Quanta musica è stata concepita quasi
per gioco? Quali brani mantengono la promessa didascalica di
‘scherzo’ o ‘divertimento’? Il catalogo è ricco, non resta che
tuffarci nella produzione del Novecento, un ludus epidermico, talvolta
razionalistico, un tracciato che parte dal 1901 e arriva fino al 2002.
Giochi
in società
Erik Satie, nella raccolta dedicata agli “Sport e divertimenti”,
pubblicata nel 1919 ma composta ben cinque anni prima, raccoglie
passatempi e giochi di società, avvalendosi delle illustrazioni di
Charles Martin (ora reperibili in un volume pubblicato dalla Dover, New
York, 1992): “Le Feu d’artifice” (Il gioco... pirotecnico); “La
Balancoire” (l’altalena); “Les Quatre-coins” (i quattro
cantoni); “Colin-Maillard” (moscacieca); “Le traineau” (lo
slittino) e numerosi giochi sportivi, tra cui golf, yachting, tennis...
Si tratta di piccoli brani della durata di una sola pagina, con incisi
abbastanza ripetitivi nell’inconfondibile stile ironico
dell’ispiratore del Gruppo dei Sei. I disegni di Martin,
godibilissimi, richiamano nello stile grafico le... avventure del Signor
Bonaventura! I testi aggiunti da Satie tra i righi musicali mostrano la
passione dei circoli culturali dell’epoca per le poesie Haiku. Ecco
quello di “Moscacieca”: «Cerchi bene, signorina / Colui che l’ama
non è lontano / Com’è pallido: le labbra gli tremano / Le viene da
ridere? / Lui si tiene il cuore con tutte e due le mani / Ma lei passa
oltre senza accorgersene». Ed i “I quattro cantoni”: «I quattro
topi / Il gatto / I topi stuzzicano il gatto / Il gatto si stira / Si
allunga / Il gatto è in posizione». Ognuno di questi testi, qui
proposti nella versione di Ornella Volta, viene sottolineato dalla
musica, e spesso gli interpreti ne danno lettura nonostante una ironica
proibizione dell’autore.
Giochi
di natura
Il medesimo alone sprigionato dal
nonsense, un clima etnico, lo si ritrova nei numerosi strumenti a vento
usati per evocare spiriti buoni o divulgare ovunque, grazie agli
elementi sottili, i propri desideri e le proprie preghiere, come nel
caso dei mille stendardi del Tibet. Carillon a vento, dall’emissione
di suoni casuali ma armonici, sono tipici dell’oriente; arpe eolie
erano già diffuse dal Diciottesimo secolo, corde e casse armoniche dal
suono variabile a seconda dell’intensità del soffio; carillon ad
acqua con campane di porcellana potevano funzionare nei parchi e nei
giardini, mescolandosi al gioco dell’acqua. L’acqua, scodelle
rovesciate con lentezza studiata, ha un ruolo primario anche nella
musica sufi: Oruc Guvens ha un suo “suonatore d’acqua” che
costella di ancestrali risciacqui gli ipnotici Maqam tradizionali (Red
Edizioni).
Antesignani del gioco tintinnante dei carillon furono nel Settecento
Matthias Van den Gheyen e Pothoff, mentre nel con il “jeu de timbres”,
vale a dire con le campane del glockenspiel, si cimentarono insigni
compositori, da Haendel (Saul)
a Mozart (Flauto magico), da Meyerbeer (Africaine) a Mahler (Settima
sinfonia). Ad Haendel si deve anche l’utilizzo di veri fuochi
d’artificio in Fireworks Music,
ed al padre di Mozart, Leopold, la celebre Sinfonia dei giocattoli.
