IL BELLO DELLA COSA
Girolamo De Simone
Oggetto della nota
Molte merci possibili,
non solo nel gioco linguistico.
Nozione 'ampliata', non 'contraddittoria'.
Merce
Non si è accettato che l'opera d'arte avesse anch'essa un valore di scambio, un'utilità sociale al pari di tutte le altre merci. Perché altrimenti le opere d'arte e d'ingegno sarebbero così difficilmente tutelabili? e perché l'attività musicale o artistica sfuggirebbe, nell'immaginario collettivo, la qualifica di 'lavoro'? Nessuno si chiederà mai se il prosciutto che ha comperato sia meno prosciutto per il fatto che viene commercializzato. Molti hanno invece pensato che la vera arte non potesse o non dovesse trovarsi in vendita negli ipermercati. Che solo il suo surrogato popular, privo di valore estetico, potesse reperirsi sugli scaffali come il ketchap o la mozzarella.
Cortocircuito
Invece la vendibilità
di un'opera non tocca le sue qualità intrinseche. E ciò dovrebbe spingere al
quesito sulle ragioni di un successo o di un flop. Rinvenute le risposte si
potrà svoltare o continuare per la propria strada (cortocircuito).
Molte opzioni
non fanno male a nessuno.
Il bello della cosa
Non si tratta dell'avvento di
una totalità d'opere/merci. Non si invita a ripudiare la qualità estetica (occorre
semplicemente reperirla 'altrove'). Ci sono infatti cose senza valore (sostanza
e grandezza, do you remember K.M.?) ma che mantengono valore d'uso; oggetti
prodotti casualmente dalla natura che restano utilissime (ad esempio un intervento
che semplicemente li decontestualizza li trasforma immediatamente in opere -
o non lo sono già in loco?); ci sono cose, ancora utili, che pur se prodotte
dal lavoro non sono merci: ad esempio quelle che produciamo per noi stessi (improvvisazioni
al piano nelle quattro mura di casa propria).
Una cosa prodotta per essere consegnata
come tributo o dono forzato non sarà merce. Non basterà, cioè, aver prodotto
la cosa per altri, ma dovrà esserci uno scambio, e quella cosa dovrà servire
a quell'altro in virtù del valore d'uso. La non-merce perde il suo valore d'uso
sociale. E se il valore è inutile, anche il lavoro lo è. L'opera d'arte, quindi,
deve circolare. Una sua gratuità andrebbe proprio evitata.
Naturalmente, si
viaggia con Marx solo fino a un certo punto; fino a che è utile all'economia
del discorso...
Merce camuffata
Per Baudrillard una merce "funziona come valore di scambio per nascondere che circola come segno, e riproduce il codice". Il codice è quello che rimanda alla doppia allusività reale/immaginario tipica della società postmoderna. Se nell'ottica mercantile il simulacro referenziale (un punto di riferimento utile a definire quantità e sostanza di valore) era costituito dal valore d'uso, la portata simbolica di quel simulacro si è ora spostata sul valore di scambio. Ciò significa semplicemente che il "potere" è propriamente quello capace di offrire un dono senza consentire la possibilità di un controdono. Possiede una eccezionale valenza esclusiva, perché la legge dell'equivalenza giocherebbe sul piano ambiguo dell'immaginario.
Snob
L'opera
d'arte extracolta, fabbricata col sordo lavorio autoaffermativo nei ricchi casali
di campagna dai compositori di grido, perpetua davvero l'icona della falsità
adorniana; essa sbugiarda la cultura perché non sente le emergenze che le sono
intorno; si trincera nella sua incapacità di 'andare oltre', 'andare verso',
consolata dalla pubblicistica specializzata e da una capacità masturbatoria
tipicamente romantica.
Quadra perfettamente che si condannasse l'opera capace
di circolare, benché aiutata dall'industria (quella cosa d'arte verrà propriamente
fabbricata, ad hoc). E non si è capito che quel passaggio intermedio portava
ad una spersonalizzazione che poteva essere storicizzata, utile per fare un
passo avanti, per staccare la spina del diritto d'autore, che è una forma di
proprietà. Lo snobismo dei compositori colti è stato tanto lineare quanto incapace
di leggere le dinamiche contemporanee. La loro produzione cerca disperatamente
di non farsi merce, e ci riesce perfettamente. Rappresenta un caso a parte.
