di un’opera precedente); in una trascrizione da
catalogo proprio; in un rifacimento (assemblaggio da parte dell’autore di parti o interi movimenti
tratti da opere precedenti o addirittura parziale riscrittura di opere
complete); può ridursi ad autorevisione (celebre il caso dell’Otello di Rossini) o ad una
semplificazione di precedenti lavori a fini didattici o strumentali; può
spiegarsi come lavoro svolto nel tempo, e intendersi come versione successiva e
stratificata nel tempo (con importanti cambiamenti) del medesimo lavoro (si
pensi alle molteplici versioni delle mazurche di Chopin o dei preludi di
Gershwin).
Di tale casistica si è anche occupata la
giurisprudenza, laddove l’autore risulta vincolato da un contratto di edizione
che gli impedisca di riprodurre, anche parzialmente, l’opera, o di produrne e
metterne in commercio una simile. Si parla, in tal caso, di ‘plagio di se
stesso’ (cfr. Marco Fabiani, “Il plagio di se stesso”), caso che potrebbe
ricorrere anche al di fuori della tipologia del contratto di edizione (nel caso
di diritti di esecuzione o di registrazione di opera musicale). Si propende a
cercare un bilanciamento tra la libertà dell’Autore di ricorrere ad espressioni
stilistiche che lo caratterizzano (in caso contrario molti brani di Glass
sarebbero da annoverarsi nella categoria dell’autoplagio!) e l’esigenza di
buona fede richiesta dal codice civile e dalla correttezza dei comportamenti di
chi si pone sul mercato.
Plagio
artistico
Il plagio artistico è insito nelle
tecniche e prassi compositive tipiche della musica classica, che come si è
visto procede da un tema o da una cellula allo sviluppo della forma musicale
prescelta. Si è dimostrato che nella musica colta è piuttosto frequente
comporre un brano su tema altrui, oppure autocitare frammenti della propria
opera in altre composizioni, o trascrivere lo stesso pezzo per uno strumento
diverso dall’originario. Dall’espediente della ‘variazione’ (su/da tema altrui)
ha forse origine il senso di liceità che accompagna il compositore quando si
serve di idee altrui: un tema interessante poteva in un primo momento essere
ripreso solo occasionalmente dagli esecutori, poi essere elaborato, abbellito,
infiorettato, come era antica prassi comune, adattandolo alle possibilità
offerte da strumenti diversi e piegandolo alle possibilità improvvisative degli
esecutori solistici. Si comprende, dunque, come già una semplice ‘trascrizione’
fosse una rudimentale forma di contaminazione tra l’originale d’autore e la sua
rielaborazione più o meno variata compiuta da un altro musicista. Si può
ipotizzare che queste ‘rielaborazioni’ diventassero ‘trascrizioni’, poi vere e
proprie ‘reinvenzioni’ nella misura in cui maggiormente si allontanavano
dall’originale, ed infine plagi (atipici ) quando il nome del primo autore
scompariva del tutto.
Il plagio artistico, che è quindi un
plagio attenuato dal punto di vista giuridico, perché solitamente non si
accompagna ad una malafede ma, al contrario, alla sensazione di utilizzare un
materiale oggettivo, a disposizione del sentire comune, può essere di vari
tipi. Può trattarsi di una citazione: viene riportata in una propria opera un
frammento dell’opera di un altro compositore. Può essere una citazione in bella
evidenza quando assume la formula di un omaggio esplicito alla sorgente oppure
può essere una citazione mascherata quando attraverso piccole modifiche chi
plagia cerca di ottenere un effetto del tutto simile a quello della pezzo
originale, che non viene dichiarato. In epoca successiva si sviluppò la forma
della parafrasi. Si ‘trascrive’ da una composizione per orchestra o si creano
‘parafrasi’ pianistiche dai brani d’opera, poi se ne fanno musiche differenti,
vere e proprie reinvenzioni. E’ interessante, a questo proposito, segnalare che
la Siae ha solo di recente risolto il problema della ‘trascrizione’ di opera di
pubblico dominio, e non ha ancora risolto quello dell’opera trascritta da
autore vivente o morto da meno di settant’anni.
