BORDER
Come rileggere il linguaggio del Novecento
La musica di frontiera sta riscuotendo successi ovunque. Non c’è stagione che si rispetti che non si sia adeguata alla parola d’ordine corrente: che cioè non è pensabile attestarsi rigidamente su posizioni veterosperimentali, e che occorre invece ‘aprire’ ad almeno uno o due eventi capaci di parlare al pubblico della world allargata, dello stile Eicher, delle più evolute propaggini Ambient. Per carità, non che questi tre ‘modi’ siano equivalenti tout court alla dizione ‘musica di frontiera’, stabilendone piuttosto un perimetro approssimativo, come si addice ad una musica che si qualifica nomade e che vuole apparire continuamente sul confine solo per superarlo costantemente. Ed ecco allora la giustificazione di alcune scelte. Un’idea interessante, ad esempio, è quella di rintracciare nel Novecento un percorso alternativo, quasi fondativo, rispetto alle scelte dei compositori di oggi. Una proposta del pianista partenopeo Eugenio Fels che nel suo ultimo tour di concerti ha inanellato una raffinata selezione di brani dell’altro Novecento. Per limitarci al solo secolo appena trascorso, ecco il suo itinerario: Gershwin, con The man I love, del 1924; Rachmaninov, con alcune delle Variazioni dalla Rapsodia sopra un Tema di Paganini (1934); Barber, con un intrigante Pas de Deux (1952); per arrivare al romantico Bluette (1961) del jazzista Dave Brubeck ed a Musicmagic di Corea (con l’omissione dela parte cantata). Attenzione enorme è andata alle musiche da film di Sakamoto, rielaborate da Eugenio Fels per pianoforte solo, con High Heels (Song Lines) e Merry Christmas Mr. Lawrence, tratte dalle colonne sonore degli omonimi film di Almodovar ed Oshima.
Un’altra idea piuttosto feconda proviene dalla musica pop. Non sarà mai inopportuno precisare che la dizione anglosassone del termine ‘popular’ ha un senso molto più ampio di quello italiano, dove per ‘pop’ intendiamo solo la musica leggera e per ‘popolare’ soltanto quella etnica. Oggi, chissà dove andrà a finire la legge sulla musica che finalmente provava ad introdurre questa dizione anche nel meccanismo di produzione musicale dei teatri e degli Enti locali (e quindi nella concessione dei relativi finanziamenti), superando una querelle a questo punto inutile sulla concessione del denaro ai soliti noti della ‘colta’ o ai migliori giovani della ‘leggera’. Centrale sembra essere il problema dei linguaggi giovanili e della fruizione di musiche che paiono imposte dal mercato. Studiare i meccanismi del successo dell’opera ‘messa in vendita’ dovrebbe essere spunto di riflessione in tutte le sedi. In questo senso, un momento importante c’è stato all’ Istituto Comprensivo ad indirizzo musicale“Matilde Serao” di Volla, situato nelle immediate prossimità della città di Napoli, in una realtà che potrebbe definirsi ‘di confine’. Qui alcuni musicisti di provenienza “leggera” o jazz Antonio Onorato ed i 24 Grana, assieme a Maresa Galli e Roberto Valentini hanno incontrato i centocinquanta piccoli musicisti di formazione colta, che animano una orchestra interamente formata da bambini. All’evento “Nuovi linguaggi musicali” si è affiancata una rassegna, il “Maggio musicale” curato da Elvira Liguori, sui compositori dell’Altro Novecento: Gershwin, Piazzolla, ed altri. Per fare in modo che nei strumentisti di domani non sopravvivano le censure di Darmstadt.
Il manifesto, 11 agosto 2001