scarl/ACT di Girolamo De Simone

metamorfosi elettroniche di Girolamo De Simone

su temi di Domenico Scarlatti

immagini video di Michele Liguori

 

PALAZZO DELLE ARTI DI NAPOLI

13-22 dicembre 2007

Inaugurazione dell’installazione:  giovedì 13 dicembre ore 18,30

con la presentazione del nuovo cd monografico "SHAMA" edito da Die Schachtel (Milano)

 

Celebrazioni per il Duecentocinquantesimo anniversario della morte di Domenico Scarlatti (1757 - 2007)

Associazione Musicale Liszt - Konsequenz

 

                              

 

 

In occasione del duecentocinquantesimo anniversario della morte di Domenico Scarlatti, Girolamo De Simone ha ideato un percorso di traduzione elettronica tratto da alcune delle sue più celebri composizioni.

 

Come è noto, De Simone è tra i più attivi esponenti delle avanguardie europee. Dopo aver lavorato con Pietro Grossi e con Giuseppe Chiari, ha tessuto collaborazioni con MUDIMA di Gino Di Maggio (Milano), Nardini Editore (Firenze), Nuovo Auditorium della Musica (Roma), PAC (Padiglione d’arte contemporanea di Milano), per citarne solo alcune. Nel 2007 De Simone associa al suo percorso artistico il video-maker Michele Liguori, che elabora elettronicamente foto ed immagini video con software di libero sviluppo, in contrappunto alle sintesi granulari adoperate da De Simone.

 

In occasione dell’istallazione “scarl/ACT” al Palazzo delle Arti di Napoli, Girolamo De Simone sceglie come fonte la musica e le immagini di Domenico Scarlatti, uno strepitoso compositore-esecutore in grado di rivoluzionare lo stile esecutivo del suo tempo e di sortire novità eccezionali anche dal punto di vista dell’invenzione formale, specie attraverso il corpus, monumentale, delle 555 sonate per clavicembalo.

 

Una storia avventurosa, con passaggi sotterranei, misteriosi, ricca di interrogativi, e che forse proprio per questa ragione è un po’ anomala rispetto a quella di altri geni coevi.

 

Chi meglio di Scarlatti, innovatore della dissonanza, può infatti essere considerato come icona dell’italianità (e a maggior ragione della ‘napoletanità’) misconosciuta?

La ricorrenza del duecentocinquantesimo anniversario rappresenta certamente una occasione per spingersi oltre le celebrazioni: si può ripescare la parte più spinta della sua originale produzione, rivisitandola con lascito Fluxus, ovvero tentando una lateralizzazione elettronica per percorsi frattali (audio e video).

 

Se si studia la storia dell’evoluzione ‘armonica’ della scrittura musicale, si noterà che esiste una storia della dissonanza (dissonanti e proibite erano taluni accoppiamenti tra suoni) che sembra tradire quella nozione comune riferita per comodità ad Arnold Schoenberg.

 

Sembra un concetto difficile, ma non lo è: se esiste una evoluzione della dissonanza, allora l’armonia non è scritta in natura. La consonanza non è genetica. Come la risata di Aristotele nel romanzo di Eco, così la dissonanza di Scarlatti venne dapprima disconosciuta, e poi cancellata dall’accademia. Scopo dell’istallazione è riproporre in tutta la sua attualità, attraverso il moltiplicatore offerto dalle più aggiornate tecnologie, una rilettura multimediale e multisensoriale della Dissonanza. Essa, difatti, incarna lo spirito del nostro tempo e quello della città di Napoli.

 

 

 

GIROLAMO DE SIMONE, nato a Napoli nel 1964, vive e lavora alla periferia della metropoli partenopea, alle pendici del Monte Somma, a ridosso del Vesuvio.

Musicista e agitatore culturale, è considerato tra i principali esponenti delle avanguardie italiane legate alla musica di frontiera.

 

Pianista, elettro-performer e compositore, nella sua formazione si è riferito ad Eugenio Fels e a Riccardo Risaliti; per il clavicembalo a Gordon Murray e per la direzione d'orchestra ad Eliano Mattiozzi-Petralia.

Negli anni Ottanta sono determinanti gli incontri con il compositore autodidatta Luciano Cilio (1982) e con John Cage, che conosce in occasione di "Events" (Napoli, 1984). Dopo il suo esordio ufficiale (a Villa Pignatelli nel 1982 con Luciano Cilio ed Eugenio Fels), ha suonato per i principali festivals di musica contemporanea raccogliendo consensi per le ricerche sui nuovi linguaggi e per la riscoperta di repertori inediti o rari. Come compositore ha ricevuto esecuzioni in Europa (per l’UNESCO a Parigi, per la CEE a Bruxelles, per la Radio-televisione Svizzera) e in Italia (Rai Due, Rai Tre, Radio Rai Due, Radio Rai Tre). Ha inciso molteplici dischi, per Ars publica (Pisa), Die Schachtel (Milano), Curci (Milano), Konsequenz (Napoli).

