ALLA SCOPERTA DELLA Border Music
di
pubblicato sul manifesto col titolo
“Note dalla Frontiera”
qui in versione integrale
come uscita su Konsequenz (cfr. Sommari)
BORDER MUSIC
La
“musica di frontiera” o “Border Music” può alludere alla World o Global music, alla Ambient, in parte alla Fusion, e,
solo in casi circoscritti, ad alcune atmosfere della New age
più evoluta. Ma si tratta di riferimenti sempre temperati dalla nostra
rilettura, che dà a queste ‘etichette’ un connotato di grande
novità rispetto a tutto quello che era stato fatto alla fine del Novecento. In
particolare bisogna precisare la vicinanza alla Ambient (al capostipite Brian Eno,
in accoppiata con Harold Budd
ed Jon Hassell), e la
distanza dalla new age, ché altrimenti la
pubblicistica non specializzata ci colloca subito nell’alveo della
semplificazione esasperata tipica di quest’ultimo
filone. Nella “Border” c’è maggiore consapevolezza di
cosa possa significare proporre una musica che sia
figlia del nostro tempo, riuscendo tuttavia molto più comunicativa rispetto
alla cosiddetta produzione ‘colta sperimentale’, cosa
che per la verità, in sé sola, non c’è voluto molto a realizzare, considerata
l’asfitticità e la totale assenza di “senso come
significato” tipica di molta produzione meramente retorica, speculativa e autoreferenziale.
La musica di frontiera utilizza
stilemi appartenenti a diversi generi ed a diverse
zone geografiche. Potrà usare la tecnica dei clusters
pianistici o quella del respiro circolare, e poi accostarle ad una progressione
modale jazz. Può utilizzare le voci del popolo dei Tuva
e miscelarle ad un formicolante quartetto d’archi che funge da tappeto sonoro
con il live elettronics
(lo ha fatto il Kronos Quartet).
Può affiancare tecnologie avanzatissime a strumenti tradizionali, orientando la
ricerca di senso verso i contenuti piuttosto che verso
il vuoto formalismo dei linguaggi. Per questo la musica di frontiera si lascia
alle spalle molti presupposti ‘accademici’, infrangendo i ruoli tra esecutore e
compositore (lo fanno il Balanescu Quartet, Adams, il vecchio Glass, e tra gli italiani l’Harmonia
Ensemble e il gruppo Sentieri Selvaggi, per citare solo alcune formazioni),
dando spazio all’improvvisazione e pari dignità estetica alla produzione
musicale di musicisti provenienti da settori non convenzionali (dal rock, ad
esempio, come Frank Zappa; o dal jazz, come John Zorn). I musicisti che
parlano questo linguaggio provengono spesso dalla Popular
(che poco ha a che vedere col nostro concetto di ‘popolare’, mantenendo intatta
ed integra la valenza semantica tipicamente anglosassone e riconducibile a Richard Middleton) o dalla Minimal, specialmente europea. Alcuni sono lettoni o
polacchi. Altri ‘pendono’ verso le proprie radici di genere, vale a dire che appaiono sbilanciati verso il Jazz o verso la New age, pur restando capaci di operazioni di estrema
sensibilità commerciale. I nomi sono noti: Adams, Bryars, Rannap, nelle forme
‘minimal’ più evolute. Pärt, Gorecki,
in quelle mistico-evocative. Sakamoto,
Zappa, Jarrett (nelle loro produzioni più inconsuete,
ovviamente) in quelle pendenti verso generi già
definiti. Ma il fenomeno della Border music, ancorché
attestato inconsapevolmente ma saldamente in tutto il mondo, conosce una sua teorizzazione e definizione soprattutto in Italia, perché
qui ha trovato la sua codificazione e consapevolezza estetica (non soltanto
pratiche dell’agire, quindi), e quegli elementi tipicamente meticci, di con/fusione, che le hanno permesso di svilupparsi e di
arrivare a coprire, non solo sul versante etnico, le richieste di alcune major,
come ad esempio la ECM di Manfred Eicher.
