ALLA SCOPERTA DELLA Border Music

 

di Girolamo De Simone*

 

pubblicato sul manifesto col titolo “Note dalla Frontiera”

qui in versione integrale come uscita su Konsequenz (cfr. Sommari)

 

 

 

BORDER MUSIC

 

La “Border Music” non vuole essere una nuova etichetta, ma un modo molto semplice per qualificare una produzione che, pur apparendo in continuità con quanto accaduto fino ad oggi dal punto di vista dello sviluppo naturale della storia della musica, si oppone invece (talvolta in aperto conflitto), ai teoremi ed ai veti imposti dal credo sperimentalistico imposto da Darmstadt. Per questo la musica di frontiera viene ostacolata da quanti professano ancor oggi il culto veterosperimentale: teorici degli anni Settanta (cui pure va riconosciuto il merito di aver costruito una teoria della postavanguardia, e averla conservata attraverso la memoria, che non dovrebbe però essere poi oppressiva, benché spesso reazionaria), compositori che hanno trasformato l’avanguardia in accademia,  enti lirici come il San Carlo di Napoli, fortemente ancorato a produzioni che risultano superate dalla sensibilità di chi oggi si sente realmente ‘contemporaneo’ deludendone le legittime aspettative, e credo francamente perfino dalle pretese dei meno evoluti tra i loggionisti. Ecco la necessità di stabilire una linearità con la storia della musica, in particolare attraverso l’aspetto della ‘contaminazione’ intragenerica/infrastilistica, extragenerica (mescolando differenti discipline artistiche, come il cinema, la diapittura, la video-art, etc.) ed infragenerica, e nello stesso tempo segnalare il differente ed il discontinuo con la più recente espressione di una contemporaneità che è apparsa spesso decisamente formalistica ed alessandrinistica, con la conseguenza, ormai riconosciuta perfino dai compositori di penna più snob, della divaricazione e della frattura quasi insanabile tra compositore e pubblico nella fruizione dell’opera.

La “musica di frontiera” o “Border Music” può alludere alla World o Global music, alla Ambient, in parte alla Fusion, e, solo in casi circoscritti, ad alcune atmosfere della New age più evoluta. Ma si tratta di riferimenti sempre temperati dalla nostra rilettura, che dà a queste ‘etichette’ un connotato di grande novità rispetto a tutto quello che era stato fatto alla fine del Novecento. In particolare bisogna precisare la vicinanza alla Ambient (al capostipite Brian Eno, in accoppiata con Harold Budd ed Jon Hassell), e la distanza dalla new age, ché altrimenti la pubblicistica non specializzata ci colloca subito nell’alveo della semplificazione esasperata tipica di quest’ultimo filone. Nella “Border” c’è maggiore consapevolezza di cosa possa significare proporre una musica che sia figlia del nostro tempo, riuscendo tuttavia molto più comunicativa rispetto alla cosiddetta produzione ‘colta sperimentale’, cosa che per la verità, in sé sola, non c’è voluto molto a realizzare, considerata l’asfitticità e la totale assenza di “senso come significato” tipica di molta produzione meramente retorica, speculativa e autoreferenziale.