Le sue musiche sono state utilizzate senza sovrapposizione di dialoghi in “Guerra”, film premiato nel 2004 col David di Donatello. Sempre nel 2004 ha ricevuto il Primo Premio Internazionale Capri/Musica per la musica contemporanea, e nel 2006 gli è stato riconosciuto il “Fontana d’Argento” per l’impegno comunitario del disco ‘Frontiere’.

In qualità di teorico delle musiche di frontiera ha pubblicato libri, saggi, articoli e recensioni anticipando le tematiche della contaminazione tra generi musicali, della critica allo sperimentalismo e delle nuove estetiche mass-mediali. Nel 1985 fonda a Napoli l'Associazione Ferenc Liszt, poi Ente di rilievo. Dal 1994 è Direttore responsabile della rivista di musiche contemporanee ‘Konsequenz' (Liguori Editori), più volte premiata dal Ministero per i Beni Culturali come periodico di elevato valore culturale. Scrive per molteplici riviste e segnatamente, a partire dal 1994, per il quotidiano "il manifesto", anche con una rubrica intitolata "border" che consolida l'attenzione italiana verso la musica di frontiera.

Come operatore culturale ha assunto la direzione artistica di importanti rassegne dedicate ai plurali della musica: ‘Galassia Gutenberg Musica’ (Napoli, Mostra d’Oltremare, fino al 1993); ‘Eclettica Musica Millemondi’ (Napoli, Teatro G. Toledo, 1997/2003); ‘Evenienze Konsequenz’ (Napoli, Teatro Sancarluccio, 2004); ‘Avant’ (2006); ‘La fabbrica eXplosiva’ (Napoli, Modernissimo 2007).

Girolamo De Simone ha conosciuto personalità quali John Cage, Elliot Carter, Michael Nyman ed ha lavorato/interagito con alcuni dei più importanti compositori contemporanei, tra cui Luc Ferrari, Vittorio Rieti, Pietro Grossi, Luciano Chailly, Giuseppe Chiari, Daniele Lombardi, Giancarlo Cardini, Paolo Castaldi, Enrico Cocco (...). Oggi si produce in performance che lo vedono affiancato a Ludovico Einaudi (Aversa 2000), Arturo Stalteri, Tuxedomoon (Napoli 2001), Michael Nyman (Capri 2005), Max Fuschetto (2007) e numerosi altri protagonisti della scena italiana e internazionale.

 

MICHELE LIGUORI, videomaker ed artista visuale, ha iniziato ad occuparsi di computer e di immagini fin da giovanissimo.

Ha iniziato la sua collaborazione con Girolamo De Simone qualche anno fa, partecipando ai concerti storici di musica contemporanea tenuti al Teatro di ricerca ed innovazione Galleria Toledo di Napoli. Recentemente ha prodotto “Campane”, texture audio-video proiettata nel corso di “Moviemento”, Festival di creazioni sonore per le immagini a cura di Collateral, al Cinema Modernissimo di Napoli (marzo 2007). Nel luglio 2007 si è esibito come Vj a San Lorenzo Maggiore, Napoli, affiancando De Simone nella performance “Da Scarlatti a Peter Gabriel”. Nel corso della sua attività ha prodotto, usando software di libero sviluppo, ed elaborandone di propri, le immagini per numerose composizioni elettroniche di De Simone, e segnatamente per l’operina multimediale “Sogni, esorcismi” di imminente pubblicazione.

 

 

 

 

 

scarl/ACT, o della Dissonanza

Girolamo De Simone

 

In Domenico Scarlatti la Dissonanza non è solo questione d’armonia, ma anche fatto ‘tematico’. Essa assume il suo significato per linee orizzontali, ancorché accompagnate al basso da un singolo suono (o da successioni di suoni).

 

Altre volte la Dissonanza è disegnata da un abbellimento, ovvero da rapide decorazioni del tema; accessorie, talora edulcoranti, pur sempre segno di stile. Grazie ad esse si toccano note non tematiche, talvolta non armoniche. Cospirano, così, da Abbellimenti, alla costruzione dissonante della verticalità.

