LA
SINDROME DELL’ATOLLO
Girolamo
De Simone
L’idea di fondare una rivista nasce progettualmente alla fine del ‘93, da convergenze -ma anche diversioni- tra intellettuali, musicisti, critici e giornalisti napoletani. Nel maggio di quell’anno, difatti, dopo il successo editoriale di un pamphlet (1), ero riuscito ad avere l’ospitalità delle Edizioni Scientifiche Italiane per commemorare Luciano Cilio, uno dei musicisti più importanti della città. Scomparso suicida dieci anni prima, Luciano rappresentava una delle tante ‘memorie inconciliate’ che segnano la storia del meridione (2). In quell’occasione si era accumulato un materiale imponente che meritava di essere pubblicato, ma mancava la sede opportuna per farlo. Sui quotidiani non era certo possibile ragionare in termini più profondi (e tuttavia estremamente sintetici) di quanto non avessero già fatto Gino Castaldo, Massimo Lo Iacono, e gli altri intervenuti a proposito e a sproposito sull’evento. Fallito l’allestimento di un volume per oggettivi ostacoli di tutela del diritto d’autore, si pensa inizialmente al numero unico di una rivista, e poi, quasi subito, ad una vera e propria testata, in grado di offrire ampi spazi critici alla riflessione estetica sulle nuove musiche.
Il primo numero di Konsequenz appare nel Gennaio del 1994. Si tratta di un volume privo di immagini, dalla grafica esterna graffiante ma elegante. Il nome è preso in prestito da Adorno (3), ma più per segnalare quale debba essere il punto di partenza di una riflessione a contrario che per tessere l’ennesimo elogio al pensiero del francofortese. Il nome ‘Konsequenz’ allude alla nozione di ‘echeggiamento’, e di sviluppo del ‘conseguente’ di una frase. Ma per i musicisti che fondano la rivista ha un significato molto più forte, letterale. Indica la ‘coerenza’, di un percorso non sempre facile, spesso non allineato (i fuori-margine di Franco Rella o Deleuze/Guattari...), talvolta eversivo. ‘Eversione’ significherà uscire dal sistema, trivellare superfici, ma anche riscoprire memorie sommerse, erodere territori, favorire scorrimenti carsici.
Nella fase della fondazione il primo passo è relazionarsi con importanti personalità della sperimentazione locale e nazionale. Riesco fin dal primo numero ad entusiasmare Giancarlo Cardini, Daniele Lombardi, e per la didattica Riccardo Risaliti. Un contributo essenziale per la fabbricazione di un prodotto omogeneo è offerto dall’esperienza e competenza di Francesco Bellofatto. Altri intellettuali, critici e musicisti che scrivono per Konsequenz sono Miriam Donadoni Omodeo, Gennaro Carillo, Goffredo De Pascale, Claudio Bonechi, Alfredo D’Agnese, Francesco D’Episcopo, Giuseppe Limone, Eugenio Fels, Gabriele Montagano, Mario Gamba. Negli anni successivi il comitato scientifico si arricchirà della presenza di Paolo Castaldi (che non ha bisogno di alcuna presentazione). Contributi eccellenti verranno dal jazzista Francesco D’Errico e dal compositore e chitarrista Alessandro Petrosino. Konsequenz pubblicherà inediti di Giuseppe Chiari (voce italiana di Fluxus), di Iain Chambers (immagini e miti metropolitani della cultura di massa), lavori di Albert Mayr (aspetti del tempo sociale nella musica e nelle arti sperimentali), di Marco Boccitto (con un saggio su Zappa e una bellissima lettura sociopolitica della musica africana), e contributi rigorosi di parecchi giovani studiosi (4).
I
presupposti estetici
Delineare nomi, occasioni e confini, però, non sembra bastare per spiegare esaurientemente i contenuti di una rivista d’estetica.