La musica di frontiera utilizza stilemi appartenenti a diversi generi ed a diverse zone geografiche. Potrà usare la tecnica dei clusters pianistici o quella del respiro circolare, e poi accostarle ad una progressione modale jazz. Può utilizzare le voci del popolo dei Tuva e miscelarle ad un formicolante quartetto d’archi che funge da tappeto sonoro con il live elettronics (lo ha fatto il Kronos Quartet). Può affiancare tecnologie avanzatissime a strumenti tradizionali, orientando la ricerca di senso verso i contenuti  piuttosto che verso il vuoto formalismo dei linguaggi. Per questo la musica di frontiera si lascia alle spalle molti presupposti ‘accademici’, infrangendo i ruoli tra esecutore e compositore (lo fanno il Balanescu Quartet, Adams, il vecchio Glass, e tra gli italiani l’Harmonia Ensemble e il gruppo Sentieri Selvaggi,  per citare solo alcune formazioni), dando spazio all’improvvisazione e pari dignità estetica alla produzione musicale di musicisti provenienti da settori non convenzionali (dal rock, ad esempio, come Frank Zappa; o dal jazz, come John Zorn). I musicisti che parlano questo linguaggio provengono spesso dalla Popular (che poco ha a che vedere col nostro concetto di ‘popolare’, mantenendo intatta ed integra la valenza semantica tipicamente anglosassone e riconducibile a Richard Middleton) o dalla Minimal, specialmente europea. Alcuni sono lettoni o polacchi. Altri ‘pendono’ verso le proprie radici di genere, vale a dire che appaiono sbilanciati verso il Jazz o verso la New age, pur restando capaci di operazioni di estrema sensibilità commerciale. I nomi sono noti: Adams, Bryars, Rannap, nelle forme ‘minimal’ più evolute. Pärt, Gorecki, in quelle mistico-evocative. Sakamoto, Zappa, Jarrett (nelle loro produzioni più inconsuete, ovviamente) in quelle pendenti verso generi già definiti. Ma il fenomeno della Border music, ancorché attestato inconsapevolmente ma saldamente in tutto il mondo, conosce una sua teorizzazione e definizione soprattutto in Italia, perché qui ha trovato la sua codificazione e consapevolezza estetica (non soltanto pratiche dell’agire, quindi), e quegli elementi tipicamente meticci, di con/fusione, che le hanno permesso di svilupparsi e di arrivare a coprire, non solo sul versante etnico, le richieste di alcune major, come ad esempio la ECM di Manfred Eicher. Una particolare mescolanza di etnico ‘popolare’ (come la nostra eccellenza melodico-tematica) e di tentazione meticcia o ‘meridiana’, per richiamare l’opera di un sociologo (si pensi ad esempio al melting-pot che si realizza in città come Napoli, con fenomeni come il Rap metropolitano, una scuola di elettronica, la nostra emergenza come musicisti di frontiera, e contemporaneamente il fenomeno reazionario dei neomelodici, che nonostante l’evidente prospettiva veteroleografica conquistano le pagine di un quotidiano locale, nell’illusione che quella cultura possa essere autenticamente popolare).Tra i compositori italiani di musica di frontiera, non sono numerose le figure che riescono ad intermediare i ruoli tra scrittura ed esecuzione. Si tratta di musicisti provenienti da differenti ambiti geografici ed esperienze personali. Come teorico delle nuove forme di musica di frontiera e autore del neologismo “Border Music” ritengo di potermi collocare assieme al pianista-compositore Eugenio Fels. Entrambi veniamo dalla cosiddetta ‘nuova avanguardia’ attestatasi negli anni Settanta a Napoli grazie all’opera ed all’attività di Luciano Cilio, e che oggi è rappresentata dal Konsequenz Music Project: una rivista, una stagione concertistica, un sito Internet (http://konsequenz.tsx.org). A Milano ci sono  Ludovico Einaudi, con precedenti nel campo della musica sperimentale, ma oggi fortunatamente quantomai lontano da quell’esperienza, e Cecilia Chailly, che media new age e folk (penso soprattutto al suo primo disco come autrice). A Roma c’è Arturo Stalteri, che è collegato alla factory fiorentina Materiali Sonori, altro polo interessante assieme al già citato Harmonia Ensemble. Stalteri ha fatto studi classici arricchiti con frequentazioni pop e rock. Situerei nell’alveo della “Border Music” anche il violoncellista palermitano Giovanni Sollima, e, di recente, Carlo Boccadoro, ispiratore dell’ensemble milanese  Sentieri selvaggi.

