Intellettuali
al Sunset Boulevard
In (lontana) memoria di Vincenzio
Russo,
impiccato a Napoli il 19 novembre 1799*
Giulio
De Martino
Prologo
Scomparso il PCI, concluso il gramscismo,
è stato abolito e aborrito (ma qualcuno, tra poco, con bella faccia tosta e
tono cerimonioso dirà di volerne riaprire il libro !) anche il marxismo
e con esso è stata gettata nella pubelle
de l’histoire l’ipotesi della società comunista.
Per decenni il marxismo ha rappresentato l’etica e la politica degli
intellettuali italiani (pro e contro). Così sono spariti anche loro. Senza Marx
e Lenin che gli dessero un po’ di nerbo e di muscoli, in assenza di qualcuno
cui venisse in testa di stanarli e di mobilitarli (Gentile, Croce, Togliatti. .
.) sono tornati ad essere ciò che erano sempre stati. Sono tornati “padri di
famiglia” (inascoltati), “impiegati di concetto” (sbeffeggiati dalla
fotocopiatrice che non funziona): catoni
da condominio alcuni, starlette del
varietà televisivo o di qualche rubrica su carta patinata, con la fotina in
alto a destra, altri.
A
ben vedere è sopravvissuto solo l’intellettuale
cattolico (Dio non lo ha
mollato per un solo secondo !). Agli altri
(in America e in Umberto Eco) è soltanto
pervenuta Internet (le nuove pagine gialle).
Da quando la categoria degli intellettuali è tornata a coincidere con quella
dei professori universitari o con quella degli scrittori romani (mitomani o
depressi) abbiamo avuto una nuova eclissi
dell’intellettuale (ricordate
Zolla ? era il 1964) . Non vendono un libro, a lezione
nessuno più se li sciroppa, non
fanno più tendenza.
Ah
no! Qualcuno è rimasto.Era finito, poveraccio, in galera! Non ne sapeva niente
lui, di superenalotto, di maurizioshow, di sgarbantibus, di stefanozecca e
mughigni - era chiuso dentro (come il giapponese che a vent’anni dalla fine
della seconda guerra mondiale, ancora combatteva, sull’isola deserta !).
Ancora gli frullava per la testa, imbozzolata nel dolore e nell’umiliazione,
la nostalgia della rivolta.
La verità
Chi li avrà oscurati, gli intellettuali? Forse
si sono ammalati, di Alzheimer? Gli si è stralunato il cervello? Si vive in
un’epoca di inquietante barbarie, sono in atto, nel mondo almeno 30 micidiali
conflitti bellici regionali, si
annunciano catastrofi biologiche e climatiche mai viste nella storia umana,
eppure loro - che erano così avvezzi a scrivere di inquietudini, di
trasformazioni, di problematiche contraddizioni, di crisi
e quant’altro - menano la vita del bel pensionato a Salsomaggiore. Passano le
acque minerali, calzano la scarpina di cuoio marroncino e portano la borsa da
professore che la sa lunga.
La verità è che negli anni ’70
hanno vissuto da parassiti sul movimento di
contestazione (loro che non hanno contestato mai nulla !), negli ’80
se li è tirati su la TV: adesso non c’è nessuno più che li richiede.
All’università circolano per lo più studenti poveri cristi, che cercano di
risparmiare soldi, esami e fatica. Intanto il mondo, lì fuori, va a rotoli, e
loro - gente normale - non sanno proprio che farci. Al massimo sanno snocciolare
il lamento di qualcuno tra i grandi del passato, versetti oscuri,
recitati come fosse acquasanta. I preti, i parroci, diciamo la verità, sono
meglio! Almeno loro, pur delirando, vanno incontro quotidianamente alla realtà.
Salvare
l'azione
Una
peculiare caratteristica della società contemporanea è la scomposizione
dell' azione. La scomposiazione del fare e dell' agire è
scomposizione fra manualità e individualità, fra conoscenza e prassi, fra
progetto e realizzazione, fra personalità e realtà. Si tratta di livelli di
scomposizione interrelati, ma distinti, che concorrono, però tutti a
determinare il medesimo stato di alienazione e impoverimento. Si è
incrementato il livello dell'informazione, si è ampliato l'orizzonte del
possibile, si è dilatato il numero dei soggetti potenziali dell'azione, ma il
risultato di tali processi è stato l'abulia, la dissociazione, l'impotenza.