Oggetti privi di valore d'uso personale (neanche il compositore gode del suo
prodotto, non riesce nemmeno a correggere gli errori durante un'esecuzione);
privi di valore di scambio; frutto di un lavoro meticoloso e maniacale oppure
manifestamente contraffatto: forse non proprio inutile ma certamente non proficuo.
Opere per le quali è paradossale parlare di valore d'uso sociale. Scritte per
ristrette cerchie amatoriali, dove ciascuno si gratifica fingendo di ascoltare
le inutilità altrui.
Pochi cultori, fin troppo snob, alimentano cecità e ignoranza,
incapaci di uscire da sé e andare verso il resto del mondo conosciuto.
Dono
E' il contraltare gratuito della merce. Alcuni lo distinguono in gratuito e
'rituale', lasciandolo appartenere in qualche modo all'ottica dello scambio.
Anche in questo caso apre parecchi spiragli di consapevolezza.
Nell'ottica mercantile,
si forza la nozione di merce assimilandola a "tutto ciò che circola". Ciò varrebbe
anche per il dono, oggetto di scambio "purché non sia sottoposto al vincolo
dell'anonimato" (Gerald Berthoud). Si tenga ben presente la frase appena formulata.
Le due forme sociali del dono e della merce rientrerebbero, quindi, nell'ambito
di uno scambio generalizzato; entrambe sarebbero forme di esteriorizzazione
sociale dell'uomo; attraverso la loro 'circolazione' si chiarirebbe meglio il
dentro/fuori dell'uomo e della comunità.
MA: anche il dono rituale ('rituale'
è improprio, come si precisa più avanti), pur se non anonimo e inserito nel
circuito degli scambi può mantenere una forte veicolazione di senso. Ad esempio
una stringa di comunicazione che modifica il sistema (del tipo: "dopo questo
messaggio ancora attribuito cancellerai la nozione di 'autore'") verrà circuitata
e scambiata nel sistema comunicativo, verrà attribuita a un autore e tuttavia
interromperà la catena della reciprocità o della continuità; non genererà, pertanto,
gli obblighi prescritti da Mauss (obbligo di dare, ricevere e ricambiare), i
quali si attenueranno progressivamente, avvicinandosi alle tipologie del 'dono
gratuito'. Del resto lo stesso Mauss riconosce che le contrapposizioni tipiche
del linguaggio impediscono (nel decomporre -astrarre- e poi ricomporre -addizionare-
i messaggi complessi) di comprendere interamente le opposizioni. Per lui è utile
ricorrere ai termini di "confusione", "mescolanza", e simili, unici realmente
adeguati a descrivere le dinamiche dello scambio e del dono.
Per Guy Nicolas,
invece, l'oggetto del dono rituale non avrebbe rilievo in quanto cosa materiale.
Anzi, il suo valore di utilità si trasforma in valore di sacrificio. Perciò
il dono rituale deve essere un oggetto 'inutile'. Questa inutilità, naturalmente
è circoscritta e riferita alle necessità primarie del ricevente. Si parla di
'sacrificio' perché ciò che sta sull'ara è proprio l'utilità dell'oggetto che
"nell'ordine mercantile ravviva costantemente la ferita del bisogno, del desiderio",
cioè sacrifica la merce. Ma anche così, anche il dono rituale, riesce comunque
a liberare la cosa dal suo potere alienante, senza inficiare la funzionalità
del mercato, ed anzi favorendola, grazie allo scambio simbolico.
Dono rituale
Più propriamente, il vero dono rituale non dovrebbe essere spogliato delle sue valenze fortemente finalizzate; il suo valore dovrebbe risiedere nella capacità di veicolarsi andando verso l'altro, nella gratuità non sottoposta a condizione di reciprocità. La sua forma migliore sta nella caratteristica di indirizzarsi ad un 'altro' indifferenziato e plurale; nella non riconducibilità ad un soggetto agente che dona, nella impossibilità di attribuirlo ad una individualità riconoscibile, nella non produzione di obblighi. Dovrebbe insomma confondersi col dono gratuito e anonimo, anche correndo il rischio della chiusura del circuito, della linearità e dell'arresto.
Oggetti virtuali
Va demolita anche la tesi di Baudrillard sulla
inesorabile reversibilità ('reversibilità': anche nelle società primitive il
dono non avrebbe carattere di vera gratuità, ma nasconderebbe una delle maschere
del potere, quella di "immagazzinare il valore e trasferirlo in un unico senso",
proprio attraverso l'unilateralità della cosa donata; 'concessione' più che
dono) dello scambio. Ci aiuta a farlo la proliferazione di oggetti virtuali
e la scoperta della reale gratuità del dono anonimo.