Una particolare mescolanza di etnico ‘popolare’ (come
la nostra eccellenza melodico-tematica) e di
tentazione meticcia o ‘meridiana’, per richiamare l’opera di un sociologo (si
pensi ad esempio al melting-pot che si realizza in
città come Napoli, con fenomeni come il Rap
metropolitano, una scuola di elettronica, la nostra emergenza come musicisti di
frontiera, e contemporaneamente il fenomeno reazionario dei neomelodici, che
nonostante l’evidente prospettiva veteroleografica
conquistano le pagine di un quotidiano locale, nell’illusione che quella
cultura possa essere autenticamente popolare).Tra i compositori italiani di
musica di frontiera, non sono numerose le figure che riescono ad intermediare i
ruoli tra scrittura ed esecuzione. Si tratta di musicisti provenienti da
differenti ambiti geografici ed esperienze personali. Come teorico delle nuove
forme di musica di frontiera e autore del neologismo “Border
Music” ritengo di potermi collocare assieme al
pianista-compositore Eugenio Fels. Entrambi veniamo
dalla cosiddetta ‘nuova avanguardia’ attestatasi
negli anni Settanta a Napoli grazie all’opera ed all’attività di Luciano Cilio, e che oggi è rappresentata dal Konsequenz
Music Project: una rivista, una stagione concertistica, un sito Internet (http://konsequenz.tsx.org). A Milano ci sono Ludovico Einaudi,
con precedenti nel campo della musica sperimentale, ma oggi fortunatamente quantomai lontano da quell’esperienza,
e Cecilia Chailly, che media new age
e folk (penso soprattutto al suo primo disco come autrice). A Roma c’è Arturo Stalteri, che è collegato alla
factory fiorentina Materiali Sonori, altro polo interessante assieme al già
citato Harmonia Ensemble. Stalteri
ha fatto studi classici arricchiti con frequentazioni pop
e rock. Situerei nell’alveo della “Border Music”
anche il violoncellista palermitano
Tra i dischi che considero come
punti di riferimento obbligato per inquadrare
In questi lavori la musica si
avvale di amplificazioni, uso di tecnologie e supporti
Cdr, muovendosi tuttavia sempre all’insegna della
comunicazione e della gradevolezza di fruizione. Non si tratta naturalmente di
una scatola vuota: coniughiamo la nuova essenzialità stilistica alla completa
assimilazione dei linguaggi musicali contemporanei. Il favore del pubblico, per
il momento, sembra darci ragione.
RITRATTI
Luciano Cilio “La musica, al di là della propria costruzione di un ‘oggetto sonoro’, è in fondo proprio la volontà di materializzazione
di un universo alternativo, un habitat ‘altro da sé’,
dove la coscienza del tempo reale possa essere addirittura nullificata,
di essa possa essere operata un’idea di trasmutazione, alterata dalle sue
stesse compressioni/dilatazioni” (Luciano Cilio).
Cilio Aveva
uno studiolo al Vomero, un’ampia camera piena di
strumenti musicali: alcuni di essi spiccano sul bel
manifesto di una prima rassegna cittadina curata nella cappella sconsacrata di
Donna Regina Vecchia. Nel suo studio componeva, lavorando soprattutto sulle
sonorità, sedotto dalla ‘melodia di timbri’
teorizzata da Schoenberg. Si dichiarava
“essenzialmente autodidatta per la composizione”, e infatti
il lavoro maggiore lo svolgeva con gli esecutori, alla ricerca di un suono
lungo, tenuto, di una particolare ‘atmosfera’. Ma
anche le sovraincisioni, i collage sonori, il
missaggio, erano curati con attenzione certosina. Molti dei suoi brani nascono
così, da improvvisazioni registrate, da appunti musicali spesso prossimi a pure
grafie, lontani
però dal visivismo di Guaccero
o Lombardi. Luciano aveva svolto studi di architettura
e scenografia, e proprio nell’ultimo periodo stava concentrando la sua attenzione
ai rapporti tra il postmoderno in architettura e la transavanguardia
musicale. Cilio fu al centro di una straordinaria
stagione di ribollenti emergenze creative: nel giro di pochi anni fu il
principale ispiratore di tre importanti rassegne concertistiche, “Aspetti della
Musica a Napoli” nel 1980, “Avanguardia e ricerca musicale” nel luglio dell’81. E infine dell’ultima, nell’82, da
lui curata assieme a Carmelo Columbro: gli “Incontri
nazionali della Nuova Musica” tenuti a Villa Pignatelli. La sua musica segue un percorso trasversale piuttosto
chiaro, con esiti magnifici nel raro “Dialoghi del presente”, il disco
pubblicato nel ‘77.