Tra i dischi che considero come punti di riferimento obbligato per inquadrare la “Border Music” ritengo indispensabili, di Ludovico Einaudi :Salgari” (Ricordi) che avvicina e forse anticipa il Glass operistico, “Stanze” (Ricordi) un indiscutibile capolavoro con l’esecuzione della Chailly, “Eden Roc” (BMG).  “Anima” (Eastwest) di Cecilia Chailly; “Alkèmia” (Konsequenz) di Eugenio Fels; il mio “Ice-tract” (Konsequenz 1998 - Curci 2000); Di Arturo Stalteri: “André sulla luna” (MP Records) e “Flowers” (Materiali Sonori). Su tutti, e prima di tutti noi, lo straordinario ed anticipatore “Dialoghi del presente” di Luciano Cilio (EMI, 1977)

In questi lavori la musica si avvale di amplificazioni, uso di tecnologie e supporti Cdr, muovendosi tuttavia sempre all’insegna della comunicazione e della gradevolezza di fruizione. Non si tratta naturalmente di una scatola vuota: coniughiamo la nuova essenzialità stilistica alla completa assimilazione dei linguaggi musicali contemporanei. Il favore del pubblico, per il momento, sembra darci ragione.

 

 

RITRATTI

 

Luciano Cilio “La musica, al di là della propria costruzione di un ‘oggetto sonoro’, è in fondo proprio la volontà di materializzazione di un universo alternativo, un habitat ‘altro da sé’, dove la coscienza del tempo reale possa essere addirittura nullificata, di essa possa essere operata un’idea di trasmutazione, alterata dalle sue stesse compressioni/dilatazioni” (Luciano Cilio).

Cilio Aveva uno studiolo al Vomero, un’ampia camera piena di strumenti musicali: alcuni di essi spiccano sul bel manifesto di una prima rassegna cittadina curata nella cappella sconsacrata di Donna Regina Vecchia. Nel suo studio componeva, lavorando soprattutto sulle sonorità, sedotto dalla ‘melodia di timbri’ teorizzata da Schoenberg. Si dichiarava “essenzialmente autodidatta per la composizione”, e infatti il lavoro maggiore lo svolgeva con gli esecutori, alla ricerca di un suono lungo, tenuto, di una particolare ‘atmosfera’. Ma anche le sovraincisioni, i collage sonori, il missaggio, erano curati con attenzione certosina. Molti dei suoi brani nascono così, da improvvisazioni registrate, da appunti musicali spesso prossimi a pure grafie,  lontani però dal visivismo di Guaccero o Lombardi. Luciano aveva svolto studi di architettura e scenografia, e proprio nell’ultimo periodo stava concentrando la sua attenzione ai rapporti tra il postmoderno in architettura e la transavanguardia musicale. Cilio fu al centro di una straordinaria stagione di ribollenti emergenze creative: nel giro di pochi anni fu il principale ispiratore di tre importanti rassegne concertistiche, “Aspetti della Musica a Napoli” nel 1980, “Avanguardia e ricerca musicale” nel luglio dell’81. E infine dell’ultima, nell’82, da lui curata assieme a Carmelo Columbro: gli “Incontri nazionali della Nuova Musica” tenuti a Villa Pignatelli. La sua musica segue un percorso trasversale piuttosto chiaro, con esiti magnifici nel raro “Dialoghi del presente”, il disco pubblicato nel ‘77.

 

Eugenio Fels, compositore e pianista, ha  tenuto concerti in Italia e all’estero (Parigi, Berlino, Bruxelles, Bonn, Baghdad, Milano, Roma, Napoli, ecc.) dimostrando sempre di essere un musicista fortemente espressivo e passionale. Sue composizioni sono state eseguite a Berlino (5° Internationals Kunstforum, 1997), a Parigi (International Music Connection, 1984), a Bruxelles per la Cee (1987,1988,1991), a Baghdad (9° Babylon Festival, 1997) ed in numerosi festival di Musica Contemporanea; ha messo in scena con Ugo Fanina Fanina gli spettacoli “Erik Satie” per pianoforte, voce recitante e due mimi, Napoli, 1980, tra i primi musicisti a rivalutare il lavoro e l’opera dell’autore di Parade; Nel 1986, a Berlino, sempre con Ugo Fanina propone “Satie-Opera” per pianoforte e due attori. Ha scritto le musiche per lo spettacolo “Lustratio ad Iter Averni”, Grotte della Sibilla, 1993 e la colonna sonora per il film “Fade Out”, presentato alla 51a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 1994. Ha creato con Enrico Grieco e Sabrina D’Aguanno la performance “Alkèmia” per pianoforte, corpo ed immagini, tenuto per la prima volta all’Istituto della Comunicazioni Visive, a Napoli nel 1995. La registrazione di quell’evento è finita nell’omonimo disco pubblicato da Konsequenz.