Le tecniche odierne, già illustrate,
utilizzano la digitalizzazione del suono, vale a dire la sua trasformazione in
un parametro numerico, che davvero può considerarsi con facilità un ‘materiale
oggettivo’, fatto proprio da chi mostri competenza nel raccoglierlo e
alterarlo. Le tecniche sono quelle già
citate del sampling o campionamento,
dello sketching (fusione/confusione
creativa di frammenti altrui), del clearing
o del prestito dichiarato, nel caso già descritto del campionamento in cui pur
utilizzando frammenti o campioni di suoni tratti altrove, se ne dichiara la
sorgente corrispondendo i relativi diritti.
Plagio
popolare
Un lasciapassare al plagio è sempre stato
costituito dalla musica popolare. Molti compositori si sono rivolti ai
repertori tradizionali (considerati di
pubblico dominio) per trattarli liberamente. Da Liszt e Brahms fino alle scuole
popolari, con in cima Béla Bartòk e Zoltan Kodàly, a volte con intenti perfino
filologici, i musicisti classici hanno permutato modi e temi folclorici o noti
trasferendoli in forme colte. Mahler riprende Fra’ Martino, la trasporta, la trasforma in re minore e la
inserisce nel terzo movimento della sua Prima
Sinfonia. Ma ‘popolare’ non va confuso con ‘popular’. Il termine ‘popular’
ha infatti una più vasta accezione. La migliore definizione è quella data da
Richard Middleton, e riassunta da Franco Fabbri. Comprende la canzone, il pop,
il rock, la musica da cinema, della televisione, della pubblicità e «gli altri
generi che insieme formano il campo musicale definito ‘popular’ dagli
anglosassoni». Quindi, ‘popular’ è termine molto vicino all’ambito che
interessa la produzione contemporanea contaminata.
Il termine ‘popolare’ va invece riferito
in modo più circostanziato alla produzione legata al folclore locale,
all’etnico in senso stretto. Può usarsi ‘popolare’ anche nel caso di produzioni
provenienti da segmenti sociali identificati con la massa (!). Il passo tra
popolare e ‘populista’, in quest’ultimo caso, è quantomai breve: la musica da
discoteca, la leggera più commerciale, non sono generi autenticamente
‘popolari’, perché discriminano in partenza i gusti della gente, dando per
scontato che la massa non possa interessarsi di musiche differenti da quelle a
loro prossime. In questa accezione, la musica extra-light non è nemmeno
‘popular’ (tranne che in alcuni casi, in cui si effettua realmente una
contaminazione), ma è spesso ‘populistica’. Sovente i compositori, di ogni
provenienza, si sono appropriati di temi e motivi ‘popolari’ in senso proprio,
magari soltanto ipotizzando che lo fossero. Al punto che alcuni temi, diventati
talmente famosi da essere considerati ‘popolari’, hanno perso la loro stretta
riferibilità ad un autore specifico, e sono stati trattati come vero patrimonio
comune.
Nascita
della nozione di autore
Contrariamente a quanto si ritiene
comunemente, la nozione di Diritto d’autore fu introdotta fin dal Settecento,
visto che il primo atto di copyright viene varato nel 1709 in
Inghilterra. Vi si stabiliscono come caratteri del plagio una congrua
lunghezza, e l’identità di porzioni del brano ben caratteristiche ed
individuabili. Ed alla fine del Settecento risale uno dei casi più noti e
rilevanti di accusa di plagio di un autore nei confronti di un altro
compositore: i due si chiamavano Clementi e Mozart. L’uso di semplici e brevi
frammenti non era ritenuto plagio in senso proprio. In seguito si considerò che
una lunghezza ‘accettabile’ per parlare di plagiocoincidesse con le quattro
battute che servono ad articolare una frase musicale di senso compiuto, anche
se, come argutamente rileva Tito Aprea, talvolta perfino un inciso risulta
talmente caratteristico da essere immediatamente riconoscibile. Nella prassi
compositiva, dunque, curiosamente, la musica veniva trattata un po’ alla
stregua dei software open source
di oggi, laddove è implicito nella mentalità di un programmatore Linux la
possibilità di lavorare anche per una comunità più ampia che può utilizzare
gratuitamente, in clima di reciprocità, il lavoro altrui.
