‘PRIMATI’ ELETTRICI (versione integrale)

 

di Girolamo De Simone

 

 

Questo piccolo abbecedario è dedicato alla musica elettronica, ai suoi ‘primati’, i pionieri che si sono occupati per primi di elettroacustica  e di computer music, ed  agli strumenti e utensili di vario tipo collegati all’elettricità  e all’elettronica, fino agli sviluppi più recenti ed interessanti.  Per i ‘primati’ la scelta, naturalmente, è stata fatta seguendo un criterio di rarità o di priorità storicamente documentabile.  Sia per i ‘primati’ che per i musicisti delle ultime generazioni, si è dato maggiore spazio agli ‘italiani’, utilizzando materiale di prima mano, molto spesso inedito o raro.

Dalla ricerca emerge quanto interesse abbia raccolto, fin dal primo momento, l’utilizzo dell’elettronica in combinata con gli strumenti acustici, con finalità espressive, e non meramente sperimentalistiche. Ciò è desumibile dal fatto che molti dei musicisti qui menzionati hanno prodotto contestualmente alla creazione di nuova musica una cospicua serie di versioni elettroniche di musica cosiddetta ‘di repertorio’. L’invenzione dei primi strumenti ‘polifonici’, delle tastiere, dei computer capaci di emettere suoni, è stata generalmente utilizzata da subito per produrre suoni inauditi, cioè mai ascoltati prima, ma anche per applicare i nuovi suoni ai vecchi repertori, e per ‘simulare’ con la macchina esecuzioni di strumenti acustici, questa volta però con il crisma della perfezione esecutiva. Lo sviluppo delle macchine di tutti i tipi, e soprattutto la diffusione della radio, hanno incentivato la riproduzione di ‘rumori’, suscitando la fantasia dei compositori poi rivolta alla produzione di musica acusmatica e concreta. Ma se tutto ciò è vero, come mai la musica elettronica ha preso la strada della scarna fruibilità e comunicabilità che oggi molti lamentano? La frattura è probabilmente avvenuta con l’affermarsi della corrente ‘strutturalistica’ e seriale di Colonia, con il dettato di Darmstadt e le infauste applicazioni scientistiche che ne sono derivate. Al punto che oggi gli elettronici lamentano la ‘purezza’ della loro disciplina al cospetto dell’insorgenza di insospettabili applicazioni pratiche, finalmente domestiche, di computer music. Questa scissione deleteria e improduttiva dal punto di vista della creatività non è esistita in origine, e la lettura delle pagine che seguono può solo parzialmente documentarlo.

 

 

MACCHINE DA PRIMATI

Le macchine di Thaddeus Cahill

Nel 1900 Cahill inventa una macchina capace di sostituire un’intera orchestra, il dinamofono o Telharmonium, del peso di duecento tonnellate e su base elettroacustica. Nel 1902 un primo concerto viene trasmesso via... cavo telefonico. Nel 1916 l’americano Lee de Forest brevetta un sistema per trasmettere suoni attraverso il perfezionamento degli impianti elettrici. Tra il 1917 e il 1920 Maurice Martenot inventa lo straordinario strumento usato da Darius Milhaud, Maurice Ravel, Arthur Honegger, Olivier Messiaen, Maurice Jarre, Edgar Varèse.

Nel 1920 Leon Theremin inventa l’eterofono, o termenvoska, strumento in grado di emettere una vibrazione sinusoidale quasi priva di armonici e quindi di produrre un suono purissimo non riconducibile ai timbri conosciuti. Lo strumento conoscerà molteplici perfezionamenti, e anche la RCA ne produrrà una versione per uso domestico. Per Theremin scriveranno Edgar Varèse, Grainger, Bohuslav Martinu e molti altri compositori meno noti. Nel 1929 Martin Taubman perfeziona lo strumento e lo definisce ‘elettronda’. Ulteriori progressi avvengono in Russia con lo Schumofon inventato da Simonov, e lo ‘sferofono’ e il ‘caleidofono’ di Jorg Mager. Altri strumenti dal nome spesso impronunziabile e più rari:mixturtrautonium’,  ondium Péchandre’, ‘radiotone’, ‘solovox’, ‘ondioline’, ‘melochord’, ‘novachord’, ‘multimonica’, ‘pianophon’...

 

Gli “intonarumori

Il primo intonarumori fu azionato nel giugno del 1913 a Modena presso il teatro Storchi. Gli intonarumori  erano apparecchi capaci di vibrare inventati dal visionario futurista Antonio Russolo; sfruttavano corrente a bassa tensione fornita da semplici accumulatori, ed erano dotati di interruttori.