La sua unicità è rappresentata dallo studio delle nuove esigenze creative legate all’emergenza del musicista-cibernauta prossimo venturo. Vi si illustrano le prospettive, inedite e ‘progressive’, che in qualche modo spiegano o legittimano l’incredibile successo (anche commerciale) di alcuni compositori. Tematiche che avevano solleticato, fin dall’Ottantotto (5), l’indagine sulle ragioni socio-estetiche utili a superare i più seri impasse adorniani (tra industria culturale ed opera, Kultur e Zivilisation, etc...) (6).
Nuovi compositori riuscivano infatti a rinnovare l’ interfaccia col pubblico, ad utilizzare l’industria (magari passando attraverso la fase dell’autoproduzione) e, nonostante tutto ciò, ad essere decisamente figli del tempo attuale. Le immagini e i linguaggi usati, le tecniche sofisticate, l’assimilazione delle altre culture, straordinariamente non ostacolavano la fruizione, ma la favorivano. Il dato meramente tecnico, sopravvalutato dagli autori del periodo sperimentale, non monopolizzava le opere dei ‘progressivi’, ma era presente come semplice vettore di un senso possibile. Si riscopriva il gusto del significato, che come scrive Neiwiller (e Nancy) è il legame teso tra le cose. Questa semplice veicolarità, però, non consegnava all’opera che una qualificazione molto generica; un vero significato, la percorribilità come senso, non poteva che risiedere nella rivalutazione dell’altro, dell’indistinta unità o pluralità di fruitori, o nella generalità delle altre musiche possibili a darsi.
Tutto ciò, apparentemente molto complicato, non faceva invece che rivalutare il plurale delle musiche del mondo, nel segno del crogiolo o del crossover. E naturalmente incrinare l’egemonia di quel primato tutto occidentale definito dai teorici della seconda scuola di Vienna (e da Darmstadt) come sviluppo lineare della tradizione eurocentrica (7). Le ragioni profonde, al di là dell’apparenza, per le quali musicisti come Giacinto Scelsi furono sempre osteggiati e dileggiati dal circuito ufficiale sono nella incomprensione totale di evenienze estetiche ‘circolari’. Anche la generale sottovalutazione di Strawinsky, alla quale in Italia ben pochi si sono sottratti (8) aderendo invece in coro alle teorie adorniane, è causata abbastanza chiaramente dalla non linearità della sua poetica, al di là di quanto egli stesso avesse affermato.
Nel primo numero di Konsequenz si spiegano dettagliatamente le ragioni per le quali occorre, dopo averle assorbite e storicizzate, evitare di fare delle teorie adorniane una Weltanschauung, seguendo del resto proprio i dettami della scuola critica (9). Non è mancata, dopo la diffusione di quel numero, una levata di scudi a favore dell’ideologia viennese, senza tuttavia instaurare un dibattito serio e produttivo tra testate.
Il procedimento ‘negativo’ (acquisito da Adorno per confutare Adorno), non è stato che il primo passo del nostro itinerario. Nuove visioni prospettiche sono via via emerse ai margini della cultura musicale ufficiale, e Konsequenz non ha mancato di segnalarle: l’home-self-maker (che produce musica ‘domestica’ sul suo personal), il jnglemaker (che fabbrica spot di pochi secondi), l’autore di colonne sonore, il musicista cibernauta (che ispira e fonda l’ estetica del plagio, con innumerevoli importantissime conseguenze socioeconomiche e giuridiche), i gruppi di popular, quelli che guardano al villaggio globale.
Affianco alle nuove immagini, sono sorti anche inediti oggetti estetici: il cd-rom, lo spot, il cd-demo; opere/collage, opere/Idra (penso a Zorn), opere/trash. In questo panorama, sembra proprio che qualsiasi brano possa ricevere legittimazione estetica nel raggiungimento di un suo scopo. Il significato di ‘estetico’ viene così notevolmente allargato, superando -cioè inglobando- i riferimenti tradizionali (come l’impegno politico, il bello, l’utilità sociale...). Ciononostante, una dimensione comunitaria, profondamente metafisica, viene potenziata. Se ‘metafisico’ è già ciò che rimanda ad altro (la sequenza uno/due...) la contiguità resta ancorata al limite, e non riesce a raggiungere la qualità, cioè il senso del rinvio ad altro illimitato e illuminante. Il brivido, il piacere estetico, ‘rimanda’. Senso e qualità sono ancora in questo allontanamento non numerico.
