La recensione di Girolamo De Simone

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La vispa Teresa

Entra fasciata da un abito da sera scarlatto. È Teresa Salgueiro, al San Carlo di Napoli, per celebrare il quarto compleanno dell’Archivio Sonoro della Canzone Napoletana, che ora diverrà, complice Paquito Del Bosco e Federico Vacalebre, Archivio ‘Storico’. Ai 40.000 file sonori già messi a disposizione da collezionisti, autori e interpreti, ed ospitati dalla Rai, si aggiungeranno nuovi file multimediali, con fotografie, filmati, copielle, spartiti, autografi, copertine di dischi, manifesti...  Il gala di questa sera celebra proprio quest’evento, ed anticipa la creazione del museo del Teatro di San Carlo, in apertura nei prossimi giorni per poche settimane.

La serata principia con un implicito omaggio alla tradizione colta, naturalmente rifatta/artefatta: Nando Citarella traduce in napoletano arie da Mozart, con momenti topici quelli in cui riproduce posture tradizionali, che si rifanno all’iconografia della classica gita ‘fuori porta’ (si pensi alle Feste del ritorno da Montevergine, con sosta alla Madonna dell’Arco) a tammurriate e bordoni (respirazione circolare sul didgeridou). I testi sono caratteristici, forse mai prima prodotti sul palcoscenico tempio della lirica. Richiamo solo... “vieni ciaciona bella”... “iamm’a fa sta iacuvella”... “m’invitasti piezz’e curnuto”, e non dimentichiamo che magari si sta traducendo dal Don Giovanni! La serata verrà chiusa dagli Avion travel.

Ma certo la star è Teresa. Entrano i Solis String Quartet, che accordanoo. Poi, subito, echi world, un violoncello che va per ostinati. Subito appare la voce dei Madredeus, col rosso del suo abito e il calore della melodia. Brusco cambio tonale, semplificazione ritmica, qualcosa di rinascimentale, o addirittura medievale, una ductia?, no forse una villanella, ma i generi son confusi; spicca il timbro unico di questa voce splendida, specie nel registro medio-alto. Ecco un rapido fugato e la nuova strofa, stavolta con mescolanze infrageneriche. Dopo il primo brano, gli arrangiamenti si fanno classici: iniziale dispiacimento del cronista. Ma avrebbero i Solis dovuto rifare i Madredeus? certo che no e, quindi, scelta vincente. I brani si susseguono, ma non come previsti in scaletta: “Canzona appassionata”, “Napulitanata”, “La tarantella”, “ 'O surdato 'nnammurato”, “Tammurriata nera”, “Sia maledetta l'acqua”, “Fenesta vascia”, “Era de  maggio”, “Villanella ch'all'acqua vai” e “Maruzzella”. Ma l’ordine salta, e Teresa conduce con leggerezza: sorrisi, giochi col dialetto napoletano, riuscendo abbastanza bene nella pronuncia, nonostante le sue scuse ( “avete una lingua bellissima molto musicale, ma anche difficile, non fate caso se dirò qualche parola in portoghese” ) e la sua emozione (“questa serata resterà per sempre nel mio cuore”).

Mi pare che la sua grandezza sia nel non cadere nella texture tracciata dal Solis. Più questa si fa serrata, più distesa il rubato del suo fraseggio: sfugge dall’ostinazione delle ritmiche. Su tremoli inquieti degli archi il momento più bello dell’esibizione: la sua voce è ora nel giusto rapporto d’intensità con gli archi. Il pubblico, nella Tammurriata finale, accompagna con applausi ritmici. Tutti, infine, conquistati.

Girolamo De Simone

 