Bach versus hacker ? Novecento
che riproduce un sentire del Settecento, con antiche idee che ritornano? In
effetti questa analogia è molto vicina alla realtà delle cose e del sentire:
per farsene una ragione si può consultare il libro di Pekka Himanen sull’etica
hacker, che non a caso comincia proprio con l’ analisi dell’etica protestante
del lavoro, e con la similitudine tra sistema monastico e sistema
autoritaristico. Nel tentare un parallelo
tra quanto accade da secoli nel mondo musicale e l’attuale evoluzione nel mondo
della ricerca elettronica, va tenuta presente una distinzione importantissima:
quella tra free software (libero
utilizzo senza limiti) e open source
(in cui è obbligatorio citare la fonte di ogni miglioramento dei software).
Entrambi i modelli sono a struttura aperta, e contrastano con le strutture
chiuse di tipo aziendale-economicistico. Per il modello open source, diversamente da quel che si pensa, il plagio è
riprovevole, ed il rilascio di diritti si intende assolto a due condizioni:
«che quegli stessi diritti devono essere trasmessi quando viene condivisa la
soluzione originale o la sua versione perfezionata, e chi vi ha contribuito
deve essere sempre citato ogni volta che una delle versioni viene condivisa»
(P. Himanen).
Le
utilizzazioni plurime
La Società italiana per la tutela dei
diritti d’autore ritiene che le nuove tecnologie conducano a differenti tipi di
“utilizzazione” dell’opera, e che tali utilizzazioni plurime possano e debbano
essere egualmente tutelate, attraverso marcatori come Mmp, che consente la
marcatura in filigrana, il watermark,
attraverso algoritmi di cifratura. Numerosi gli altri standard Secure
Digital Music Initiative. Le operazioni indicate da Mario Fabiani come
riconducibili ad una utilizzazione plurima di tipo diverso da quello
tradizionale sono l’Uploading (si
immette l’opera in rete), il Browsing
utente (altri utenti accedono all’opera), il Client caching (consultazione dell’opera in rete), la registrazione
dell’opera sul proprio computer, la riproduzione (attraverso i vari formati di
compressione, Mp3, Real Audio, ed altri formati derivati o evoluti), e la
trasmissione dell’opera ad un pubblico indeterminato.
Dal nostro punto di vista non sembra
tuttavia che la ‘consultazione’ di un’opera, ad esempio, con qualità inferiore
dovuta alla compressione oppure ad una resa ‘mono’ (privando il brano della sua
efficacia stereofonica), possa essere considerata una ‘utilizzazione’.
Altrimenti tutti i negozi di dischi, nel proporre una titletrack al compratore dovrebbero pagare diritti di
utilizzazione. E analogamente perfino i giornalai nell’esporre riviste alla
consultazione per l’offerta di acquisto, dovrebbero pagare dei diritti per la
‘consultazione’!
Altro punto discusso della normativa è la
possibilità concessa agli acquirenti di CD di trarne almeno una copia per un
uso differente, ad esempio per ascoltare una compilation in auto, purché tale copia sia dotata di un codice che
ne impedisce una ulteriore duplicazione. Ne esistono molti tipi differenti, il
più conosciuto è il Serial Copy
Management System. Alcuni sistemi di protezione digitale oggi adottati in
prova per certi prodotti discografici impediscono anche tale copia, limitando
la libertà di utilizzazione dell’acquirente ed inibendone il diritto di
conservare in perfetto stato l’originale, e il diritto di ascoltarne solo una
porzione, considerando la natura non unitaria del ‘prodotto cd’ (formato da
differenti tracce, spesso molto differenti). Si ricorda che per motivi simili
(differenti funzionalità implementate nel sistema operativo Microsoft Explorer)
sono state intentate molteplici cause contro Bill Gates.
Qualcosa in più di una ipotesi è la
possibilità di una protezione ‘attiva’ dei materiali musicali presenti in rete.