 

Ludovico Einaudi ha studiato pianoforte e composizione al Conservatorio di Milano e ha perfezionato i suoi studi sotto la guida di Luciano Berio. La sua musica comincia a possedere un crisma di riconoscibilità a partire dagli anni ‘80, volgendo ad un linguaggio che assorbe elementi derivati dalla musica popolare. E’ in questo periodo che hanno inizio una serie di collaborazioni con il cinema, il teatro, il video e la danza, tra cui “Time Out”, teatrodanza, concepito con Andrea De Carlo e rappresentato in molti paesi dalla compagnia americana ISO Dance Theatre, il progetto “Salgari”, ispirato alla vita e alle opere dello scrittore veronese, su commissione dell’Arena di Verona, e “E.A.Poe”, con film dell’epoca del muto. Alcune ballate tratte dal suo disco “Le Onde” sono state scelte dal regista Nanni Moretti come colonna sonora del suo film “Aprile”. Sempre per il cinema Einaudi ha collaborato con Andrea De Carlo, Michele Sordillo e con il regista Dominick Tambasco per “Giorni Dispari”. Recentemente, ha scritto le musiche dell’ultimo film di Giuseppe Piccioni “Fuori dal mondo”, per il quale ha avuto la nomination ai David di Donatello per la colonna sonora. Numerose le sue collaborazioni intertniche: nel suo ultimo album “Eden Roc”, Einaudi ha collaborato con il musicista armeno Djivan Gasparian, virtuoso del duduk, ed ha suonato a Bamako insieme a Toumani Diabate, il principe della kora.

 

Cecilia Chailly, dopo un disco solistico che l’ha vista esordire anche come compositrice, e le collaborazioni con Mina, Fabrizio De Andrè, Lucio Dalla, David Darling e Mike Marshall, si è affermata in campo internazionale come una delle più interessanti personalità di frontiera, perché le sue performances possono collocarsi a metà strada tra la musica pop e le più consapevoli evenienze della contemporanea colta. Figlia d’arte, la Chailly ha studiato arpa al conservatorio di Milano, perfezionando poi il suo stile in Francia con Pierre Jamet. A sedici anni ha esordito al Festival Gaudeamus in Olanda e alla Piccola Scala di Milano come performer d’avanguardia. Ha suonato con orchestre prestigiose e con importanti gruppi da camera, effettuando concerti in Europa, Cina e Taiwan, ed eseguendo il repertorio classico per arpa assieme a brani scritti per lei da esponenti italiani del gruppo “neoromantico”, del quale è stata una fondatrice. Parallelamente all’attività d’interprete, Cecilia Chailly si è dedicata con crescente intensità ad una ricerca compositiva che l’ha condotta a vastissime sperimentazioni. Considerata una esponente di punta della musica New age, nei suoi lavori possono cogliersi influenze world music, esperimenti Jazz, accenti contemporanei ed echi operistici. Pioniera dell’arpa elettrica, con questo strumento ha registrato il cd “Stanze”, con musica di Einaudi e, insieme a Mina, “Ridi pagliaccio”. Nel ‘96 ha realizzato in California il suo primo cd come autrice,”Anima”. Nello stesso anno ha suonato in “Anime salve” di Fabrizio De Andrè ed ha pubblicato come interprete “Acquarian music” e “New music Master”.