TONKUNSTLER di Girolamo De Simone. John Tilbury è un pianista anomalo. Potrei definirlo Tonkunstler, alla Andor Foldes. Cioè un "artista del suono", come pochissimi altri pianisti sopravvissuti alla mania dattilo-digitale del nostro secolo. Già nel lontano 1989 egli parlava di Morton Feldman disegnando una linea esegetica cristallina: Feldman - Cardew. Il secondo, Cornelius, scriveva delle trasparenti composizioni di Feldman riferendosi ad una luce fioca, alla quale i nostri occhi, abbagliati da canonici sfavillii, devono abituarsi prima di cogliere sfumature significative. Oggi forse non si ha nemmeno il tempo di ascoltare un cd normalizzato all'estremo sfruttando curve RMS (radice quadrata media dell'ampiezza); figuriamoci quando mai avremo la possibilità di abituare l'orecchio a cogliere sfumature che si susseguono in fasce di minima ampiezza, dal fruscio al cicaleggio degli oscillatori. Eppure, leggendo quello che scriveva Cornelius Cardew potremmo ricrederci, e per una volta osare un impiego del tempo volto alla ricerca di suoni più labili e tenui: "Per Feldman i suoni si riverberano all'infinito, senza mai perdersi completamente, la loro risonanza muta man mano che essi svaniscono o, piuttosto, essi non svaniscono ma recedono dal nostro orecchio, delicatamente, perché la delicatezza è irresistibile, poiché un'insidiosa invasione dei nostri sensi è più efficace di un attacco frontale. e i nostri orecchi, nello sforzo di afferrare la musica diventano più sensibili, più preparati a percepire il mondo sonoro nel quale ha sede la musica di Feldman". Suoni che indietreggiano! E la linea rossa passa per quello che invece Feldman a sua volta ricorda del geniale recensore: "Cornelius suonava la mia musica meravigliosamente e ha scritto cose bellissime a proposito delle mie prime opere". Una stringa di senso ulteriore va da John Cage a Morton Feldman, da questi a Cornelius Cardew (lo splendido nome echeggia racconti di E.T.A. Hoffmann), grande pianista, poi illustre divulgatore di musica nuova, strana, semplice ma ardita, pensata e suonata per/nelle fabbriche. La linea infine approda a John Tilbury. Per tutti, non in egual misura, la lontananza dalle accademie musicali, dalla musica 'ufficiale', da quelli che vengono definiti come "i mostruosi edifici seriali concepiti a Darmstadt durante gli anni Cinquanta". E giù strali contro un certo modo di suonare, quello politicamente corretto, quello che articola e fraseggia soltanto nel modo riconosciuto ed apprezzato nei Teatri Ufficiali. Nulla a che vedere, dunque, con le metodiche anomalie di Giuseppe Chiari! Quel fraseggio ufficiale legge e dà sensi univoci, riesce a decodificare soltanto Stockhausen e Boulez. Tilbury apprezza invece Cardew e Tudor, altro grande interprete "da polpastrello", grande reinventore della non-musica di Cage. Pronuncia una irrinunciabile verità: la necessità di intendere il "virtuosismo" come distante anni luce dal "meschino parapiglia digitale" (Barthes), come cosa che invece riguarda la "virtù di estrarre dal pianoforte sonorità straordinarie". Per questo Tilbury è un artista del suono, Tonkunstler. Si rivolge all'oriente, allo stesso modo degli altri grandi eroi dell'Eterna ghirlanda appena citata (la stringa Cage-Feldman...), e cita tecniche cinesi di 'vibrato', dove a vibrave veramente, aggiungo io, non è naturalmente la corda (cosa meccanicamente impossibile) ma l'interprete. Smettiamo dunque di suonare come scimmiette ammaestrate, e prendiamo a modello il detto taoista che ha ispirato i due "John": "La musica più grande ha le note più tenui".

Marco Ariano, Sensuali eresie, carne celeste. marcoariano.idra.it. Il disco raccoglie materiali tratti da laboratori, performance, spettacoli tenuti da Marco Ariano. L'idea è quella di sviluppare un 'teatro di eventi sonori', con un approccio di natura interdisciplinare e matrice multimediale. Le tracce si susseguono a partire da "Babele della spoliazione", "Polifonie dell'ascolto", fino alle tabule elettroniche di "Fioriture senza testo", comprovando una forte unità progettuale, grande originalità di scrittura, interessante sviluppo dinamico e protagonismo degli strumenti percussivi e della voce, che talora traccia 'mantra' episodici, su sfondi ed echi sempre vocali e quasi radiofonici. Il tentativo è quello di offrire vie di fuga dalla logica sistemica convenzionale, ricerca spesso premiata, come indica con opportunità, in una nota al libretto, Francesco Lazzari: "Con la sua musica Marco sugerisce che per un nuovo vedere occorre chiudere gli occhi e ascoltare suoni. Passare attraverso i suoni... Marco è maestro di un silenzio fatto di suoni. Maestro di un suono che sta al confine tra silenzio e parola". Una dimensione che si può apprezzare, aggiungeremo qui, soprattutto in quelle tessiture su sfondo, perché qualche volta gli eventi e le linee dei primi piani cedono alle tentazioni del dire, magari anche piacevolmente, ma strizzando un po' l'occhio agli sperimentalismi di una volta. Un lavoro, quindi, molto serio, ben condotto, riepilogativo. Ma che belli quei discorsi tra le pieghe: sarei curioso di ascoltare un missaggio che privilegi in piccole tracce quel magma plurimo e indistinto, infinitesimale, tormentato. (Girolamo De Simone)

