La memoria pianistica del Novecento (rubrica), in Ultrasuoni/Alias n. 37 del 21 settembre 2002
La fine del Millennio ha scatenato una serie di iniziative commemorative, volte via via a tacitare una sorta di cattiva coscienza che ricorre frequentemente nel caso della musica contemporanea, o a perpetuare la memoria laddove essa si mostrasse flebile e attenuata. Il progetto “Yearbooks of the 20th Century Piano” appartiene probabilmente al secondo filone d’idee, una collana discografica della “Frame” che rappresenta un indispensabile strumento di conoscenza. Difatti, proprio oggi, in un momento in cui la produzione ‘di frontiera’ sembra aver indicato alla contemporanea colta una via d’uscita da vacui sperimentalismi, può risultare quanto mai interessante mettersi in poltrona e procedere ad ascolti ‘discriminanti’, proposta provocatoria che dà per scontata la necessità del raccogliere e catalogare, salvo poi procedere (una volta tanto) all’azzardo della valutazione estetica (ludica o politica?). Nella collana, curata da Paolo Paolino e Riccardo Risaliti, appaiono alcune delle più significative composizioni per pianoforte dell’ultimo secolo, proposte al grande pubblico nella lettura delle migliori promesse del concertismo internazionale: “una cronaca anno per anno della letteratura pianistica del Novecento, sottolineando la contemporanea presenza delle diverse tendenze stilistiche”. I primi due dischi partono dal 1900, e sono affidati a due interpreti di grande interesse, Giuseppe Albanese e Marco Rapetti. Tra le composizioni figura un rarissimo “Tema con variazioni” di Bartòk scritto a diciott’anni. Il terzo cd, appena uscito, scandaglia alcune opere del dopoguerra nell’esecuzione di Paolo Wolfango Cremonte. Il 1950 è un periodo in cui la parentesi neoclassica si è appena conclusa, e la Scuola di Darmstadt appare al culmine. Alcuni compositori tentano improbabili mediazioni tra la strada seriale e la tradizione popolare (è il caso di Roberto Gerhard). Ci sono poi John Cage e Morton Feldman che cominciano a guardare all’indeterminatezza derivata dalla cosiddetta ‘alea’, una sorta di generazione casuale delle altezze e delle durate dei suoni. Nel celebre “Music of changes”, presente nel disco, Cage utilizza per l’appunto la tecnica divinatoria dell’ I Ching, con un risultato non lontanissimo dalla serialità, visto che talvolta gli esiti delle operazioni combinatorie più astruse vanno a toccarsi con quelli delle evanescenti leggi della casualità. Il grande compositore Franco Evangelista, apostolo del silenzio, ritenne che alla vera libertà del compositore spesso John Cage preferisse un più riduttivo libero arbitrio, ponendosi paletti e regole tali da vanificare la casualità zen. Un vero spontaneismo orientale sopravviveva invece nelle sue esecuzioni, nei particolarissimi respiri, che forse sarebbero quindi possibili anche nella produzione meno ‘spontanea’. Nel disco figura anche un Olivier Messiaen più convenzionale e scolastico di quello splendido degli “Oiseaux”: non a caso questi “Studi sul ritmo”, ben proposti nel cd monografico da Cremonte, piacquero a Boulez (“la prima esplorazione integrale e metodica dello spazio sonoro… una tecnica cosciente della durata”)! Le prossime uscite riguarderanno gli anni Venti, con il piano di Maurizio Baglini, ed il 1980, affidato all’eclettico Winston Choi. Autore: Girolamo De Simone |