 

Gli accenti: se dati su note tematiche, allocate tuttavia in luoghi in cui non dovrebbero essere, luoghi deboli dell’andamento metrico, ecco, la loro presenza distoglie, diverge, stranisce. Ancora Dissonanza.

 

Fortunatamente, per noi oggi il concetto di ‘dissonanza’ non ha più alcun significato. A meno di far uscire da sé la nozione e proiettarla in un luogo più ampio, in cui ‘dissonante’ sia qualsiasi combinazione di suoni (situazioni) in grado di far gridare allo scandalo, far drizzare le orecchie, rendere agitati gli accademici e irritati i censori...

 

Una nozione allargata di ‘dissonanza’ dovrebbe prevederne una, simmetrica, forse anacronistica, di ‘armonia’.

 

Solo la casualità asseconda quel desiderio borgesiano, che risale a Scoto Eriùgena, della moltiplicazione indefinita delle letture e, quindi, per noi, degli ASCOLTI.

Se esistono tanti ascolti quanti sono gli ascoltatori, si può rendere questa relazione biunivoca, bidirezionale, solo se le aggregazioni tra le linee di un pezzo musicale si moltiplicano attraverso una casualità apparente, programmata, ma efficace ed effettiva (ovvero in grado di sortire esiti di senso) entro i margini che il compositore ha preventivamente determinato.

Ciò non va in direzione né dell’alea né del determinismo assoluto.

Si limita ad essere indicazione metodologica per la realizzazione di una musica funzionale.

 

Giuseppe Chiari diceva che la Germania s’era a un certo punto, proditoriamente, appropriata dei destini della musica, rubando un primato agli italiani.

Lui ne faceva un combattimento tra musica vocale e musica strumentale. Ma se si confrontano le geniali Sonate di Domenico Scarlatti con le noiosissime e convenzionali trovate di Beethoven (Bagattelle, Rondò, Sonatine, alcune Sonate) appare evidente che il predominio della dissonanza, della ricerca, dell’inventiva, dell’originale e fresca creatività strumentale era davvero italiano, e non era confinato alla sola musica vocale. Era una primazia anche strumentale.

 

A lungo l’illusione è stata contrapporre la forma all’invenzione.

Come se invenzione e improvvisazione fossero senza... forma!

Invece, il punto era che la forma tedesca appariva più semplice, restando facilmente riconoscibile. Si poteva analizzare, inscatolare, dunque riprodurre, fino al punto da diventare... ACCADEMIA.

Così tutti inseguirono la forma e ne dissero mirabilie. E l’invenzione? nel sistema accademico, assieme all’improvvisazione, restò inevasa; solo talvolta fu gara o abuso virtuosistico.

 

In un sistema integrato della Dissonanza, la relazione armonica convenzionale risulta fuori posto, quasi... dissonante. A conferma della necessità antitetica, giustappositiva, dei due termini, i quali possono agilmente ‘scambiarsi’ i ruoli, secondo un abusato gioco postmoderno.

 

Nella moltiplicazione metaforica non tutte le ‘armonie’ si prestano alla frantumazione tipica della sintesi granulare (che è un espediente possibile oggi grazie all’uso dei calcolatori).

Le dissonanze di Scarlatti vengono triturate agilmente. Non tutte però.

Ho dovuto incidere decine di frammenti, sezionarli, provare a sgranarli, come se lo svolgimento procedesse per... tappe iniziatiche. Grani di rosario, ovvero grani di suono. E in questa trasformazione sottile, (resta) la permanenza di qualcosa di spirituale, qualcosa che attraversa il ronzio delle macchine, il tic-tac del processore, lento e antico (quindi più preciso, nel suo lavoro INESORABILE). Ecco suoni come di Campane, nel bordone utilizzato. Il tempio? quello dell’esposizione, della sala-cappella-santuario prescelto. Essa è anche un ‘tempo’. Un santuario del tempo che non ho più nella mia disponibilità.

 

E questi frammenti diventano altro da quelli che avevo inciso. Sono Scarlatti e non più Scarlatti. Sono miei e già non più miei. Essi rappresentano, propriamente, una delle forme possibili, nella scelta arbitraria, certamente personale, forse compositiva, che ne ho fatto. Per dar forma (una delle possibili) all’immagine della Dissonanza.