Un
primo bilancio
Come spesso accade, il successo editoriale e la penetrazione teorica di Konsequenz sono subito apparsi molto più rilevanti nell’Italia centrale e settentrionale piuttosto che in quella meridionale. Il dato riguarda sia la quantità di copie vendute che l’incidenza sul territorio, e sottintende la risposta delle forze musicali più attive -meno distratte- del panorama musicale nazionale. Mi pare, opportuno, in questa sede, porre l’accento sulla minore ricezione meridionale più che sul successo nelle grandi città del Nord.
Difatti, benché la rivista si presenti come emanazione dell’Associazione Ferenc Liszt, Ente di rilievo regionale, e nonostante il diretto coinvolgimento dei critici musicali delle principali testate cittadine e degli operatori delle maggiori associazioni regionali, una sospetta indifferenza è sembrata prevalere, seguendo il peggiore costume meridionale.
Konsequenz ha dato voce e leggibilità nazionale alle istanze locali, sostenendo e talvolta riuscendo anche ad indirizzare le scelte di quegli stessi critici ed operatori che con tanto -simulato- entusiasmo avevano partecipato alle nostre iniziative di presentazione. Ma nessuna forza istituzionale ha, dal canto suo, inteso valorizzare la testata in ambito locale, in modo ufficiale e nelle opportune sedi giornalistiche o associative. Ha dato fastidio, creato imbarazzo, il fatto che musicisti non legati ad alcuna scuola, di formazione e indirizzi differenti, senza sponsorizzazioni politiche, e privi dell’appoggio di una lobby economica, riuscissero a consolidare un progetto estetico ed operativo tanto ambizioso.
Oggi Konsequenz è anche etichetta discografica, e ciò appare tanto più importante in quanto non c’è emergente meridionale che non abbia fatto i conti con la cronica assenza di strutture (sale d’incisione attrezzate, case discografiche, rete distributiva) in grado di amplificare la sua voce. L’etichetta Konsequenz produce compact disc distribuiti da Demos, o allegati alla rivista omonima. Il nostro impegno di musicisti e compositori appare dunque giocato in prima persona, perché è fondato sulla consapevolezza della solitudine e dell’abbandono tipici delle realtà metropolitane meridionali.
Napoli è un microcosmo che si nutre della sindrome dell’atollo. Tante monadi agiscono e operano nella città seguendo la moda dell’esterofilia, senza preoccuparsi di valutare o valorizzare i talenti locali. Scrive Ermanno Rea (10), riferendosi al decennio tra gli anni Quaranta e Cinquanta: «Furono un torrente i talenti che se ne andarono. Resta un mistero il contributo pagato da Napoli allo sviluppo di Milano e del resto d’Italia in termini di intelligenze esportate». E Luciano Cilio diceva nell’Ottantadue, poco prima di morire: «Napoli è una città da troppo tempo pericolosamente abbandonata dalle sue forze migliori. Persone che l’assenza totale di strutture, stimoli, istituzioni e l’arroganza dei loro stessi colleghi hanno costretto ad una vera e propria emigrazione forzata. Decine di nomi fortunatamente ampiamente riconosciuti altrove, veri e propri emigranti colpevoli di aver pensato e prodotto cose giuste e interessanti» (11).
Molte di queste lamentele sono ancora attualissime. Non si tratta certo del solito piagnisteo, e Konsequenz, dati alla mano, ha contribuito a dimostrarlo (12). Non è bastato, non sta bastando, l’iconografia vincente creata dalla giunta di sinistra, perché non c’è ancora denaro sufficiente a pagare i musicisti. Nulla ha cambiato, non ancora almeno, la nuova direzione del Conservatorio S. Pietro a Majella. Le porte di quel monumento, infatti, non si sono aperte. Non agli altri compositori napoletani. Le principali associazioni cittadine, infine, sono davvero a tenuta stagna: preoccupate dai bilanci non impiegano neanche un decimo delle loro energie per i musicisti della città (13).