Attraverso un virus immesso illegalmente in file musicali, alcune major
sabotano i sistemi peer-to-peer (vale a dire quei programmi e siti che
consentono lo scambio di file). L’utente crede di ‘scaricare’ un file musicale
e si ritrova invece con un “MediaDecoy”, cioè con una sorta di ‘cavallo di
troia’ che danneggia l’hard disc del computer. Altre proposte restrittive
arrivano dagli Stati Uniti, dove diciannove membri del congresso hanno chiesto
al segretario della giustizia John Aschcroft di rendere reato il semplice atto
di ‘scaricare musica’ dalla rete. Non a caso la proposta ha tra i suoi
firmatari alcuni esponenti dell’aria liberal. Iniziative del genere non
colpiscono di certo la vera pirateria (che consiste nel duplicare centinaia e
migliaia di copie contraffatte di interi dischi, creando un mercato parallelo
ed illegale) e finisce invece con il limitare la libera circolazione delle idee
e dei materiali. Ogni sistema di protezione digitale, infatti, viene
tranquillamente aggirato dai ‘veri’ pirati semplicemente fabbricando una nuova
copia digitale, attraverso le uscite analogiche di qualsiasi lettore cd. Dalla
nuova copia i contraffattori riproducono digitalmente ed in tutta tranquillità
la quantità di dischi desiderata.
Il problema della pirateria è collegato a
quello del plagio musicale laddove si vada a colpire la libera circolazione di
musiche in rete. Sarebbe come dire che Haendel, Bach e Mozart non avrebbero
dovuto memorizzare temi altrui ed arricchire conseguentemente la propria opera
e la storia della musica di capolavori. E che magari, per impedire questa
assimilazione, fosse stato proibito l’ascolto di nuove opere nei teatri e nei
salotti! L’argomentazione, esasperata e paradossale, mostra tuttavia abbastanza
efficacemente l’effetto di limiti imposti alla circolazione delle musiche per
scopi di conoscenza e studio. Ed implicitamente di assimilazione,
rielaborazione, campionamento, metacomposizione, ...
Plagio
e riproducibilità
La possibilità di replicare “enne” volte
un’opera musicale attraverso dischi, video, e così via, la espone al rischio di
manipolazione delle masse da parte dell’industria culturale. Ma d’altro lato
tale replicazione può servire ad introdurre attraverso l’opera temi
rivoluzionari nella politica culturale. Quest’intuizione di Benjamin lo rende
il più lucido dei francofortesi. La tecnica della riproduzione, scrive
Benjamin, «pone al posto di un evento unico una serie quantitativa d’eventi».
Al di là delle implicazioni storiche ed estetiche, la novità della
riproducibilità è che in ultima istanza non si può più eludere il confronto col
pubblico «degli acquirenti che costituiscono il mercato». Ciò, indubbiamente,
cambia il rapporto tra artisti, opere e massa. Definite infatti certe costanti
come di sicuro successo, la tentazione forte è quella di cedere al fascino del
già detto, dell’autocitazione, della fabbricazione di canzoni, brani, video
fatti ad hoc, cioè pensando
esclusivamente alle esigenze dell’industria culturale. Tecnicamente è piuttosto
semplice ricreare le atmosfere o riutilizzare certe suggestioni armoniche
oppure ‘arrangiamenti’ simili per ottenere un effetto di ‘trascinamento’ sulla
scorta di un successo da hit. Tale prassi, però, espone l’autore ad un
logoramento ed uno svuotamento che alla lunga gli sono fatali. La prassi della
‘citazione’ o del rifacimento (da un mambo, dalla colonna sonora di un film di
successo, etc.) è tale che essa va raccolta per quello che è, senza escludere a
priori che una qualità estetica, un valore, possa comunque esservi contenuta.
Alle epoche della duplicazione e della
riproduzione sembra ora seguire l’era della ‘replicazione’. Le musiche sono
simili ai replicanti di Blade Runner: benché clonate paiono vivere come corpi
separati in rete, come se fossero dotate di vita propria.