 

Spesso alla DISSONANZA ho accoppiato l’ACCELERAZIONE. Non per simulare la pantomima, né per la nostra capacità di

SOSTARE

ATTENDERE

RIFLETTERE (che significa lasciare alle cose il tempo di venirci incontro, di colpirci)

Ma per cogliere quel senso di alterazione quasi psichedelico che viene dagli anni Settanta, e che muta prospettiva nella percezione delle cose, conferendo ad esse un senso (un vettore direzionale) differente. Per questo il materiale che ho inciso al pianoforte viene vorticosamente ‘precipitato’, accelerato, secondo una progressione che nessun pianista in carne ed ossa potrà mai eguagliare. Questo procedimento si colloca nel tempio dell’installazione, e trasforma i materiali della composizione in metacomposizioni: ovvero qualcosa che si fa più sottile, che cerca, disperatamente, una dimensione (ecco la ‘riflessione’) spirituale.

 

Il tempo-tempio dell’installazione è stratificato e permutabile. Perché le immagini ed i suoni, su cinque monitor e con cinque tracce musicali, non vengono mai a sovrapporsi. Ciò presuppone una loro sovrapponibilità indefinita, ovvero il progetto compositivo prevede una randomizzazione efficace.

 

Saper cogliere la potenza di sovrapponibilità nei materiali utilizzati è progetto ma soprattutto salto logico. C’è una componente di ASCOLTO. Senza ascolto non potrebbe esserci superamento personale, superamento dei materiali, soprattutto superamento della loro fissità nel preorganizzarli secondo un sistema.

La nostra capacità è appunto un rendersi accoglienti: capacità come attitudine a contenere.

Ascoltare la potenza dei materiali, al di là della loro organizzazione. Questo è un lascito fluxus, ma va oltre Fluxus, perché infine non si tratta di casualità, ma di causalità (uno dei vettori possibili a darsi, nei materiali e nella loro ‘composizione’)

 

Quando il discorso si fa desueto il silenzio diventa essenziale. Esso è insostituibile. Così procedo, talvolta, per SOTTRAZIONI, e gli insiemi complessi che ne derivano, ancorché giocare su molteplici linee polifoniche, o multitraccia, si consentono pause nel discorso.

La sottrazione diventa DISSONANZA d’assenza.

 

 

 

Diario della dissonanza*

 

Girolamo De Simone

 

 

Giugno 2007. Da un mese è scomparso Giuseppe Chiari. Se ne è andato dopo Pietro Grossi. Soltanto pochi mesi fa era davanti a me, e tracciava su un pezzo di carta una delle sue ‘costellazioni’: Fluxus, Marcatré, Metzger ed altri nomi inanellati nei suoi ricordi. Ora il padre della musica d’azione italiana non c’è più.

 

Luglio 2007. Mi chiamano dal Comitato per le celebrazioni di Domenico Scarlatti. Ho da poco suonato in un chiostro un game ispirato a lui. Ma non voglio più suonare così. Riprendo un vecchio libro, curato da Alessandro Longo per le edizioni Ricordi, quelle di un tempo ormai andato. Le pagine sono piene di segni a matita tracciati da Eugenio Fels. Mi raccomandava di suonare i veri accordi, non quelli epurati dall’Accademia. Fels è un musicista che insegna in Conservatorio, ma le sue prassi sono sempre state auree, e non decadenti come quelle che ormai tipizzano gli studi musicali italiani. Del resto anche Beppe Chiari lo diceva (lo disse fino all’ultimo): la musica è endemicamente in ritardo. Le sue gesta erano “declinate” alla parola Arte, e non alla parola Musica. La nostra storia della musica gli era sempre apparsa brutta, totalmente da riscrivere. E le scuole, con i manuali e le storie ispirate a nomi, e non a Movimenti, non gli parevano ben fatte (diceva: perchè non scrivere una storia del valzer? perché non raccontare che i tedeschi hanno trasformato la musica da vocale a strumentale per scipparla agli italiani?).

 

3 agosto. Guardo le note aggiunte a matita da Eugenio Fels. Riempiono gli accordi, altrimenti semplici, riportati nel libro di Scarlatti. Alcune sequenze, che parrebbero banali, si colorano di una luce nuova, inedita; di un senso (ovvero di una direzione liberatoria) che va da tutt’altra parte. Parla di un altrove che sarebbe venuto solo nel Novecento. Suonando al pianoforte tutte le dissonanze, finalmente liberate, si comprende quella musica osteggiata, considerata difficile dagli altri clavicembalisti del Settecento. Scarlatti non ebbe il successo del padre, che in parte lo oscurò, perché intendeva modellarlo a sua immagine. Ciò spinse Domenico alla dissimiglianza, a ricerche armoniche ardite, tradotte in una eccellenza di scrittura strumentale che fu costretto ad esportare in Spagna. Le Sonate rientrarono in Italia dalla Spagna solo grazie al celebre Farinelli. Una analogia crescente tra la vicenda artistica e personale di “Mimmo” Scarlatti (come amava firmarsi) e quella delle altre memorie inconciliate italiane e segnatamente partenopee si fa sempre più evidente. Un filo rosso lega la storia di Luciano Cilio, Pietro Grossi, Giuseppe Chiari e, perché no? anche la mia e quella di Eugenio Fels.