L'individuo ha visto crescere notevolmente l'ambito della sua attività, ma tale
attività resta limitata al modo dell’ immaginazione, al modo del malinconico
sentimento, al modo della passività. Idee giuste, valori, progetti, conoscenze
diventano fonte di cruccio e frustrazione per chi li intuisce o li elabora
piuttosto che fonte di esperienza, di realizzazione, di trasformazione. Ciò
non vuol dire che oggi non si agisce, anzi, oggi, quantitativamente si fa
molto e molto più che in passato, ma per giungere ad un fare
che sia azione integrale, azione completa e che giunga al suo scopo è
necessaria una elaborazione lunghissima e faticosa, quasi impossibile - tanto
che l'agire radicale spesso diventa agire estremo. Ciò che invece si
manifesta in prevalenza è l'agire strumentale, vale a dire un agire che si
ferma al mezzo, un agire che non
attingendo lo scopo nella sua completezza risulta azione parziale, azione
limitata, azione utilitaria: utilizzazione.
Oppure si giunge ad un agire che è paradosso, che è gioco, simulazione,
parodia dell'azione: ironia dell'impotenza.
Giubileo
La
religione è una forza ancora operante nel mondo contemporaneo. La religione
che, alle origini, costituiva la culla di ogni sapere, con lo sviluppo della
razionalità è rimasta cultura e
credenza delle etnìe: dai selaggi ai contadini, ai popoli marginali. E' rimasta
come sentimento e come ideologia, come legge morale dogmatica. La
razionalizzazione e la modernizzazione sono ancora patrimonio di una minoranza:
le masse integrano le lacune della visione scientifica, moderna e post-moderna
del mondo con la credenza e il sentimento religioso. Da ciò la religione trae
ancora la sua forza: addirittura c'è chi sostiene che non vi è moralità
senza religione, che gli aspetti più crudi e deprecabili della contemporaneità
siano da attribuire alla caduta, presso certi gruppi, del sentimento religioso
e, all'opposto, che la rettitudine di altri dipenda dalla loro intatta
religiosità. Tristezze e banalità senza pari! La morale personale ha le sue
basi fuori della religione, anzi è essa che può disporre, a volte, al
sentimento religioso. Come pure la probità e l’onestà pubbliche non traggono
origine dal sentimento religioso, ma è piuttosto quest'ultimo che si può
sviluppare sulla base della modernizzazione e del diritto razionale.
Teoria
e pratica
Sarebbe
meglio dire: teoria e mondo,
tematizzando così il rapporto fra costruzioni e scoperte del pensiero e ciò
che è fuori e oltre di esso. Il pensiero, la teoria, sono una costruzione
personale, ma tanto i materiali che usano che il risultato che producono si
elevano in un ambito più vasto di condivisione e comunicazione. Il mondo non
viene trasformato e alterato dalla teoria, ma solo dalla pratica. Esistono però
una teoria spontanea e una pratica spontanea, come pure esistono una teoria
"teorica" e una pratica orientata da una teoria. Bisogna dunque
porsi due distinti problemi: rapporto fra teoria spontanea e mondo e rapporto
fra teoria teorica e mondo. Può darsi il caso di una teoria spontanea che alimenta
una pratica spontanea. In questo caso sorge il problema di una analisi teorica
di questa teoria e di questa pratica. La teoria, nelle due versioni, può avere
un rapporto dissociato con la pratica nel senso che può non esservi nesso
esplicito fra teoria e mondo e la pratica essere orientata da
valutazioni improprie o non condivise.
Abbiamo il caso di una teoria avveduta, anche se incompleta o in
formazione, e di una pratica eterodiretta o, anche, il caso di un dissidio fra
una teoria teorica e una pratica alimentata da una teoria ancora diversa .
Correttezza
E'
possibile formulare dei principi basici del comportamento personale corretto
che prescindano dai ruoli e dai contesti specifici dell'agire. Si tratta
di principi piuttosto che di regole
in quanto essi riguardano la forma e non il contenuto dell' azione, il modo e
non il cosa di essa. Per tali principi potremmo trovare nomi quali: correttezza,
serietà, responsabilità, dignità. Tali principi, tali forme, ineriscono al
rapporto tra personalità e azione, fra stile e ruolo: sarebbe interessante
enuclearli in modo descrittivo e vedere se sia possibile ricavarne un discorso
prescrittivo. Essi ineriscono tanto all'atteggiamento soggettivo verso le regole
e le implicazioni del ruolo - e del
complesso di azioni peculiari che ad esso ineriscono - quanto all'atteggiamento finalistico rivolto all'oggetto o
alla persona destinatari dell' azione o del ruolo.
Su base oggettiva ognuno è in grado
di valutare se un individuo fa bene il suo lavoro dal punto di vista dei
risultati e delle regole teleologiche. Ma anche su base intuitiva ognuno può
esprimere giudizi sul modo e sulla correttezza con cui si è operato in un certo
campo, a prescindere dai risultati. I principi formali dell'agire corretto,
dignitoso, onesto, responsabile, serio etc. sembrano essere analoghi ai
principi kantiani che riguardano, soggettivamente, l'universalità della forma
dell'azione e, oggettivamente, la sua finalità
- che sarà autentica in quanto non strumentale, ma teleologica. Ma in
effetti questi principi si basano più che sul dominio della volontà
(universalità del fine in sé e del fine legato al
mezzo ) sul presupposto della astrattezza del ruolo, che va corretto e
indirizzato, e sulla sua problematicità nei confronti dell'oggetto o del
destinatario dell'azione.
