Un monografico in cui Mertens sfoggia incisioni inedite e ricerca nuove soluzioni strumentali. L’incipit di “And growth can be heard” coglie nel segno con la potenza timbrica degli ottoni, disegna una atmosfera spaesante, prodiga di effusività orientali. “Swirling backwards” dialoga ancora col resto del mondo, gioca con le polimetrie come già altrove, ma con maggior alchimia d’incastri. Belle le percussioni di “Further hunting”, coraggiose per i 6’22” di durata, non meno efficaci per una indovinata progressione della pulsazione ritmica. Originale, non frequente in Mertens, la presenza di arpa e chitarra, in dialogo non soccombente con gli ottoni dell’ensemble riuscendo, con inalterato (miracolo) fascino intimista. Poche le tracks deludenti: laddove il nostro tenta una speculatività colta o, simmetricamente, eccede in languidezze melodiche; ma nel complesso un disco riuscito, molto ben calibrato anche nel missaggio.
Dunque un Mertens che si rinnova, senza disconoscere le furibonde accelerazioni del più tipico stile minimal (“Working the ploughs”) e il felice connubio tra reiterazione dei frammenti e spunto tematico (“What that one does”). Una conferma da gran cerimoniere di epiche sonorità, come nella conclusiva “Bewildering din”. GUSTOSO
Girolamo De Simone
Il manifesto, 8 maggio 2004