Vera rarità su disco sono il Corale e la Serenata di Russolo incise nel 1921.

 

La musica radiogenica

Viene definita così la musica di tipo tradizionale  che ha però la particolarità di ‘funzionare’ bene quando viene trasmessa per radio. In seguito alla consapevolezza che alcune scritture fossero particolarmente adatte alla trasmissione radio, nacque la conseguente idea di far comporre della musica ‘radiofonica’, pensata apposta per andare in onda. La musica radiogenica tiene conto delle caratteristiche tecniche della captazione del suono attraverso microfoni, e della loro riproduzione attraverso un altoparlante spesso di non elevata qualità. Gli autori prediletti di musica radiogenica: Mozart e Bach; nella lista nera: Wagner e Beethoven.

 

Russolophon

Il russolophon o rumorarmonio fu inventato da Russolo, ed ha la forma di un armonium, con due pedali per il basso e sette leve al posto della tastiera. Le leve producono differenti rumori, e azionate modulano i timbri dell’orchestra conosciuta. Possono però produrre anche frazioni di tono, e quindi coprire tutte le possibilità enarmoniche.

Di questo strano e raro strumento subito si dichiararono entusiasti Arthur Honegger e Varèse, il quale anzi si disse sicuro del suo successo nell’orchestra tradizionale. Ultimato nel 1928, ilrumorarmonio’ fu utilizzato in molti concerti di musica futurista. Il suo elevato costo di produzione fece sì che lo strumento non avesse fortuna, e che lo stesso Russolo ne abbandonasse i modelli  a Parigi, forse in pegno dei debiti contratti. Nel 1942, però, Russolo riprese a lavorare ad un pianoforte microtonale, forse non perfezionato a causa della morte avvenuta nel 1947.

 

I primi disc-jockey

Paul Hindemith ed Ernst Toch sono stati anticipatori delle attuali prassi utilizzate dai disc-jockey. Fin dal 1930, infatti, creavano montaggi sonori partendo dall’uso del grammofono. Le incisioni, realizzate apposta per essere alterate, venivano fatte girare con differenti velocità, e in relazione al numero di giri l’altezza dei suoni variava fino a rendere irriconoscibile il materiale di partenza. Venivano usati più piatti, fino a raggiungere le quattro voci occorrenti per una fuga scolastica. Non proprio scolastica fu quella scritta da Toch, Fuga dalla geografia, in cui nomi di città si susseguivano a differenti velocità in modo da delocalizzarli linguisticamente e renderne possibile una nuova morfologia musicale. Molti anni più tardi, anche Pierre Schaeffer, l’inventore della musica concreta, ripeté gli stessi studi utilizzando dischi e materiali d’archivio come generatori di suono. Scrisse così diversi studi: Studio sulle ferrovie, Studio sulle pentole, etc.

 

La prima macchina musicale

E’ stranissimo constatare che una delle prime macchine musicali è stata progettata da un allievo di Busoni noto per le sue interpretazioni pianistiche e le sue rielaborazioni popolari: Percy Grainger. Eppure, come segnala Fred K. Prieberg, nel 1937 proprio Grainger compose brani per sei apparecchi Theremin, e seguendo l’ideale estetico tracciato da Ferruccio Busoni, arriva ad immaginare una macchina che liberasse il compositore dalla schiavitù delle sintassi tradizionali, poggiate su scale, intervalli, ritmo, armonia... Nel 1944 Grainger inventa una macchina musicale elettronica, che perfezionerà fino al 1952.

 

La prima composizione italiana

Il primato della prima composizione elettronica italiana spetta, da manuale, a Bruno Maderna e Luciano Berio. I due, assieme a Roberto Leydi e con l’ausilio del tecnico Alberto Cattafesta e del fisico Alfredo Lietti, elaborano Ritratto di città, su testo di Leydi letto dagli speakers Nando Gazzolo e Ottavio Fanfani. La voce solista è naturalmente quella di Cathy Berberian. La data di composizione del brano, elaborato su commissione prima della nascita ufficiale dello studio di Fonologia di Milano, è un piccolo mistero bibliografico. Armando Gentilucci sbaglia due volte il riferimento, posponendo la data al 1966. Nella biografia di Maderna risulta il 1955, in quella di Berio il 1954. Fred Prieberg lo colloca, sentito Berio, nel 1954. Ma il documentatissimo Nicola Scaldaferri documenta tutte le fasi di scrittura, e ne pone la composizione nel 1955. Questione accademica? Tutt’altro: pare che Maderna già nel 1954 elaborasse il suo Sequenze e strutture, realizzandolo a Milano presso uno studio di fortuna attrezzato alla radio, su materiale elettronico portato dalla Germania. Se Ritratto di città risalisse solo al 1955 perderebbe così il suo primato...