Il ruolo, inteso come un complesso di
regole e di azioni standardizzate, va quindi integrato e reinterpretato dall'attore
con una particolare sensibilità e
forma che lo rendano corretto e giusto nei confronti del destinatario, dei suoi diritti e delle sue
aspettative, e elogiabile, meritorio,
adeguato in riferimento al giudizio che possa venire dato
dell'attore. Attore ideale è colui
che impersona e attiva il ruolo in forma soggettivamente e oggettivamente
corretta. Per alcuni ruoli correttezza ed efficacia
coincidono ampiamente, per altri l'efficacia è subordinata alla competenza
e all'abilità che sono caratteristiche legate al contenuto del ruolo:
non alla sua interpretazione bensì
alla sua performance.
Indignazione
Nel
1968 cominciai ad esprimere la mia protesta contro un paese, una nazione e delle
istituzioni che avvertivo, a venti anni dalla fine della Guerra e dalla
proclamazione della Repubblica, come corrotte e retrograde. A distanza di
24 anni dal ’68 trovo che la situazione sia ancora peggiore, trovo che
l'Italia sia divenuta una vera e propria tortura per l'anima e per
l'intelligenza, una gabbia punitrice per l'onestà e per il pensiero.
Deformazioni
Ciò
che maggiormente colpisce, nei paesi occidentali del nostro tempo, è la forma
distorta attraverso cui vengono soddisfatti i bisogni, individuali e collettivi
e il modo in cui procede lo sviluppo del sistema sociale. Per soddisfare bisogni
elementari, per impiegare risorse e facoltà basiche dell'essere umano, per
compiere funzioni naturali del corpo e
della mente si mobilitano ricchezze eccezionali, si impegnano strutture e mezzi
ingenti, si spreca e degrada un patrimonio cospicuo di ricchezze ambientali,
umane, economiche. Il risultato è che lo sviluppo drena e brucia una quantità
enorme di risorse e i bisogni più elementari restano o insoddisfatti o vengono
soddisfatti in modo incongruo.
La distorsione dei bisogni, dei
desideri, delle aspettative, delle funzioni, comincia fin dalla vita
quotidiana che, invece di costituire il sostrato concreto delle realizzazioni più
elevate e significative, si presenta come estremamente disarticolata,
dispersiva, costosa, complessa essa stessa. Paradossalmente i livelli più
alti del sistema e delle funzioni sociali sono più sobri, essenziali e
semplificati dei livelli più bassi. E' molto più facile, e meno costoso,
dotarsi dei mezzi necessari e comporre una grande opera musicale che recarsi
in auto in una sala da concerto per ascoltarla. Per fare la prima cosa basta
razionalizzare risorse, idee, mezzi reperibili sul mercato con poco sforzo. Per
fare la seconda cosa bisogna interagire col sistema sociale e urbano complessivo,
mobilitare apparati complessi e massivi, entrare in percorsi e circuiti saturi
e confrontarsi con elementi del tutto estranei all'azione che si vuole compiere
(traffico, servizi, sindacati, lavoratori dipendenti, sistema
dell'informazione e di controllo, sistema fiscale etc.).
In una parola: l' azione,
attraversando il sistema, viene
amplificata, distorta, resa più complessa ed, infine, quasi del tutto distorta,
dal medium sociale
ed economico nel quale deve svolgersi. Ciò vale per ogni elementare bisogno o
progetto che, per attuarsi, debba intersecare il reticolo urbano e sociale.
Europa
Cosa
offrono oggi le Nazioni europee al futuro ? cosa propongono per i loro giovani:
quali valori, quali forme di vita, quale senso per la storia e quale progetto
per la prassi ? Il tema del presente è infatti quello dell'interrogarsi sul senso
della storia e quindi sul senso dell'uomo, giacché è proprio la realtà
sociale contemporanea a renderli problematici, enigmatici, inquietanti. Se la
società, intenta ad una autoconservazione priva di futuro, sganciata da ogni
prassi che trascenda il presente, è divenuta vittima del nihilismo, un analogo
significato ha il recupero delle ideologie religiose o di dottrine feroci
quanto semplificatrici. Il monismo etico
è l'altra faccia del nihilismo.