Non deve essere stato difficile, giunti ai primi del Novecento, recepire
l’influenza dell’Oriente, almeno quanto oggi gli occidentali ne
prendono le distanze: Debussy, Satie, Fauré soggiacciono alle
effusività e coloriture etniche. Maurice
Ravel scrive uno splendido brano, “Jeux d’eau” (1901) che
suggerisce il movimento cristallino dell’acqua, disegnando con la mano
destra, sugli acuti pianoforte, un elaborato ricamo di suoni cesellati
come gocce. “Jeux d’eau” anticipa Debussy, ed è molto più
evocativo di tanta musica a programma; il testo riporta una citazione
tratta da Henry de Régnier: «Dieu fluvial riant de l’eau qui le
chatouille...».
Giochi
di fuochi e carte
Igor Stravinskij è uno dei musicisti del Novecento che, anche
attraverso l’uso della citazione stilistica, rende centrale la
tematica del gioco. “Feu d’artifice” (fuochi d’artificio, 1908)
scritto nell’ultimo periodo di tirocinio con Rimskij-Korsakov è un
gioco pirotecnico che, combinato in un concerto con lo “Scherzo
fantastico”, fu capace di
conquistare al russo l’attenzione di
Sergej Diaghilev, e di lanciarlo verso la celebrità dei Balletti
russi a Parigi.
Importante è poi “Jeu de cartes” (New York 1937), nel quale
l’arte della citazione ironica raggiunge risultati sorprendenti e
parossistici, attraverso riferimenti a Mozart, Rossini, Ciaikovski.
Un gioco più concettuale, ma non meno importante ai fini della
scommessa teorica che poneva, ed in parte risolveva, fu quello di Paul
Hindemith, che nell’epico “Ludus Tonalis” realizza un percorso
alternativo a quello di Schoenberg, erigendo una sorta di ‘eterna
ghirlanda’ concettuale a mo’ di sbarramento della dilagante moda
dodecafonica, con Ernest Ansermet, Dmitri Schostakovic ed Igor
Stravinskij.
Giochi
automatici
L’invenzione dei primi carillon automatici risale al tredicesimo
secolo; funzionavano grazie ad un rullo con cunei fissi o mobili. Il
loro nome viene probabilmente dal latino ‘quatrinio’ perché pare
avessero un meccanismo a quattro campanelle. Molte volte sono stati
usati nella musica, ed una loro evoluzione ha propiziato l’invenzione
di veri e propri strumenti musicali, come il pianoforte a rullo.
L’altra evoluzione del carillon è stata ludica: furono creati automi,
orologi, giocattoli meccanici capaci di suonare. Tra i più famosi
automatismi giocherelloni c’è la “pendola del pastore”, costruita
nel 1750 da Pierre Jacquet-Droz
ed ora conservata al Palacio Nacional di Madrid. E’ uno dei tanti
giocattoli usati per sorprendere con la musica. Così la descrive Piero
Rattalino: «In alto c’è un pastorello che suona il piffero... sotto
il pastore due amorini sull’altalena; in basso, sotto il quadrante, un
amorino con un uccello in mano, e una damina in atto di leggere un
foglio di musica. Quando finiscono i rintocchi dell’ora, si sente
suonare un carillon, mentre la damina si muove, battendo il tempo con la
mano e inchinandosi; poi, l’uccello comincia a cantare... si mette
quindi a suonare il pastorello, che soffia veramente nello strumento e
muove le dita... a conclusione del tutto arriva un formidabile belato
del montone».
Oggi Keith Tippett usa il
carillon nelle sue improvvisazioni. Lo colloca all’interno della cassa
armonica del pianoforte, in modo tale che possa essere ripreso dai
microfoni, ed interagire con le corde lasciate libere dagli smorzatori;
il risultato è un gioco di armonici nel quale si mescola una melodia
meccanica, in genere notissima, con altri suoni acuti, fuori contesto,
che inventano improbabili contrappunti, e complicano la lettura
verticale delle trame melodiche. Il carillon interagisce anche con la
velocità dell’improvvisazione live: quando sta per scaricarsi
rallenta inesorabilmente...