 

Fonogeno

Il fonogeno fu inventato proprio da Schaeffer, per risolvere il problema della riconoscibilità del suono d’origine, e della sua scarsa controllabilità. Lo strumento è sostanzialmente un magnetofono che gira a dodici differenti velocità di nastro, riuscendo a coprire le dodici altezze della scala temperata. Poiché il motore del magnetofono utilizza due velocità, lo strumento riesce a raggiungere un’estensione di due ottave. Agendo su una semplice tastiera, l’esecutore sceglie una delle dodici bobine di guida e può permutare suoni provenienti da qualsiasi sorgente. Il glissato viene realizzato con un altro magnetofono. Il musicista agisce sulla velocità dei suoni riuscendo a modificarne il timbro.

 

Morfofono

E’ una sorta di antenato dei generatori di eco. Agendo sui filtri dei preamplificatori, prima che il suono arrivi a una delle dieci testine di riproduzione, il musicista può variare timbro e agire sugli armonici. Il morfofono, per la prima volta, riesce a trasformare la risonanza di un suono: quella di un violino può sembrare secca come se fosse prodotta da uno strumento a percussione, e quella di un pianoforte può simulare l’effetto che si otterrebbe dall’organo.

 

I Deserti di Varèse

Nel 1954, Varèse porta a Parigi una serie di materiali registrati nel suo studio, e con l’aiuto del compositore Pierre Henry, che lavorava nello studio sperimentale della radio francese, compone Deserti, un brano di circa mezz’ora per nastro ed orchestra. La musica per nastro e strumento acustico conoscerà uno sviluppo notevolissimo, fino al giorno d’oggi, in cui materiali preparati in studio vengono registrati ad elevato campionamento e riprodotti attraverso un DAT dal vivo. Sulla ‘base’ si innesta l’esecuzione dal vivo, con strumenti amplificati. Il tutto viene mescolato con piattaforme HDR, in grado di elaborare digitalmente i suoni e di ‘effettarli’ con unità interne in grado di modificare gli impasti in tempo reale.

 

Le sculture elettromeccaniche di Schoffer

Anche lo scultore Nicolas Schoffer chiede l’aiuto di Pierre Henry. I due progettano una struttura che riesce ad interagire con l’ambiente circostante rispondendo con sequenze aleatorie di suoni preregistrati alle sollecitazioni esterne. La torre di Saint-Cloud sorge a Parigi nel 1955, nel parco di Saint-Cloud. E’ fatta di tubi di acciaio che superano le cime degli alberi. Produce suoni a getto continuo, con variazioni che rendono le sequenze non ripetibili se non dopo un certo lasso di tempo. Si tratta di un robot elettromeccanico che riceve informazioni dall’esterno tramutandole in impulsi elettrici e quindi in suoni.

 

Electronic Music Synthetizer

Sempre nel 1955, il presidente della RCA presenta al pubblico un apparecchio elettronico per la sintesi musicale: un sintetizzatore elettronico. Con questa macchina, oltre all’esplorazione e alla modifica di suoni, è possibile riprodurre sinteticamente brani orchestrali, anche se ciascuna voce deve essere costruita separatamente. I primi pezzi di questa musica artificiale risalgono al 1952; si tratta di alcuni brani tratti dal Clavicembalo ben temperato di Bach, la prima Danza Ungherese di Brahms e Blue Skies di Irving Berlin. Viene anche messo in vendita un primo disco di “musica artificiale”.

 

Il Datatron  e i diritti d’autore

Nel 1956 due matematici, Martin Klein e Douglas Bolitho inventano una calcolatrice elettronica nella cui memoria sono impresse le principali regole compositive. Cosa accadeva? Il compositore immetteva anche casualmente una melodia. La macchina ‘decideva’ se la melodia assecondasse o meno le regole fondamentali che aveva in memoria. In caso affermativo, procedeva automaticamente allo sviluppo di una melodia: una sorta di realizzatrice di canto dato. Subito il Datatron produce quattromila melodie, e la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti decide che poiché non è possibile rilasciare il copyright ad una macchina, queste composizioni non possono essere incise, né vendute. Giuridicamente, una melodia costruita da una macchina non viene considerata “arte musicale”.

