Le musiche globali viaggiano in treno
Un
bellissimo concerto, solo in parte snobbato dal pubblico, quello di "Steve Reich and Musician" per
Steve Reich, assieme
a Philip Glass e Terry Riley, ha fatto di questa
tecnica un metodo compositivo capace di ribaltare il 'programma' e
le previsioni della seconda scuola di Vienna. Il minimalismo ha storicamente
dimostrato che si poteva fare musica in altro modo, e che la dignità estetica
di questo nuovo modo di concepire la composizione poteva riguardare il percorso di senso di ciò che si scrive,
non soltanto l'assetto armonico o numerico del brano.
Al
concerto all'Augusteo, i dodici musicisti hanno
esordito con uno dei primi lavori, Drumming, scritto nel 1971 per tamburi bongo,
marimbe, glockenspiel voci e flauti, esistente in due
versioni. In entrambe, da solo, potrebbe impegnare una intera serata.
Al concerto ne
è stata eseguita la prima parte, quella
in cui le sole percussioni giocano con ritmi e suggestioni di matrice africana
(e il riferimento non è soltanto ritmico, ma riguarda anche una intonazione
particolare). Il secondo brano, più accessibile, Electric Counterpoint, del
1987, inciso da Pat Metheny,
consiste nel serrato dialogo tra un chitarrista che si presenta solo sul palco
e ben dodici chitarre preregistrate. Peccato, nella seconda parte, per il cambiamento di programma, col
semplice Music for
Pieces of Woods che è
andato a prendere il posto di Piano Phase. In chiusura, il capolavoro Different Trains, col
quartetto d'archi che riprende ritmi da voci preregistrate,
interpretato magistralmente su disco anche dal Kronos
Quartet. Racconta, in tre tempi (America,
Europa, "prima,
durante" e "dopo la guerra"), il viaggio in treno degli ebrei
deportati dai nazisti. Su questo brano, lungo ben ventisette minuti, la critica
si divide, perché da alcuni viene considerato come una
involuzione del linguaggio trasgressivo e fortemente lineare dei primi anni, da
altri come una sorta di raffinata crescita espressiva e melodica. Qui i quattro
strumentisti sono molto bravi nel le naturali inflessioni ritmiche delle
voci su nastro, e perfettamente in grado di simulare il dissonante fischio del
treno, aperto all'incertezza come il grido desolato dei deportati.
Il manifesto, 9 giugno 1996