Anche John Cage si
è dedicato ai carillon, concependo tra il 1948 ed il 1967 un
intero ciclo intitolato “Music for Carillon nn. 1/5”. Cage si è
spesso rivolto a stratagemmi giocondi, come nella “Suite per Toj
Piano” (1948), per
pianoforte giocattolo, nella scia degli studi per pianoforte preparato,
o come in “Empty Mind”, testo per un gioco d’ascolto.
Un vero e proprio ‘mecanium’, concezione molto ardita ed originale,
è stato inventato da Pierre
Bastien, che utilizzando pezzi del meccano costruisce nuovi
strumenti musicali e scrive per essi inediti pezzi. Bastien raggiunge
risultati interessanti, una musica che fonde ascendenze africane, il
jazz delle origini e la minimal, come avviene nel disco “Musiques
machinales” (1993, Saxophon & musique innovatrices, 11, place
Jean-Jaurès - F 42000 St. Etienne).
Ultima filiazione della musica-giocattolo è forse quella prodotta su
cd-rom. Qui spiccano “Love”
e “Digital Tragedy” (1997)
di Michael Nyman, scritte per il video game Enemy Zero, e pubblicate in
versione cartacea da Music Sales.
Brian Eno ha prestato giocattoli al gruppo dei Simian, che ne hanno
fatto largo uso in un recentissimo acclamato disco intitolato “We are
your friends”.
Giochi
teatrali
Il più interessante teorico della necessità di mantenere un approccio
giocoso al suono è il fiorentino Giuseppe
Chiari, figura di spicco di Fluxus. Ha scritto “Il Gioco” (ora in “Musica Et Cetera”, Edizioni
dell’Ortica, 1994), considerato un classico del genere, nel quale si
legge: «Qual è la forza del gioco? / La sua forza è l’isola. / Il
gioco ignora dal momento in cui inizia il mondo intorno. / Per
definizione. Per convenzione. / Si gioca. E
basta.». L’uso di giocattoli può realizzarsi, ad esempio, nel
brano/happening di Chiari “Teatrino” per pianoforte e oggetti
(realizzato da Frederic Rzwski a New York 1963, Firenze 1964,
Koeln 1965, Berlino 1965).
Giocattoli sonori sono usati da Giancarlo Cardini, ne “La festa dei rumori”, un antico
esperimento, ed in altre composizioni. Il suo lavoro merita particolare
attenzione: pianista extracolto e raffinato, interprete prediletto dai
grandi autori dell’avanguardia sperimentalistica,
come compositore si è sempre ritagliato uno spazio originale,
fuori dalle mode del momento. I suoi lavori sono delicati e preziosi,
come dimostra “La stanza degli incanti” per pianoforte, fiori, luci,
oggetti e giocattoli sonori (1987). Nella didascalia del brano si legge:
«Stanza degli incanti e dei sogni. Stanza reale e stanza interiore.
Spazio intimo, chiuso. Rituali fantastici, teneri e giocosi - con
decorativi fogli colorati di carta velina appesi al pianoforte, biglie
gettate dentro un bicchiere pieno d’acqua, un mazzo di fiori riflesso
in uno specchio, girandole musicali...
Nella musica: non-sviluppo, ripetitività, circolarità.
Frammenti iterati senza sosta, quasi come formule magiche, o come il
roteare di un caleidoscopio». Più orientato verso il teatro musicale,
invece, è il brano “Neo-Haiku Suite” per pianoforte, fiori, luci,
oggetti e due esecutori (per inciso i due esecutori storici, con tanto
di kimono, sono stati lo stesso Cardini e Sylvano Bussotti). Numerose
composizioni ed esecuzioni di Cardini sono pubblicate da Materiali
Sonori di Firenze (www.matson.it)
Giochi
di repertorio
Il verbo ‘jouer’ in francese sta sia per ‘giocare’ che per
‘suonare uno strumento’, come del resto l’equivalente inglese
“play”. Molti titoli sono ‘giocati’ sull’ambivalenza delle due
azioni ‘suonare/giocare’, carattere ibrido che conferisce alla
musica stessa un carattere ludico, e che assume via via i contorni di
citazione, scherzo, gioco per gli occhi o ricamo canonico per divertire
i bambini.