 

Robert Moog e WW Carlos

Nato nel 1939 come Walther Carlos, bambino prodigio, poi tramutatosi in Wendy Carlos, pubblicò una serie di lavori elettronici come compositore d’avanguardia, allievo di Otto Luening e Vladimir Ussachevsky. Nel 1966 Carlos ha la fortuna di lavorare con Robert Moog alla costruzione del primo sintetizzatore. Usando la versione ‘maggiore’ e non il mini-moog, produce nel 1968Switched on Bach”, rifacendo ‘elettronicamente’ alcuni brani di Bach: il successo straordinario del disco favorisce l’uscita di “The Well-Tempered Synthetizer”, e di “Switched on Bach II”. Carlos proseguirà nell’opera di diffusione capillare della tecnologia sintetica applicata ad usi domestici o di consumo non senza riprendere la via colta con lavori come Sonic Seasonings (1971) o quella di compositore per colonne sonore come quella per Tron. WW Carlos viene generalmente snobbato dalla critica, per le ragioni cui abbiamo già accennato. Egli è invece il vero ‘primate’ della diffusione popolare del Moog, e quindi di tutti i sintetizzatori in senso lato. Senza la sua intuizione e il successo dei suoi dischi, la musica elettronica non avrebbe avuto una medesima pervasività nel mondo della popular music.

 

Carillon, automi e sinfonie di rumori

La musica ‘colta’ ha usato macchine dai timbri inusuali per riprodurre facili melodie, strumenti tradizionali che simulano rumori, oggetti o strumenti automatici ed elettronici dalle sonorità inaudite, alcuni dei quali confluiti nella cosiddetta musica concreta.

Il carillon è uno dei primi esempi di strumento meccanico. I primi carillons automatici risalgono al tredicesimo secolo, e funzionano grazie ad un rullo con cunei fissi o mobili. Il loro nome viene dal basso latino ‘quatrinio’ perché pare che i primi carillon azionassero quattro campane.

Un altro strumento automatico è l’organetto di Barberia, il cui nome deriva da quello del suo primo costruttore, Giovanni Barberi di Modena. Nel Settecento, epoca di numerosi e raffinatissimi giochi musicali, molti oggetti d’uso comune rientravano nella categoria di ‘strumento meccanico’ o in quella forse più seduttiva di ‘automa meccanico’: tabacchiere, specchi, arcolai, binocoli, giochi da tavolo, anelli e tantissimi orologi. Musica per orologio fu scritta da Philip Emanuel Bach, Haydn, Mozart, Beethoven. Più tardi, quando il meccanismo del rullo fu applicato al pianoforte automatico, Paderewski, Debussy, Ravel, Granados, e molti altri vi avrebbero inciso le proprie musiche, oggi restaurate e consegnate alla tecnica digitale.

Un discorso affine è quello dei musicisti che hanno utilizzato suoni non convenzionali, o rumori, nelle proprie partiture, dai fuochi d’artificio di Haendel in Fireworks Music ai giocattoli dellaSinfonia di Leopold Mozart, dalle bombarde di Beethoven nella Battaglia di Wellington al colpo di cannone della Ouverture Anno 1812 di Ciaikovski. Nel Novecento Luigi Russolo impiegò in orchestra i suoi ‘intonarumori’: ululatori, rombatori, crepitatori, stropicciatori, scoppiatori, ronzatori, gorgogliatori, sibilatori. Erano gli anni del futurismo: tra il 1911 e il 1913 escono Il manifesto dei musicisti futuristi di Francesco Balilla Pratella, Il manifesto tecnico della musica futurista  e, soprattutto, L’arte dei rumori di Russolo, il cui sottotitolo significativamente recita: “l’arte dei rumori, nuova voluttà acustica”. Nel 1914 l’eclettico Alberto Savinio, geniale fratello del pittore De Chirico, apolide di formazione (studiò in Grecia, visse a Parigi), esordisce come musicista e teorizza ilsincerismo’. Questa microcorrente musicale enfatizza il dramma musicale, attraverso esplosioni sonore ottenute con canti, voci isolate, corali, voci, singhiozzi, elementi extramusicali misti ad espedienti tecnici che riproducono boati sulla tastiera, uso e abuso di glissandi. Dopo una celebre esecuzione di Savinio, Apollinaire rilevò l’enorme carica vitalistica di questa musica, ed i presenti dovettero asciugare il sangue disperso sulla tastiera dall’esuberante pianista-compositore. Nel 1916 Erik Satie utilizza rumori nelle sue partiture. E’ il periodo della collaborazione con Cocteau, e nel primo progetto del celebre Parade sono segnati parecchi rumori: dinamo, apparecchio Morse, sirena, treno, aeroplano. Altri ne resteranno nella partitura finale, come ad esempio il ticchettio delle macchine da scrivere ed i colpi di rivoltella. La partitura fece enorme clamore, anche per l’utilizzo di una jazz-band e per le numerose anticipazioni estetiche e stilistiche della musica di Satie. Tra gli anni Venti e Quaranta, vengono composte numerose musiche per rumori e strumenti tradizionali. Si pensi a Michel Brusselmans che utilizzò un disco con Rumori di aeroplano che accompagnava l’omonima partitura. O al balletto di robot di Eugen Zàdor L’uomo meccanico (1934). Ottorino Respighi usò nei Pini di Roma un disco in cui si poteva ascoltare l’incisione del canto degli usignoli. Moltissima musica per il cinema muto accompagna suoni a rumori, seguendo la scena descritta dalle immagini: in queste musiche, generalmente considerate accessorie ed esteticamente di seconda classe, i presupposti estetici sono viceversa semplicemente differenti. Esse provengono dai rumori di scena usati nelle raffinate rappresentazioni settecentesche, e ci conducono direttamente alla musica di consumo utilizzata dalla pubblicità o nei videoclip, produzioni da affrontare senza discriminanti di valore.

