In tutta sincerità,
nel discutere sul pensiero contemporaneo di Girolamo De Simone non ci si
sente del tutto a proprio agio. Una personalità complessa, non semplice da
narrare, di cui basta conoscere solo pochi scritti teorici e d’attualità
sulla musica di frontiera (proposti spesso per la rivista Konsequenz), per
convincersi del grado di genialità, del disegno intellettivo e programmatico
superiore, diffuso all’esterno come un maestro di vita d’altri tempi.
Fluida e placida la sua mano, il modo di definire il pianoforte come un magma
di suggestioni pacifiche, riflessive, non sempre espresse tramite
manifestazioni di sola e nuda classicità acustica. “Shama”, come altri
lavori, è un susseguirsi di leggere illuminazioni di open-music, amanti della
costruzione solitaria, ove il senso di apertura è da collegarsi alle
configurazioni ‘metafoniche’ che il compositore partenopeo insedia (e
instilla) con insinuante sicurezza. Le piste, qualsiasi sia il risvolto
caratteriale acquisito, prendono corpo tutte dalla piattaforma strutturale
del pianoforte. Un discorso, ovviamente, prevalente per quelle cartoline
sonore in cui gli esercizi di sovrapposizione si intersecano, o lasciano
completamente spazio ad uno studio morfologico sulle possibili variabilità
della border-music.
Da alcune riflessioni dello stesso De Simone sul modus-operandi del proprio
agire, si scoprono anni di ricerca mirati a conseguire una soddisfacente
maturità nella (auto)gestione tecnica del proprio oggetto-dei-suoni: «Ho
impiegato alcuni anni per rendermi autonomo e poter registrare senza tecnici;
ora ho uno studio domestico. Uso microfoni interni, con particolari
‘sospensioni’ autocostruite. Sono sempre stato affascinato dall’aspetto meno
percussivo del pianismo. Ho quindi escogitato un sistema per ammorbidire e
trasformare i suoni prodotti dai martelletti. Ricercato tocchi meno
pianistici dei tradizionali. Ho scoperto in alcuni anni di poter frantumare e
rendere ‘granulari’ i suoni. Ho pensato di mescolare questi suoni più e più
volte, stratificarli con alcune espressioni più spontanee, che cercano di
essere fresche, pur nella loro malinconia e semplicità.»
Ritorna la molecola della semplicità, il portamento esile e l’aria sincera;
tutti frangenti sui quali si sfiora l’adiacenza estetica con il bagaglio
degli insegnamenti ereditato dal maestro e amico Luciano Cilio: un divino
interprete della contemporaneità, scomparso prematuramente. Figura a cui
Girolamo non ha mai cessato di essere riconoscente, con attestati-di-stima
che ondeggiano tra la music-azione in “Napoli Non Canta” dell’ultima versione
inedita della sua Sonata No.4 e l’apertura di questo cd con una
nostalgica partitura di solo piano, palesemente, denominata Luciano.
Nel complesso, tutte le piste in gioco sono scolpite per “Shama”, anche se De
Simone, giustamente, non ha avuto remore nel riutilizzare e remixare anche
framment(ucol)i non recenti.
Una vista sulla bellezza tout-cour della musica moderna da cui si scorgono le
tante eredità del compositore partenopeo: dalle formule di sovraincisione del
piano jazz di Bill Evans, ai primari precetti sul silenzio cageano; dalla
tradizione etno-popolare della propria Napoli alla ‘classe dirigente’
dell’associazione “Vita Musicale Contemporanea” che univa le rivoluzionarie
provocazioni di Giuseppe Chiari e l’innovativo concetto di HomeArt elaborato
da Pietro Grossi.
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