 

Arturo Stalteri, ha compiuto studi classici con Vera Gobbi Belcredi, Aldo Ciccolini, Vincenzo Vitale e Konstantin Bogino. Dal 1988 collabora con Rai Radio Tre, per la quale ha condotto “Senza Video”, “Orione”, “Blue Note-Suoni Paralleli”, “Alfabeti Sonori”, “On The Road”; attualmente conduce il programma “Lampi”. Nella sua attività concertistica si rivolge sovente ad autori dell’area extra-colta. Nelle performances per solo piano si ascoltano, oltre alle sue composizioni, brani di Debussy, Clementi, Mozart, Bach, Beethoven, Chopin, Liszt e Sakamoto, Corea, Nyman, Glass, Mertens... Stalteri ha cominciato a farsi conoscere  con i “Pierrot Lunaire”, uno dei nomi storici del rock progressivo degli anni Settanta,  gruppo che seppe mediare tra Rock e classicismo. Numerose le collaborazioni: nel 1995, insieme a David  Sylvian, Roger Eno e altri, partecipa al progetto “Marco Polo” di Nicola Alesini e Pierluigi Andreoni. Nel 1998, con Fabio Liberatori,  pubblica “Empire Tracks”. Stalteri ha inoltre collaborato con Grazia di Michele, Amedeo Minghi  e molti altri; ha poi partecipato  ai cd “Polvere  Nella Mente e 2” di Arlo Bigazzi: con lo stesso Bigazzi ha  lavorato alla produzione del cd “Some Secrets” di Clare Ann Matz. Alcune incisioni discografiche delle sue opere sono state stampate in Giappone.

 

 

 

 

CLUSTERS!

di Eugenio Fels

 

Sono praticamente “nato” sul pianoforte. Mio padre me lo fece scoprire a quattro anni, e non l’ho più abbandonato. Ho iniziato ben presto ad improvvisarci sopra, ed a dodici anni ho scritto per esteso la mia prima composizione; tutto il mio percorso compositivo è intrecciato con la mia crescita pianistica. Grazie alla mia insegnante Antonietta Webb-James, allieva di Beniamino Cesi, ho assimilato tutta la letteratura da Frescobaldi ai contemporanei (quelli della Webb-James, ovviamente). In seguito, da solo, ho esplorato il resto del Novecento, fino ai nostri giorni, e spesso lavorando direttamente sul campo, in concerto. La mia musica evoca la lontananza nel tempo e nello spazio e l’altro da sé, alla ricerca di archetipi e memorie ancestrali creando atmosfere irreali, antichissime, sempre pervase, però, dalle molteplici passioni umane. Ho studiato i frammenti musicali dell’antica Grecia, il mondo modale, sposandolo alle conquiste dell’avanguardia storica: uso delle corde, percussione con oggetti di metallo, clusters di tutti i tipi, armonici corda-tasto, etc.... Il mio amore per il contrappunto bachiano e per lo splendore del pianismo romantico ha fatto il resto. Uno dei miei ultimi brani è “Hatra”, che si inserisce nel mio percorso di evocazione misterica alternando momenti di serrata poliritmia ad altri di profonda contemplazione estatica. Hatra è un sito storico antichissimo della Mesopotamia dove si ergono tre templi in stile parti-ellenistico di inusitata bellezza. In precedenza avevo composto Alkèmia. Mantenendo sempre forte la comunicazione delle emozioni, il pianoforte suggerisce, evoca, descrive i misteri dell’universo primordiale ricercando in se stesso suoni e timbri inusitati che sembrano appartenere ad un passato remotissimo o ad un futuro di là da venire.

 

COOLDIARYMOON

di Arturo Stalteri

 

Sono sempre stato un grande ammiratore di Brian Eno, dai tempi in cui era  “rumorista disturbatore” all'interno dei Roxy Music. Con il mio  disco ”coolAugustMoon” ho voluto rendere omaggio alla sua musica, rileggendone  alcuni momenti in chiave fortemente “classica”. Quello che segue è il diario  della mia avventura.

 

23 giugno 1990. Grazie all‘ interessamento di Gabriella ho  ottenuto un appuntamento alle ore 15,00 con Brian Eno, che si trova a Milano per  una installazione alla Triennale; l’idea è di realizzare una lunga intervista  per Radio Rai. Trascorriamo insieme quasi unora: è un uomo acuto, analitico.  Rassicurante.  Mi sembra una buona intervista. La utilizzerò per “Orione”.  Con l’occasione gli parlo di “Syriarise” con la promessa di fargliene avere una  copia appena pubblicato.