Cosa può accadere nel caso
in cui una cosa, ancorché prodotta dal lavoro di un soggetto, venga immessa
in una rete di comunicazione in modo tale da mascherarne la provenienza, impedirne
l'attribuzione a un autore, nasconderne la paternità? O un soggetto diventi
egli stesso 'virtuale', trasformandosi in impalpabili file che viaggiano in
reti telematiche?
Il primo effetto sembra essere l' attenuazione del vincolo
di proprietà, visto che lo stesso possesso diventa difficilmente dimostrabile.
Ad ogni passaggio in rete, l'oggetto (ad esempio un software, o anche un file
text) subirà modifiche che dissipano il legame con la mano che lo ha prodotto,
e tali da spazzare via la lettura del copyright. Questo oggetto virtuale, un
file text, non sarà propriamente 'merce', anche se frutto di un lavoro, perché
non soggetto a scambio. Esso sarà una sorta di bene comune, proprietà 'collettiva'
sulla quale molteplici utenti interverranno successivamente, alterandolo e 'confondendolo'
di continuo fino al punto da renderne difficile l'individuazione e la riconoscibilità.
Questi utenti assegneranno alla cosa un vero valore d'uso, secondo una finzione
di appartenenza; si tratterà di un dono vero e proprio, in grado di sfuggire
persino alle strettoie previste da Baudrillard, perché non vi sarà alcuna unilateralità
che sottintenda un potere. Nuovi oggetti creati da nuovi soggetti, e ai quali
quest'ultimi devono adeguarsi scorporando le tradizionali modalità di relazione:
nuovi oggetti che infine creano nuove forme di soggettività. E soggetti che,
dal canto loro, si trasformano in bit, cose delocalizzate e detemporalizzate
capaci di viaggiare e sortire effetti (ad esempio col lavoro telematico) a migliaia
di chilometri di distanza. Soggetti che creano nuovi oggetti, inventano -si
danno- capacità inedite, si confondono infine con le macchine che usano.
Scambio simbolico
Lo scambio di doni rituali creerebbe degli obblighi. Una ritualizzazione
di dare e avere definita 'simbolica'; un mercato oblativo fatto di gadgets,
percentuali di intermediazione, patrocini di attività umanitarie (teleton et
similia), attività delle ONG (organizzazioni non governative).
Uno scambio simbolico
portato all'estremo logico acquisirebbe infine una tale inferenza da far alzare
la posta in gioco tra il potere e la singola soggettività che gli si oppone.
Il soggetto sarebbe costretto a trasformarsi in cosa, oggetto di scambio col
potere, seguendo una scommessa tanto forte da mettere in gioco la vita dei singoli
e la sopravvivenza del potere. (in Baudrillard, questa morte sembra essere da
un lato una forma, in cui si perde la determinazione del soggetto e del valore
-legge mercantile del-; dall'altro, contraddittoriamente, sembra essere in gioco
proprio la vita biologica).
Invece, ciò che conta è che sul tavolo verde la
puntata riguarda non la vita biologica, ma la costituzione di soggettività.
La scommessa riguarda il pregiudizio individualistico, che sul piano estetico
si traduce nella caduta del pregiudizio d'autore, e cioè nel plagio. La posta
in gioco consiste nella scomparsa del soggetto individuale, oppure nell'affermazione
di un 'Altro' alla ennesima potenza; una pluralità di presenze anonime, di agenti
che non hanno bisogno di autocompiacersi. Del resto chi conosce i meccanismi
culturali sa bene che le idee circolano, si incrementano, si stratificano; indipendentemente
da chi le ha formulate. Costoro lo hanno fatto per la prima volta solo per modo
di dire; una sensibilità collettiva, unisona, comunitaria, ha lavorato per l'inventore.
Egli è solo un condensatore e un espositore (indispensabile) di enunciati già
presenti nell'aria.
Lo scambio col potere si annulla diventando dono anonimo,
messa in rete di opere, cose, svincolate da un vincolo di appartenenza. Lo scambio
simbolico mantiene una validità solo se tende ad entropia.
