Border
(rubrica)
Le voci rivoluzionarie del
Vesuvio (versione integrale)
C’è
una frase, nei Passages
di Benjamin, dedicata ad un insolito raffronto.
“Parigi rappresenta, - vi si legge - nell’ordinamento sociale, il corrispettivo
di ciò che il Vesuvio rappresenta nella sfera geografica. Un
massiccio minaccioso, pericoloso, un focolaio di rivoluzione sempre attivo.
Ma come le pendici del Vesuvio, grazie alle
stratificazioni di lava che lo ricoprono, si trasformano in frutteti
paradisiaci, così sulla lava delle rivoluzioni fioriscono, come in nessun altro
luogo, l’arte, la vita mondana, e la moda”. La moda di Parigi; i frutteti della
terra amata da Goethe. Sempre Benjamin
rappresentò il contraltare teorico più avanzato,
nella considerazione del ruolo giocato dai mezzi di riproduzione, fonografo in
testa. L’ascolto e la possibilità di comunicazione di massa offerte
dall’invenzione del fonografo avrebbero cambiato le
regole di produzione dell’opera d’arte, e trasformato le stesse categorie
estetiche che regolano la nostra sensibilità. La riproducibilità dell’opera
d’arte è stata di per sé, ed ha sortito gli effetti,
di una rivoluzione.
Ora,
è un merito di una straordinaria raccolta edita dalla Emi
col titolo “Le antiche Voci della Canzone Napoletana”, curata dal musicologo
Venanzio D’Agostino, assieme a Nuccio Tortora, se possiamo confrontarci con gli
effetti di quella rivoluzione,
valutandone l’impatto con le realtà di fruizione di massa tipiche della antica
canzone napoletana.
Napoli
non è Parigi, ma a Napoli la ditta di
La
raccolta, imperdibile, è ora giunta al quarto disco
sui dieci previsti, ed oltre ai meriti documentaristici e sociologici, reclama
un indubbio valore estetico, vale a dire di godibilità
di ascolto. Ai prodigi delle puliture digitali, alle
difficoltà di eliminazione del fruscio specie nelle
registrazioni di voci femminili, si somma la pura bellezza di queste voci, in
interpretazioni che hanno fatto epoca, raccogliendo la gioia dei nostri padri. Così in “Reginella”, con Gilda Mignonette,
in “Maria Mari”, con Lina Cavalieri o nel delicato “O
vino nuovo” di Lina Resal.
Il manifesto, 17 giugno 2000