Le vicende della musica acusmatica e concreta di Pierre Schaeffer, l’uso di suoni generati da apparecchiature elettroacustiche, le poetiche composizioni di Cage per oggetti vari e microfono (si pensi soltanto alla musica composta per gli Events  di Merce Cunningham), la presenza di suoni di tutti i tipi nella musica contemporanea (La via negativa di Lorenzo Brusci, con centinaia di campioni rimescolati in modo creativo), sono cose già note.  Non tutti conoscono, invece, il lavoro di un giovane ricercatore italiano che si è dedicato scientificamente al rapporto tra i rumori e le emozioni umane, il che richiama implicitamente il vitalismo di Savinio. Piero Mottola, difatti, da alcuni anni conduce ricerche sul campo facendo ascoltare a campioni di ascoltatori sequenze ordinate o casuali di rumori, registrando che esiste una corrispondenza ‘indotta’, quasi ripetibile, tra rumore ed emozione corrispondente. La ricerca ha preso una svolta creativa con la preparazione di vere e proprie partiture visive, nastri, stringhe/sequenza di rumori, emozioni degli ascoltatori ricondotte ad episodi reali o immaginari (anche con racconti). Tra gli stimoli sonori: una frenata d’auto, colpi di martello su un incudine e tacchi sulle scale, respiro femminile, pioggia sull’asfalto, crepitio del fuoco. Le sensazioni più evocate, rispettivamente: paura, agitazione, eccitazione, tristezza, calma.

 

Il Grande Vecchio

Pietro Grossi oggi ha ottantatré anni: è il grande vecchio della musica elettronica italiana.  Ha formato schiere di musicisti elettronici, fin dal 1963 attraverso lo studio musicale fiorentino “S2FM”, e dal 1965 con l’istituzione al Conservatorio di Firenze della prima cattedra italiana di musica elettronica. E’ stato il primo a far eseguire in Italia la musica di John Cage, nel 1964 attraverso i concerti della “Vita Musicale Contemporanea”. Grossi comincia ad utilizzare il computer negli anni Sessanta. Già si occupa da tempo di musica elettronica ed elettroacustica. Collabora con l’Olivetti, dove svolge le prime esperienze foniche, poi passa al Centro di Calcolo dell’Università di Pisa. Lì era stato creato, con l’ausilio dell’IBM, un centro di notevoli proporzioni, che poi sarà ceduto al CNR. Per venticinque anni, dal 1969 al 1994, lavora al  CNUCE di Pisa, dando vita ad una sezione musicologica che funziona tuttora. Fino al 1969 si dedica al lavoro su schede perforate; la svolta avviene nel 1970 con la possibilità di usare la tastiera. Con i 360/67, Grossi e i suoi amici fanno dimostrazioni non solo a Pisa, ma anche alla Biennale di Venezia dove portano programmi che consentono di gestire il computer sia come elaboratore che come esecutore in tempo reale. A quel tempo, «i suoni elettronici potevano essere suoni registrati da microfono, suoni di vari natura, venivano registrati dei rumori qualsiasi, anche della strada, di qualsiasi movimento e di qualsiasi impatto» (P. Grossi, Il suono che ho amato, intervista di T. Tozzi, in Konsequenz, Napoli 2000, Liguori Editore). Il compositore riesce per la prima volta ad ascoltare subito quanto ha progettato sulla carta, senza dover richiedere la mediazione di un interprete. Questo apre molte strade ad un utilizzo non meramente accademico, perché si può agire sperimentalmente attraverso una sintonia intuitiva uomo/macchina. Il cyborg, l’identità mutante, al di là dei cartoons, va a situarsi in questa zona del sentire, più che in quella della semplice meccanica. Grossi intuisce subito la straordinarietà dei suoni nuovi. Riferisce di una grande emozione all’ascolto dei primi suoni generati dal computer. Un’emozione... geografica e metatemporale. Il computer in fin dei conti è un semplice strumento, ma fare in modo che produca un suono inaudito, e che lo faccia per la prima volta grazie a un nuovo algoritmo, è certamente una cosa che non si dimentica più.

