L’aria fantastica della frontiera

 

Un alone fantastico permea molta musica colta sperimentale. Poi, con la frattura dei confini di genere,  le cose si sono complicate, ed il grande desiderio di apertura che ha caratterizzato  tutta la new music, comprese la Open Ambient e, più di recente, la musica di frontiera, ha attenuato le distinzioni tra musicisti colti ed autori specializzati in un unico genere (come quello, ad esempio, della musica da film). I legami con l’elettronica, utilizzatissima come privilegiata musica radiogenica, e con le intuizioni dei futuristi e dei rumoristi restano indiscutibili, perché queste produzioni hanno ‘creato lo sfondo’ o predisposto i materiali per l’utilizzo di qualsiasi musica che voglia accompagnare alcunché. Ma il gran calderone della fantascienza è colmo di autori eterogenei.

Cominciamo da Ernst Toch. D’origini austriache (nasce a Vienna nel 1887!), dopo studi a Francoforte, Berlino e Vienna si trasferisce negli Stati Uniti nel 1934 a causa dell’avvento del nazismo. Morirà a Los Angeles nel 1964, dopo aver vinto  un premio Pulitzer  come autore di musica da film. La sua produzione, pur non disprezzando arditezza ritmica ed uso di tecniche dodecafoniche, mantiene un profondo rispetto per i campi d’attrazione tonali. Nel 1940 compone la colonna sonora di Dr. Cyclops  di Ernest Schoedsack,  tratto da una storia di Henry Kuttner, dove uno scienziato folle rimpicciolisce gli altri membri di una spedizione per continuare indisturbato i suoi esperimenti.

Mario Castelnuovo-Tedesco, compositore colto d’origini fiorentine, ha studiato con Ildebrando Pizzetti, vale a dire con uno di quei musicisti dell’inizio del Novecento vicini alla “Voce” e ricco di personalità ancora poco conosciute come quella di Giannotto Bastianelli. Castelnuovo-Tedesco scrive prevalentemente musica tonale, ed è molto noto in ambito chitaristico a causa del suo interesse per quello strumento. Sovente la sua scrittura sopravanza le possibilità esecutive, ma ciò non ci impedisce di riconoscergli una grande originalità stilistica, anche se condizionata dalle regole tonali. Suoi brani sono ne La Terra contro i dischi volanti del 1956.

A metà strada tra i santoni new-age, il jazz e gli alfieri della protesta antirazziale, Sun Ra rappresenta un unicum imprescindibile, tanto che la sua musica ha incuriosito ed interessato anche molti musicisti colti. In ascolto costante delle onde provenienti dallo spazio, rapito a Berlino dagli extraterrestri, sempre in bilico tra proclami di fine del mondo e patteggiamenti alieni, Sun Ra produce brani particolarissimi per la coesistenza tra elementi onirici e riferimenti-citazioni a generi riconoscibili. «Mi hanno chiesto del viaggio spaziale. Allora gli ho detto che sarebbe venuto il giorno in cui non ci sarebbe stato più bisogno di carburante. Avrebbero dovuto prendere delle note e strofinarle tra loro - dam, dam, dam - fuoco, fuoco cosmico». Uno sperimentalista doc come Stockhausen dopo un concerto del 1971 ne descriveva i primi venti minuti come musica “incredibilmente asimmetrica”, ed il resto come paccottiglia da saloon. Sun Ra ha prodotto un centinaio di dischi, e girato nel 1974 Space Is the Place. La trama viene raccontata da David Toop: «Ra suona il pianoforte in uno spettacolo di varietà. Un uomo chiamato “il sorvegliante” chiede il suo licenziamento. Ra suona strani accordi che per poco non distruggono il locale (...). Poi Ra e la sua “Arkestra” sbarcano sulla Terra su di un’astronave e firmano un accordo promozionale. Ra viene rapito, salvato, tiene un concerto e poi lascia la Terra prima che sia mandata in frantumi da un’enorme esplosione».