Napoli, al di là della retorica, vive probabilmente una ennesima falsa primavera.
[1] G. DE SIMONE, Manuale del mancato virtuoso, Lasciate i pianisti nelle gabbie, Napoli 1993, Edizioni Scientifiche Italiane.
[2] La “Storia delle memorie inconciliate”, verrà pubblicata in un prossimo numero della rivista. Dovrebbe comprendere anche le figure di Alfonso Gatto (»...Napoli è una grade città di carta». Dice di lui Compagnone: «Il poeta è stato bugiardo con noi. E noi con lui. Lui ci ha lasciati soli nel 'futuro'. Noi, lo abbiamo abbandonato nel 'passato'»), Antonio Neiwiller («...Palcoscenico vuoto, lavorare sulla soglia, lo sforzo di mettersi in comunicazione a spazio vuoto»), Renato Caccioppoli (fu tutt'altro che matto: si trattò solo del lasciapassare per aver osato cantare la 'Marsigliese' davanti ai gerarchi fascisti), Annibale Ruccello (Moscato: «Non vedo assolutamente nessuno che possa collocarsi alla sua altezza»), e di tanti altri meridionali che subirono/evocarono volontariamente una emigrazione esterna/interna.
[3] T.W. ADORNO, Improptus, trad. it., Milano 1979, Feltrinelli.
[4] Mario Campanino, Roberto Santarsiere ed altri...
[5] G. DE SIMONE, Le parole sospese, Napoli 1988, Edizioni Scientifiche Italiane.
[6] Cfr. G. DE SIMONE, “Perché Konsequenz”, in Konsequenz, n. 1/94, Edizioni Scientifiche Italiane, pagg. 3 ss.
[7] Cfr. A. SCHOENBERG, Manuale d'armonia, trad. it., Milano 1980, Il Saggiatore, pagg. 34 ss., in cui l'autore mi pare esprimere chiaramente questa preoccupazione, soprattutto per quanto riguarda l'evoluzione lineare dell'armonia tradizionale.
[8] Soltanto Paolo Castaldi e chi scrive hanno pervicacemente combattuto, in sedi scientifiche, ciascuno per conto suo, questa visione riduttiva.
[9]
Cfr. T.W. ADORNO, Terminologia filosofica, trad. it., Torino 1975, Einaudi, lezione
decima, pagg. 112 ss. Quanto quelle lezioni fossero lontane da uno scritto
come “Il compositore dialettico” (1934), è verificabile alla sola
lettura: «Questa coscienza si è costituita erompendo dall'abisso
dell'inconscio, l'abisso del sogno e dell'istinto, si è nutrita della sua
materia come di una fiamma, finché, luce di un giorno autentico, ha
trasformato tutte le fattezze della musica: questo l'esito più alto tra gli
estremi, non più gioco, ma verità in prima persona» (T.W.ADORNO, in Improptus,
op. cit., p. 42). Naturalmente, Adorno sta parlando di Schoenberg.
Un altro autore che ha lucidamente esposto la necessità di un allontanamento radicale da Adorno è R. MIDDLETON, Studiare la popular music , Milano 1994, Feltrinelli, pagg. 59 ss.
[10] E' il best seller Mistero napoletano, pubblicato da Einaudi alla fine del 1995.
[11] L. CILIO, “C'è una strada nel sottobosco...”, ne “Il Mattino” del 9 agosto 1982.
[12] Questa scandalosa e autodistruttiva fagocitazione è reale. Ritengo di aver mostrato, nel n. 1/96 di Konsequenz dedicato all' Altra avanguardia, come il patrimonio sommerso sia enorme, ed urgentissimo un intervento (penso soprattutto al Comune) capace di invertire dissipazione ed entropia di talenti.
[13]
I loro manager non hanno intuito che la
distribuzione segue oggi regole centrifughe /centripete. I grossi nomi
(preceduti dal successo discografico o ipermediale) avranno poche date e
sedi importanti di riproduzione, appagando poco pubblico percentuale. Quelli
medi non ne avranno affatto. I talenti locali potranno (potrebbero) invece
riempire le sale.