In quegli anni, Colonia lavorava diversamente da Parigi e da Milano. C’era già «una differenziazione tra le varie scuole: quella di Parigi si occupava di musica concreta e lavorava soprattutto su suoni preregistrati di vario tipo, anche da strumenti tradizionali,  e quella di Colonia, che invece lavorava quasi esclusivamente con suoni sintetizzati, cioè generati da sintetizzatori, da generatori di frequenze; erano inizialmente strumenti di misura, di carattere scientifico, che vennero acquisiti dai centri di fonologia della RAI per creare suoni nuovi». Una delle caratteristiche più interessanti del lavoro di Grossi è la sua intuizione nell’usare il computer anche come esecutore. Fin dagli anni Settanta, in collaborazione col CNR, attraverso il package “Tau2”, Grossi costituisce un archivio presso il Cnuce. L’archivio affianca le nuove composizioni a quelle cosiddette ‘di repertorio’, eseguite però attraverso le macchine: dall’ Arte della fuga di Bach alla Sagra della primavera di Stravinskij. La ratio è palese: «…non si può paragonare il modo di vivere prima della scoperta dell’energia a vapore con quello successivo. Non si possono fare paragoni, però ha vinto lo strumento a vapore. Vince perché è più potente, non perché più bello o migliore. Vince la potenza. E se l’uomo si accorge che può ottenere tutto subito senza fare fatica si domanda per quale ragione non debba seguire la strada più comoda...», dedicare le sue energie ad un impiego esclusivamente creativo, senza perder tempo con questioni puramente meccaniche.

 

 

Le geometrie di Zaffiri

Lo Studio di Musica Elettronica di Torino (Smet) di Enore Zaffiri, nasce nel 1964 e si affianca al “S2FM” di Firenze di Pietro Grossi e alle “Nuove proposte sonore” di Padova di Teresa Rampazzi. Lo studio si inserisce nel filone strutturalista che a Torino dà  vita allo Studio di Informazione Estetica,  con lo stesso Zaffiri, Sandro De Alexandris e Arrigo Lora Totino. Nella storica sede di corso Vittorio Emanuele 32 si promuovono manifestazioni alle quali partecipano artisti provenienti da tutto il mondo. E’ lì che ha inizio, nel 1965, un corso sperimentale di musica elettronica che si istituzionalizzerà  nel 1968, con sede al Conservatorio.

L’attività dello SMET è orientata all’approccio del nuovo materiale sonoro mediante un uso sistematico dei parametri sonori. Per raggiungere tale scopo Enore Zaffiri individua in taluni schemi geometrici di base la possibilità di coordinare gli elementi sonori in modo costruttivista. Questo lavoro sfocia quasi naturalmente nello studio del rapporto suono/immagine. In una rara recensione apparsa su un quotidiano, Massimo Mila racconta di un lavoro di Zaffiri su testi di Maurizio Châtel: un «esperimento di teatro totale, su una becketteiana storia-apologo di un’umanità sui generis , simbolo della condizione dell’uomo moderno….Le musiche di Bach, Mozart e Verdi restano quelle cannonate che sono, anche attraverso la voce chioccia del sintetizzatore, ma Bach quasi quasi ci guadagna...». Zaffiri da tempo rielabora al pianoforte campionato i classici del repertorio tradizionale, quasi riproponendo l’antica sfida tra virtuoso e strumento, nel tentativo di superare gli ostacoli che si frappongono tra l’immagine musicale e la sua realizzazione meccanica: «sono oltre trent’anni che lavoro con strumenti musicali elettronici e la mia curiosità non si sviluppò unicamente alla creazione di nuove musiche, ma pure alla riedizione, con l’uso degli strumenti che la tecnologia mi ha messo a disposizione, di musiche del passato. Ho lavorato per circa dieci anni prima di riuscire a domare lo strumento, rendendolo docile alle mie intenzioni. Non sempre sono riuscito ad ottenere la resa che desideravo, ma in generale, particolarmente in taluni brani, posso considerarmi abbastanza soddisfatto. Certamente le qualità di tocco e le raffinatezze di fraseggio che i grandi interpreti riescono a creare col loro strumento sono ineguagliabili. Ma se esistono dei limiti, in compenso si hanno dei pregi che non sempre possiamo riscontrare in molte esecuzioni anche eccellenti. Essi consistono nella assoluta precisione esecutiva dello spartito, nella chiarezza delle varie voci e dei passaggi più ardui, nel superamento di ogni difficoltà tecnica. Tali proprietà permettono di ascoltare  brani a velocità sorprendenti, umanamente impossibili, ma musicalmente efficaci».

