L’IDENTITA'
FRAMMENTATA DEL NUOVO CANTAUTORE
Lello
Savonardo
“Volevo
fare un disco… / però non era facile / perché per anni ho fatto molti generi
di musica / allora non trovavo mai la logica / nelle cose che facevo / che
suonavo (….) / le mie cose (….) / le mie storie / quello che ho vissuto in
questi anni / che suonavo il blues … / il jazz, qualche volta mi assaliva di
nascosto / però per i cantautori c’era sempre posto / passavo per la musica
orientale e il flamenco / ma la mia dieta per il divertimento
era / sempre poi comunque andare / con gli amici in discoteca / e quindi
non è colpa mia / se adesso faccio quello che per anni /
è stata solo un’utopia / ed anche se il mio suono può sembrarvi
strano (….) / io faccio pop italiano….. It.pop … It.pop”. (1)
Questi
versi contenuti nel brano It.pop di Alex Britti, in modo semplice e diretto,
esprimono da un lato un sostanziale
disorientamento, la ricerca di un’identità musicale ed artistica che
accomuna la generazione dei nuovi cantautori italiani,
e dall’altro una tendenza inevitabile verso la mescolanza, l’ibridazione,
la contaminazione tra i diversi linguaggi, stili, generi, ritmi, suoni, parole
che investono l’artista contemporaneo. Un’artista metropolitano, postmoderno,
che, anche nelle canzoni di
consumo, popolari e apparentemente leggere,
si esprime o tende ad esprimersi attraverso “un suono che può sembrare
strano”, aldilà delle etichette, degli schemi e dei classici canoni della
canzone italiana.
La
canzone, infatti, come tutte le
forme di comunicazione e di espressione è continuamente esposta alle
sollecitazioni, agli stimoli, agli
input che arrivano dall’esterno,
all’interno di un villaggio globale
multietnico e culturalmente ibrido
in cui è possibile, in tempo reale, interagire, attraverso la rete,
con l’Australia, il Nord Africa, gli Stati Uniti e il resto del mondo, reale o
virtuale che sia, o attraverso un’antenna parabolica che apre innumerevoli
finestre sui diversi mondi
e sulle culture, i costumi e i sistemi che li rappresentano. L’immagine del
cantautore anni Settanta, che si esprimeva in modo efficace anche solo
attraverso la chitarra ed un fiume
di parole cantate, sembra vacillare a favore di una specie di cantapopfunkraprockautore
che raccoglie, respira ed esprime le
diverse sollecitazioni, musicali e non, che lo travolgono.
Un
cantapop…autore come ad esempio
Daniele Silvestri che pubblica dischi sempre molto eterogenei i cui
brani sembrano prendere strade diverse, sembrano andare cioè in
direzioni indipendenti dal progetto globale per esplorare nuove forme
espressive. Attraverso il rock e lo
swing, il rap e la bossanova Silvestri esprime il suo mondo, il mondo di una
generazione dall’identità frammentata e sempre più “confusa e felice”,
tanto per citare la cantantessa Carmen Consoli, felice di non porsi limiti, confini,
barriere, felice di uscire dalla gabbia degli stili preconfezionati per andare
in cerca di nuove emozioni, esplorando realtà apparentemente contraddittorie e
che invece convivono, si fondono o semplicemente si (con)fondono in una nuova realtà
ibrida. In tutto questo non c’è niente di nuovo o di straordinario, la
musica Rock ha sempre avuto una forte valenza di rottura. Nella musica così
come nella società tutte le trasformazioni dipendono dalla crisi degli schemi
preesistenti a favore di innovazioni dovute all’incrocio, al meticciato,
allo scontro-incontro che ha per esempio generato il rock and roll negli anni
Cinquanta. La fusione della musica nera, il blues, con il folk bianco e il jazz,
ha infatti generato quell’esplosione di suoni e di ritmi che dai cosiddetti benpensanti
di allora è stata etichettata come la musica
di Satana, espressione che oggi può
solo far sorridere. Del resto ci sembra chiaro che, come afferma l’antropologo
Martin Bernal, “dalla purezza nasce solo sterilità” (2)
e che l’evoluzione è frutto di inevitabili incroci, concetto quest’ultimo
divenuto ormai la bandiera-slogan degli Almamegretta, formazione musicale la cui
anima migrante attraversa moduli
espressivi diversi e apparentemente lontani. Le melodie arbonapoletane,
i ritmi dub e i suoni metropolitani
che caratterizzano la loro musica, si fondono infatti in un linguaggio felicemente
bastardo (3).
Dunque “dal diamante non nasce niente dal letame nascono i fior”, come
scriveva, nella straordinaria canzone Via
del campo, il poeta cantautore Fabrizio
de Andrè. Tale verso sembra
evidenziare lo stesso concetto espresso da Bernal e, anche se entrambe le
espressioni sono riferite a temi diversi, ci sembrano utili per sottolineare
che le contaminazioni musicali e più in generale quelle artistiche
rappresentano un significativo indicatore socio-culturale in una società sempre
più meticcia. Una società che i
cantautori raccontano da sempre con ironia, provocazione, trasgressione,
capovolgendo le categorie preesistenti, proponendo dubbi e spunti di riflessione
ed esprimendo il disagio di chi sente l’esigenza di riconoscersi, anche solo
per una stagione, nel cantapopautore
di passaggio, attraverso una canzone usa e getta, in un sistema in cui tutto è
così veloce e dove la motivazione ideale, forse anche un po’ ingenua, che
spingeva i giovani degli anni Settanta a ritenere il cantautore un
nuovo profeta, si consuma inevitabilmente molto più in fretta.
Un nuovo profeta quasi come
quello disegnato dai versi ironici di “Cantautore”, una celebre canzone di
Edoardo Bennato, tra i primi artisti che hanno in
mondo significativo rivoluzionato la canzone italiana:
“tu sei saggio / tu porti la verità / tu non sei un comune mortale / a
te non è concesso barare / tu sei un a a cantautore” (4).