Pregiudizio
d’autore e plagiarismo
Il plagio dispone a piacimento i confini
di appartenenza: distingue tra proprio e altrui solo per abbattere questa
frontiera, e stabilire un terreno condiviso. Ogni luogo in comune allarga i
propri confini originari, perché sopravanza quelli contigui. Le incursioni
pirata negli standards predisposti dall’ ‘autore’ sono già la ricchezza e la
bellezza del prodotto ipermediale. Queste ‘varianti’ dell’originale verranno
anzi richieste, perché nella variazione e nella velocità aforistica della
successione di immagini diverse vi è una via d’uscita dalla noia per il già
ascoltato. Un’opera ‘idra’ potrebbe crearsi utilizzando la rete, e abdicando
alla propria paternità d’autore, come già si fa attraverso esperimenti
letterari. Ed in effetti, su quest’ipotesi lanciata in modo teorico diversi
anni fa, oggi è possibile rintracciare molteplici movimenti ed artisti che
utilizzando la tecnologia finalmente disponibile (e felicemente massificata)
stanno procedendo a rendere evidente il fenomeno del plagio. È nato addirittura
un “movimento plagiarista” che fa capo a John Oswald, conosciuto anche al
grosso pubblico per aver composto Spectre,
cavallo di battaglia del Kronos Quartet inserito anche nel cd del ‘93 intitolato
“Short Stories” (i quattro archi fingono inizialmente di ‘accordarsi’ su di un
bordone, quasi cercando il suono unico caro a Giacinto Scelsi). Oswald è
l’inventore della ‘plunderfonia’, definita come «tecnica e filosofia
dell’appropriazione» ovverossia dell’uso del campionatore e della tecnica del
montaggio con finalità creative. Le fonti di Oswald sono eterogenee: da
Beethoven e Liszt fino ai Beatles, attraversando il jazz. Il compositore
canadese è diventato notissimo nell’ambito della musica sperimentale dopo aver
prodotto nel 1989 un cd in soli mille esemplari intitolato proprio
“Plunderphonic” sulla cui copertina campeggia un’immagine rimaneggiata di
Michael Jackson. L’etichetta di Jackson, la CBS, ne chiese naturalmente subito
il ritiro, scatenando la circolazione clandestina di cassette e provocando un
effetto boomerang di notorietà intorno al lavoro di Oswald (V. Barone, in No@copyright). Come si può dedurre dalla
lettura della sua biografia, reperibile facilmente in rete, l’atteggiamento
semiserio e satirico del canadese ne fanno un personaggio certamente
interessante, la cui produzione è tuttavia ancora considerata ‘di nicchia’.
L’altro aspetto del plagiarismo è
l’invito a produrre in modo anonimo, rinunciando al pregiudizio di proprietà
apposto dall’autore, alla paternità dell’opera, oppure liberalizzandone l’uso.
Qui, ancora una volta, la musica presenta molteplici aspetti in comune con le
tematiche dell’hackerismo. È il caso,
ad esempio, del Luther Blissett Project, formato da musicisti che in questo
ambito mantengono l’anonimato sul loro apporto ai progetti musicali (come del
resto accade anche per gli altri tronconi ‘made in Blissett’), che può essere
definito come un situazionismo musicale, prevalentemente divulgato via internet
nel formato di compressione Mp3. Il gruppo si colloca in ambito dance,
elettronica, sperimentale e si dichiara vicino all’operato di Darko Maver,
Evolution Control Committee, John Oswald, dei Negativland.
Tra
questi musicisti, l’operato di Darko Maver (Krupanj, Slovenia) lo posiziona
subito nelle pieghe della musica sperimentale e politica, rendendolo un
riferimento obbligato. L’eclettico artista assume via via parecchi soprannomi,
tra cui quelli di “Trax 0487” e “Jaroslav Supek”, e realizza copertine di
dischi, istallazioni, sculture, frammenti di parlato (discorsi di natura
politica) mescolati a suoni e rumori, finché non scompare prematuramente nel
1999.
Tra gli italiani seguaci del movimento
plagiarista e della filosofia ‘plunderphonica’ di John Oswald c’è Giustino Di
Gregorio, conosciuto nel ‘95 con lo pseudonimo ‘sprut’, che ha pubblicato per
l’etichetta di Zorn, la Tzadik, un disco intitolato sempre “Sprut”. Tra i gruppi, invece, vicini
all’anonimato predicato dal Luther Blissett Project sono i FerrariStationWagon.