Se l'essere dell'uomo è azione,
prassi, esperienza, questo essere coincide con l'essere della storia
in quanto massima realtà mondana. La Tecnica e la Natura trovano un senso
umano, autentico e universale, solo nella storia, ma in una storia che non sia
ideologia o utopia, bensì prassi ragionvole, azione razionale. La storia è
il senso universale dell'esperienza individuale, è il momento di universalizzazione
della vita individuale.
Se la vita individuale soffre per la
mancanza di forme sociali e ragionevoli di universalizzazione e di senso:
non troverà risposte a questa sua domanda né nel nihilismo dell'autoconservazione
né nel fideismo della religione.
Una
società che non funziona
Ci
si chiede: questa società costituisce un ambiente
nel quale è facile e piacevole vivere ? Probabilmente no. Essa cerca di
affrontare e risolvere molti problemi dell'uomo, ma molti ne crea e molti ne
lascia insoluti, soprattutto al livello della vita quotidiana. I servizi
pubblici sono in sé stessi fonte di problemi oltre che di soluzioni, lo
stesso dicasi per il sistema economico o politico o scolastico ecc.. Diciamo che
questa società deve impegnarsi molto per risolvere problemi che essa stessa ha
contribuito a creare.
Il luogo di emersione e
materializzazione dei problemi sociali sono gli individui. Le
risposte o le soluzioni a tali problemi sono erogate attraverso dispositivi
complessi che interagiscono, a loro volta,
con altri dispositivi in forma non sempre efficace: tanto che spesso la
produzione di problemi è superiore alla produzione di soluzioni.
La
Pace
La Pace nella storia è sorta come valore
contrapposto alla Guerra, come ideale della storia umana, supposto Regno della
giustizia in un futuro promesso e anelato. Non è umano distruggere il proprio
avversario, vincerlo annichilendolo. La Pace è quindi obiettivo benefico
dell'azione, principio dialettico della storicità. Oggi la Pace non è più
l'antidoto al disvalore della Guerra, bensì è uno stato
di necessità: le dimensioni e le potenze distruttrici incardinate nel
meccanismo della Guerra sono divenute tali da dissuadere a far ricorso ad esso
nella sua forma radicale tanto a fini di bene che di male. La Guerra da risorsa
estrema della storia è divenuta un Male oggettivamente intollerabile e quindi
la Pace è divenuta un rimedio obbligatorio. Così obbligatorio che ha pervaso
di sé anche la Guerra. La Guerra
risolutrice ha ceduto così il campo ad una pluralità continuativa e
inconcludente di piccole guerre che non danno mai la vittoria a nessuno: il conflitto è così giunto ad essere uno stato permanente. La Pace è
l'eterno bellum omnium contra omnes.
Appendice. La sindrome di Lewinski
La legge sulla privacy impedisce di
fare nomi, per questo quando si dovrà farne qualcuno useremo appellativi di
sapore medioevale del tipo Jacopone
da Todi.
Se osserviamo bene cosa sta accadendo a certi intellettuali (funzionari e faccendieri) dell’ex - PCI ci verrà facile di assomigliarli a certe mogli un po’ puttane hollywoodiane o alla famosa Monica da Washington. Queste - non è passata ancora una settimana dal loro divorzio con il celebre uomo pubblico americano - già sono corse da un editore col dattiloscritto di 400 pagine delle memorie segrete del loro matrimonio: di come lui ce l’aveva piccolo e storto, di come amava la mamma, di come mangiava scomposto a tavola e si metteva le dita nel naso ecc. Bene, questa sindrome di cui con ispregio quegli stessi pcisti dicevano esser stato colpito - anni fa - soltanto tale Massimo l’Iscariota già segretario di Palmiro da Yalta, li affligge ormai tutti quanti e si prevede che farà ancora tante vittime. Dopo decenni in cui hanno accumulato potere e denaro snocciolando Marx ai giovani e agli operai e parlando male di Croce (“pessimo filosofo! meglio Gentile!” dicevano) adesso Giovanni di Monte Sambiagio, Alessio da Gallipoli, Veltro da Montesacro, Vegliardo da Roccaclaudia, Luis de Berlinguerre, Giovanni da Torre Annunziata ecc. non fanno un passo senza menar con sé la Storia d’Europa crociana e la recitano come il Talmud. E giù critiche al vecchio PCI, ai dirigenti morti, ai milioni di operai che li hanno votati. Sono pure pronti a rivelare in TV tutti i retroscena del loro passato totalitario al modo dei Brigatisti intervistati in primo piano da Zavoli. Qualcuno già vuole svelare tutte le trombate del Bottegone e gli amorazzi del KGB!
*
Chi
volesse leggere Russo può vedere: Vincenzio
Russo, Pensieri politici e altri scritti,
a c. di Giulio de Martino,
Napoli, Procaccini, 1999
(Questi
testi sono stati scritti tutti, ad eccezione del Prologo e dell’Appendice, nel
1992)