1 ottobre 1995. Sono arrivato verso le quattro del pomeriggio a  Wattens, vicino Innsbruck; Brian Eno presenta una nuova installazione. Perché  sono qui? Prima di tutto mi hanno invitato, e poi ho i miei buoni motivi:  intanto voglio dare personalmente a Eno il mio ultimo lavoro “Flowers  (“Syriarise” e “E il pavone parlò alla luna” li ha già avuti e, pare,  apprezzati), inoltre da un po’ di tempo ho un ‘idea in mente: arrangiare per  pianoforte e piccolo ensemble alcune sue composizioni. Sono un po’ indeciso, ma  il progetto mi piace. Forse sarà un’operazione rischiosa, ma sicuramente  affascinante. Eno è, come sempre, molto gentile e studia a lungo il mio cd,  sembra voglia ascoltarlo scrutandone attentamente ogni dettaglio; il tempo è  pessimo, piove e fa freddissimo, c’è un sacco di gente intorno a noi. Capisco  che è impossibile parlare con calma del mio progetto in un tale frangente e mi  riprometto di inviare un messaggio scritto appena Brian sarà rientrato a Londra.  Riparto immediatamente per Roma.

20 ottobre. Ho inviato un fax per rendere note le mie intenzioni a Eno e ad Anthea Norman-Taylor. Non sono affatto sicuro che Brian mi  dia la sua approvazione, anzi!

2 settembre 1996. E’ passato quasi un anno e non ho ancora  avuto risposta; da tempo ormai ho abbandonato l’idea di incidere un disco basato  sulla musica di Brian Eno e sto lavorando invece ad un progetto dedicato a  Philip Glass, che incontrerò il 19 ottobre prossimo.

26 settembre. Giornata autunnale. Sto studiando una  mia versione di “Closing”. Nel pomeriggio mi telefona Gabriella per dirmi che ha  appena parlato con Anthea, la quale afferma di non avere mai ricevuto il mio  fax. Decido di riesumarlo e di inviarlo nuovamente.

27 settembre. Sto lavorando ai quattro brani di “North  Star”; vorrei personalizzarli un po’, mantenendo però l’impostazione originale.  Nel pomeriggio mi arriva un fax da Anthea: tra mille scuse, mi informa che Brian  è più che lusingato dalla mia idea ed è lieto di darmi il permesso di  intervenire liberamente sulla sua musica. Sono contento.

28 settembre. Decido di lasciare un po’ indietro Glass e  comincio a lavorare ai primi pezzi di Brian.

6 ottobre. In mattinata mi telefona Arlo per  comunicarmi che su “A Year with Swollen Appendices”, il diario di Brian Eno, a  pagina 210 si parla del nostro incontro a Wattens. Ottimo. Peccato abbiano  scritto Arturo Staltieri invece di Stalteri (?!).

12 ottobre. Vado a Torino . La Materiali Sonori è al Salone con un proprio stand. Registro alcune interviste sulla manifestazione per la Rai  e consegno a Giampiero e Arlo un primo demo per il lavoro su Brian Eno. Mi  sembrano contenti. E’ sempre difficile entusiasmarli su qualcosa (soprattutto il  Giampi), ma li vedo piuttosto convinti. Bene, si va avanti col lavoro.

22 ottobre. Lauretta mi regala “ A year with Swollen  Appendices”.

12 maggio 1997. Sono a San Giovanni Valdarno per  incidere il disco sulle musiche di Glass. Ho pensato di intitolarlo “Circles”.  In questi giorni comincio a registrare anche le parti pianistiche per il  “progetto Eno”.

11 giugno. Mi telefona Francesca. Ha parlato con  Riccardo Bertoncelli, che cura l’edizione italiana del diario di Brian. Le ha  detto che ovviamente correggeranno il mio nome.

