NAPOLI
- Contemporaneità è contaminazione. È capacità di ridare ossigeno alla
tradizione rimettendola sui binari del tempo. È voglia di sottrarre la
celebrazione del passato da ogni retorica e convenzione. È desiderio di
smontare e di ricomporre, di penetrare nel cuore della materia e di ridarle
forma, con creatività. Contaminazione è la parola chiave del percorso artistico
di Girolamo De Simone, compositore, pianista e elettro-performer partenopeo,
che ama indugiare sulle linee di frontiera, reali e metaforiche, di cui la musica
contemporanea si nutre. Lo stesso concetto di contaminazione ha funzionato da
efficace leitmotiv del suo ultimo lavoro, intitolato scarl/ACT e
dedicato all’opera di Domenico Scarlatti nel duecentocinquantesimo anniversario
dalla morte. De Simone decide di ricordarlo e di penetrare il senso del suo
comporre attraverso un’installazione, ospitata al Palazzo delle Arti di Napoli
dal 13 al 22 dicembre.
Fonti sonore sovrapposte, video e monitor dai colori accesi e cangianti,
fragranze suggestive, il lavoro di De Simone è il risultato di un lungo
processo di smontaggio, di analisi, di riassemblaggio creativo, o meglio di
"metamorfosi elettronica", dell’opera di Scarlatti. E in particolare
delle sue celebri sonate per clavicembalo, irriconoscibili nel magma di suoni
dell’installazione ma "materia prima" su cui si fonda tutto il lavoro
di rielaborazione. Negli spartiti originali di quelle sonate, epurati
dall’Accademia del tempo, erano infatti contenuti i primi germi della
dirompente linguaggio della Dissonanza. De Simone ne ha inciso, con il
suo Steinway, centinaia di frammenti, e poi, con lo stretto strumento aloni,
bordoni, riverberi. Il tutto è stato rielaborato al computer attraverso
procedimenti di sintesi granulare e poi moltiplicato spalmando il suo effetto
su cinque fonti sonore, diverse e compatibili in modo da risultare
continuamente sovrapponibili. Lo stesso procedimento è stato seguito per le
immagini, assemblate e rielaborate da Michele Liguori, giovane video-maker e
artista visuale. Il risultato è una rilettura multimediale della Dissonanza,
sofisticata e intrigante, che nel suo impatto visivo e acustico svela una certa
continuità con i lavori di Fluxus o con le installazioni di Brian Eno, di
recente proposte in città. Unica, pecca, forse, la saletta del PAN, troppo
piccola per simili esperimenti sonori, che hanno bisogno di aria e di ampi
spazi in cui riecheggiare. Aspetto che però l’atmosfera inconfondibile di
Palazzo Roccella e la sua posizione centrale, nel cuore di Napoli, hanno saputo
pienamente compensare.