Contemporanea: 10 dischi da amare, 10 da buttare

 

 

(articolo) in Ultrasuoni/Alias n. 43, il manifesto del 10 novembre 2001

 

DISCHI SI 

Gavin Bryars, “Incipit vita nova” (Ecm 1994)
Lavora con Cage e Cardew, ed è tra gli autori più interessanti di musica di frontiera. Le sue atmosfere, gradevoli, descrittive, iterative, sono intriganti senza nuocere alla prerogativa della ricerca formale.
 

John Cage, “Cheap imitation” (Cramps 1977)
I brani a generazione casuale di Cage eseguiti par lui meme sono splendidi, perfezionano l’idea d’arredamento di Satie e la proiettano verso Eno. Ascoltate  anche “Sonatas and interludes for prepared piano” eseguite da Giancarlo Cardini.
 

Aaron Copland, The Young Pioneers (Sony 1994)
Due dischi deliziosi, che raccontano la musica americana dal 1920 al 1972, e si concludono con un omaggio ad Ives. Una integrale a cura di Leo Smit, figura ibrida e accattivante.
 

Brian Eno, “Ambient #4 - On land” (Eeg-Virgin 1982)
Geir Jenssen: “non sopporto la gente che usa la mia musica come sottofondo”, perché la ambient fa viaggiare. Ma per viaggiare con la mente, benché si stia facendo qualcos’altro, “On land” è il meglio che possa esserci.

Luc Ferrari, “Brise-Glace” (Adda- Lor Disc 1987)
E’ il più autorevole compositore di musica elettronica francese. Riesce ad essere poetico utilizzando strumenti fantascientifici  e collage di suoni ‘concreti’. Il Cd racconta un viaggio tra gli iceberg, con suoni e voci di una nave spaccaghiaccio.
 

Henryk Gòrecki, “Symphony No. 3” (Elektra Nonesuch 1992)
Uno dei riconosciuti capolavori della produzione recente, ha battuto i primati di vendita  senza nulla cedere in bellezza. Il musicista polacco rivaluta lirismo e spiritualità e ne guadagna la fruizione.
 

Philip Glass, “Koyaanisqatsi” (Island 1983)
Glass ha rivoluzionato l’idea di ‘minimale’ in dischi rigorosi. Alcuni ritengono che la sua musica ripetitiva sia la più autentica. Ma questa colonna sonora è strepitosa perché fonde intuizioni melodiche e perdurante macchinalismo.
 

Zbigniew Preisner, “La double vie de Véronique” (Sideral 1991)
Il film narra di due vite separate e parallele. La musica disegna il piacere delle immagini interiori, della memoria che riprende cose già viste, sogni appena abbozzati. Una finestra sul mondo spirituale, che ci appartenne  e che abbiamo dimenticato.
 

Giacinto Scelsi, “Quattro pezzi per orchestra” (Accord 1989)
Si specializzò nei suoni ‘rotondi’. Si convertì all’Oriente. Il suo simbolo era un cerchio. Una vicenda unica nel panorama italiano. Nel disco i mitici quattro pezzi costruiti su una nota sola, e “Uaxuctum”.
 

Arturo Stalteri, “Syriarise”, (Materiali sonori 1992/2001)
I suoi dischi approdano in Giappone, le sue collaborazioni si moltiplicano, tra successi inanellati rivolgendosi a Glass, Mertens ed Eno. Il pianista-compositore romano si pone come originale punta di diamante della border music italiana.
 

 

DISCHI NO 

Milton Babbitt,An Elizabethan sextette” (Cri 1988)
Allievo di Roger Session, Babbit è tra i grandi sacerdoti della musica seriale americana, depositario della parte più radicale dell'oggettivismo del suo maestro. Non ha mai disconosciuto una forte cerebralità della sua produzione, che infatti talora conduce all’emicrania.
 

Jean Barraqué, “Sonate pour piano” (Ecm 1999)
Estremista nell’utilizzo della serie, scomparso prematuramente,  distrusse molte  sue composizioni. Non questa “Sonata”, che dura ben quarantasei minuti ed è una specie di manifesto della labilità, fragilità e e tristezza degli ‘ismi’ post-viennesi.
 

Harrison Birtwistle, “Secret Theatre” (DG 1995)
Disco dalla struttura soffocante, forse per l’articolazione simmetrica dei movimenti. L’esecuzione dell’ Ensemble Intercontemporain  è proprio come ce la si aspetta: precisa, nitida, anche virtuosistica; magari solo un po' raggelante.
 

Pierre Boulez, “Le soleil des eaux” (Stradivarius 1990)
Dichiarò la morte di Schönberg egemonizzando la produzione contemporanea. Riuscì a combinare formalismo, strutturalismo  e rigidità esecutiva. Grazie a lui, il pubblico comprese che la nuova musica era forse altrove, nel segno di Stravinskij.
 

Barbara Kolb, “Music of B.K.” (Cri 1976/90)
Non c’è male "Looking for Claudio", per chitarra ed elettronica. Invece "Appello" è speculativo nel senso deteriore del termine.
 

György Kurtàg, “Jàtékok” (Ecm 1997)
Kurtàg si rifà a Bach, e viene sopravvalutato da tutti. Ma l’idea è la solita:  intercalare  trascrizioni e pezzi originali, scritti un po’ “à la maniere de...”. 
Utilizzate ‘program’, e saltate le composizioni. 

Ennio Morricone, “Percorsi/2” (New Sounds 1997)
Indiscussa genialità nelle colonne sonore, forse inattualità della produzione colta, che però il Maestro ama. Procuratevi questo disco, e giudicate da soli.
 

Detlev Müller-Siemens, “Die Menschen” (Wergo 1994)
Allievo di Ligeti e di Messiaen  è purtroppo approdato a Darmstadt. Ha vinto tanti premi, insegnando perfino in Italia. Il cofanetto propone la sua seconda opera, che dopo l’incipit già fa tremare. Se resistete al doppio album un premio lo meritate voi.
 

Alice Shields, “Apocalypse, an electronic opera” (Cri 1993)
Il compact è un pastiche : mostra la differenza che passa tra una fusione organica di materiali ed il semplice accostamento. Frammenti minimali, indiani, timbri datati: tutti nel calderone, senza melting-pot.
 

Alessandro Solbiati, “Vox” (Civica di Milano 1999)
Ottimo il lavoro della Civica. Ma il brano di Solbiati è troppo speculativo. Una sequenza di raffinate tecniche strumentali. Quasi un elenco telefonico.

Autore: Girolamo De Simone

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