Eugenio Fels, compositore e
pianista, ha tenuto
concerti in Italia e all’estero (Parigi, Berlino, Bruxelles, Bonn, Baghdad,
Milano, Roma, Napoli, ecc.) dimostrando sempre di essere un musicista
fortemente espressivo e passionale. Sue composizioni sono state eseguite a
Berlino (5° Internationals Kunstforum,
1997), a Parigi (International Music Connection,
1984), a Bruxelles per la Cee (1987,1988,1991), a
Baghdad (9° Babylon Festival, 1997) ed in numerosi
festival di Musica Contemporanea; ha messo in scena con Ugo Fanina Fanina
gli spettacoli “Erik Satie”
per pianoforte, voce recitante e due mimi, Napoli, 1980, tra i primi musicisti
a rivalutare il lavoro e l’opera dell’autore di Parade; Nel
Ludovico Einaudi ha
studiato pianoforte e composizione al Conservatorio di Milano e ha perfezionato
i suoi studi sotto la guida di Luciano Berio. La sua
musica comincia a possedere un crisma di riconoscibilità
a partire dagli anni ‘80, volgendo ad un linguaggio
che assorbe elementi derivati dalla musica popolare. E’ in questo periodo che
hanno inizio una serie di collaborazioni con il cinema, il teatro, il video e
la danza, tra cui “Time Out”, teatrodanza,
concepito con Andrea De Carlo e rappresentato in molti paesi dalla compagnia
americana ISO Dance Theatre, il progetto “Salgari”, ispirato alla vita e alle opere dello scrittore
veronese, su commissione dell’Arena di Verona, e “E.A.Poe”,
con film dell’epoca del muto. Alcune ballate tratte dal suo disco “Le Onde”
sono state scelte dal regista Nanni Moretti come
colonna sonora del suo film “Aprile”. Sempre per il cinema Einaudi
ha collaborato con Andrea De Carlo, Michele Sordillo
e con il regista Dominick Tambasco
per “Giorni Dispari”. Recentemente, ha scritto le musiche dell’ultimo film di
Giuseppe Piccioni “Fuori dal mondo”, per il quale ha
avuto la nomination ai David di Donatello per la colonna sonora. Numerose le
sue collaborazioni intertniche: nel suo ultimo album “Eden Roc”, Einaudi ha collaborato con il musicista armeno Djivan Gasparian, virtuoso del duduk, ed ha suonato a Bamako
insieme a Toumani Diabate,
il principe della kora.
Cecilia Chailly, dopo un disco
solistico che l’ha vista esordire anche come compositrice, e le collaborazioni
con Mina, Fabrizio De Andrè, Lucio Dalla,
David Darling e Mike Marshall,
si è affermata in campo internazionale come una delle più interessanti
personalità di frontiera, perché le sue performances
possono collocarsi a metà strada tra la musica pop e le più consapevoli
evenienze della contemporanea colta. Figlia d’arte, la Chailly
ha studiato arpa al conservatorio di Milano, perfezionando poi il suo stile in
Francia con Pierre Jamet. A
sedici anni ha esordito al Festival Gaudeamus in
Olanda e alla Piccola Scala di Milano come performer
d’avanguardia. Ha suonato con orchestre prestigiose e
con importanti gruppi da camera, effettuando concerti in Europa, Cina e Taiwan,
ed eseguendo il repertorio classico per arpa assieme a brani scritti per lei da
esponenti italiani del gruppo “neoromantico”, del quale è stata una fondatrice.