24 luglio. Sono di nuovo in Toscana.  Concerto a Firenze e poi in studio. Vado avanti con il lavoro su Brian Eno.  Damiano incide tre violoncelli sulla base pianistica di “An Ending (Ascent)”.  Siamo tutti molto soddisfatti del risultato.

31 agosto. Sono a casa. Sto studiando “Minstrels” di  Debussy. Mi telefona Arlo: ha fatto ascoltare “An Ending (Ascent)” e “From the  same Hill” a Roger Eno, che è a San Giovanni Valdarno in studio con Pier Luigi  Andreoni. Arlo mi dice che Roger è rimasto talmente colpito che ha telefonato  immediatamente a Brian tessendo lodi sul mio lavoro.

4 settembre. E’notte. Mi telefona Arlo: mi dice  che è morto Paolo Lotti. Resto senza parole.

5 settembre. Parto per la Toscana e assisto ai  funerali di Paolo. Che tristezza!

6 settembre. Sono rimasto a San Giovanni Valdarno.  Incontro Roger. C’è una grande amarezza in noi. Scambiamo due parole sul mio  lavoro: mi conferma il suo gradimento.

13 settembre. La casa editrice “Futura” pubblica la  raccolta “Unlimited Ambient”: contiene una mia versione di “Roman twilight”. Mi  sembra una buona anteprima.

2 aprile 1998. Finisco i missaggi di “Circles”.

24 settembre. Suono al festival “Time Zones” di Bari con il “Time  Zones Ensemble”. Il concerto si basa sull’esecuzione di alcuni brani dal  “progetto Eno”. C’è tanta gente e la reazione è molto buona. Anch’io sono  soddisfatto, ma voglio lavorarci ancora.

21 gennaio 1999. Arlo è in studio da solo a incidere  alcune parti di basso. Perché non mi dice mai cosa vuol fare?

22  gennaio. Arlo ha registrato su “Julie with...” eSt. Elmo’s fire”.

20 marzo. Sono in studio da Lorenzo con Laura.  Incidiamo alcune parti di violoncello. Susanna ci ha accompagnato e con  l’occasione le propongo di partecipare alle performances dal vivo come secondo  pianoforte.

13 aprile. In studio con Stefano Rocchi per  registrare il fagotto. E’ la prima volta che ci incontriamo; finora ci eravamo  sentiti solo per telefono.

30 aprile. Il cd book dedicato a Brian Eno è pronto.  E’ molto bello. Contiene anche la trascrizione della mia intervista del 1990; ne  hanno inserito un frammento anche nel cd.

6 maggio. Di nuovo in studio. Riesco a “catturare”  Paolo, che ha sempre mille impegni (tra cui quello di sposarsi) e inseriamo le  parti di batteria e percussioni.

17 maggio. Le sedute di registrazione proseguono: andiamo  avanti con le parti di basso di Arlo e incidiamo il violino di Vieri.

27 maggio. Concerto al Teatro San Leonardo di Viterbo.  Durante l’esibizione presento quasi per intero il mio lavoro su Brian Eno.  L’ensemble è lo stesso del cd, a parte l’inserimento di Vanessa al violino (ha  preso il posto di Vieri) e della partecipazione di Susanna, che ha accettato di  far parte del gruppo. Il titolo provvisorio del progetto è “Before and after  Silence”.

5 luglio. Concerto a Napoli, Castel  Sant ‘Elmo. E’ curioso: tra i pezzi che suoniamo c’è anche “St. Elmo ‘s Fire”!

3 agosto. Nel pomeriggio mi telefona Arlo: ha unidea  alternativa per il titolo del disco. “Before and after Silence” non ci convince  più. Dovrò pensarci bene.

24 settembre. Bel concerto a Palermo. Mi telefona  Francesca: ha parlato con Roger. Le ha detto che hanno discusso a lungo, lui e  Brian, del mio lavoro.

1 ottobre. Giornata di lunghe telefonate con Arlo. Siamo alla stretta  finale.

8 ottobre. Mi arriva copia delle-mail che Giampiero ha inviato a  Brian e Anthea: una lunga e accurata presentazione di tutti i nostri  progetti.