 

7 agosto. Sfoglio il libro “Gesti sul Piano” di Chiari. Foto in bianco e nero inquadrate dall’alto, sullo sfondo la tastiera del pianoforte (en blanche et noir). Voglio permutare, triturare, declinare a mia volta il gesto provocatorio, alla luce di questo nuovo grande padre delle memorie inconciliate italiane. Voglio legare questo gesto all’elettronica del pioniere Grossi, alla poeticità del mediterraneo Cilio, alle ‘azioni’ fluxus di Chiari. Voglio che ci sia il pianoforte, ma non posso usare i materiali già in commercio: grazie al tocco, che è il bel canto dei pianisti, è possibile rendere più gradevoli le dissonanze originarie dei manoscritti del Settecento. La Dissonanza invece deve essere cruda, e davvero ‘declinata’, mostrando che essa è inclusiva, mentre esclusiva, escludente, resta la consonanza. Consuetudini differenti a cavallo delle epoche hanno prescritto cosa fosse convenevole e cosa no. Ciò dimostra che l’Armonia, propriamente detta, non esiste, e che a pieno titolo dobbiamo usare in ogni momento tecnologie e consapevolezze avanzate, compresa quella della sintesi granulare, della parcellizzazione di suoni e rumori, per poterci davvero affrancare dai manuali.

 

7 settembre. Ho ormai completato la registrazione al pianoforte dei frammenti più interessanti. Ora si pone il problema della struttura. Sto intanto procedendo a creare una tavolozza di suoni e rumori, diverse centinaia di gradazioni, variazioni, sfumature cromatiche di senso. Cerco, nonostante tutto, una coesistenza e contemporaneità di voci differenziate. Non vorrei cristallizzare gli eventi, né darne versioni definitive. Vorrei si trattasse di una installazione e non di una composizione. Ovvero che il caso, quello però predeterminato di Cage, vi svolgesse un ruolo, ma che tuttavia la somma di tanti tasselli, la loro successione, fosse pensata in modo da ‘funzionare’: produrre talvolta silenzio nello spazio di destinazione (che immagino come un tempio, ove si rappresenta la Memoria e la Dissonanza), talvolta rumore, talvolta complesse sovrapposizioni accordali.

 

10 settembre. La sintesi granulare aiuta: è un procedimento che lascia intravedere, in filigrana, la provenienza dei campioni sonori, che nel mio caso è sempre il pianoforte. E tuttavia trasforma quei suoni, originariamente di Scarlatti, in qualcosa d’altro: come se esplodessero. Se dovessi cercare un paragone in letteratura, penserei a Michaux. Alle sue descrizioni di esperienze psichedeliche.

 

12 settembre. Ho trovato un altro nesso con le memorie degli anni Settanta. La psichedelica, che dovrà essere evidente nelle immagini che accompagneranno i suoni. La moltiplicazione di suoni e visioni deve essere post-pop, lanciare oltre il sè, ma paradossalmente partire da una profonda introspezione. Questo procedimento fu descritto magnificamente da Otto Weininger, che comprese cosa volesse dire Kant nelle vertiginose congetture che dalle prassi giungono alle regole più astratte della ragione.

 

Ottobre. Ho prodotto infine quattro fonti sonore stereo, ed una solo monofonica. Ciascuna è indipendente dalle altre. Ciascuna prevede silenzi, anche di quindici, trenta secondi. Ciascuna ha durata differente dalle altre. Esse poggiano su un ‘bordone’, ovvero su una sorta di suono ancestrale, che rappresenta il continuum. Una sorta di gigantesco OM.

Faccio una simulazione: tutti gli schermi video producono suoni ed immagini. Un proiettore lascia andare il bordone, abbinato al video più astratto. Mi perdo per qualche tempo (forse due ore) nei loop, nelle ripetizioni dei dischi, che tuttavia generano musica sempre differente nel tempo. Capisco ora che forse si è trattato di una ricerca d’acqua. Che ho cercato sottigliezza e soluzione. Una sorta di ‘non movimento’ sempre cangiante in grado di accogliere, proteggere, riscaldare. Per diluirmi e perdermi.

 

*Il manifesto del 26 gennaio 2007 (Alias, inserto culturale)