Parallelamente all’attività d’interprete, Cecilia Chailly
si è dedicata con crescente intensità ad una ricerca compositiva
che l’ha condotta a vastissime sperimentazioni. Considerata una
esponente di punta della musica New age, nei
suoi lavori possono cogliersi influenze world music, esperimenti Jazz, accenti
contemporanei ed echi operistici. Pioniera dell’arpa elettrica, con questo
strumento ha registrato il cd “Stanze”, con musica di Einaudi e, insieme a Mina, “Ridi
pagliaccio”. Nel ‘96 ha realizzato in California il suo primo cd come autrice,”Anima”. Nello stesso anno ha suonato in “Anime salve” di
Fabrizio De Andrè ed ha pubblicato come interprete “Acquarian music” e “New music
Master”.
Arturo Stalteri, ha compiuto studi
classici con Vera Gobbi Belcredi, Aldo Ciccolini, Vincenzo Vitale e Konstantin
Bogino. Dal 1988 collabora con Rai Radio Tre, per la
quale ha condotto “Senza Video”, “Orione”, “Blue Note-Suoni Paralleli”,
“Alfabeti Sonori”, “On The Road”; attualmente conduce
il programma “Lampi”. Nella sua attività concertistica si rivolge sovente ad
autori dell’area extra-colta. Nelle performances per
solo piano si ascoltano, oltre alle sue composizioni, brani di Debussy, Clementi, Mozart, Bach, Beethoven, Chopin, Liszt e Sakamoto, Corea, Nyman, Glass, Mertens... Stalteri ha cominciato a farsi conoscere con i “Pierrot Lunaire”,
uno dei nomi storici del rock progressivo degli anni Settanta, gruppo che seppe mediare tra Rock e
classicismo. Numerose le collaborazioni: nel 1995, insieme a
David Sylvian,
Roger Eno e altri,
partecipa al progetto “Marco Polo” di Nicola Alesini
e Pierluigi Andreoni. Nel 1998, con Fabio Liberatori, pubblica “Empire Tracks”. Stalteri ha inoltre
collaborato con Grazia di Michele, Amedeo Minghi e molti altri; ha
poi partecipato ai cd “Polvere Nella Mente e
CLUSTERS!
di Eugenio Fels
Sono praticamente
“nato” sul pianoforte. Mio padre me lo fece scoprire a quattro anni, e non l’ho
più abbandonato. Ho iniziato ben presto ad improvvisarci sopra, ed a dodici
anni ho scritto per esteso la mia prima composizione; tutto il mio percorso compositivo è
intrecciato con la mia crescita pianistica. Grazie alla mia insegnante
Antonietta Webb-James, allieva di Beniamino Cesi, ho assimilato tutta la letteratura da Frescobaldi ai contemporanei (quelli della Webb-James, ovviamente). In seguito, da solo, ho esplorato
il resto del Novecento, fino ai nostri giorni, e spesso lavorando direttamente
sul campo, in concerto. La mia musica evoca la lontananza nel tempo e nello
spazio e l’altro da sé, alla ricerca di archetipi e
memorie ancestrali creando atmosfere irreali, antichissime, sempre pervase,
però, dalle molteplici passioni umane. Ho studiato i frammenti musicali
dell’antica Grecia, il mondo modale, sposandolo alle conquiste dell’avanguardia
storica: uso delle corde, percussione con oggetti di metallo, clusters di tutti i tipi, armonici corda-tasto, etc.... Il mio amore per il
contrappunto bachiano e per lo splendore del pianismo romantico ha fatto il resto. Uno dei miei ultimi
brani è “Hatra”, che si inserisce
nel mio percorso di evocazione misterica alternando
momenti di serrata poliritmia ad altri di profonda contemplazione estatica. Hatra è un sito storico antichissimo della Mesopotamia dove si ergono tre templi in stile
parti-ellenistico di inusitata bellezza. In precedenza
avevo composto Alkèmia. Mantenendo sempre forte la
comunicazione delle emozioni, il pianoforte suggerisce, evoca, descrive i
misteri dell’universo primordiale ricercando in se stesso
suoni e timbri inusitati che sembrano appartenere ad un passato
remotissimo o ad un futuro di là da venire.