Tenendo conto di questo doppio significato è possibile tentare una
carrellata sulla produzione contemporanea. In area colta, una sequenza
di ‘giochi’: “Jeux de la nuit” per ensemble strumentale (Edipan),
“Jeux de l’aube” per violoncello e chitarra (edizioni Pcc-Assisi),
“Jeux du midi” per clarinetto e quartetto d’archi (Edipan),
“Jeux des enfants selon Bruegel” per chitarra, tutti scritti fra il
1985 e il 1987 da Fernando
Sulpizi, compositore perugino d’adozione, erede della scuola di
Vito Frazzi e autore anche di “Ludus” teatrali, di molta musica per
bambini e di un pezzo che gioca con i nomi di note forme musicali,
“All’improvviso per divertimento uno scherzo”. Un “Play sax”
ha scritto Franco Balliana (Sonzogno); e quattro “Playtime” (alcuni
pubblicati da Edipan) per differenti organici sono firmati dal
compositore Fernando Mencherini,
scomparso nel 1997, allievo di Walter Branchi e propugnatore della
necessità di un nuovo rinascimento strumentale.
Un “Girotondo”, per quartetto di chitarre, è di Giuseppe Zanaboni;
un secondo “Girotondo” è quello di Bruno Zanolini, questa volta per
coro infantile, pubblicato nel ricco catalogo della Suvini Zerboni. Un
terzo “Girotondo”, in triplice versione, è l’opera in due atti di
Fabio Vacchi, libera
elaborazione di Roberto Roversi da Reigen di Schnitzler (Ricordi).
E ancora: la forma del ‘divertimento’ è stata trattata da Ivan
Fedele, in “Divertimento” (1981, Suvini Zerboni) e da Massimo
Coen, Piera Pistono, Bruno Nicolai, Gianni Luporini, Mauro Bortolotti
(“Links, divertimento per archi”) e numerosi altri compositori;
“Microdivertimenti” per organico strumentale, di Aurelio Samorì;
“Pastorale e divertimento” per pianoforte a quattro mani (1969) di
Matilde Capuis (Curci), compositrice di origini napoletane
particolarmente nota in Germania: il titolo però allude alla forma del
brano più che ad un programma, cosa che accade anche per moltissimi ‘scherzi’,
tra cui quello scritto nel 1984 da Giuseppe Manzino per organo a quattro
mani. Franco Piva ha prodotto nel 1985 le “Sonatine giocose
concertanti” per ensemble strumentale, eseguite tra l’altro alla New
York University, e le “Sonatine giocose” che possono essere adattate
al pianoforte, al clavicembalo o al fortepiano. Ha poi composto delle
“Variazioni giocose concertanti” per quindici strumenti ed una
tetralogia giocosa intitolata “Novo Anphiparnaso”. “Tre giochi”
op 58 per flauto e chitarra sono del versatile ed acuto Dimitri
Nicolau. E ancora: “Puzzle sonore” di Leo
Kupper; “Giochi” di Miriam Quaquero; “Players” di Paolo
Renosto; “Solo Play” di Frederic
Rzewski; “Gioco a cinque” e “Tempus Ludendi” di Giancarlo Schiaffini; “ ‘a pazziella ‘mmano ‘e creature”
di Gianni Trovalusci; “Trottola” di Ruggero Laganà; “Carillon de
Vòtre Faust” per cinque pianoforti preparati, di Daniele
Lombardi; “Organon, ad mensura ludendum et semplicitate” di
Roberto Lupi.
Il tracciato si chiude, naturalmente, con “The game is over” di
Marco Tutino.