Giovanni Guaccero, Musica per le montagne, Extensione. Un cd di musica descrittiva, funzionale, non lontana dalla border music che ci è più vicina, e più amiamo. Vi fanno capolino alcune modalità improvvisative, ed un riferimento che sento tra le tracce, soprattutto in certe 'sospensioni' delle frasi pianistiche, e che va a Roedelius (si ascolti Piano piano", pubblicato da Materiali Sonori). Ma musica funzionale a che? ed esiste poi una musica che non sia funzionale? ne dubito, naturalmente, ma qui intendo dire che il progetto di Giovanni Guaccero è condotto sulla montagna, funzionale e dedicato alla montagna. Dove il monte non è solo quello 'analogo' di Daumal, ma è quello reale, da scalare, con tutte le sue insidie, con tutte le prese di appoggio per spiccare salti reali. I quali poi diventano metaforici non appena si pensa alla terminologia di Foucalt, dove la presa d'appoggio serve per superare le 'resistenze' del sistema. Qui si tratta del sistema musica, che nel periodo sperimentalistico ha dato parecchio da soffrire, ed oggi riesce a procurare vertigini, stavolta estetiche, se solo si riesca a lasciarsi andare. Interessante dunque il disco, e sta bene sul piatto. Un limite, forse (che trovo quasi in tutta la produzione in lingua italiana) è nei testi che risultano sempre un po' scanditi, ostacolo che mi pare superato o superabile nelle tracce che usano altre lingue. (Girolamo De Simone)