COOLDIARYMOON
di Arturo Stalteri
Sono sempre stato un grande
ammiratore di Brian Eno, dai tempi in cui era “rumorista
disturbatore” all'interno dei Roxy Music. Con il mio disco ”coolAugustMoon” ho voluto rendere omaggio alla sua musica,
rileggendone alcuni momenti in chiave
fortemente “classica”. Quello che segue è il diario della mia avventura.
23 giugno 1990. Grazie all‘
interessamento di Gabriella ho ottenuto un appuntamento alle ore
15,00 con Brian Eno, che si trova a Milano per una installazione alla Triennale; l’idea è di
realizzare una lunga intervista per
Radio Rai. Trascorriamo insieme quasi un ‘ora: è un
uomo acuto, analitico.
Rassicurante. Mi sembra una buona intervista.
La utilizzerò per “Orione”. Con
l’occasione gli parlo di “Syriarise” con la promessa
di fargliene avere una
copia appena pubblicato.
1 ottobre 1995. Sono arrivato
verso le quattro del pomeriggio a Wattens,
vicino Innsbruck; Brian Eno
presenta una nuova installazione. Perché sono qui? Prima di tutto mi hanno
invitato, e poi ho i miei buoni motivi: intanto voglio dare personalmente a Eno il mio ultimo lavoro “Flowers” (“Syriarise” e “E
il pavone parlò alla luna” li ha già avuti e, pare, apprezzati), inoltre da un po’ di tempo ho un
‘idea in mente: arrangiare per
pianoforte e piccolo ensemble alcune sue composizioni. Sono un po’
indeciso, ma il
progetto mi piace. Forse sarà un’operazione rischiosa, ma sicuramente affascinante. Eno è, come sempre, molto gentile e studia a lungo il mio
cd, sembra
voglia ascoltarlo scrutandone attentamente ogni dettaglio; il tempo è pessimo, piove e fa freddissimo, c’è un sacco
di gente intorno a noi. Capisco che è impossibile parlare con calma
del mio progetto in un tale frangente e mi
riprometto di inviare un messaggio scritto appena Brian sarà rientrato a
Londra. Riparto immediatamente per Roma.
20 ottobre. Ho inviato un fax
per rendere note le mie intenzioni a Eno e ad Anthea Norman-Taylor. Non sono affatto
sicuro che Brian mi dia la sua
approvazione, anzi!
2 settembre 1996. E’ passato
quasi un anno e non ho ancora
avuto risposta; da tempo ormai ho abbandonato l’idea di incidere
un disco basato sulla musica di Brian Eno e sto lavorando invece ad un progetto dedicato a Philip Glass, che incontrerò il 19 ottobre prossimo.
26 settembre. Giornata
autunnale. Sto studiando una
mia versione di “Closing”. Nel
pomeriggio mi telefona Gabriella per dirmi che ha appena parlato con Anthea,
la quale afferma di non avere mai ricevuto il mio fax. Decido di riesumarlo e di inviarlo
nuovamente.
27 settembre. Sto lavorando ai
quattro brani di “North Star”; vorrei personalizzarli un po’,
mantenendo però l’impostazione originale.
Nel pomeriggio mi arriva un fax da Anthea: tra
mille scuse, mi informa che Brian è più che lusingato dalla mia idea ed è lieto
di darmi il permesso di intervenire liberamente
sulla sua musica. Sono contento.
28 settembre. Decido di
lasciare un po’ indietro Glass e comincio a lavorare ai primi pezzi di
Brian.
6 ottobre. In
mattinata mi telefona Arlo per comunicarmi che su “A Year
with Swollen Appendices”, il diario di Brian Eno,
a pagina 210 si parla del nostro
incontro a Wattens. Ottimo. Peccato abbiano scritto
Arturo Staltieri invece di Stalteri
(?!).