 

 

La misteriosa musica acusmatica

Acusmatico” deriva dal greco “acousma”, che significa percezione uditiva, audizione, voce. E’ in italiano che “acusma” è solo sinonimo di rumore, ronzio, fischio o altro ‘disturbo’ dell’orecchio. “Acusmatici” erano detti secondo Porfirio gli allievi di Pitagora che si limitavano ad ascoltarne le lezioni, senza penetrare attraverso l’iniziazione nei segreti della dottrina. Negli anni Cinquanta lo scrittore Jérome Peignot e il compositore Pierre Schaefferresuscitano’ il termine; negli anni Settanta il compositore Francoise Bayle lo utilizza per definire la musica ‘concreta’, cioè quella creata direttamente sul mezzo di fissazione (o nastro). Bayle inventa nel 1973 un sistema di diffusione del suono chiamato “Acousmonium”, «la cui concezione frontale rispetto all’ascoltatore si oppone a quella sferica proposta da Stockhausen» (N. Scaldaferri, Musica nel laboratorio elettroacustico, Lim 1997, che riporta da M. Chion, La musique électroacoustiques, PUF, Paris). Schaeffer definisce ‘concreta’ la musica creata direttamente sul mezzo di fissazione fin dal 1948 e solo in seguito ne cambierà il nome inacusmatico’. Ma dal 1989 il compositore Michel Chion propone di tornare al termine originario di ‘concreta’. Oggi Chion definisce ‘acusmatici’ i suoni che vengono percepiti senza che se ne possa vedere la fonte: voce al telefono, musica via radio, sfondo sonoro nei film, etc. Questo aspetto è quello che possiamo considerare come il più rilevante dal punto di vista dell’estetica delle musiche contemporanee di frontiera, o della cosiddetta Border music.

Cosa distingue la musica concreta da quella acusmatica? La musica acusmatica può essere concreta o meno, basta che non se ne scorga la fonte (in senso anche figurato, ma l’ascolto del suono registrato di un pianoforte non ci pare possa definirsi musica acusmatica); la musica concreta è sempre acusmatica, anche se in taluni casi (l’esecuzione in tempo reale) si scorge una macchina che la produce, ma certo non se ne vedono le strutture generative. E’ bene precisare che benché la musica ‘concreta’ e quella ‘elettronica’ vengano generalmente assimilate, esse in origine non lo furono. Come spiega Armando Gentilucci nella sua Introduzione alla musica elettronica, la musica concreta si confrontava con materiali già esistenti verso i quali il compositore si comportava con una sorta di adesione incondizionata e aprioristica, usandoli come pezzetti di un mosaico. La musica elettronica, invece, era inquadrata in una prospettiva più intellettualistica, «elaborava ipotesi di lavoro condizionate dall’evoluzione della tecnica dodecafonico-seriale e dalle estreme conseguenze del puntillismo dissociativo, della disintegrazione del discorso estensivo. Di qui la razionalità della ricerca avviata a Colonia».

Oggi in Italia esistono validi compositori di musica acusmatica (o più genericamente ‘elettronica’, poiché i due termini hanno perso la loro vera conotazione). Tra questi, Vincenzo Gualtieri, che dopo un breve periodo in cui ha condotto l’attività di pianista si è dedicato appieno alla composizione di musica acustica ed elettronica. Il suo Gea utilizza particelle provenienti dalla chitarra di Marco Cappelli, e le rielabora accostandole alla voce e a suoni  di un’armonica a bocca attraverso elaborazioni elettroniche in tempo  differito. Il palermitano Giovanni Damiani studia l’opera e la vita dello scomparso Giuseppe Ganduscio (un’altra memoria inconciliata?), e produce un brano straordinario che parla della storia della tradizione, dei canti e dell’impegno politico in Sicilia. Il catanese Emanuele Casale ha ricevuto premi e riconoscimenti in vari festival, enti e concorsi internazionali, come quello di Bourges. Il suo Studio per corno pare miscelare una la scrittura strutturalista con le atmosfere del migliore jazz contemporaneo. Il sardo Andrea Saba elabora grani di voce:  frammenti di millesimi di secondo, tratti da registrazioni di canti a tenore, lo stile di  canto che ancora sopravvive in numerosi paesi della provincia di Nuoro. Infine Michele Martusciello,  uno dei pochi performer e compositori in tempo reale di musica elettronica, che anima, assieme a Mike Cooper, il duo performativo “Schismophonia”.