TRA PROGRESSIVE E FRONTIERA, LA MUSICA DI ARTURO STALTERI, di Girolamo De Simone. Arturo Stalteri è certamente uno dei più interessanti musicisti 'di frontiera'. Non a caso la sua musica sta conoscendo un periodo di nuovo interesse, con la ristampa per la BMG dei suoi lavori progressive, e l'uscita per la Materiali Sonori di un importante concept album interamente dedicato al "Signore degli anelli", la celebre saga di Tolkien. Non si tratta di un caso perché il percorso di Stalteri, improntato a coerenza e continuità a partire dagli anni Settanta, può spiegare come si sia arrivati alla attuale musica di frontiera, quale sia la sua evenienza futura. Una storia che può essere considerata come paradigmatica del travaso tra un genere musicale e un altro, raccontandoci contemporaneamente anche della complessa prospettiva culturale disegnata dall'avvento del melting pot, del crogiuolo tra differenti generi musicali. Arturo Stalteri nasce come musicista colto e pianista di razza, avendo studiato con Vincenzo Vitale, illustre e controverso caposcuola napoletano e con Aldo Ciccolini, noto per le sue incisioni di musica francese, e di composizioni del poliedrico ispiratore del gruppo dei sei Erik Satie. Un primo filo rosso emerge: Satie è generalmente considerato come l'inventore della "musica d'arredamento", madre della ambient, e non a caso Stalteri inciderà nel 2000 "coolAugustmoon" (pubblicandolo anche in Giappone nel 2001), un cd interamente dedicato a Brian Eno! Nonostante le origini colte, ben presto Stalteri si dedica alla musica rock, e per la precisione al genere progressivo, raggiungendo un vasto pubblico con il gruppo dei Pierrot Lunaire ("Pierrot Lunaire" e "Gudrun"). Una precisazione: è noto che il progressive tendesse a fondere la tradizione classica con il rock. Meno noto è che assumesse nel suo ampio ventre stilemi del jazz. Accade in "Nymphenburger" (East of Eden), una versione rock del celebre "Blue Rondo A la Turk" di Dave Brubeck. Con ciò il genere si mostra sintomatico per il discorso sulla contaminazione. Il progressive intendeva assimilare alcune forme della produzione colta e sinfonica trasmettendole ad un pubblico più vasto, che presumibilmente non avrebbe mai acquistato un disco di "classica". Quando i musicisti progressive si trovavavo di fronte a forme complicate, come la fuga, le risolvevano ricorrendo ad alcune 'semplificazioni'. Detto in modo più tecnico, all'apparire del controsoggetto preferivano procedere ad alcune ripetizioni anziché continuare ad elaborarlo con difficili contrappunti. Questo procedimento appare ad esempio nella "Valentyne Suite" dei Colosseum. Questo mostra con una certa evidenza quanto in nuce il progressive, come del resto già molta 'classica', contenesse i germi della Minimal Music. Curiosamente questo nesso tra la semplificazione delle forme della variazione e la nascita della musica minimale, non era stato mai rilevato prima d'ora. Già nei due dischi con i Pierrot esistono tracce della contaminazione che caratterizzava il genere progressive; specialmente "Gudrun" è davvero un lavoro sperimentale: per questo disco Walter Lefevre progettò apposta un oscillatore Waltsynt. Ma è in "André sulla luna" (1979) che Arturo raggiunge risultati stupefacenti. Si ascolti ad esempio "Verso la luna": c'è già una completa assimilazione del minimalismo. Il riferimento obbligatorio va al fondamentale lavoro di Philip Glass "Music With changing parts" del 1970. Ma "André sulla luna" rappresenta già una evoluzione del minimalismo di Glass. Una prova risiede nel lavoro di David Borden: nel 1978 elaborava dei contrappunti (pubblicati però solo nel 1990) che accentuano il radicalismo della ripetizione, ma ne evidenziano anche il limite. Stalteri introduce degli elementi melodici: è la strada poi intrapresa dal più recente Glass "operista". In "André sulla luna" c'è già quasi tutto: Debussy, il minimalismo, l'uso di alcuni effetti 'ambient'. E' naturale che Stalteri provasse in seguito a 'rileggere', a trascrivere i 'suoi' classici, ed ecco alcuni importanti dischi, "Flowers" (1995), dove compaiono Sakamoto, Glas, Corea; "Circles" (1998) che ripercorre antologicamente l'opera di Glass, e il già citato "coolAugustMoon", che trascrive e quasi reinventa il lavoro di Brian Eno. Contestualmente pubblica "Syriarise" (1992), un monografico con brani originali, e lavora al fianco di grandi star della musica leggera, acquisendo una virtù, quella della comunicazione, sconosciuta a molti altri compositori di provenienza colta. E' importante sottolineare che il percorso di Stalteri pur ricercando l'interfaccia con il pubblico, raramente cade nell'inganno della semplificazione eccessiva. Le 'invenzioni' improvvise, le deviazioni tipiche del progressive, vivificano tutti i suoi lavori, compreso il cd "Rings, il Decimo anello" appena uscito e dedicato alla saga di Tolkien. Non cade nella noia di ballate pianistiche facilitate in modo semplicistico. E ciò appare naturale dal momento che origine classica, percorso rock, lateralizzazione "progressive" ed approdo "di frontiera" è una stringa di senso che allude a un percorso ben radicato, che non ribalta la memoria. Ciò appare evidente collegandosi al sito della Materiali Sonori e scaricando la enorme discografica di Stalteri: decine e decine di collaborazioni: si cita solo quella de "L'Eliogabalo" (BMG) un disco dei magnifici Settanta con Claudio Lolli, Ron, Dalla, De Sio, in cui il pianista-compositore firma alcune tracce. Il percorso della semplificazione tout court, invece, che parte dalla musica colta sperimentale, quella con problemi di comunicazione e fruizione, lascia piuttosto a bocca asciutta tutti quelli che provengono da ascolti classici o dal rock d'autore, pur conquistando gli amatori delle colonne sonore e della musica radiogenica. Tutto ciò ci spinge a riflettere sul mondo dei consumi musicali, non impedendoci di rilevare che tale percorso intende la semplificazione come semplice sottrazione, e non come ricerca della successione accordale semplice ma geniale. Insomma, la musica di frontiera può trovare una delle sue radici nella musica progressiva meglio di quanto possa legittimarsi nella facilitazione estremizzata delle forme colte sperimentali, che vanno un eccesso all'altro. Queste ultime approdano solo oggi ad un rifacimento edulcorato di Glass, ma ad un Glass molto molto più noioso, perché privato della carica eversiva che ne caratterizzò le origini. Non pervengono purtroppo ad una sua assimilazione interna, per così dire, storicizzata o stratificata nel tempo, mediata dalle esperienze vive di quegli anni. In questo senso l'avventura di Stalteri è davvero paradigmatica. Una 'terza strada' fu invece percorsa dal geniale Luciano Cilio: una anomalia della musica rock, pervenuta alla colta d'avanguardia. Con "Il decimo anello" Stalteri approda ad un prodotto legato ai nomi di Jenni Sorrenti, Arlo Bigazzi, ad un disco multimediale in cui la memoria storica e l'origine del genere 'frontiera' sono largamente documentate, anche nelle tracce cd-rom che se ascoltate con attenzione parlano da sole, testimoniando ancora una volta l'unicità di un percorso compositivo (e pianistico, non dimentichiamolo!) di grande pregio ed originalità, in un panorama italiano piuttosto asfittico, dove gli altri autori del genere border, con l'eccezione di Sollima, sembrano in un momento di crisi di linguaggio.