Bernard Herrmann, musicista statunitense nato a New York nel 1911, lavorò spesso in coppia con Hitchcock. Ha scritto musica per Viaggio al centro della terra (1959) di Levine e Fahrenheit 451 (1966) di Truffaut, tratto dal celebre romanzo-cult di Ray Bradbury. E’ bene ricordare che la storia immagina un futuro in cui un corpo speciale di pompieri ha il compito di bruciare i libri. Montag, il protagonista, ne fa parte in modo incondizionato fino all’incontro con Clarisse, la quale fa parte di un gruppo di intellettuali che impara a memoria interi volumi allo scopo di tramandarli. La storia nasce, probabilmente, a causa della campagna anticomunista di  Mc-Carthy, che aveva come corollario la distruzione di tutti i libri considerati “di sinistra” dalle biblioteche americane. La cosa spinse nel 1953 la American Library Association alla stesura di un manifesto in cui si difendeva la libertà di lettura come fondamento per qualsiasi democrazia.

Maurice Jarre ha lavorato alla colonna sonora di Barbarella , un film italo-francese del 1967 con la regia di Roger Vadim, tratto dal romanzo di Jean-Claude Forest. Jarre, nato a Lione nel 1924, è stato attivissimo per il teatro ed il cinema, lavorando fra l’altro per il Théatre national populaire e la radio francese e come organizzatore di concerti di musica contemporanea. Maurice Jarre è il padre di Jean-Michel Jarre, molto noto negli ambienti elettronici per averli ‘popolarizzati’ con il 45 giri Oxygene Part IV. Tornando al film, Barbarella  è il nome della pilota spaziale che atterra su Sogo per fermare Duran Duran, aspirante dominatore dell’universo. La fanciulla verrà aiutata da un rivoluzionario maldestro a sventare i piani del tiranno, sfuggendo alla minaccia di un magma distruttore.La musica di Jarre individua situazioni e personaggi attraverso l’uso di timbri molto caratterizzati.

Il celebre film  2001 Odissea nello spazio (1968), ha fatto sì che brani non originali di Aram Khacaturian, Gyorgy Ligeti e Johann Strauss diffondessero la musica di questi autori anche fra i giovanissimi. Se Khacaturian, presente in molte antologie discografiche dedicate agli autori del Novecento, già conosciuto per la Danza delle spade e per aver firmato oltre venti colonne sonore e molta musica teatrale, Ligeti lo era soltanto a pochi addetti ai lavori. Benché formatosi per la musica elettronica a Colonia, e nei corsi estivi di Darmstadt, vale a dire nei templi dell’ortodossia sperimentale, Ligeti è approdato al grande pubblico proprio con 2001 Odissea nello spazio, conoscendo un enorme successo di pubblico. Nel film vengono presentate le sue Atmosphères, dove le strutture vengono trattate con veri e propri spostamenti di “blocchi di suono”, una tecnica che si allontana da quella rigorosamente seriale, e che fu definita dall’autore “Mikropolyphonie”. Il suo lavoro può essere avvicinato a quello dell’elettronico Xenakis ed a quello di Krzystof Penderecki. Quest’ultimo,  polacco, studiò ed insegnò all’Accademia di musica di Cracovia. La sua scrittura ha privilegiato impatti sonori di grande emozionalità, anche quando utilizza rumori come il ticchettio delle macchine da scrivere o come quello della sega metallica che intacca il legno. La sua scrittura vocale, in particolare, utilizza molti degli stratagemmi della musica sperimentale (uso di consonanti, sibili, fischi, etc.). Ha scritto le musiche di Je t’aime je t’aime, film francese del 1968 in cui il protagonista, Claude Ridder, accetta di intraprendere esistenzialistici viaggi nel tempo, senza riuscire a sfuggire alla tentazione del suicidio.