22 novembre. Ancora una giornata frenetica di telefonate con Arlo.  Vorremmo mixare il lavoro la settimana prima di Natale, ma Lorenzo non ci ha  ancora dato la sua disponibilità e ci tiene sulle spine.

1 dicembre. Problema risolto: i miei nuovi impegni  radiofonici non mi permettono di essere in studio fino ai primi di febbraio.

14 febbraio 2000. Finalmente abbiamo trovato una intera settimana  per mixare il disco. Non è stato facile conciliare gli impegni di Arlo, Lorenzo  e miei! Chissà se il tempo stabilito sarà sufficiente.

18 febbraio. Siamo tutti a cena. Pensiamo alla copertina.  Lucia ha una bellissima foto del suo gatto...

20 febbraio. Non siamo riusciti a terminare il lavoro nei  tempi stabiliti. Dovrò tornare in studio a fine settimana.

25 febbraio. Da non crederci! Il lavoro di missaggio è  terminato. E’ deciso: il titolo del cd sarà “coolAugustMoon”. (tratto, tranne una aggiunta inedita, da “coolAugustMoon”, Materiali Sonori).

 

 

 

FUORI I DISCHI!

 

Luciano Cilio

Dialoghi del presente (Emi 1977)

 

Eugenio Fels

Alkèmia (Konsequenz 1996); Konfusion (Konsequenz 1997).

 

Girolamo De Simone

Autoanalisi dei compositori italiani contemporanei (Pagano 1992); Live (Konsequenz 1996); Konfusion (Konsequenz 1997); Ice-tract (Konsequenz 1997). Frontecontrofrontiera (Ars publica 1999).Enciclopedia Italiana dei compositori contemporanei (Pagano Editore, 1999 -  allegati all’opera).Ice-tract  (Edizioni Curci 2000, disco allegato allo spartito).

 

Ludovico Einaudi

“Time out” (BMG/Ricordi 1988); “Stanze” (BMG/Ricordi 1992); “Salgari” (BMG/Ricordi 1995); “Le onde” (BMG/Ricordi 1996); “Ultimi fuochi” (BMG/Ricordi 1998); “Fuori dal mondo” (BMG/Ricordi 1999); “Eden Roc” (BMG/Ricordi 1999).

 

Cecilia Chailly

“Anima” (Eastwest). Numerosissime le collaborazioni ed i dischi come solista d’arpa.

 

Arturo Stalteri

Con il gruppo dei Pierrot Lunaire: “Pierrot Lunaire” (RCA 1975); “Gudrun” (RCA 1977).

Come solista: “André Sulla Luna”(1979, oggi disponibile su   );  “E il Pavone Parlò Alla Luna” (1987); “Syriarise” (Materiali Sonori 1992); “Racconti Brevi  e Il Pavone Parlo’ Alla Luna” (Materiali Sonori 1994). Flowers”, musiche di Debussy, Glass, Way, Sakamoto, Corea e dallo stesso Stalteri.  (Materiali Sonori 1995); “Circles” su musiche di Glass (Materiali Sonori 1998); “CoolAugustMoon”, su musiche di Brian Eno (Materiali Sonori, 2000).

 

 

*Girolamo De Simone (Napoli 1964), pianista, compositore e musicologo, viene considerato uno degli esponenti di rilievo delle nuove avanguardie musicali italiane legate alla Border music, di cui è il principale teorico. Figura eclettica nel panorama musicale nazionale, nella sua formazione si è riferito al pianista-compositore Eugenio Fels, a Riccardo Risaliti, ed allo scomparso Luciano Cilio. Come compositore ha ricevuto importanti esecuzioni in Europa (per l’Unesco a Parigi, per la Cee a Bruxelles, per la Radio-televisione in Svizzera, etc.) e in Italia (Radio Rai Due, Musica Verticale, Arsenale musica, AversaMusica, etc.). Suoi interventi di estetica della musica vengono ospitati periodicamente dalle principali pubblicazioni specializzate, e dal quotidiano “il manifesto”.