SPLENDIDA SINTESI, di Girolamo De Simone. Si è tenuta a Napoli la preview di "Sintesi" - Festival internazionale di arti elettroniche, nella splendida cornice di Palazzo dello Spagnolo, sede della Fondazione Morra, nel quartiere vicereale dei Vergini a Napoli. Gli eventi hanno visto la luce grazie anche ad una partnership tra British Council di Dublino e Napoli, con il collettivo irlandese Fallt e la performance del londinese Janek Schaefer. A metà strada tra performance, installazione, opera residente, è stato inoltre possibile fruire per la prima volta in Italia di "Invisible Cities", opera a cura di Christopher Murphy: un percorso tra soundscapes alloggiati nelle mura della Fondazione Morra, con città invisibili ma meno effimere grazie all' impatto uditivo realizzato con cuffie e un panorama rumoristico disegnato da sound designer d'eccezione. Murphy ha dichiarato che è "quasi impossibile descrivere ogni pezzo e dargli il senso che merita", e tuttavia un tentativo in tal senso va compiuto, sorvolando con levità critica alcune delle installazioni. La sensazione che si ha percorrendo col solo udito gli alloggiamenti sonori è paragonabile all'ascolto degli "Angeli sopra Berlino": percezione molto differenziata di session dinamiche o statiche, col microfono che è lì fermo ad ascoltare o viene posto in movimento tra terre differenti, recependo suoni da Festival lontani o da canti di etnie differenti, poi miscelati in una session multitraccia che più o meno brutalmente ripropone un crogiuolo di immagini con amalgami multipli. Il nostro personale itinerario tra le città città, gli autori ed i significati ci ha condotti verso luoghi lontani, avendo appena sfiorato le stazioni di Napoli e Catania: Dehli, Raqs Media Collective (treni in avvicinamento); Lalisela di Chris Watson (voci etniche); Moscow di Sergey Tishkov (tema del viaggio); Beijing, Beijing sound unit (voci etniche), Brisbane, Lawrence English (rumori tecnologici); Londra, Janek Schaefer (suoni intimistici); Marrakesh di Gregory Cowley (mix di voci etniche e rumori); New York di Taylor Deupree, con brusii, fruscii in crescendo, bruscamente interrotti, registrazioni al Brooklyn's Prospect Park; Lima (Peru 2001) di Jonathan Segel (etnico minimalista); Washington, Richard Chartier con suoni campionati all'interno di gallerie d'arte e musei; Los Angeles, Aklra Rabelais, con un microfono fisso su un cartello di Holliwood per segnalarne l' "ironica desolazione". La prewiev di Sintesi si è conclusa, in attesa del vero e proprio Festival che si terrà a Dicembre, incontrando l'artista web Miltos Manetas, impegnato, tra l'altro, in una tavola rotonda che ha ospitato anche Alessandro Ludovico, l'autore di "Suoni futuri digitali", testo sull'incontro tra musica e universo della moltiplicazione (un discorso che parte da Benjamin). Il presupposto comune è quello dell'abbandono della nozione di copyright, in un dialogo a distanza con il No Copyright di Raf Valvola Scelsi e il Net Strike / Strano Network di Tommaso Tozzi. Miltos Maneras ha mostrato in proiezioni dal computer le schermate di Net Art ed ha illustrato la sua estetica. La sala si è riempita di nuove definizioni: lo spirito "Telic" (dal greco, scopo o fine) che pur essendo supercreativo "può essere sgraziato come un computer" e lo spirito "Neen", che è il piccolo fratello matto di Telic. la star Neen fa suo il sogno, che è quello di diventare una speciale icona, e di proiettare questa icona nel web. Lo spazio Web è l'unico veramente vuoto, non esattamente come quello delle gallerie che ospitano opere d'arte moderna, fortemente stigmatizzate da Manetas, e definite come "un ammasso di spazzatura". Le icone della Net art si pongono come giochi, forse possibili opere del futuro, in cui la nozione di 'proprietà' fa capolino soltanto per ciò che riguarda la registrazione del dominio. Gli incontri di "Sintesi" hanno registrato grande afflusso di pubblico e interesse dinamico per le proiezioni.