Corpo
In realtà pensiamo
subito al dato biologico che ci è prossimo, e lo contrapponiamo a qualcosa di
più evanescente. Ma 'corpo' è anche oggetto materiale. La 'materialità' è già
interna alla sua definizione. Le proprietà del corpo sono infatti dimensione
e massa. Esso occupa uno spazio fisico.
Un 'corpo materiale' è quindi espressione
cacofonica. E 'corpo immateriale' equivale a indicare una cosa che già non ha
più corpo.
Se tuttavia spostiamo l'attenzione sulla nostra percezione, allora
l' oggetto del futuro avrà un corpo immateriale in senso fisico (carbonio),
ma anche materiale (siliceo) e reale nella nostra percezione. Sarà un oggetto/persona
(boats) che ci trasferisce sensazioni, come gli altri.
Più la tecnologia si
rende sofisticata, più questo corpo siliceo apparirà rispondente alla effettività
della nostra realtà corporea. Sarà improprio, quindi, parlare di una vera e
propria 'sparizione' del corpo; si dovrà invece dire di una più estesa corporeità.
Avremo proprio la pelle d'oca come se ci stessero toccando, e rapporti completi
al di là di ogni immaginazione.
Ikebana
La nuova merce (ivi compresi gli oggetti
d'arte) tende a smaterializzarsi, a scorporarsi. Uno degli scambi simbolici
è così quello che riguarda non tanto la cosa, quanto il composto e la stratificazione
di immagine e immaginario veicolato dai media e dall'industria. Ma non è vero
che questa nuova merce "non ha funzione d'uso". Essa, anche immaginata totalmente
priva di corpo materiale, mantiene perfettamente la sua realizzazione d'uso,
cioè di consumo. Già per Marx la merce ha attitudine a soddisfare anche i bisogni
nati dalla fantasia (ad un secondo livello la merce si trasformerà in feticcio,
diventando sublimato e cosa riflessa; resterà soltanto presupposta la cosa immediata
- valore d'uso). Anche solo uno sguardo sull'ikebana appaga un'esigenza. E'
valore d'uso dell'opera.
Inoltre l'industria non s'accontenterà certo di foraggiarsi
d'immagini. In termini economici, l'immagine rappresenterà così un valore concreto
che l'acquirente addiziona alla cosa quando si reca al supermercato e vi ritorna
sopra, e cioè proprio nel momento in cui la sta comprando.
Merce e proprietà
La merce può colorarsi di varianti. Aprirsi, 'aumentarsi', o chiudersi, condensarsi.
E resterà opportuno rivolgersi anche alle qualifiche del 'proprio', per comprendere
meglio cosa voglia dire 'sparizione del soggetto' (lo aveva detto proprio Adorno,
o no?). Il motivo per il quale non deve esserci proprietà come 'estensione del
proprio' è tutto qui: il soggetto, conoscendo più oggetti, e tornando in sé
ad un livello di profondità (o astrazione o smaterializzazione, se si vuole)
sempre maggiore, sfiora la tautologia, la sterilità. Il soggetto non potrebbe
permettersi la scomparsa dell'oggetto, né quella di altri soggetti/cose.
Ma
i soggetti cambiano, si moltiplicano, diventano eteronomi, spariscono assieme
agli oggeti nella molteplicità, con questi si confondono sempre più. E si mescolano
nelle loro stesse forme, incapaci di enumerarsi nelle infinite declinazioni,
di riconoscersi come soggetti umani o boats capaci di simularne alla perfezione
le gesta.
Come non potrebbero cambiare anche le nozioni di 'proprietà', e di
'opera dell'ingegno'?
Comunità
Una 'comunità' può prevedere la spontaneità di
atti determinati da parentela o altra relazione (Ferdinand Tonnies), laddove
nella 'società' gli stessi atti nascono dalla tecnica sociale organizzata, ovvero
dalla reciprocità che si attende dagli altri. Si può concludere inviando due
stringhe logiche, 'comunità-dono' e 'società-scambio'. Il punto debole di altre
nozioni di comunità (Nancy) è nell'identificarla nella pura transitività (cioè
nel trattino di congiunzione) costituito dall'essere-in-comune. Quest'ultimo
è il limite tra interno ed esterno, vale a dire tra soggetto individuale e comunità.
Invece un senso qualsiasi non può risiedere all'interno di una linea di congiunzione.
Il senso può realizzarsi come direzione, vettore di conoscenza, soltanto se
sfonda il limite, e arriva all'altro.
Ma (tutto) questo è solo un punto di partenza.