John Williams ha firmato le colonne sonore di veri e propri capisaldi della fantascienza: Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977); Guerre stellari (1977); E.T. l’extraterrestre (1982); Jurassic Park (1992); Star wars episodio uno - La minaccia fantasma (1999). Nato a New York nel 1932, studia pianoforte e composizione, ed approda infine come  pianista  alle orchestre della Columbia e della Twentieth Century Fox. Da lì il passo alla ‘specializzazione’ nelle colonne sonore è breve. Williams riesce a vincere diversi Oscar, rafforzando il suo legame con Spielberg. Per la sua musica è stato posto il problema del Leitmotiv, vale a dire di temi ricorrenti usati come semplificazione di procedimenti drammatici wagneriani (lo scrive D. Milhaud). Si tratterebbe di un uso schematico dell’artificio tecnico che assegna un tema ad un personaggio o ad una situazione, temi riproposti con un certo automatismo al comparire dei medesimi personaggi, per facilitarne la caratterizzazione ed il riconoscimento. Il gioco risulta piuttosto facile per i compositori: la stessa frase, con poche varianti, viene ripetuta con differente strumentazione (violino, viola, violoncello, chitarra, pianoforte: è la sequenza che usa, ad esempio, nella riuscitissima colonna sonora di Schindler’s List). C’è da chiedersi, però, se la capacità di trovare ed utilizzare temi che si prestano a questa fantasmagorica trasformazione, e l’abilità di fornirne variazioni apparentemente insignificanti, ma tali da costituire il valore aggiunto della storia che scorre, non debba essere riconosciuto con il valore estetico che merita, al di là del dato tecnico.

Il lavoro di Vangelis Papathanassion (Blade Runner del 1982), si avvicina negli anni Sessanta ad una prospettiva ‘commerciale’, cosa che ne ha torto svenduta la validità estetica. Piero Scaruffi ne avvicina l’opera alla forma classica della fantasia, ed all’enfasi di Ciaikòvski per l’impronta cantabile ed allo stesso tempo patetico-romantica che sprigiona. La musica di Blade Runner è stata rielaborata e pubblicata su disco da Vangelis soltanto nel 1984. Vi si apprezzano tentazioni jazzistiche con Love Theme e Blade Runner Blues, o ammiccamenti world in Tales of the future, con la voce di Demis Roussos, e Damask rose. Il brano più significativo di Border music mi pare Rachel’s Song sia per l’uso della voce di Mary Hopkin che per l’evidente contrazione postmoderna di un tema d’ispirazione rinascimentale. In una fase successiva, con Invisible Connection, Vangelis torna in parte alle tentazioni sperimentalistiche, ispezionando un personale atonalismo, e registrando nientepocodimeno che per la Deutsche Grammophone.

Ennio Morricone ha scritto musica per La cosa (1982) e, più di recente, per Mission to Mars (2000). Il suo modo di lavorare è conosciutissimo, perché da un lato egli è stato uno dei più attivi e produttivi autori del genere colto sperimentale (è noto agli addetti ai lavori il suo apporto importantissimo al Gruppo d’improvvisazione Nuova Consonanza), dall’altro la sua fama mondiale si è attestata con la produzione di musica da film. Questa separazione viene vissuta da Morricone apparentemente senza schizofrenia: una produzione sarebbe quella più autentica, l’altra procurerebbe lavoro meglio remunerato (la crisi della colta contemporanea è cosa nota). Tuttavia, come più volte segnalato, è proprio questa duplicità che conserverà il suo lavoro come quello di uno dei più interessanti anticipatori della musica di consumo. E la cosa è un po’ paradossale...

Per avvicinarci ai nostri giorni, ed al pensiero contaminato che ormai contraddistingue anche la nostra sensibilità d’ascolto, è opportuno riferirsi alle teorie del londinese David Toop, il quale riprende la tessitura tra la musica Open Ambient  e la fantascienza: «in un certo senso Thomas Pynchon, James G. Ballard e Philip Dick preannunciarono Brian Eno: Pynchon con la sua immagine del suono elettronico come intrattenimento d’ambiente; Ballard e le sue scene con gli scultori di nuvole... Dick con la sua tecnologia per fantasticherie musicali... come per tutti gli scrittori di fantascienza, nel cuore delle loro congetture ci cono le realtà di oggi». Pynchon predice bar in cui i juke-box trasmettano musica elettronica: trasformando la muzak in Ambient.  Non meraviglia dunque che temi di Brian Eno, Roger Eno, Daniel Lanois siano stati utilizzati in Dune (1984), tratto dall’omonimo romanzo di Frank Herbert, recentemente ristampato e riversato anche su supporto DVD.

 

Girolamo De Simone

Il manifesto, 11 agosto 2001