Nota su Petrassi
(versione integrale)
Ho incontrato Petrassi più volte. Quella che ha lasciato il segno è stata da giovane. Lui non era presente, naturalmente. Eravamo in poco più di un garage, per una rassegna dal titolo semplice e arcaico, in un sobborgo della provincia partenopea; un gruppo di ragazzini che affrontavano le prime partiture ‘contemporanee’. Ebbi poi modo di programmare spesso, nel tempo, il suo Dialogo Angelico del 1948 per due flauti, ascoltandolo sempre con rinnovato piacere.
Ho incontrato il grande Maestro a diversi convegni, senza mai rivelatolargli che lui era stato forse il primo ‘contemporaneo’ della mia vita. L’ultima volta credo sia stato in occasione della visita romana di Elliot Carter, ma non ne sono sicuro. Mi era parso già molto anziano, nel senso dell’autorevolezza e dignità che le più nobili tradizioni assegnano a quella condizione. E mi ero emozionato. Avevo provato qualcosa di simile soltanto altre due volte: conoscendo Vittorio Rieti, l’unico italiano ad aver scritto per i Balletti Russi, e poi stringendo la mano a John Cage, al termine di una lontana performance con Merce Cunningham nell’aprile dell’ 85. Ero consapevole, in tutti e tre i casi, di avere di fronte una pagina di storia della musica. Ed era la musica che amavo.
Per metodo ho sempre cercato i Grandi Vecchi, quelli che viaggiano (ti fanno viaggiare) alla Michaux, alla Daumal. Hanno sempre una marcia supplementare, una energia speciale, un’aura che ritengo possa paragonarsi a quella del grande Goethe, così come lo descrive il veronese Ernesto Guidorizzi.
Ho amato troppo tardi Giacinto Scelsi, ma mi sono circondato
di persone che lo avevano conosciuto; me ne son fatto raccontare i segreti. Sono stato molto più fortunato con
Con Petrassi no: una sorta di soggezione mi ha impedito di farne un vero e proprio ‘compagno’ di viaggio, come è accaduto con Giuseppe Chiari, l’italiano Fluxus che sento quasi tutti i giorni a telefono. Di Petrassi conservo molte partiture, ed i due cataloghi in bianco e nero, uno della vecchia Ricordi, del ‘74, più essenziale, con la biografia in tre lingue. L’altro della Suvini Zerboni, cospicuo, con la firma in copertina, datato 1984. Dell’uomo ho sempre ammirato la capacità di volare alto, di tenersi distante dai piccoli affarucci e traffici ‘di scuola’, che detesto nel profondo del cuore. Del compositore apprezzo quanto mi è più vicino; l’eclettismo, credo innegabile, la predilezione per Stravinskij, Hindemith, Bartok; in generale la capacità di saper giocare con l’abbondanza delle timbriche, ma anche con la sintesi e l’astrazione. Cose che meriterebbero un approfondimento, forse una rilettura già ‘storicizzata’ dell’opera. E non appaia strano: Petrassi già da tempo è memoria.