12 ottobre. Vado a Torino .
22 ottobre. Lauretta mi regala
“ A year with Swollen
Appendices”.
12 maggio 1997. Sono a San
Giovanni Valdarno per incidere il disco sulle musiche di Glass. Ho pensato di intitolarlo “Circles”. In questi giorni comincio a registrare anche
le parti pianistiche per il
“progetto Eno”.
11 giugno. Mi telefona
Francesca. Ha parlato con
Riccardo Bertoncelli, che cura
l’edizione italiana del diario di Brian. Le ha detto che ovviamente correggeranno il
mio nome.
24 luglio. Sono di nuovo in
Toscana. Concerto a
Firenze e poi in studio. Vado avanti con il lavoro su Brian Eno. Damiano incide
tre violoncelli sulla base pianistica di “An Ending (Ascent)”. Siamo tutti molto soddisfatti del risultato.
31 agosto. Sono a casa. Sto
studiando “Minstrels” di Debussy. Mi
telefona Arlo: ha fatto ascoltare “An Ending (Ascent)”
e “From the same Hill” a Roger Eno,
che è a San Giovanni Valdarno in studio con Pier
Luigi Andreoni.
Arlo mi dice che Roger è rimasto talmente colpito che ha telefonato immediatamente a Brian tessendo lodi sul mio
lavoro.
4 settembre. E’notte.
Mi telefona Arlo: mi dice che è morto Paolo Lotti. Resto senza parole.
5 settembre. Parto per la
Toscana e assisto ai funerali
di Paolo. Che tristezza!
6 settembre. Sono rimasto a San
Giovanni Valdarno.
Incontro Roger. C’è una grande
amarezza in noi. Scambiamo due parole sul mio lavoro: mi conferma il suo gradimento.
13 settembre. La casa editrice
“Futura” pubblica la raccolta
“Unlimited Ambient”:
contiene una mia versione di “Roman twilight”. Mi sembra una buona anteprima.
2 aprile 1998. Finisco i
missaggi di “Circles”.
24 settembre. Suono al festival
“Time Zones” di Bari con il “Time Zones
Ensemble”. Il concerto si basa sull’esecuzione di alcuni
brani dal “progetto Eno”.
C’è tanta gente e la reazione è molto buona. Anch’io sono soddisfatto, ma voglio lavorarci
ancora.
21 gennaio 1999. Arlo è in studio da solo a
incidere alcune parti di basso. Perché non mi dice mai cosa vuol fare?
22 gennaio. Arlo
ha registrato su “Julie with...”
e “St. Elmo’s fire”.
20 marzo. Sono in studio da
Lorenzo con Laura. Incidiamo alcune
parti di violoncello. Susanna ci ha accompagnato e con l’occasione le propongo di partecipare
alle performances dal vivo come secondo pianoforte.
13 aprile. In studio con
Stefano Rocchi per registrare
il fagotto. E’ la prima volta che ci incontriamo;
finora ci eravamo sentiti solo per
telefono.
30 aprile. Il cd book dedicato a Brian Eno è
pronto. E’ molto bello. Contiene anche
la trascrizione della mia intervista del 1990; ne hanno inserito un frammento anche nel
cd.
6 maggio. Di nuovo in studio.
Riesco a “catturare” Paolo,
che ha sempre mille impegni (tra cui quello di sposarsi) e inseriamo le parti di batteria e percussioni.
17 maggio. Le sedute di
registrazione proseguono: andiamo avanti con le parti di basso di Arlo e incidiamo il violino di Vieri.
27 maggio. Concerto
al Teatro San Leonardo di Viterbo.
Durante l’esibizione presento quasi per intero
il mio lavoro su Brian Eno. L’ensemble è lo stesso del cd, a parte l’inserimento
di Vanessa al violino (ha
preso il posto di Vieri) e della partecipazione di Susanna, che
ha accettato di far parte del gruppo. Il
titolo provvisorio del progetto è “Before and after Silence”.