Copyleft
La linea teorica che ispira il movimento
plagiarista ha alcuni tratti in comune con quella che proviene da
BenjaminTucker. Partendo da presupposti anarchici, cioè libertari ed
antistatalistici, Tucker ipotizza che se
la proprietà privata fosse stata godibile da più persone contemporaneamente,
essa non sarebbe esistita in quanto tale, ma sarebbe stata percepita come senza
alcun problema cosa in ‘comune’. Poiché nel caso di oggetti materiali ciò non
era evidentemente possibile, fu instaurato un regime convenzionale di regole
che difendessero la proprietà ed il suo godimento nella pienezza del possesso.
Questo tipo di argomentazione (la consistenza oggettiva delle cose) non
garantisce egualmente la proprietà sull’opera d’ingegno e sull’opera d’arte.
Difatti queste ultime sono tranquillamente fungibili da più persone
contemporaneamente senza danno per alcuno. Il regime del diritto d’autore,
concepito a soli fini economici (tanto è vero che è un regime a durata
limitata), finisce così per impedire la libera concorrenza. Il copyright
si trasforma in un vincolo capace di impedire la libera circolazione delle idee
ed il loro miglioramento a fini di pubblica utilizzazione.
La tesi di Tucker, affascinante, non
impedisce tuttavia di rilevare che un regime completamente libertario finirebbe
col favorire la scomparsa del professionismo musicale, cosa auspicata da Fluxus
e da alcuni suoi esponenti come altamente liberatoria, i cui esiti sarebbero tuttavia da verificare
(una nuova capillare diffusione della musica, oppure una rinnovata barbarie in
cui prevale soltanto l’aspetto più ‘divulgativo’ della ricerca e della
produzione?).
Per tornare allo specifico del plagio,
ulteriori argomentazioni teoriche a favore della liberalizzazione del diritto
di utilizzo dei materiali, principio senza il quale verrebbe a mancare una
spiegazione convicente del fenomeno, sono sia filosofiche che tecniche e
giuridiche. Joost Smiers riporta l’opinione di Jacques Soulillou secondo il
quale «“La ragione per la quale è difficile produrre la prova di plagio nel
campo dell’arte e della letteratura sta nel fatto che non basta soltanto
dimostrare che B si è inspirato ad A, senza citare eventualmente le sue fonti,
ma bisogna anche provare che A non si è ispirato a nessuno. Il plagio suppone
infatti che la regressione di B verso A si esaurisca lì, perché si arrivasse a
dimostrare che A si è inspirato, e per così dire ha plagiato un X che
cronologicamente lo precede, la denuncia di A ne risulterebbe indebolita”».
Smiers continua immaginando un caso tipico di plagio: «Immaginiamo che una
persona copi il lavoro di un altro artista, asserisca che è suo e lo firmi. Se
non c’è né rielaborazione, né commento culturale, né aggiunta, né traccia di
creatività, si tratta evidentemente di un vero e proprio furto che merita di
essere sanzionato. A questo punto, l’obiettivo dovrebbe essere la creazione di
un nuovo sistema che garantisca agli artisti dei paesi occidentali e del terzo
mondo redditi migliori, che si apra in modo ampio a un dibattito pubblico sul
valore della creazione artistica, che si preoccupi del miglioramento del
livello culturale del pubblico, che spezzi il monopolio delle industrie della
cultura, le quali vivono sul sistema dei diritti d’autore». La tesi
Soulillou/Smiers condurrebbe alla creazione di un sistema più equo che
garantisca la possibilità di utilizzazione a fini creativi, sanzionando la
contraffazione ma tutelando le debolezze di ‘singolarità selvagge’’ nei
confronti delle major discografiche.
Dal punto di vista delle tecniche
musicali, il problema del plagio potrebbe in fondo essere risolto abbastanza
facilmente; basterebbe infatti compilare una sorta di ‘prontuario’ che
utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalle più evolute teorie
d’analisi musicali consenta di individuare i cosiddetti ‘materiali oggettivi’
(e ‘comuni’) e di discriminare tra plagio tipico e artistico.
