GOFFREDO PETRASSI: IL FURORE E LA VISIONE
di Girolamo De Simone
Goffredo
Petrassi è considerato uno dei più prestigiosi e innovativi compositori
italiani della sua generazione (era nato a Zagarolo nel 1904), tanto che gli
testimoniano ammirazione e gratitudine, indifferentemente, Pierre Boulez,
Zoltàn Peskò, Luis de Pablo, Azio Corghi, Giorgio Gaslini, Ennio Morricone, e
tantissimi altri autori, prescindendo da collocazioni di scuola o genere. In
una voce dell’Enciclopedia dei Compositori Italiani Contemporanei il musicologo
Renzo Cresti definisce Petrassi come una delle figure che, assieme a Giacinto
Scelsi e Luigi Dallapiccola, più contribuirono allo svecchiamento della musica
italiana della metà del secolo scorso, intendendo con ciò segnalarne sia il primato
nell’introduzione delle tecniche dodecafoniche in Italia sia la capacità di
superare le mode e guardare altrove. Scelsi, come è noto, pur essendo stato il
primo ad usare le innovazioni introdotte da Schoenberg nell’uso delle dodici
note come nocciolo da cui far scaturire il brano, subito se ne allontanò
trovando ripetitiva e indifferenziata la musica che ne derivava, una tesi
allora minoritaria, sostenuta da pochi illuminati, tra cui il grande ed
inascoltato Ernest Ansermet. Da parte sua Petrassi si rivolse per elezione
anche a Stravinskij e a Bartòk, e si ispirò per i suoi primi concerti
orchestrali ad Hindemith con innegabile eclettismo ma con continuità e
riconoscibilità di stile. Il percorso di Dallapiccola e Scelsi, per singolare
cabala, ha continuato ad intrecciarsi fino ad ora con quello di Petrassi,
ricorrendo di tutti loro, in questi mesi, il centenario della nascita.
(Un
Omaggio a Scelsi, curato dalla fondazione Isabella Scelsi, si è infatti appena
tenuto a Roma con un recital dell’organista Livia Mazzanti e l’uscita in
contemporanea di un nuovo numero della rivista “i suoni, le onde...”. )
La
longevità di Petrassi gli consentì di partecipare a parecchie feste di
compleanno: quella per gli ottanta anni (1984), quella per i novantacinque
(1999). Non fece in tempo a ricevere un dono che i suoi estimatori stavano
ultimando: l’ambitissima integrale dei Concerti
per orchestra:, lavori che il Maestro considerava, come ricordano Luca
Lombardi e Paolo Petazzi, “il diagramma della mia evoluzione, delle mie
esperienze... lo spiegamento della mia vita, di tutto quello che ho passato, di
tutte le vicissitudini”. I dischi sono usciti in questi giorni per la
Stradivarius, un’opera prestigiosa che include il Concerto del 1933, il Secondo
Concerto del 1951, la Récréation concertante, il Quarto e Quinto concerto,
l’Invenzione Concertata, ed infine il Settimo (1961) e Ottavo (1972) Concerto.
Come si può notare, l’arco di produzione attraversa la vita del Maestro per
quasi quarant’anni.
Nell’ampia
e diversificata produzione di Petrassi, l’interesse per il concerto viene
subito motivato dalla libertà che questa forma musicale concede al compositore:
nel concerto tradizionale un solista dialoga con l’orchestra; ma nell’idea del
‘concertare’ risiede anche la possibilità di provare nuovi impasti timbrici tra
gli strumenti. ‘Concertare’ un brano significa prepararlo, ma anche
sperimentare soluzioni esecutive e, per un compositore, verificare per la prima
volta le proprie intuizioni scritturali. Così la varietà combinatoria, le
innumerevoli soluzioni che scorrono all’ascolto dei Concerti, hanno come
collante proprio la “fedeltà al principio concertante” e la presenza di piccole
cellule intervallari che costituiscono la vera intuizione musicale del Maestro,
e lo proiettano verso una visione teatrale del suono. Questo ‘teatro
strumentale’ ricorre proprio nei Concerti, tanto che Petrassi si riferì ad una
sorta di vocazione ‘virtuale’: “questo è il mio modo inconscio di fare teatro,
giacché da tempo ho rinunciato all’opera, ed è probabile che la mia necessità
di rappresentazione sia travasata nelle opere strumentali”. Significativo che
nell’ottavo Concerto, quello terminato nel 1972, avvenga una sorta di “corsa
furiosa e visionaria” sottolineata dalla presenza di una vivace pulsazione
ritmica in cui Paolo Petazzi riconosce una citazione dello Scherzo della Nona
di Beethoven, “da una celebre pagina dove il timpano e la scansione ritmica
hanno un ruolo essenziale”.
Il
musicologo Gabriele Bonomo ci racconta che “l'integrale è nata su iniziativa
del direttore d’orchestra Arturo Tamayo, ed è stata sostenuta da una
coproduzione tra Edizioni Suvini Zerboni, il Campus Internazionale di Musica
(ove è ubicato l'Istituto Petrassi) e l’Orchestra della Radio di Hilversum.
Naturalmente l’idea era stata concepita, come si sperava allora, per
festeggiare il compleanno di Petrassi (l’operazione gli era stata annunciata
dallo stesso Tamayo), poi, ovviamente, la produzione dei dischi è giunta invece
a coronare il centenario della nascita facendo seguito alle manifestazioni che
si sono svolte per celebrarne la figura (“Il Secolo di Petrassi”, a Latina nel
giugno scorso, e il convegno all'Accademia di Santa Cecilia)”. Altre iniziative
sono tuttora in corso, come la pubblicazione di un volume che raccoglie gli
scritti e la raccolta delle lettere, centinaia, che mostrano quanto proficua
fosse l’influenza del nostro sulla vita culturale italiana del Novecento.
L’ascolto
dei compact ci trasferisce alla metà del secolo scorso; l’associazione
immediata va alle composizioni sinfoniche di alcuni protosperimentatori
americani dello stesso periodo. Si tratta di una linea d’indagine inedita, di
una sensazione che non ci abbandona per i centosessanta minuti di durata
complessiva dei Concerti, nell’esecuzione di Arturo Tamayo e della Netherlands
Radio Symphony Orchestra. Non che l’associazione sia negativa: non si intende
apparentare Petrassi con i ‘minori’ del Novecento, ma con quanti indagarono e
sperimentarono alcune ‘uscite dal sistema’ senza le quali non avremmo le
musiche replicanti di oggi.