5 luglio. Concerto a Napoli, Castel
Sant ‘Elmo. E’ curioso: tra i pezzi che
suoniamo c’è anche “St. Elmo
‘s Fire”!
3 agosto. Nel pomeriggio mi
telefona Arlo: ha un ‘idea alternativa per il titolo del disco. “Before and after Silence” non ci
convince più.
Dovrò pensarci bene.
24 settembre. Bel concerto a Palermo.
Mi telefona Francesca:
ha parlato con Roger. Le ha detto
che hanno discusso a lungo, lui e Brian,
del mio lavoro.
1 ottobre. Giornata di lunghe
telefonate con Arlo. Siamo alla stretta finale.
8 ottobre. Mi arriva copia dell ‘e-mail che Giampiero ha
inviato a Brian e Anthea:
una lunga e accurata presentazione di tutti i nostri progetti.
22 novembre. Ancora
una giornata frenetica di telefonate con Arlo. Vorremmo mixare il
lavoro la settimana prima di Natale, ma Lorenzo non ci
ha ancora dato la sua disponibilità e ci
tiene sulle spine.
1 dicembre. Problema risolto: i
miei nuovi impegni radiofonici
non mi permettono di essere in studio fino ai primi di febbraio.
14 febbraio 2000. Finalmente
abbiamo trovato una intera settimana per mixare il disco.
Non è stato facile conciliare gli impegni di Arlo, Lorenzo e
miei! Chissà se il tempo stabilito sarà sufficiente.
18 febbraio. Siamo tutti a
cena. Pensiamo alla copertina. Lucia ha
una bellissima foto del suo gatto...
20 febbraio. Non siamo riusciti
a terminare il lavoro nei
tempi stabiliti. Dovrò tornare in studio a fine
settimana.
25 febbraio. Da non crederci!
Il lavoro di missaggio è
terminato. E’ deciso: il titolo del cd sarà “coolAugustMoon”.
(tratto, tranne una aggiunta inedita, da “coolAugustMoon”, Materiali Sonori).
FUORI I DISCHI!
Luciano Cilio
Dialoghi del presente (Emi
1977)
Eugenio Fels
Alkèmia (Konsequenz
1996); Konfusion
(Konsequenz 1997).
Autoanalisi dei compositori italiani contemporanei
(Pagano 1992); Live (Konsequenz 1996); Konfusion (Konsequenz 1997); Ice-tract (Konsequenz 1997). Frontecontrofrontiera (Ars publica 1999).Enciclopedia Italiana dei compositori
contemporanei (Pagano Editore, 1999 - allegati all’opera).Ice-tract (Edizioni Curci
2000, disco allegato allo spartito).
Ludovico Einaudi
“Time out” (BMG/Ricordi 1988);
“Stanze” (BMG/Ricordi 1992); “Salgari” (BMG/Ricordi
1995); “Le onde” (BMG/Ricordi 1996); “Ultimi fuochi” (BMG/Ricordi 1998); “Fuori dal mondo” (BMG/Ricordi 1999); “Eden Roc” (BMG/Ricordi 1999).
Cecilia Chailly
“Anima” (Eastwest).
Numerosissime le collaborazioni ed i dischi come solista
d’arpa.
Arturo Stalteri
Con il
gruppo dei Pierrot Lunaire: “Pierrot Lunaire” (RCA 1975); “Gudrun”
(RCA 1977).
Come solista: “André Sulla Luna”(1979, oggi disponibile su ); “E il Pavone Parlò Alla Luna” (1987); “Syriarise” (Materiali Sonori 1992); “Racconti Brevi e Il Pavone Parlo’
Alla Luna” (Materiali Sonori 1994). “Flowers”,
musiche di Debussy, Glass,
Way, Sakamoto, Corea e dallo stesso Stalteri. (Materiali Sonori 1995); “Circles”
su musiche di Glass (Materiali Sonori 1998); “CoolAugustMoon”, su musiche di Brian Eno
(Materiali Sonori, 2000).
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