Autori giovani e non ancora notissimi: ma la freschezza, l’unicità e il rigore del loro lavoro li qualifica come alcune delle più interessanti emergenze della musica contemporanea italiana.

 

 

Bibliografia

F.K. PRIEBERG, Musica ex machina, Torino 1963, Einaudi.

E. ZAFFIRI, Due scuole di musica elettronica in Italia, Milano 1968, Silva Editore.

A. GENTILUCCI, Introduzione alla musica elettronica, Milano 1972, Feltrinelli.

M. MILA, recensione di “Ra(p)tus”, “La Stampa” del 16 ottobre 1974

N. SCALDAFERRI, Musica nel laboratorio elettroacustico, Lucca 1977, Lim.

G. e T. CAPPELLI, Minimal, Trance music e elettronica incolta, Viterbo 1982, Sconcerto.

P. GROSSI, Musica senza musicisti, a cura di Lelio Camilleri, Francesco Carreras ed Albert Mayr, CNUCE/CNR. Scritti 1966/1986.

AA.VV., “Omaggio a Grossi, Ottant’anni di un pioniere della musica”, 1997, brochure .

M. CHATEL, “Enore Zaffiri, o la recherche dell’arte perduta”, in Arte & Computer, catalogo della omonima mostra tenutasi alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Firenze Aprile 2000, Media Red.

A. CIRIGNANO, “Sulle imperfette geometrie di Enore Zaffiri”, in Arte & Computer, cit.

E. ZAFFIRI, “Testi per filmati, immagini, documenti”, per il Cd-Rom “Dalla lyra al sintetizzatore”, inedito

E. ZAFFIRI, “Premessa sulle interpretazioni di musica classica con il pianoforte campionato”, in Arte & Computer, cit.

T. TOZZI, “La felicità di Pietro Grossi”, intervista, pubblicata in questo medesimo fascicolo di Konsequenz.

R. DOATI, “Discografia di Musica Elettronica”, pubblicata in questo medesimo fascicolo di Konsequenz.

 

Discografia minima

Harald Bode: Carrier, Deep Listening

Forbidden Planet, GNP Crescendo

 Les Ondes Musicales: Messiaen, SNE 200

Oskar Sala: Subharmonische Mixturen Erdenklang 100

Ivan Tcherepnin: Flores Musicales CRI

Electro Acoustic Music Classics: Varèse, Babbit, Xenakis, Neuma 450-74

Electronic Music Pioneers: Ussachevsky, Luening, Davidosky, CRI 611

Pierre Henry,Harmonia Mundi 1905200

Russolo, Corale, Serenata, La Voce del Padrone (R6919) (rarissimo).

Studio di Musica Elettronica di Torino, Musica elettronica- Computer Music, Stabilimenti Cetra, Edizione Compagnia Editoriale Pianeta (raro). Musiche di Lorenzo Ferrero, Enore Zaffiri, Leonardo Gribaudo, Giovanni Sciarrino. Tra i collaboratori di Zaffiri allo Smet: R. Amedei, T. Ballarino, C. Bonechi, G. Bosco, G. Donati, R. Lini, G. Moschetti, G. Napolitano, F. Tammaro, T. Tonietti, G. Vinay

Electronic Panorama, Philips 6526003 (rari) musiche di Malec, Ferrari, Reibel, Parmegiani, Schaeffer, Henry, Bayle, Vink, Stibilj, Weiland, Cats, Maschayeki, Ponse, Kunst, Koenig, Mayuzumi, Ishii, Shibata, Moroi, Penderecki, Dobrowolski, Nordheim, Kotonski, B. Schaffer

W. Carlos, Switched on Bach, Cbs

W. Carlos, Sonic Seasonings, Columbia

W. Carlos, Secret of Synthesis, Columbia

Vincenzo Gualtieri, “Il mirto e la Rosa”  (1998)  per suoni sintetici – ed. TAU-KAY  

Vincenzo Gualtieri, “Sax-Olos”  (1998) per  live-elctronics– ed. TAU-KAY- [CD Ars Publica – ARS142-002]

Vincenzo Gualtieri, “GEA”  (1999)   per supporto digitale, inedito

 

(versione integrale, comprendente scritti variamente rielaborati nel tempo, pubblicata in luoghi differenti dopo la prima apparizione sul quotidiano “il manifesto”)

 

Girolamo De Simone

Il manifesto, 6 maggio 2000