Come abbiamo visto, l’evoluzione dello
stile, delle forme e dei generi musicali, se guardata al microscopio con gli
strumenti dell’analisi, rivela una infinità di concordanze sospette, tanto da
farci pensare che sia possibile individuare alcuni tratti e procedimenti comuni
nell’uso delle melodie e delle armonie. Queste formule vengono sentite come un
essere-in-comune, al quale accedere liberamente. Il problema giuridico potrebbe
essere risolto proprio facendo ricorso al prontuario delle ‘figure musicali
ripetute’, che apparterrebbero a tutti. L’elenco andrebbe a costituirsi,
quindi, come termine di comparazione oggettiva.
Un contributo fondamentale e di indirizzo
ad un eventuale lavoro del genere è stato offerto dai ricercatori della
Stanford University che hanno pubblicato per il MIT un ponderoso studio sulle
cosiddette “similarità melodiche”. Molte altre forme e figure vengono poi già
considerate ‘libere’ da secoli, e cioè quelle che diventano modi identificativi
di un genere o di una scuola, il Basso Albertino, il “Sospiro di Mannheim”
(Diciottesimo secolo); e ancora: salti tematici frequenti (che individuano tipi
di armonizzazione melodica); modulazioni convenzionali; imitazioni e progressioni di scuola; formule
cadenzali ...
Altre vie di fuga per un diritto di
libera utilizzazione si creano grazie ad alcuni vuoti legislativi, oppure a
causa di alcuni casi fortuiti che nascono dal rapporto tra diritti, laddove sia
possibile gerarchizzarli. Alcune figure giuridiche che non individuano
violazione ricorrono in caso di plagio involontario, quando quest’ultimo
riguarda elementi tecnici dell’opera (passaggi obbligati) oppure elementi che
appartengono al patrimonio intellettuale comune. Altro aspetto giuridico che
offre una possibilità di libero utilizzo di frammenti musicali è di tipo
squisitamente tecnico, e consiste nella protezione della proprietà
intellettuale. Quest’ultima, a fronte di alcune direttive comunitarie sulla
creazione e tutela di banche dati elettroniche non sembra potersi esaurire
nell’ambito del diritto d’autore: «l’impressione che si ottiene scorrendo la
direttiva è che la matrice concettuale originaria, che fa leva sul carattere
reale della proprietà intellettuale, abbia definitivamente abdicato in favore
di regole che si rifanno direttamente alla disciplina della concorrenza, dove
rileva in via diretta la tutela dell’impresa ovvero dell’investimento economico
realizzato in vista della produzione di beni o servizi» (F. Macario).
Basterebbe estendere tale concetto, spogliarlo del carattere economicistico e
rivestirlo di quello della gratuità per ottenere il libero veicolarsi delle
informazioni, almeno di quelle in abstract
o indicizzate.
Infine, la tecnica del campionamento (ed
in generale tutte le nuove tecniche sorte grazie allo sviluppo dei mezzi
elettronici) potrebbe offrire una ulteriore possibilità di liberalizzare i
diritti collegati all’opera musicale, purché gli utilizzatori a fini creativi
si dimostrino disponibili a rinunciare a parte della qualità audio (e
generalmente lo sono, perché comunque i frammenti audio vengono poi
generalmente resi irriconoscibili). Infatti, nel campionamento l’ampiezza del
segnale, raccolta da un microfono, viene prelevata a determinati intervalli di
tempo. Meno frequente è il ‘prelievo’, peggiore sarà la qualità del suono
campionato. E’ del tutto evidente che sia i suoni a bassa qualità di
campionamento che le musiche compresse attraverso algoritmi potrebbero
sottostare a un regime giuridico differente, di maggiore libertà di utilizzo,
in ragione della loro scarsa qualità. Si potrebbe arrivare a concepire un
sistema misto, laddove per ragioni promozionali un autore o una casa
discografica desiderassero promozionare un brano o una compilation, rendendo possibile l’uso e l’accesso a frammenti in piena disponibilità di quanti vogliano
manipolarli in modo creativo. Potrebbe essere un compromesso ragionevole, una
soluzione al problema della pirateria ‘creativa’ e la naturale evoluzione del
fenomeno del ‘plagio’.